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CUORE SELVAGGIO 10 страница



- Ti dirò... forse il mare è bello anche per le sue cose brutte: la sua forza, la sua violenza... ed il suo sale.... non ti sei nauseato Mai a forza di miele, Renato?

- Ti confesso di no. Sono un goloso incorreggibile. Ma, per favore, andiamo, perché Catalina si spazientisce già, Monica la fece aspettare abbastanza.

- Monica... Monica è un disastro senza l’abito. So già che tu la trovi preziosa, ed io ridicola. Non so per che motivo doveva lasciare il convento.

- Tua madre mi spiegò che la sua salute non andava molto bene, ma in Campo Reale si ristabilirà. Sono sicuro...

- Aimé e...! - chiama la voce di Catalina dall'interno della carrozza.

- Andiamo. Stiamo abusando della pazienza di tua madre che è troppo buona - dice Renato; e dopo, alzando la voce, ordina al suo domestico -: Il mio cavallo. Bernardo.

Si è separato alcuni passi, lasciando Aimé e, che nonostante cerca la vista al mare, percorrendolo con sguardo inquieto, un istante cancellata la sua soave maschera di dissimulazione. Nessuna attesa vede in lui, sa bene che la bianca vela della barca che sogna sta molto lontano. Un colpo di amarezza sale alla gola, ma già, Renato D'Autremont sta un'altra volta di fronte a lei, ed il gesto di amarezza si trasforma in un sorriso, accettando:

- Andiamo quando tu vuoi...

 

 

- IL MIO RENATO!

- Madre...

Ansiosamente, come se le poche ore di assenza fossero state lunghe anni, Sofí a D'Autremont stretta a suo figlio contro il petto, si separa dopo un po' per guardarlo con quel sorriso pieno di emozione e di orgoglio che porta su alle sue labbra ogni volta che lo guarda, e si interessa:

- Fecero buon viaggio? Tardarono molto. Io già ero inquieta...

- Venimmo lentamente per non affaticarle più del conto. E, inoltre, guardavamo il paesaggio.... Sono qui. Non credo che sia necessaria una presentazione...

- In nessun modo - nega Catalina avvicinandosi -. Sono incantata di tornare a salutarla, Sofí a.

- Benvenuta in questa casa, Catalina. Per meglio dire: Benvenute. Quale è Aimé e?

Ha guardato con ansia Monica, come misurando e stimando la sua casta bellezza. Che carina e signorile sembra il suo abito nero! La fronte pura sotto le trecce bionde, profondo lo sguardo ed i gesti dolci e gravi. Sofí a la contempla squisita, perfetta, ma Monica ha sorriso facendosi soavemente da parte, chiarendo:

- Sono Monica, Signora D’Autremont. Lei è Aimé e.

- Oh...! - reagisce Sofí a, sorpresa -. È anche molto bella, - dopo, affettuosa, esclama -: Figlia mia... credo che possa chiamarla così, vero?

- Naturalmente, madre - interviene Renato in tono gioviale -. Ed il mio unico anelito è che, quanto prima, possa farlo con tutti i diritti. Ogni giorno che passa modifico la fabbrica di affrettare il matrimonio, dando maggiore brevità all'attesa.

- È quello che dico io. Per che motivo aspettare? - afferma Catalina.

- Madre... - rimprovera debolmente Aimé e.

- Non arrossire, figlia - scusa Sofí a -. La signora Molnar ha detto esattamente quello che penso io: Per che motivo dare termini alla felicità? Mio figlio ti ama e, secondo le sue relazioni, tu corrispondi ai suoi sentimenti. Non c'è niente, dunque, che si oppone a che questo matrimonio che tutti desideriamo, si celebri subito.

- Subito? - quasi si scandalizza Aimé e.

- Bene, è un modo di dire. Mi riferisco al tempo indispensabile per preparare le cose, poiché l'unico inconveniente che normalmente c’è in queste situazioni è il non conoscersi bene, è impossibile in un caso come il vostro, perché sono amici da bambini. - Dopo, dirigendosi alla signora Molnar, afferma -: Sono molto belle le sue figlie. Catalina. Belle entrambe. Ognuna a suo modo, mi sembra perfetto.

- E lei è molto gentile, Sofí a - ringrazia Catalina.

- Gentile fu la natura essendo tanto prodiga con loro. Di Aimé e avevo già molte notizie da Renato, ma Monica mi ha sorpreso straordinariamente, ed appena concepisco che lei voglia rinchiudere un simile incantesimo in un convento.... Ah! Yanina.... Avvicinati...

Dalla penombra della larga galleria, delicatamente in ombra, è sorta Yanina, avvicinandosi lentamente. Vide la stessa cosa che le altre donzelle che, da vicino o da lontano, guardano le viaggiatrici: la gonna amplissima, il corpetto regolato, la scollatura finita per un larghezza pizzo ed il tipico fazzoletto di Madras coprendo la sua testa, alla moda tra le donne native. Ma sono di oro massiccio gli anelli che pendono dalle sue orecchie, di filigrana corallo e perla le collane che coprono il suo collo. Usa mezze sete e va delicatamente in cammino. Anche le sue mani, curate con attenzione, rivelano il suo vero posto in quella casa opulenta, e la sua presenza silenziosa fa si che spunti la curiosità agli occhi di Catalina e di Aimé e. Rendendosi conto di ciò, Sofí a spiega:

- Yanina è la mia figliaccia. Mia figlia adottiva, come per dire. Ella si occuperà di festeggiarli più che io stessa, poiché, sfortunatamente, ho tanto poca salute che tutto nella casa sta nelle sue mani. - Dopo fa la presentazione ufficiale -: Yanina, questa è Aimé e...

- Tanto piacere... - saluta Aimé e in forma troppo fredda.

- È mio il piacere e l'onore. Come state voi? Avete fatto buon viaggio?

- Eccellente, figlia, eccellente - ringrazia per Catalina la deferenza della meticcia -. Ma confesso che non né posso più.... Sono da molte ore in quella carrozza.

- Portale alle loro stanze, Yanina - ordina Sofí a -. Ma, aspetta un momento. Credo che anch’io posso venire con voi.

- Appoggiati al mio braccio, madre - offre Renato.

- Non è necessario che lei si disturba... - incomincia a scusarsi Aimé e.

- Al contrario, figlia - l'interrompe Sofí a -. È un piacere del quale non voglio privarmi. Magari quelle stanze siano di vostro gusto. Abbiamo messo il maggiore impegno. Andiamo?

- Questo è quello che chiamiamo un piantatore; ed è, per me, la migliore bibita della terra dopo il famoso rum-punch - spiega Renato con entusiasta giovialità -. E fino ad ancora mi sembra meglio e più appropriata per il clima. Ma, soprattutto, è cosa del campo. In Saint-Pierre si beve poco. È succo di ananas con rum bianco, ed il complemento ideale per qualcosa che mangiamo immediatamente: gli acro dell'amicizia. Vuole fare che li servano, Yanina?

Yanina ha risposto solo con un movimento del capo, sparendo dietro l'ampia porta. Stanno in quel lato della larga galleria annessa alla sala da pranzo, dove, secondo abitudine martinicana, trascorrono lunghi momenti prendendo aperitivi o cocktail prima di passare al tavolo. Educato colore di ebano, vestiti di bianco, si muovono portando carrelli carichi di liquori e bottiglie. In grandi brocche di vetro si servono le bibite fresche, succhi di frutta rinforzati con rum, ed in vassoi di argento, tra le altre caramelle, le piccole fritture cariche di specie, simbolo di amicizia e benvenuto nelle antillane isole francesi di Guadalupe e la Martinica.

- Questo, suppongo che l'hanno mangiato già - nota Renato.

- Naturalmente - replica Aimé e -. Stai trattandoci come straniere.

- Vorrei trattarti come una sovrana che pesta per la prima volta il suo piccolo regno, Aimé e. Ho la pretesa che Campo Reale è un mondo nuovo, un mondo in miniatura, ma un mondo finalmente, e quello mondo sta salutandoti, in questo momento, con la cosa migliore che ha. C'è qui un nuovo cocktail di mia invenzione.

- Che cosa è? - indaga curioso Aimé e.

- Una varietà del piantatore: succo di ananas, ma con champagne invece di rum. Che cosa ti sembra?

- Fantastico! la cosa migliore che ho preso nella mia vita.

- In questo caso, gli metteremo il tuo nome, Aimé e, e brinderanno per te i nostri nipoti ogni volta che lo berranno. Ci fu un esplodere di mormorii e risate di approvazione, mentre ad un'indicazione di Sofí a passano tutti alla lussuosa sala da pranzo della magione di Campo Reale.

Il sontuoso cibo tocca la sua fine. Sono passati già in un salone vicino per prendere i liquori ed il caffè, ed a condividere questi, come a conoscere le Molnar, sono arrivati proprietari di proprietà vicine. Approfittando del momento che nessuno la mira, Monica è scappata da tutto quello, è scesa dalle scalinate in pietra, ha attraversato il giardino e si allontana dalla casa, come se fuggisse. Sembra che soffochi che anneghi sotto i lampadari del soffitto, tra le lussuose pareti tappezzate come per un altro clima, come per un altro mondo. Non può più. Ai vapori di quelle calde avvinazzate traditrici si accendono nella sua mente mille immagini tormentatrici, ed è fuoco, invece di sangue, quello che circola nella sua pelle. Non può sopportare più la presenza di Renato. Non può vederlo vicino ad Aimé e, accesi gli occhi di amore e di passione. Non può sopportare l'ipocrita sorriso con cui ella sembra rispondere a quell'amore che egli offre appassionato e cieco.

Ha attraversato un bosco di cacao, una piantagione spessa, e si trattiene contemplando, tra i tronchi flessibili delle palme di cocco, l'enorme falò acceso di fronte ad una baracca. C'è anche festa in quel mondo basso e lontano; anche, come lassù, gli aromatici liquori circolano qui di mano in mano, e le grosse dita nere tamburellano sulle toppe. È una musica selvaggia, monotona ed ardente: musica avulsa al cuore dell'Africa, musica che ha nella terra antillana, tuttavia, un nuovo senso, un appannamento di natura primitiva, di passioni sfrenate, al cui ritmo si agitano in danze lubriche i neri corpi. E l'anima torturata della novizia, trema. Tremando, le bianche mani si uniscono per il discorso:

- Signore..... Signore..... Dammi valore, dammi forza. Strappami a tutto questo. Fammi ritornare al mio convento. Fammi ritornare al mio convento, Signore....

- Monica! - esclama Aimé e avvicinandosi sorpresa a sua sorella.

- Aimé e! Che cosa ci fai qui? Che cosa cerchi? - si allarma Monica uscendo dalla sua momentanea astrazione.

- Caspita.... È quello che venivo a domandarti io precisamente: Che cosa ci fai qui? Non è questo il tuo posto. - Dopo, con l'ironia traboccando nelle sue parole, commenta -: Sarebbe fantastico che ti piacesse tutto questo...

Ha girato la testa per guardare, attraverso gli alberi, la lunga fila di donne nere, che si intreccia e ritorce attorno al falò, come un'enorme serpe. Vanno seminude. Alla luce rossiccia brilla il sudore sulle carni scure. All'improvviso, mettono gli uomini. Portano, anche, i torsi nudi, in alto i machete di lavoro nelle cui mani tremano, come sanguini, lo splendore del falò.

- A me questo mi affascina e, in fin dei conti, siamo sorelle - calca Aimé e senza abbandonare il suo tono ironico -. Abbiamo punti di contatto, alcuni molto notevoli. Questo può essere uno di quelli.

- Per che motivo lasciasti Renato? Dove? perché? - schiva Monica, facendo caso negligente della mordacità di sua sorella.

- Non ti preoccupare per lui. È incantato della vita bevendo le sue bibite con champagne. Che infantile, che ridicolo mi sembra a volte Renato! Oh!, ma non ti disturbare ad indignarti. Ad ogni modo, mi sposerò con Lui. Non si disprezza un partito simile. È, effettivamente, l'uomo più ricco dell'isola.

- E solo per quel motivo...?

- Per quel motivo e per tutto il resto, Santa Monica...

- Non mi chiamare così! - esplode Monica, ora indignata in realtà.

- So già che non lo meriti. Ti piace questo spettacolo selvaggio, lo preferisci alla contemplazione di Renato... il tuo Renato.

- Né è mio né hai motivo di chiamarlo in quella maniera!

- Indubbiamente non è tuo. Quello lo so. Non fu mai tuo. Ti desti il lusso di cedermelo, o di fare che me lo cedevi; ma, in realtà, niente mi desti, perché non avevi niente da darmi. Quello che scelse fu lui, e mi scelse. Che cosa vuoi, sorella? Cattiva sembro.... Ma, andiamo... madre sentì la tua mancanza. Mi domandò dove eri ed io uscii a cercarti. Per una volta mi toccò la carta di fare ritornare all'ovile la pecora sviata; ma se tardo troppo, sentiranno la mancanza di entrambe.

- Vacci sei tu quella che importa che stia lì!

- Non lo credere. Nonostante ci sono due vicini in visita. Renato ringrazierà te che li intrattenga.... Tutto quello che l'obbliga a non occuparsi solo di me lo disturba. Indubbiamente a me non mi interessa, perché io preferirei rimanere qui. È la prima cosa interessante che vedo in Campo Reale, perché quello che è la mummia di mia suocera ed il casermone dipinto di porporina, mi fa morire di noia. - Aimé e ride soavemente ed obietta con soma -: Non mi guardare con viso di spavento. Le cose sono come le pensai. Questo può sopportarsi un mese all'anno.... Il resto lo passeremo in Saint-Pierre. Ti assicuro che la sistemazione della casa della capitale si incomincia immediatamente, e completamente a mio piacimento. Ho già la parola di Renato. Ti sorprende?

- Di te non mi sorprende niente. Ma ascoltami, Aimé e: non fare del male a Renato. Non lo consentirò!

- Farò quello che mi viene voglia, e né tu né nessuno...!

- Aimé e.... Aimé e...! - l'interrompe la voce di Renato che la chiama da lontano.

- E’ qui. Uscì a cercarmi - segnala Aimé e, pienamente soddisfatta -. Non può stare senza me.... non può vivere senza me. Comprendi? Egli, mi dà, non tu tutti i diritti.

- Aimé e.... Aimé e...! - torna a chiamare Renato, ora già più vicino al posto dove si trovano le due sorelle.

- Sono qui, Renato...

Sollecitamente accorre Aimé e all'incontro con Renato, mentre, a beneficio dell'oscurità, Monica retrocede, cercando di passare inosservata sotto l'ombra dei grandi alberi. No, non potrebbe sopportare in quello momento la presenza di lui, quella presenza che è arrivata ad essere come un martirio: martirio dei sensi, quello che la tormenta la sua voce e le sue parole per un'altra donna; martirio della sua anima, crocifissa in ogni parola di tenerezza, in ogni gesto di sollecito, in ogni dimostrazione di amore che tanto sognò invano...

- Aimé e cara, che cosa sei venuta a cercare qui? - rimprovera affettuosamente Renato.

- Niente speciale, caro. Uscii senza rotta a prendere un po' di aria, sentii da lontano la musica, vidi lo splendore dei falò e mi avvicinai, ma non troppo...

- Non è per te questo, Aimé e. - Renato l'ha presa il braccio, lasciando scivolare la sua mano di cavaliere sulla fine pelle, sentendo in anima e carne l'influenza della notte, dell'ambiente, della terra dolce e selvaggia; la suggestione di quei corpi brillanti e seminudi che risaltano in lontananza, nella più lubrica delle danze, e propone -: Andiamocene di qui, Aimé e.

- Non ti piace vederli ballare? Aspetta un momento. Non sai quello che significa quella danza? Io si. Ebbi una nutrice nera. Da bambina mi addormentavo cullandomi con canzoni come quella. Una canzone primitiva e monotona con sapore di mondi lontani, natura esuberante: una canzone di amore e di morte...

Aimé e ha pensato a Juan con un'ansia che l'infiamma le labbra, con uno scuotimento che è lo scivolare di un brivido sulla sua pelle: Juan... selvaggio come il mare feroce che abbraccia l'isola ardente, stringendola, avvolgendola nelle sue feroci carezze, come se volesse seppellirla, affondarla, finire con lei per sempre, per finalmente rompersi sui suoi faraglioni di rocce o baciarla nelle sue brevi spiagge bionde... Juan, il matto, il pirata, che andò giurando di ritornare con la ricchezza, per pagare, con la moneta comprata con sangue, il suo riscatto da un mondo ad un altro...

- Andiamo, Aimé e - prega Renato con amorosa soavità. Il braccio di lui opprime dolcemente la sua vita, le sue labbra la cercano per un bacio contenuto e tenero, carezza vuota che ella sta per respingere e che, finalmente, accetta chiudendo gli occhi, come qualcosa che scivola senza lasciare orma.

Vanno molto insieme abbasso gli alberi e dietro essi marcia Monica, tanto lieve il passo che neanche scricchiolano sotto i suoi piedi le foglie secche, crocifissa l'anima nel suo tormento, mentre ogni volta sente più tenui le roche voci della festa nera, quelle ella anche ascoltò dalla culla, una canzone di amore e di morte.

- Sei contenta, Aimé e? - inquisisce Renato con timidezza.

- E certo, tonto, non lo vedi?

- Ci sposeremo subito. Mia madre lo desidera e anche la tua. Non c'è nessuna ragione per aspettare più tempo.... O è che non sei sicura del tuo amore?

- Lo sei tu del tuo, Renato? Guarda, io sono capricciosa, non sto sempre di buon umore. Può darsi che a volte goda farti arrabbiare un pochino. È la mia maniera di amare la gente...

- Allora, devo tradurre per amore i tuoi capricci?

- Naturalmente. Quanto più ti esiga e più ti disturbi, sarà perché ti voglio più. Quanto meno logico trovi a miei ragionamenti, sarà che sono sempre di più innamorata. Ma, certo; devi volermi tu allo stesso modo per sopportare questo. Se non sei pazzo per me...

- Sono pazzo, Aimé e! -assicura Renato con veemenza.

- E è per quel motivo che io ti adoro...

Ora è lei che getta le braccia al collo che cerca le sue labbra un ed un'altra volta. Hanno lasciato dietro l'albereto spesso, pestano già i sentieri di sabbia dei giardini, quando un'ombra inquieta sorge di fronte ad essi con alcune parole iniziali di scusa:

- Mi perdonino per l’interruzione...

- Yanina...! - esplode Renato visibilmente disgustato.

- Mi dispensi. La signora mi comandò che vi cercassi. Le visite vanno via.... Chiedono di voi.... devo dire che non vi trovai?

- Non c’è motivo per dire nessuna bugia - risponde Renato contenendo a fatica il suo cattivo umore -. Andiamo immediatamente a licenziarci da essi.

Con passo rapido si sono diretti verso la casa. Yanina li guarda un istante, vacilla, alza la testa, ed i suoi occhi oscuri distinguono una forma tra le ombre. È Monica di Molnar che dà alcuni passi fino ad arrivare alla banca di pietra, crollando su essa come senza forze e coprendosi il viso con le mani. Senza il minore rumore, Yanina si avvicina a lei, indagando con freddezza:

- Si sente male? Non può sopportare lo spettacolo?

- Ehi? Che cosa sta dicendo?

- Lei veniva dietro di loro.... No, non si disturbi a negarlo, la vidi perfettamente. Se non si sente troppo male, dovrebbe andare al salone. Notarono anche la sua assenza... e può avere commenti...

- Ed a lei che cosa importa? - si increspa Monica, mossa per un'ira repentina.

- Personalmente, niente, ovviamente - risponde Yanina con soave ironia -. Compio solo il mio dovere di proteggere la tranquillità della signora D'Autremont. Il medico ha proibito, per lei, le emozioni forti. Deve vivere in pace e sentirsi felice. In Campo Reale può ardere la casa, purché ella non lo sappia. Tutto quanto lo faccio per quello, ed il signore Renato lo sa. Qui non importa nessuno più che la signora D'Autremont. Comprende?

Monica si è erta, pallida e feroce, con un lampo folgorante nelle pupille. Ma di fronte alla suo collera, sul punto di esplodere violentemente, la meticcia abbassa la testa in gesto sottomesso, ed offre sincera:

- Per il resto, signorina Molnar, benché supponga che non gli interessa, voglio dirle che lei conti su tutte le mie simpatie e col mio sincero desiderio di aiutarla se qualche volta ha bisogno di me.

- Non ho contato mai se non su me stessa, signorina...! - ribatte collerica Monica.

- Yanina, semplicemente - chiarisce la meticcia, soave e docile -. Non sono altro che una domestica di fiducia, di assoluta fiducia ed assoluta lealtà per i D'Autremont. Ora, col suo permesso.... Io necessito di stare vicino alla mia padrona quando le visite vanno via.

 

Monica arde di ira, ma si sono asciugate le sue lacrime, si è erta la sua vita, si è sentita, improvvisamente, forte ed arrogante, e con passo va fortemente verso la scalinata di pietra.

 

- Sei mesi sono un'enormità, amore - obietta Renato.

- Ti sembra...? - tituba Aimé e con astuzia.

- Certo, e ricorro al criterio delle nostre madri. Perché non incominciamo a preparare tutto immediatamente? Si spostano gli inviti, si preparano le carte precise e, quando tutto sarà pronto, ci sposiamo santamente.

- Quanto ci vorrà per tutto questo?

- Non lo so. Quattro settimane, cinque, per caso sei...

- Solo? Ma non è possibile, Renato caro. In cinque o sei settimane non sarà pronto il mio corredo di fidanzata. Benché diventassimo matte cucendo, necessiteremmo di più o meno i sei mesi di cui ti parlai prima...

- Per il tuo corredo di fidanzata non ti preoccupare - interviene Sofí a -. Era una delle mie sorprese per voi poiché è arrivato il caso, è meglio che glielo dica d'un colpo. Il tuo corredo di fidanzata, il più bello che si possa sognare, starà qui giusto in tempo: quattro settimane, cinque, al massimo sei...

- Madre cara, credo che ti comprenda - esclama Renato profondamente contento.

- Naturalmente, figlio - conviene Sofí a. Dopo, alzando la voce, chiama -: Yanina...!

- Si chiamava, madrina? - domanda la meticcia, avvicinandosi.

- Si; porta il libretto dove scriviamo gli incarichi fatti in Francia, vuoi?

- Sì, madrina, subito.

Silenziosa, rapida, diligente, con quell'efficienza che è la sua caratteristica e quella discrezione che tanto ha di indiscreto, Yanina si è affrettata a mettere in mano alla signora D'Autremont il libretto chiesto. Erano passati già vari giorni da quando le Molnar arrivarono a Campo Reale, e stanno insieme in un unico gruppo familiare: Renato, appassionato; Aimé e, difendendosi tra moine e civetterie; la signora Molnar, umile e sorridente, tentando di fare il miracolo di dare la ragione a tutto il mondo; pallida, silenziosa, tesa, Monica di Molnar, in attesa di ogni parola, di ogni gesto, come spiando il battere dei polsi di quel piccolo mondo in cui Sofí a D'Autremont presiede col suo languido gesto di malata, con la falsa condiscendenza della sua educazione squisita...

- Esattamente. La domanda si fece quasi un mese fa - corrobora Sofí a, dopo aver consultato il libretto -. Lo stesso giorno che mi parlasti di Aimé e, del tuo amore per lei.

- È possibile, madre? - Renato sorpreso commenta grato -. È che mi hai letto il pensiero! Questo era ciò che io volevo.

- È quasi l’unica cosa che mi rimane come madre amorosa di un figlio unico: indovinarti il pensiero - osserva Sofí a in un scatto di tenerezza. Dopo, rivolgendosi alla sua futura nuora, domanda -: E bene, Aimé e, sei rimasta pensierosa? Non c'è più problema per il tuo cestino. Era quella la tua unica preoccupazione, il solo motivo per aspettare sei mesi il felice giorno delle tue nozze?

- Forse Aimé e non è sicura dei suoi sentimenti - suggerisce Monica senza potere dominare questo atto impulsivo.

- Che cosa dici, Monica? - si allontana Sofí a.

- Dico che può essere quello il motivo che la fa dubitare. A volte il tempo è necessario per renderci conto di un equivoco... - insinua blandamente Monica.

- Tu ti sbagli totalmente! - salta Aimé e con gesto aggressivo -. Dei miei sentimenti non c'è nessun dubbio. Né io ce l'ho, né Renato può averla. Ed affinché non continui ad interpretare le cose a tuo capriccio, mi decido in questo momento: Ci sposeremo quando vuoi, Renato, quando tu vuoi! Tra cinque settimane? Bene, tra cinque settimane sarò tua moglie!

Lampeggianti le pupille, come un felino sul punto di saltare per lottare con tutte le sue forze, ha risposto Aimé e alle parole di Monica, mentre un soffio tempestoso attraversa la riunione familiare. Sofí a D'Autremont la guarda sorpresa, sconcertata; Yanina è indietreggiata un passo dietro di lei, come se si disponesse per sostenerla, mentre Renato, pallido di ira, trattiene la sua espressione con sforzo, e Catalina da Molnar cerca finalmente di balbettare le parole che lo spavento soffocò nella sua gola:

- Monica, Monica, ma hai perso la ragione, figlia? Perché dici queste cose?

- Perché deve dirlo se non perché mi odia? - non può contenersi Aimé e -. Mi odia, mi odia!

- Secondo la mia opinione, nessuna delle due sa quello che dice - interviene, conciliatrice, Sofí a -. Si sono accaldate senza ragione di nessuna specie. Sicuramente Monica ha ceduto ad un rapimento involontario di impazienza.

- Credo che debba una spiegazione a tua sorella, Monica - consiglia Renato, categorico e severo.

Monica non può sopportare la tensione che l'assorbe e domina, e senza dire parola abbandona il gruppo, allontanandosi correndo.

- Monica! Monica! - la chiama Renato profondamente stupefatto.

- Non andare con lei, Renato. Non la prendere in considerazione. Non è sufficiente che io sia disposta a compiacerti? Lasciala.... Lasciala...!

- La tua fidanzata ha ragione, figlio mio. Ascoltala e soddisfala che è già abbastanza mortificata per l'intemperanza di sua sorella.

- Voglio ricordare a tutti che Monica è malata, e giusto di nervi - intercede Catalina col lodevole affanno di sottrarre importanza all'atto tanto spiacevole -. Sono sicura che non voleva dire quello che disse, né disturbare nessuno. Ma la poverina sta male: non mangia, non dorme...

- Lei si dovrebbe andare dietro lei, Catalina, e dirgli quello che fa al caso. Naturalmente, senza essere troppo severa - consiglia Sofí a con benevolenza -. In effetti, la sua cara figlia maggiore non scoppia si salute, e la nostra adorabile Aimé e si stava facendo pregare troppo. Non ti sembra, figlia, che a parte la sua rudezza, tua sorella ha fatto bene in aiutarti a decidere?

Aimé e ha fatto un sforzo per contenersi, per sorridere, per recuperare la maschera angelica che un momento le fece abbandonare l'ira, e con falsa modestia risponde:

- Io ero decisa già, signora Sofí a. Non discutevamo altro che una data. Io sono tanto felice di essere la fidanzata di Renato e non voglio né necessito di nient'altro.

- I fiori sono belli, ma dare frutto è la funzione naturale dell'albero. Il fidanzamento è come la primavera. Sei ancora molto piccola per comprendere certe cose. Tuttavia, pensa che sono malata che non sono giovane, e che l'ultimo dei miei sogni è di addormentare nelle mie braccia un nipote. Che sia quanto prima quel matrimonio...

Renato ha preso tra le sue la mano di Aimé e, ma non sorride. La ammira gravemente, con un sguardo profondo, come se volesse penetrare fino alla cosa più intima dei suoi pensieri, come se per la prima volta trovasse un mistero in quell'anima di donna, nella quale decifra tutta la sua speranza di fortuna. Ma non è una domanda, bensì una promessa, quello che finalmente scappa dalle sue labbra:

- Vivrò per procurare la tua fortuna, per farti felice, Aimé e.

 

Unite le mani, inclinata davanti, in ginocchio davanti all'altare del Crocifisso che presiede la piccola chiesa di Campo Reale, Monica cerca invano parole per il suo discorso, e non le trova. Eleva solo un pensiero dolorante e ribelle:

- Perdono, Signore, perdono...!

Una schiuma amara, di rancore e di gelosia, si mischia al discorso nelle sue labbra e, come lampi, passano sentimenti diversi illuminando il nero cielo del suo mondo interno, mentre segue la sua preghiera:

- Non fu per odio.... Fu per amore.... Ma anche il mio amore è colpevole. Il mio amore è peggio che l'odio...!

È sola sotto l'unica imbarcazione del minuto tempio, casa di Dio di larghe pareti imbiancate di calce, di rozzi archi coloniali nei quali inchiodano i fusti pesanti e i freschi rampicanti tropicali. Vicino all'altare stanno gli inginocchiatoi di velluto dei D'Autremont: dopo, le lunghe banche di legno per i braccianti e domestici. Ma né padroni né servitori si affacciano in questo istante alle sue alte porte. Solo la fragile donna vestita di nero che prega e piange con le mani giunte, e, come un'ombra, Renato D'Autremont che da lontano la contempla...



  

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