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CUORE SELVAGGIO 5 страница



- Fiera...! - rimprovera Juan, soddisfatto e sorridente -. Anch’io, a volte, vorrei ammazzarti! Sali, vieni con me...

- Sei pazzo? Con questa notte?

- Meglio... così non ci vedranno. Sali o vado via...

- No... non andare via.... Uscirò.... Tiranno... Juan del Diablo.

Soddisfatto, Juan è tornato a baciare Aimé e, a sottometterla, abbracciandola attraverso le sbarre che gli sono inchiodate nel petto duro e largo. Quindi la spinge, ardente lo sguardo di passione e dominio:

- Vieni.... Vieni presto.... ti aspetto tra gli alberi. Se tardi troppo, non mi troverai...

 

L'ora di amore è passata, e si ammainò anche la tempesta. Il vento ha spinto le nuvole, lacerandole, e nei pezzi oscuri, come brandelli di celeste velluto, tremolano le stelle come chiari diamanti.

La profonda grotta apre sulla stretta spiaggia la larga bocca irsuta di coltelli taglienti. Sulla bianca sabbia che copre il piano della grotta, inclinata nel maschio che sta al suo fianco, trema ancora Aimé e per la dolcezza dell'istante trascorso. I neri capelli sciolti gli cadono sulle spalle, arde la sua bocca sensuale ed umida e i suoi occhi sono, nell'oscurità, come altre due stelle che brillano nelle ombre.... E l'aroma del suo corpo giovane è, come il ruggito di quel mare aspro, incitante che si estende per la spiaggia in festoni di schiuma...

- Mi fai impazzire, Aimé e. Sei come questa terra, sai? bisogna Sempre guadagnarla in una battaglia, ma non c'è un'altra più bella che profumi più dei fiori che dia frutti più dolci.... Di te... la tua bocca. - È tornato a baciarla. Dopo, bruscamente, la separa per guardarla molto fisso, il viso indurito -. Perché mi facesti aspettare tanto?

- Il mio Juan.... il Mio Juan...! - sussurra Aimé e vibrante di passione -. Ti dico la verità? Volli vedere se era vero che te ne andavi via se avessi tardato...

- Ah, si? Davvero tardasti per esasperarmi?

- Ahi, selvaggio! Non mi stringere così, mi fai male.... Che stupido sei! - ride soddisfatta -. Tardai perché madre incominciò a parlarmi.

- Quando tu vuoi, sai tagliare bene una conversazione.

- Certo.... Ma non volli: mi parlava di mia sorella.

- La suora?

- Non ho un'altra sorella. Ma, inoltre, ancora non è suora. Novizia nient'altro. Madre non vuole che professi.

- Ma lei si, e lo farà.

- Certo. È ostinata come me, ci somigliamo in molte cose, ed in quello più che in nient’altro.

- Vi somigliate...? - Juan esplode in una burlone sghignazzata -. Mi piacerebbe vederti con abiti monacali!

- Potrebbe venirmi la vocazione, come a lei.

- E ti accetterebbero?

- Perché no? Che cosa ti credi? Pensi che sono una qualunque, che non valgo niente? Pensi che non valgo niente perché mi degnai di guardarti?

- Qualcosa più che guardarmi... mi sembra... - insinua in tono burlone Juan.

- E per quel motivo? Gli uomini non ringraziano per niente...

- Io ti ringrazio di essere bella, di avere la pelle di raso ed il cuore malvagio. Così sei e per questo motivo mi piaci. Ridi?

- Rido perché parli come me. Detesto anch’io i sentimentali. Ti voglio perché non lo sei; perché sei rude, selvaggio, come un diavolo... Juan del Diablo.... Chi ti ha dato quel nome?

- Chiunque.... Che importa? Per me va bene.... Per me è buona qualunque cosa.

- È certo, per te è buona qualunque cosa brutta. Mi piaci anche per questo motivo. E ti voglio senza domandarti niente. Neanche so, con certezza, chi sei...

- Che cosa ti può importare?

- Niente... ma a volte sono curiosa. Dove sei nato? Chi furono i tuoi genitori? Quale è il tuo nome vero? Che cosa eri prima di essere capitano di una nave, che non si sa che carica né da che porto viene, né a che porto va? Che cosa sei ora? Rispondi!

- Sono qui; sono come la mia barca, ed il mio nome è Juan. Se non ti piace Juan del Diablo, puoi chiamarmi Juan di Juan. A parte al diavolo, appartengo solo a me stesso.

- Ed a me un pochino, no?

- Certo! A te, come tu a me... per un momento - ride divertito e burlone.

- Sai che a volte sei troppo brutale? Non ridere in quel modo. La tua risata è brutta! Non so perché ti voglio, non so perché mi avvicino a te, né di che mezzi ti avvalesti per farmi innamorare...

- Tu sei stata a farmi innamorare, amante mia. Non ti ricordi più? E fu su quella spiaggia. Tu passavi col tuo ombrellino di pizzo; io arrivavo nella mia scialuppa. Rimanesti guardandomi... senza dubbio pensasti: Bell’animale. E ti sei proposta di ammaestrarmi... ma non è tanto facile. Fu uno strano scherzo…

- Perché parli così? Sei molto cattivo... - E con la passione che si rifletteva nei suoi occhi neri, Aimé e esclama -: Ti voglio, Juan. Ti voglio e mi piaci più di tutto, più che nessuno.... Baciami, Juan! Baciami e dimmi che anche tu mi vuoi.... Dimmelo molte volte, benché non sia la verità...!

Juan non risponde con parole. Torna a baciarla, pazzo, appassionato, mentre le palpebre di lei si socchiudono coprendo le pupille ardenti, e, nella linea imprecisa dell'orizzonte, spunta la chiarezza dell'alba.

 

- Monica, figlia mia, ricordi che è l'obbedienza il primo voto che lei ha fatto vestendo quegli abiti.

- Voglio portarli tutta la vita. Madre badessa. Voglio ubbidire sempre e per sempre, ma...

- Il suo ma è di troppo. La nostra strada è rinuncia e sacrificio. Come può seguirli, ribellandosi al primo ordine che non le piace?

- Non è che mi ribelli, è che chiedo, prego, supplico...

- Supplica per non dovere ubbidire? Le sue suppliche sono vane.

- È che solo in questo rifugio ho trovato qualcosa di simile alla pace.

- Affinché quella pace sia duratura, abbiamo bisogno di una sicurezza assoluta, totale, della sua vocazione religiosa. Lei è uscita vittoriosa da tutte le prove del convento. Deve passare la prova che è il mondo.

- La passerò, Madre, ma più avanti... quando le cose cambieranno o, quando mia sorella sarà già sposata...

La novizia si è morsa le labbra, inclinando la testa sotto lo sguardo dolcemente severo della badessa. È in quella cella di pareti imbiancate le cui alte finestre danno sul mare. Il vecchio convento si solleva su una collina, dominando quasi la città di Saint-Pierre, la baia rotonda e larga, le chiassose strade centrali, i sobborghi quieti ed addormentati; più in là, il mare azzurro, e dal lato opposto, le montagne, le enormi montagne che si sollevano tanto vicino alla città, i pitoni di Cabet, il più alto dei quali affonda nelle nuvole la sua ripida cima: il monte Litighi, l'enigmatico vulcano quieto da cinquanta anni... il colosso addormentato...

- Inoltre, c'è un'altra ragione per inviarla per un po' a casa sua - spiega la badessa.

- Un'altra ragione? Che ragione può esserci, Madre?

- La sua salute delicata. Salta agli occhi, figlia mia. Non ci sono qui specchi e non può vedere il suo viso. Ma lei è cambiata tanto...!

Monica di Molnar si è inclinata davanti, pensosa.... Che bella stranamente in questo istante, all'ultimo riflesso dorato del sole del pomeriggio! Sotto le bianche vesti, sono come fiore di madreperla la sua fronte altezzosa, le sue guance pallide, e tra le nere ciglia tremano i suoi occhi come gemme cangianti. Le fini mani sensitive si sono unite come per una supplica, come per un discorso, in quel gesto che in lei è familiare, e dopo cadono, come fiori troncati...

- Che cosa importa la salute del mio corpo, Madre? Ansiosamente cerco la salute della mia anima.

- La troverà, figlia, la troverà. Ma non prenderà definitivamente le vesti fino ad averla trovata. Io sono sicura che lei troverà molto presto entrambe, giustamente in quel mondo che si impegna a sfuggire. Accetti la prova di obbedienza, figlia mia, e badi anche al suo corpo. Abbiamo bisogno di lui sano e disposto a servire a Dio. È l'ultima parola del suo confessore... e la mia.

- Va bene. Madre - accetta Monica, soffocando un sospiro -. Quando potrò ritornare?

- Perché non domanda prima, quando deve andare via?

- Devo sapere prima quando mi permetteranno di ritornare al mio rifugio.

- Dipende dalla sua salute. Metta impegno nel curarsi, nel ristabilirsi, e la sua assenza dal nostro convento sarà meno lunga. Se non succede niente di nuovo, deve aspettare il nostro avviso. Se succede qualcosa, figlia mia, se lei si sente realmente sola ed abbandonata, se le mancheranno le forze, allora non aspetti né vacilli: ritorni, ritorni in qualunque momento. Questa è la casa di Dio, e questa sarà la sua casa...

- Grazie, Madre. Lei mi restituisce la vita con queste parole - assicura Monica, commossa e felice.

- Ma pensi che solo in un caso di vera, di assoluta necessità, deve ritornare prima di essere chiamata.

- Così farò. Madre. Ed ora, se lei me lo permette, credo che debba scrivere a casa mia.... Mia madre ignora la situazione attuale. Devo avvisarla...

- La signora Molnar è stata già avvisata, e l'aspetta nel parlatorio. È venuta a cercarla. Preghi un momento nella cappella, dica addio momentaneamente alle sue sorelle di convento, e vada al parlatorio. La aspetteremo lì...

 

 

- VUOI ENTRARE A vedere se posso parlare con mia madre, Ana?

- Si, signorino. Come no! Io si posso entrare, ma è che la signora sta con la sua emicrania, gli duole la testa, e quando alla signora gli duole la testa non vuole parlare con nessuno, perché quando parla con qualcuno gli duole più.

Lo sguardo di Renato D'Autremont, un momento prima acceso di collera, si è addolcito contemplando l'oscura e parente figura di Ana. Niente sembra essere cambiato nella sua grande casa natale, e meno che niente quella pittoresca domestica nativa che curò la sua infanzia. Come quindici anni prima, il suo viso, di colore rame, è fresco e terso; vestiva l'allegro abito tipico delle donne di quella terra, annodato il fazzoletto di colore vivace sulla testa mulatta di riccioli stretti, ed è, come allora, una luce serena ed ingenua nei grandi occhi infantili ed un sorriso sciocco e dolce nelle carnose labbra...

- Da quando sta male madre?

- Uh! Chi lo sa! Come il signorino non si ricorda che ormai, alla signora gli duole sempre qualcosa. Per questo motivo sempre bisogna stare in silenzio in questa casa...

- Ahi, Ana...! Tu non cambi... - afferma Renato, gioioso e sorridente -. Vai... vai! Vai ad avvisare mia madre, perché è assolutamente necessario che io gli parli e che si incominci a sistemare quello che sta non va bene.

- Quello che lei comanda, signorino. Vado subito... - rispetta Ana, penetrando nella camera da letto di Sofí a D'Autremont.

Erano passati appena alcuni secondi quando Ana riappare sollecitando Renato, al tempo che si allontana avanti corridoio:

- Entri, signorino, entri. La signora la sta aspettandolo. Per lei, chissà come non le duole niente. Passi... passi...

Teneramente, Renato D'Autremont si è inclinato per baciare le mani di sua madre, tanto bianche e tanto soavi come quando egli era un ragazzo. Ora è un uomo di splendido aspetto: fine, magro, flessibile, di media statura. Ha i chiari occhi di Sofí a; anche i capelli, come i suoi, colore di lino chiaro; ed il portamento arrogante di Francisco D'Autremont che fu suo padre. Ha, come lui, la fronte serena ed altezzosa, lo sguardo profondo e penetrante, ed arde in lui, più viva ancora che nei giorni della sua infanzia, quella fiamma di intelligenza superiore, di sensibilità generosa ed inquieta, che lo rende contemporaneamente comprensivo e semplice, tenero ed umano, appassionato e sognatore.

- Madre, ti senti realmente male? Mi fa male averti dovuto disturbare, ma...

- Come puoi dire certe parole trattandosi di te, figlio?

- Ana mi disse che la tua salute continua ad essere delicata. Temo che non ti abbia servita come è dovuto, ma ora... ora lo fa, vero?

- Lasciamo i miei acciacchi. Vieni qua, avvicinati.... Voglio tornare a guardarti da vicino, una ed un'altra volta ancora. Non mi sembra varo averti già al mio fianco. Non si saziano di te i miei occhi, figlio mio.... il Mio Renato...

Dopo averlo contemplato con orgoglio, Sofí a guarda il piccolo frustino che nonostante sostiene nella mano, ed i fini speroni di argento che calza sugli stivali brillanti...

- Vedo che vieni dal giro della proprietà.

- Da un estremo ad altro...

- Hai dovuto galoppare molto. Non ti sei stancato più del dovuto, figliolo?

- Mi sono stancato solo di vedere ingiustizie, madre.

- Come? Che cosa dici, Renato?

- Dunque... la verità. Lo sento, e io sono sempre sincero. Credo che ci siano molti mali ai quali bisogna porre rimedio in Campo Reale. E, naturalmente, voglio farti notare che non sono assolutamente d'accordo, con l'amministrazione di Battista.

- Ma, figlio! Che lamenti puoi avere di un uomo che vive interamente dedito al suo lavoro?

- È duro e crudele coi lavoratori, madre... più che duramente, inumano con i quali aumentano la nostra ricchezza col loro sudore e col loro lavoro... e non sono d'accordo. Ci sono cose che non possono continuare a succedere, madre. Non spero altro che con il tuo permesso di tentare di rimediare. Sono cose con le quali sono sicuro che tu non puoi essere d'accordo che non è umanamente possibile che tu abbia autorizzato. Egli dice di sì, ma...

- Egli? Allora, gli hai parlato, hai discusso con Battista?

- Naturalmente, madre.

- Hai fatto male, figlio. Temo che sia stato ingrato con lui. E gli dobbiamo tanto...!

- Dobbiamo di più ai lavoratori, madre, a quelle centinaia di sfortunati.... non possiamo continuare a sfruttarli nel modo in cui Battista lo fa! Vivono peggio che se fossero schiavi.

- Superano i due mila, figlio. Non può gestirli senza un rispetto, senza una disciplina, senza un'autorità.... non ti fidare della prima impressione. Battista sa come trattarli. Sai che le nostre terre, con lui, rendono il doppio di quello che rendevano ai tempi di tuo padre e di Nicola? Sai che si sono acquisite proprietà nuove, unendoli tutte a Campo Reale, e che quasi mezza isola ti appartiene? Guarda, vieni qua. Oggi è 15 di maggio di 1899. Io nominai amministratore Battista il giorno dopo la morte di tuo padre: il 6 maggio del 1885. In quattordici anni, la nostra ricchezza si è raddoppiata. Che cosa possiamo, in realtà, rimproverare ad un amministratore simile?

- Continuo a trovare improprio il trattamento che si dà ai lavoratori nella nostra proprietà, madre. Continuo a considerare inumani i procedimenti di Battista, benché abbiano aumentato la nostra fortuna...

- Vedo che sei un sognatore... ma non un uomo qualunque… Un D'Autremont... con diritti, per essere chi sei, a vivere come re in questa terra che i D'Autremont onorano. Questa terra selvaggia...

- La quale amo con tutto il mio cuore! - interviene Renato, con gesto deciso ed orgoglioso -. Non sono solo il padrone di questa terra, sono anche suo figlio. Sento che gli appartengo e devo lottare perché, su lei, gli uomini siano meno sfortunati. Non vorrei dibattere con te, madre, ma...

- Va bene. Se non vuoi dibattere con me, non parlare in questo momento. Ci sarà tempo. Parleremo più avanti, quando ti sarai un po' ambientato. Quando potrai vedere tutto con più chiarezza, sarai latifondista... più avanti. Non so, figlio mio alcuni giorni, un paio di settimane. Non credo che sia chiederti troppo, dopo un'assenza tanto lunga. Prima o poi, tutto si farà come tu dirai. Sei il padrone, e così voglio che ti senta. Ma, per il momento, parliamo di cose più gradite. Mi sembra capire che hai una fidanzata di cui ti sei innamorato, no?

- Sì, madre - risponde Renato in tono soave e tenero -. Sono innamorato della creatura più adorabile della terra, delle migliori amiche della mia infanzia... sensibile come una donna, allegra come una cicala, mimosa come una creatura che desidera essere portata sempre tra le braccia, esuberante come può esserlo solo una figlia di questa terra...

- Una figlia di questa terra? - si sorprende Sofí a -, Pensai che la tua fidanzata fosse in Francia...

- In Francia era, ma ora è molto più vicina. È nata, come me, nella Martinica. Ha vissuto qui fino ai sette anni. Ritornò sei mesi fa.

- A che famiglia appartiene? Spero che non abbia messo gli occhi su chi non è degna di te, per la sua casta e per il suo sangue.

- Lo è, madre. Lo è in ogni senso. E si chiama Aimé e di Molnar...

- Ah...! - si sorprende grata Sofí a -, È possibile? Quella bambina...?

- Quella bambina è oggi la ragazza più bella che tu possa immaginare, madre. Hai capito bene? Ti piace la mia spiegazione?

- Caspita... caspita! - commenta divertita e con gusto Sofí a -, Guarda tu.... Confido in te che mi piaccia la ragazza. Della famiglia, ed altri dettagli, non c'è niente da obiettare. Cioè, qualcosa che in realtà ha poca importanza. E tu guarda che le cose sono.... Ha poca importanza, grazie ai buoni servizi di Battista.

- Che cosa dici, madre?

- I Molnar sono quasi dissestati, ma non importa. Tu sei abbastanza ricco per dimenticare quel dettaglio. Portami quanto prima la tua fidanzata... - ha girato la testa ed all'improvviso, sorpresa, esclama -: Ah.... Yanina...! Avvicinati. È Yanina, Renato, nipote di Battista e la mia figlioccia. Ma devo aggiungere qualcosa: la mia infermiera, la mia compagna in questa solitudine, mia figlia quasi...

Renato D'Autremont ha girato la testa, anche sorpreso, per guardare la ragazza che sta in piedi dietro lui. È arrivata silenziosamente, senza un gesto, senza una parola.... Ha un viso bruno al quale fanno da cornice capelli neri cadenti, due grandi occhi oscuri, intensi, enigmatici che accusano chiari tratti mongolici.... Le guance bionde e pallide, dove aprono le labbra rosse e fresche, benché piegature in un gesto strano di amarezza, di delusione, mentre vibra, contenuta e tesa, la sua rara personalità.

- La nipote di Battista.... me la ricordo?

- Non c’era ancora quando eri qui. Venne in questa casa quando tu eri andato già via; ma è da dieci anni vicino a me.

Sofí a si è alzata, appoggiandosi sulla ragazza, che può avere circa venti anni, e sorride seguendo lo sguardo dei suoi grandi occhi, fissi, come abbagliati, nel viso di Renato.

- Credo che non sei riuscita a vedere da vicino mio figlio, Yanina...

- No, no, sig. ra Quando egli arrivò, io non ero in Campo Reale, lei lo sa. E dopo non ho avuto occasione...

- No, effettivamente. Che cosa te ne pare?

- Il signore è magnifico. Tutto un gran signore, come è naturale...

- Per Dio, madre! - salta Renato -. Che maniera di forzare un elogio!

- Non è forzato - nega gioviale Sofí a -. Yanina non parla mai se non lo sente, vero? Da bambina le ho insegnato ad essere completamente sincera con me, assolutamente franca.

- Una meravigliosa qualità - accetta Renato sorridendo e guardando un po' la ragazza sconcertato. Senza sapere perché, quella creatura non gli è simpatica.... Per caso l'associa troppo con suo zio.

- Che cosa volevi, Yanina? Perché sei entrata? - domanda Sofí a.

- Mio zio sperava che il signore lo chiamasse dopo avere parlato con la signora. Fece dire che stava, fuori, aspettando...

- Bene gli dica... - incomincia a dire Renato: ma sua madre l'interrompe:

- Perdonami che sia io a prendere la parola, Renato. - E dirigendosi alla ragazza -: Digli che, per il momento, non abbiamo bisogno di lui. Più avanti parleremo di tutto.... Ora abbiamo un'altra cosa più gradita di che cosa occuparci. Presto avremo ospiti, vero, Renato? La signora Molnar e le sue figlie.... Dico le sue figlie perché ho capito che ancora la maggiore non si è sposata...

- Né credo che si sposi, madre. Improvvisamente si svegliò in lei la vocazione religiosa. Si impegnò a prendere gli abiti e stette un anno di postulante in un convento di Bordeaux. Quindi fu mandata qui, a Saint-Pierre. Sta nel noviziato delle madri del Verbo Incarnato e, naturalmente, non esce, né si suppone che accompagni Aimé e e sua madre. Fu, in realtà, qualcosa di strano... - Renato rimane all'improvviso pensoso, come ricordando tempi scorsi.

- Strano? - si interessa Sofí a.

- Sì, perché nessuno sospettava in lei niente di simile. È anche una creatura affascinante, piena di vita, di spiritualità. Ti faccio notare che io mi trovavo meravigliosamente con lei.... Quasi potrei dirti che ero più amico di Monica che di Aimé e. Ella si occupava sempre di me, risolveva le mie piccole difficoltà da studente ed era al mio fianco come una sorella buona.

- Ed è contenta con tutto questo la signora Molnar?

- È una donna abbastanza religiosa per non opporsi ad una vocazione sincera.

- Bene, figlio, ella saprà.... Vuoi venire ora con me a fare un giro per le stanze che normalmente usiamo per gli ospiti? Devo fare sistemare di nuovo le due migliori, il più rapidamente possibile, perché voglio conoscere quanto prima la tua Aimé e. Devo amare molto la donna che sarà tua moglie per perdonarle che mi abbia rubato la metà del tuo cuore.... Perché penso, mi fa almeno il piacere, che è solamente la metà quello che mi ha rubato.

- Madre cara... non ti ha rubato niente! Il mio cuore intero ti appartiene, così come le appartiene. Loro che possono volere, il cuore si allarga e lascia posto per molti affetti.

Si sono allontanati insieme, teneramente appoggiata Sofí a, al braccio di Renato, mentre immobile, tesa, i grandi occhi fissi su di loro, Yanina li contempla allontanarsi...

- Mi piacerebbe che ordinassi di cambiare quelle tende, madre, con qualcosa di più allegro, più chiaro, più tropicale.... Lì, e che facessi aprire quelle due finestre che non so perché sono inchiodate...

- Li feci inchiodare, figlio, perché a volte il vento le apre ed entra molto sole.

- Tutta la luce del sole è poca per illuminare la mia fidanzata, madre - afferma Renato in un'esaltazione di entusiasmo e di passione -. Ella adora la luce, il colore, il cielo azzurro ed il clima di questa terra di eterna primavera.

- Dici meglio, di eterna estate.

- Per il caldo, sì, naturalmente.... Ma non quella secca estate dell'Europa nella quale la terra sembra che muore di sete, bensì questa estate feconda, di acquazzoni torrenziali, nella quale le piante crescono come per magia, nella quale i fiori non vivono più che un giorno, ma si aprono ogni mattina a milioni. Tu non sai che Aimé e ed io parlavamo di questa terra, là in Francia, e con che ansie anelavamo ritornare...

- Ormai sei già qui... nel tuo Campo Reale...

- E qui è dove voglio vederla. Questa è la cornice che corrisponde alla sua bellezza... la sua bellezza calda, esuberante, un po' tempestosa a volte, madre. Bene, non voglio adornarla troppo.... la mia Aimé e ha il suo genio ed i suoi scatti.... Perfino in quello somiglia a questa terra che, a parte piacermi tanto, a volte mi dà una sensazione di terrore.... È come una paura sorda che, improvvisamente, sopravvenga una catastrofe. Ha avuto tante...

- Sono già passati quei tempi, ed oso pensare che sia definitivamente.

- Otto volte è stato distrutto Saint-Pierre per i terremoti, no? più o meno distrutta, vero, madre?

- Per fortuna, non ne vidi nessuna. Ho capito che da quando si ha memoria dell'isola, oltre a molti piccoli ci sono stati otto grandi terremoti. Ma il diabolico vulcano che li ha generati ha già sessanta anni di assoluta calma. Non è facile che torni a ripetere le vecchie imprese, ed oso anche pensare che gli scatti della tua cara fidanzata passeranno nella pace della casa che le accosti, nella fortuna di averti per marito. Tu la vuoi, e quello basta affinché io l'accetti come figlia.... Ma vali tanto tu, il mio Renato, che, per il mio cuore di madre, non c'è nel mondo donna capace di meritarti.

- Non mi inorgoglire così, madre - ride Renato -. Mi trasformi in qualcosa di insopportabile.

- Il sangue, goccia a goccia, darei per vederti felice... pienamente felice.... Amato, rispettato, riverito per i tuoi...

- Con quello che possiedo sono già pienamente felice.... ho Solo un anelito: che gli altri lo siano anche un po'.... Ripartire qualcosa di questa fortuna, per sentirmi con più destro a goderla.... Fare un po' di opera di giustizia, di bontà.... E perdoni che tocchi un tema che prima, a te, non ti era gradevole...

- Come? - si allarma, senza sapere perché, Sofí a.

- Che ti domandi per qualcuno che non amasti mai molto. Suppongo che il tuo amore di madre aveva la sua influenza nociva in me, quando io ero un ragazzo...

Sofí a D'Autremont ha stretto le labbra, ed è impallidita, mentre senza guardarla, racconta del suo turbamento, segue Renato parlando con l'anima nelle labbra:

- Madre, ti ricordi di quello ragazzo che papà portò a casa il giorno prima della disgrazia che gli costò la vita? Ricordi il suo interesse per lui, la sua ultima raccomandazione che io lo proteggessi?

- Chi potrebbe dimenticare quello, Renato? - osserva Sofí a, secca e tesa.

- Hai saputo qualcosa di lui? Che cosa fu della sua vita? Inutilmente ti domandai in alcune delle mie lettere e temo che nessuno possa darmi spiegazioni che nessuno sia ritornato a sapere di lui dopo che è fuggito...

- Tutti a Saint-Pierre sanno di quell'uomo - spiega Sofí a con marcata durezza nella voce e nel gesto -. È un avventuriero ripugnante, un giocatore d’azzardo, una specie di pirata. Dovrebbe essere in prigione, ma cammina sciolto vantandosi delle sue imprese. È molto conosciuto nelle taverne, nei bordelli, nelle case di gioco del porto, ed ancora continuano a chiamarlo... Juan del Diablo!

Come se sputasse le parole, come se tremante di rancore e mordesse, Sofí a D'Autremont parla, mentre Renato l'ascolta corrugato, quasi costernato. Ed è di pena, non di dannazione né rimproveri, la frase che sale alle sue labbra:

- Povero Juan! Che vita tanto dura hai dovuto avere! Quanto avrà sofferto e lottato per arrivare a questo!

- Se gli fosse caro essere un uomo buono ci sarebbe riuscito, comprenderebbe le tue parole: avrebbe il merito del suo sforzo. Ma che cosa ha fatto? Nascere nel vizio, seguire nel vizio ed affondare sempre di più in lui.

- È certo.... Ma quando da bambino si vive con l'anima avvelenata...

- Perché doveva essere avvelenato? Perché non dici con più giustizia che portava il vizio e la malvagità nel sangue?

- Non credo che mio padre avesse tanto impegno a proteggerlo se fosse stato così.

- Non lo credi? Ahi, Renato! Sei già un uomo e posso parlarti chiaramente.... Tuo padre era molto lontano da essere un santo.

- So perfettamente come era mio padre - salta Renato, impetuoso, come se lo avesse punto una vipera.

- Io non voglio diminuire il tuo rispetto né il tuo affetto di figlio - dolcifica Sofí a -. Ma le cose non sono come ti immagini. Se tu potessi ricordare...

- Ricordo perfettamente, madre, e c'è qualcosa che ho inchiodato nel cuore come una spina. L'ultima volta che parlai con mio padre, fu con insolenza, con disubbidienza...

- Mi difendesti dalla sua brutalità, figlio - pretende di scusarlo Sofí a -. Non avevi più che dodici anni. Nient'altro di così doloroso ed umiliante c’è stato per me che l'atteggiamento di Francisco quella notte; ma nient'altro di più bello che il ricordo del tuo atteggiamento, Renato. Se ti pente della cosa fatta, se ti pesa come un rimorso...

- No, madre - l'interrompe Renato con decisione e fermezza -. Feci quello che andava fatto, quello che io vorrei che un mio figlio facesse, nonostante contro me stesso, se, in un momento di collera e pazzia, arrivassi a dimenticare il rispetto che devo a sua madre.... Ed egli lo comprese così, ed il suo gesto, il suo atteggiamento di quella notte, tutto me lo dimostrò.... Sentì la vergogna di quel momento di violenza, fuggì nascondendosi ai miei occhi, prese come un matto quel cavallo, e nella sua disperazione, nella sua angoscia, sopravvenne il tragico incidente che gli costò la vita. E quando tornai a vederlo, quando mi parlò per l’ultima volta, la sua mano si stese per accarezzarmi e ci fu un elogio nelle sue parole quando mi disse: " So che saprai difendere tua madre e proteggerla". non ricordi?



  

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