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CUORE SELVAGGIO 8 страница



Monica è rimasta immobile, col nero manto tra le mani, guardando inquieta e diffidente verso il posto dove sua sorella attraversò la porta. Dopo le ore di discorso e di lacrime si sente più tranquilla, ma le sue dita palpano il rugoso manto. È freddo ed umido, ha l'aspro aroma della spiaggia, odora di salnitro, di iodio, al profumo selvaggio delle alghe, e, senza sapere perché, pensa al viso virile che vide affacciarsi dietro i ferri della finestra, a quella fronte arrogante, a quegli occhi audaci, a quella bocca sensuale, e mormora:

- Quell'uomo.... Quell'uomo orribile... per quale motivo venne quell'uomo in questa casa? Per quale motivo cercava mia sorella? Per quale motivo Dio Sacro?

 

LE RAFFICHE VIOLENTE che spinge il vento dal mare, fanno girare la lampada di petrolio che sparge, come in un battito di ala, la sua luce giallognola e tremante sulle teste dei giocatori riuniti in una taverna del porto di Saint-Pierre.

- Da' le carte! Vado con tutto quello che ho per vedere la dama di cuori. Perché le hai appena gettate? - sollecita Juan al rude omone che si sente seduto di fronte a lui.

- Aspetta.... Aspetta, perché il mio resto non è uguale al tuo. Devi completare - osserva il giocatore contrario.

- Prendi quello che ho. Non ho più.

- La prima volta che ti sento dire questo, Juan del Diablo. Non hai più da dove tirarlo fuori?

- Voto Satana! Ti scommetto il Lucifero contro la tua barca! I vivi visi dei frequentatori si sono inclinati di più verso il tavolo sozzo, male unite le tavole, ed i forti pugni si chiudono in gesto violento. Stanno nell'ultimo tavolo della peggiore taverna del porto, nido di bari e di donnette, di contrabbandieri e di ubriachi... attorno al tavolo, dove due bersagli se la giocano tutta, ci sono visi di colore di bitume e di colore di ambra, teste ricce di africani e ciuffi cadenti che cadono sulle fronti abbronzate dagli indù.... Neri, cinesi, indi, mulatti.... È il fermento di Saint-Pierre, la schiuma amara e velenosa che continua a rimanere come residuo di tutti i residui, di tutti i vizi, di tutte le miserie, di tutte le degenerazioni umane.

- Accetti o non accetti? - insiste Juan.

- Il mio resto vale più che il tuo - risponde con ostinazione il suo rivale.

- Per quel motivo ti rinnovo la scommessa. Il mio Lucifero vale più che la tua barca sgangherata. Ma non mi importa, l'accetto. Fa' le carte! O hai paura dopo che mi hai sfidato?

- Le barche non possono giocarsi così.... bisogna portare carte...

- All'inferno le carte! Ci sono dieci testimoni.... il Mio cutter Lucifero contro la tua barca!

Il circolo si è stretto di più. Già i guardoni stanno quasi sopra a quei due uomini disposti a giocarsela tutto all’ultima carta che esce. Nessuno ha notato una fine figura di un cavaliere che, dopo avere osservato da lontano la scena, si avvicina molto lentamente. È giovane, nonostante sta sotto i trenta anni, e lo sembra molto di più per il suo viso sbarbato, che per i suoi capelli biondi e cadenti, per i suoi occhi chiari, vivi ed intelligenti come quelli di un ragazzo precoce. Un vecchio marino che l'accompagna ha segnalato a Juan, e si avvicina a lui per rimanere a guardarlo con espressione indefinibile...

- Va la scommessa! - si decide finalmente il rivale di Juan.

- Allora, pesca l'ultima carta. Presto!

Il concorrente di Juan del Diablo è diventato molto pallido. Le sue mani abili, di lunghe dita, le sue mani di baro, di astuto giocatore d’azzardo, mescolano le carte molto in fretta il largo maglio di carte, passandole di una mano all'altra con destrezza ineguagliabile. Si direbbe che le accarezza che le strega che le domina, e finalmente, rapidamente, continua a gettarle une ad una, formando due mucchi, mentre canticchia:

- Due di fiori.... Sei di cuori.... Quattro di quadri.... Cinque di picche.... Una dama... ma di fiori.... Re di picche! Ho vinto!

- Falso! hai barato! - grida Juan. Rapido come un raggio, il coltello di Juan è caduto, inchiodando sul tavolo la mano del baro che sbuffa cieco di dolore e di rabbia.... Uno dei suoi compagni si è lanciato su Juan, questo l'abbatte tutto d'un colpo brutale.... si forma una baraonda di colpi e di grida:

- Ha ragione! È un baro! - afferma uno.

- Falso.... Falso! Non ha barato! - ribatte un altro.

- La polizia! Presto! La polizia! Corri, Juan, viene la polizia!

- Sottomettetelo! Non lasciatelo scappare! Che non esca! La confusione è indescrivibile, ma Juan non ha perso un istante. A pugni mette nelle sue tasche il denaro che gli appartiene, abbatte tutto d'un colpo il tavolo, salta sul corpo caduto del suo rivale, e guadagna la finestra del fondo che dà sul mare.

- Fermo! Se cedi più di un passo, ti inchiodo! Fermo, piedipiatti! - minaccia Juan ad un uomo che lo ha seguito, intromettendosi nella sua fuga.

- Metti in tasca quel coltello o sparo! - ordina Renato; perché non è un altro l'uomo che Juan ha di fronte a lui.

- Mira bene, perché se sbagli... ci sarà un gendarme in meno! Tira! perché non tiri?

- Perché non vengo a fermarti, Juan. Vengo come amico.

La sorpresa ha fatto vacillare a Juan, ma l'acuta punta del suo coltello, macchiato di sangue, si avvicina più al petto di Renato che affonda nella sua tasca la rivoltella con cui lo minacciava, in gesto decisivo e guarda negli occhi con sguardo intenso, interrogandogli l'anima.

- Non sono tuo nemico, Juan, non sto tentando di fermarti.

- Non ti avvicinare, perché...

- Non ho oramai l'arma in mano. Tu conserva la tua e parliamo.

Stanno sull'orlo del faraglione di rocce. Lontano, tra le casupole del porto, si confondono le luci e le grida della taverna che ambedue hanno appena abbandonato. Tagliata a becco, la costa scoscesa chiude il passo a Juan, ma la luna lava totalmente coi suoi ultimi raggi la nobile figura di Renato, e, dopo un istante di vacillazione, il padrone del Lucifero abbatte l'arma, nel momento che indaga:

- Parlare? non sei polizia né amico di quel... baro?

- No, Juan del Diablo.

- Per quel motivo corresti dietro a me? Chi demone sei?

- Hai una cattiva memoria, Juan. Non credo di essere cambiato tanto. Calmati e guardami bene. Non fare attenzione, perché non ti perseguono. Non era certo che la polizia arrivasse. Normalmente non è tanto opportuna. Qualcuno volle finire la rissa, e...

- Non arrivò la giustizia? Quel cane me la paga!

- Te li ha pagate già. Perse la scommessa ed il denaro, l'hai lasciato inutile di una mano, chi sa per quanto tempo, ed ancora non ti sembra abbastanza?

- Vedo già che non sei polizia, bensì frate. Ma tieniti il tuo sermone.

- Non ti interessa ricordare chi sono, Juan?

- Per le piante, uno che vuole precipitarmi, ma...

- Sono Renato.... Renato D'Autremont - gli dice questo, mantenendo la sua serenità -. Neanche il mio nome ti dice niente? Non ricordi? Una notte, un ruscello, un ragazzo di cui portasti via i risparmi ed il fazzoletto, e che lasciasti sognando di fare il suo primo viaggio per mare.... Sì... si ricordi.... Continui a ricordare...

Sì. Juan ricorda. Per un istante l'ha guardato altrimenti, come se non lo guardasse lui bensì quel ragazzo disgraziato e scuro che quindici anni prima scappò da Campo Reale. Ha ceduto un passo verso Renato, ma improvvisamente sembra reagire, un'altra volta cambiano i suoi gesti, un'altra volta torna ad essere il rude capitano di un vascello pirata.

- Non ho tempo per quelle ragazzate. Salpo all'alba e non mi intratterrai affinché mi prendano. Un altro giorno che avrò con più fortuna, ti restituirò il tuo pugno di soldi...

Juan è fuggito da Renato, schivandolo, saltando verso il lato in cui i faraglioni finiscono in una stretta spiaggia, e sparisce dietro quel salto incredibile...

E come quella volta da bambino, di fronte al ruscello bollente, Renato D'Autremont lo vede affondare nelle ombre, come se l'oscurità se lo divorasse...

 

- Il mio caro Renato... lei un'altra volta? Io la facevo già verso Campo Reale - si allontana Nicola.

- Effettivamente, avrei dovuto intraprendere ieri sera la strada, ma non lo feci ed usai alcune ore per disubbidire al suo consiglio.

- Cercò Juan, eh? Ero sicuro che lo avrebbe fatto. È molto raro che un D'Autremont soddisfi i consigli di nessuno.

- E lo trovai. Potei comprovare, da me, che le sue relazioni erano esatte. Lo trovai in un'immonda taverna del porto, presenziai ad una delle sue risse, lo vidi difendere forte i suoi diritti con la legge del più forte e farsi largo tra nemici.... Deplorevole, è certo; ma gli confesso che non potei evitare di ammirarlo.

- Lei a lui?

- Paradossale, vero? È curioso, ma c'è in lui qualcosa di misterioso, una forza strana che suscita una irresistibile simpatia...

- Sì.... La vita ha cose strane e casualità curiose - afferma Nicola, pensoso -. Credo che ci sia una forza misteriosa, ignorata che ci governa senza che ci rendiamo conto.... Provvidenza, casualità, fatalità.... Parlò con Juan?

- Tentai di parlare e non volle ascoltarmi. Credo che conservi per me lo stesso sentimento di assoluto sdegno di quando aveva dodici anni.

- È probabile, benché sotto a quello sdegno apparente ci sia, senza dubbio, qualcosa di più, molto di più. Ma ritorniamo alla casualità. In questo momento ho appena saputo che il nostro turbolento Juan è stato messo a disposizione delle autorità.... Fermarono la sua barca sul punto di salpare. L'uomo che ferì in una rissa di taverna ha perso molto sangue ed è grave. Ci sono molti testimone che Juan perse una scommessa e non volle pagarla. Il debitore ferito l'accusa di tentato omicidio.

- Ma non furono così le cose! - assicura Renato con veemenza.

- Quando questi tipi scorrevoli che sempre escono ben affrancati, cadono sotto il peso dalla legge, i giudici normalmente riscuotono tutti i vecchi conti in una sola volta.

- Lo considero ingiusto! - protesta Renato, e subito, con gesto deciso, esclama -: Nicola, lei è amico di tutti: giudici, autorità, magistrati.... mi offrì il suo aiuto e l'uso immediatamente. Voglio, devo aiutare Juan!

 Nicola ha guardato in primo luogo Renato con una certa sorpresa, e dopo con malcelato gusto che distrugge il gesto falsamente severo con cui avrebbe voluto rispondergli. Sembra come se improvvisamente stesse per stringergli le mani, per ringraziarlo. Subito raccoglie candele, con la prudenza di quelli che hanno vissuto troppo, per uscire dal passo con un'esclamazione triviale:

- Impulsivo, eh? lei non smentisce la casta. Ma il mio consiglio fu esattamente il contrario...

- Mi perdoni che un'altra volta disattenda i suoi consigli. Conto su di lei?

- Naturalmente, ragazzo. Fino a dove arrivano mie povere forze. Ma le faccio notare che non è facile né a buon mercato.

- Non mi importa il denaro che costa, Nicola.

- Dunque, in marcia... - termina il notaio, gratamente impressionato.

 

- Aimé e.... ti ho spaventato?

- Naturalmente... Sorella senza fare rumore...

Con sordo rancore, Aimé e ha guardato ai piedi di sua sorella, calzature di soavi e silenziose pantofole di feltro, e guarda dopo con espressione interrogatore il viso bello e pallido che incorniciano i veli bianchi. Stanno fuori ai limiti del giardino della casa, sull'orlo dei faraglioni di rocce, da dove per un ripido e stretto sentiero si scende fino alla spiaggia vicina. Il sole della mattina di maggio cade come un bagno di oro e fuoco sul paesaggio realmente superbo che si scorge dalla piccola eminenza. Ad un lato della città, il campo; e chiudendo il paesaggio, i tre monti giganteschi. All'altro, la piccola baia rotonda, le rocce ripide contro le quali si schianta eternamente il mare, ed allontanandosi dalla città, la costa feroce seminata di salienti, crepe ed avvallamenti, insenature minute e promontori che si addentrano o che sorgono improvvisamente, come un mazzo di coltelli neri, tra le acque azzurre e schiumose. Come ogni volta che si trovano a sole, lo sguardo profondo, interrogatore e penetrante di Monica sembra disturbare Aimé e, e la sua soave parola la mette di cattivo umore.

- Mi ha sorpreso vedere che ti alzi tanto presto.... Alzarsi presto non entrava nelle tue abitudini, Aimé e.

- Le abitudini cambiano frequentemente. Ora mi alzo presto e mi piace essere sola.

- Ti lascio, non ti preoccupare. Venni perché madre mi chiese che ti chiamassi. Desidera incominciare a disporre il bagaglio e.... Ma, che cosa succede?

- Assolutamente niente - si spazientisce Aimé e -. Guardo il mare. Mi critichi anche perché guardo il mare?

- No. Il mare è molto bello. Ma continui a sorprendermi. Non pensai mai che ti interessassero i paesaggi. Che cosa cerchi nel mare? Improvvisamente sei diventata molto pallida.

- Se ti interessa tanto saperlo, ti dirò che è la vela di una barca.

- Quale? Quella di quello delinquente? Non è spiegata...

- Lo vedo, non sono cieca. Il Lucifero non è salpato né ha l’impressione di salpare.

- Il Lucifero? - si allontana Monica -. Si chiama così quella barca?

- Sì, sorella, si chiama Lucifero, e puoi segnarti se credi che per nominarlo ti porta il Diablo - risponde Aimé e, insipida e con un certo tintinnio.

- Il Lucifero - ripeté Monica, pensosa -. È un bel nome, in fin dei conti. Inoltre, conserva un gran insegnamento. Lucifero era il più bello degli angeli e perse il cielo a causa di un gesto di superbia. Il suo caso è più frequente di quello che sembra. Che facile è compromettere, per una leggerezza, per un capriccio, tutto un paradiso di felicità! Hai pensato a questo, Aimé e?

- Sai che è molto presto per ascoltare parabole?

- Non è una parabola, bensì un consiglio.

- È anche molto presto per ascoltare consigli o morali.

- Lo vedo. Ora non avevo la minore intenzione di farti la morale. Ma, che cosa pensi? Che cosa ti prende Tu non sei la stessa che mi giurasti con gli occhi pieni di lacrime che Renato D'Autremont era la tua vita intera che eri capace di ammazzare e di morire per tenertelo.... sei cambiata.... sei cambiata molto. In questo momento, benché me lo neghi, sei fuori di te.

- In questo momento, sto odiandoti! - salta Aimé e, esasperata -. Perché devi perseguitarmi e frustrarmi nel modo in cui lo fai? Sei come la mia ombra. Un'ombra nefasta che non sa pronosticarmi più che guai!

In questo momento, una barca carica di soldati si è avvicinata al fianco del Lucifero, ed Aimé e cede un passo fino al bordo della scogliera, tremante di un'emozione, di un'angoscia che non gli è più possibile contenere. Ma la mano della novizia si afferra al suo braccio con forza insospettata, obbligandola a prestargli attenzione, quando torna ad interrogarla:

- Che cosa succede? Che cosa succede in quella barca?

- È quello che io vorrei sapere.

- Vorresti sapere...? perché? Perché ti importa tanto?

- Se sapessi come ti odio in questo momento...! Lasciami in pace!

Si è sciolta bruscamente da quella mano che la ferma, allontanandosi rapida. Un istante vacilla, misura la distanza che la separa dalla spiaggia, cede alcuni passi come se scende per il sentiero stretto, coltivato a becco tra le rocce, ma si trattiene, vira in rotondo e comincia a correre verso la casa vicina...

Monica l'ha vista allontanarsi, e gira dopo la testa per guardare il mare.... Il Lucifero... nonostante la distanza, vede formicolare i soldati che arrivano già a coperta, divertendosi come per liberare un combattimento. Ma niente indica resistenza; nessuna forma umana, a parte quelli che vestono uniformi azzurre, si agitano sulle lisce tavole. Raccolte le vele, gettata l'ancora, con la sua alberatura dipinta di rosso ed il suo casco di nero brillante, il Lucifero può associarsi solo, nell'immaginazione di Monica, con quell'uomo di largo petto nudo, sguardo insolente e sorriso audace.

- Il Lucifero...

Ha ripetuto il nome per ricordarlo, per registrarlo nella sua memoria, come fosse inciso per sempre quel viso visto solo alcuni istanti dietro le grate di una finestra. Dopo, molto lentamente, anche lei si dirige verso la casa dei Molnar.

 

- Aspetta qui un momento, Renato. Lascia che io sia il primo a parlargli. Aspetta un momento...

Renato D'Autremont si è trattenuto, obbedendo al vecchio notaio, sotto il massiccio arco di pietra che dà accesso al corridoio delle celle. È un posto nero, sporco, ombroso, appena ventilato per le strette finestre aperte a modo di feritoie nei larghi muri che guardano al mare. Tetro castello di altri secoli che è quartiere, forza e prigione.... Dall'ombra che lo nasconde, Renato guarda Juan, duramente, eretto, arrogante, senza fretta per attraversare la porta che è sgomberata, con un lieve sorriso sdegnoso sulle labbra quando Nicola si avvicina abbastanza per essere riconoscente, mentre si allontana il carceriere.

- Puoi uscire, Juan - invita Nicola -. Hai navigato con più fortuna che Sebastiá n Elcano che fece il giro del mondo in rotondo, in una barca a vela, e visse per raccontarlo.... non capisci? Sei libero...

- Perché? Per chi? - indaga Juan con visibili dimostrazioni di stranezza.

- Per qualcuno che non ha riflettuto sui disturbi né alla spesa pur di tirarti fuori dai guai. No, io no. Né ho denaro né credo che meriti di riuscire tanto bene affrancato da un'avventura simile. Per me, avresti potuto imputridire in questo angolo e essere rimasto senza barca. E molto vicino sei stato che a tutto questo. Puoi ringraziare per la tua buona stella...

- Alla mia buona stella non ringrazio di niente, ma a lei si. Nicola. Lei è l'unico uomo sulla terra che io devo ringraziare per qualcosa.... E l'unico che mi disse una buona parola quando io ero un ragazzo.

- Io? Io? - sfugge Nicola con falso malumore -. Ti sbagli...

- Non mi piace ritornare al passato, ma ritorno, per un istante, per ricordare l'ultima carrozza di una carovana dove, come una bestia cacciata in una rete, portavano un ragazzo selvaggio... un ragazzo tanto duramente trattato dagli uomini e dalla vita che quasi non era un essere umano. Era quasi insensibile, i colpi rimbalzavano sul suo corpo come gli insulti nella sua anima.... non aveva più legge che il suo istinto. Sapeva che mangiare era necessario e, per mangiare, lavorava o rubava.... Ma in quel viaggio, in quel lontano e straordinario viaggio, il ragazzo aveva paura. Una paura che era angoscia e spavento per avere sentito molto vicino per la prima volta la morte, una paura al mondo strana alla quale era abituato poco meno che alla forza...

- Bene... bene... lasciamo stare questo, Juan - pretende di intercettare il notaio, commosso molto a parere suo.

- In un villaggio si trattenne la carrozza- persiste Juan, facendosi negligente alla supplica del vecchio Nicola -. Il conducente ed i domestici andarono fino ad un posto vicino per soddisfare la sua sete e la sua fame. Da lontano, qualcuno chiamò il notaio. Nessuno pensò alla figura umana, troppo orgogliosa per chiedere, ma il notaio scese dalla carrozza, comprò un gran cartoccio di arance e lo mise nelle piccole mani sozze, con un sorriso. Era la prima volta che qualcuno sorrideva a quel ragazzo, come si sorride ad un bambino. Era la prima volta che qualcuno metteva un regalo nelle sue mani. Era la prima volta che qualcuno comprava per lui un cartoccio di arance...

Profondamente commosso, lottando in vano per non lasciare vedere la sua emozione, ascolta Nicola le parole di Juan, tanto incredibilmente sincere e tenere, tanto tristemente delatrici del dolore e dell'abbandono della sua infanzia.... Varie volte il notaio ha cercato di farlo tacere, col rossore dell'uomo onesto che riceve un pagamento enorme per un favore insignificante; ma Juan continua a parlare, la larga mano appoggiata sulla debole schiena del vecchierello, i duri occhi audaci stranamente addolciti, e dalla penombra in cui l'ascolta, sotto l'arco in tenebre, Renato D'Autremont raccoglie ognuna di quelle parole, come se i peccati di quel mondo dove egli ha ottenuto tutti i privilegi, pesassero improvvisamente sulla sua anima. E con asprezza, ma in tono affettuoso, esclama, affrettandosi:

- Juan... Juan...

Il viso di Juan si è trasformato, dispersa la visione infantile, rotto l'incantesimo, ed un’altra è la sua voce ed il suo sguardo indagando:

- Che cosa è questo?

- Il signore D'Autremont... a lui devi che si sia aggiustato tutto - chiarisce il vecchio notaio -. È l'amico che si è disturbato ad aiutarti.

- Le sono molto grato - risponde Juan con freddezza -. Non era necessario che si prendesse quest'impegno. La mia prigione era ingiusta, ed io...

- La tua prigione non era ingiusta, e saresti marcito qui dentro – lo interrompe Nicola.

- Vuole dirmi che il signore D'Autremont ha subornato le autorità in mio onore? Ho capito che anche quello è un delitto. Se dobbiamo attenerci a quelle leggi che lei pretende che io rispetti, anche il signore D'Autremont dovrebbe stare in gabbia. Naturalmente, possono giustificarlo legalmente con mezza dozzina di parole rimbombanti. Il mio delitto era dolo, truffa, inadempimento alla parola, tentato omicidio. Quello di lui si può chiamare complicità per aiuto ad un criminale, insubordinazione a funzionari pubblici ed abuso di autorità morale. Se lei cerca un po' nel suo codice, notaio Nicola, escono vari anni di prigione...

Senza staccare le labbra, Renato l'osserva, per caso curioso di scendere, di arrivare fino in fondo a quell'anima, come Dante nel suo viaggio agli inferni, e scivola, senza offenderlo, tutto il sarcasmo amaro che trabocca dalle parole di Juan.

- Allora, lei entra ed io esco - proclama Juan in tono ironico.

- Basta con scherzi stupidi – lo ferma Nicola con severità -. Il signore D'Autremont pagò l’indennità che esigeva l'uomo che feristi, per ritirare la sua accusa, e liberò la tua barca dell'ordine di sequestro che gli pesava.

- Caspita! Ma tutto questo le è dovuto costare egli un capitale. Per lo meno, il sangue di dieci schiavi - persiste Juan nel suo tono ironico.

- Io non ho schiavi, Juan - chiarisce Renato, conciliatore -, e vorrei che parlassimo come amici, come fratelli, come mio padre mi chiese che...

- Che cosa?

Il gesto di Juan è stato tanto al violento, il suo sguardo ha brillato con un lampo tanto atroce di vecchio rancore che la parola rimane tronca nelle labbra di Renato. Per un istante sembrava che stesse per pronunciare ingiurie, ma dopo tacque, tacque, limitandosi a sorridere con sorriso di circostanza. E mordace, lascia scappare il rimprovero:

- Suo signore padre. Francisco D'Autremont e della Motta-Valois.... Sangue di re, eh?

- Non so che cosa tenti di dirmi con questo, Juan.

- Assolutamente niente - ride sgradevolmente Juan -. Ma se la mia barca è libera grazie alla sua generosità, devo uscire quanto prima. Ora devo lavorare più che mai. Sono debitore di una quantità importante. Un buon mucchio di once di oro dovette riscuotere quella canaglia imbroglione per la decorazione che gli misi sulla mano e per le gocce del suo porco sangue. Un buon pugno di once che, naturalmente, le restituirò non appena posso, signore D'Autremont. Nel più breve tempo, ed unito al nostro vecchio debito: il famoso fazzoletto di accampamenti che servì per la mia prima campagna...

- Buono, Juan, egli ti è... - interviene il vecchio Nicola.

- Lo lasci parlare. Nicola - l'interrompe Renato con serenità -. Che dica quello che voglia. Poi deve ascoltarmi.

- Lo so, ma non mi interessa quello che un signore come lei possa raccontarmi. Non ho tempo per ascoltare della Francia. Mi scusi molto... e buona sera.

Juan si è allontanato con passo rapido per il lungo corridoio nel cui fondo si apre una porta sotto la luce del giorno. Un momento si trattiene abbagliato quando il sole lo bagna; quindi si getta sulla fronte il berretto di marinaio ed attraversa arrogante davanti alle sentinelle che conservano l'entrata.

- Non è per chiedere che tornino a rinchiuderlo? - si solfora il buon Nicola -. Non merita quella prigione della quale lei si impegnò a liberarlo? Spero che comprenda ora la ragione dei miei consigli. E se giustamente lei è indignato o pentito di averlo aiutato...

- No, Nicola. Lo è lei di avere comprato quel cartoccio di arance?

- Come? Sentì lei...?

- Sì, Nicola. E penso la stessa cosa che sicuramente lei sta pensando, nonostante la sua indignazione esterna: che non può essere cattivo, essenzialmente brutto, l'uomo capace di ricordare, come egli ricorda, il primo sorriso ed il primo regalo che gli fu concesso.... Infine, tutto uscì come richiesto...

Hanno lasciato dietro l'ombroso corridoio della prigione e, come Juan, li abbaglia un istante il torrente di sole che bagna il largo patio: In lontananza, per la stradina inclinata, parecchi passi davanti, si allontana Juan dal Diablo.

- AIMÉ E si Sente male... gli duole la testa e ha dovuto appoggiarsi. Ti prega che la scusi.

La signora Molnar ha avvolto in un sguardo di profonda gratitudine a sua figlia maggiore dalle cui labbra è appena uscita la bugia che scusa sua sorella, mentre contenendo il suo gesto di dispiacere, Renato mette nelle mani della madre il mazzo di fiori e la gran scatola di cioccolatini che ha appena preso da quelle del domestico che l'accompagna, al quale diffonde a capofitto con un movimento.

- Signora Catalina, vuole dare lei questo nel mio nome ad Aimé e?

- Ovviamente, figlio, ovviamente. Ma che fiori carini! Sono una bellezza. Vuoi metterli in un vaso da fiori, Monica? Per questo tu sei più brava che nessuno.

- Li metterò in acqua e li porterò ad Aimé e che avrà voglia di collocarli lei stessa nei vasi da fiori della sua stanza.

Un momento hanno tremato le mani di Monica prendendo quello ramo, per caso meno bianco che i suoi veli di novizia che le sue pallide guance, e l'opprime fino a sentire le spine.

- Aspetta, Monica - prega Renato con una certa timidezza -. Se Aimé e stesse un po' meglio e mi lasciassi vederla per un minuto nient'altro.... Se non le disturbasse molto uscire un momento.... Dico, se non soffre molto...

- Glielo domando. Stava male, ma glielo domando - accetta Monica, allontanandosi.

Catalina e Renato rimangono soli e silenziosi per alcuni istanti nella vecchia sala della casa dei Molnar, tratti ognuno nei propri pensieri, fino a che la voce di Monica che ritorna, restituisce alla realtà:

- Aimé e ti prega che la scusi. Non si sente di alzarsi.

- Tanto male sta? Se me lo permettono, in un momento va il mio domestico e porta il dottore Duval.

- Per Dio, non è tanto. Vero, Monica? - spiega signora Catalina con vera angoscia.

- In effetti, Renato, non è tanto - assicura Monica -. Aimé e starà bene presto; se continuerà a stare male, io chiamerò il medico del convento. Ma non ti preoccupare, perché non ha niente.... Almeno, spero che non sia niente.

Si è rivolta verso sua madre con un sguardo che pretende di tranquillizzarla, approfittando di un momento che Renato, troppo impaziente, cede alcuni passi per la larga sala per tornare dopo ad insistere:

- Non sai come mi sento per non vederla, benché sia solo un momento, prima di andare via, Monica.

- L'assenza sarà breve se ritorni da noi sabato.

- Riconosco che è breve, ma a me sembra un’eternità, e come se tu non fosti mai innamorata.... Va bene, licenziami da tua sorella, vuoi?

- Perché non fai un giro e ritorni, figlio? - interviene Catalina -. Per caso in questo tempo...

- È quello che stavo pensando. Vado fino al centro per un ultimo incarico di madre e prima di uscire tornerò a passare da qui. La verità è che non sono tranquillo andando via mentre Aimé e sta male. Se non è migliorato, con il vostro permesso porterò al medico. Mi perdoni che mi prenda questa libertà, ma le voglio troppo bene. Ridi di me se vuoi, Monica. Sicuramente tu penserai che arrivo alla cosa puerile nella mia tenerezza...



  

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