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CUORE SELVAGGIO 2 страница



 Nicola si è avvicinato al ragazzo, allontanandolo un tanto dalla capanna, di rotta alla strada che comunica con la città quel paraggio desolato per un'altra via. Sono passate delle ore, e gli oscuri e routinari tramiti per dare sepoltura al corpo di Bertolozi toccano già alla sua fine. Rimane solo quell'ultimo punto delicato che Francisco D'Autremont incaricasse il suo diplomatico amico e notaio.

- Il signore D'Autremont ti porta con lui. Sai quello che significa? Ti porterà a casa sua, dove ti trattano bene, dove c'è ogni tipo di comodità. La tua vita cambia...

- No... non voglio! - protesta il ragazzo, scontroso.

- Come non vuoi? Non posso crederlo. Sicuramente non sei riuscito a capire le mie parole.... Il signore Bertolozi è morto. Non rimane niente da fare qua.

- Non voglio andare via!

 - Non essere ostinato.... Vai in una bella casa dove godrai di tutte le comodità, dove vivrai come un essere umano. Il signore D'Autremont vuole proteggerti, è molto buono...

- No! No! non è vero! Non voglio andare con lui!

- Dovrai farlo, con le buone o con le cattive. Non ti fanno nessun male.... Al contrario.... Ma sarà peggio per te che ti portino con la forza, messo in un sacco come una scimmia selvaggia.

- Se mi portano con la forza, fuggirò!

- E ti verranno ad acchiappare... - dice il notaio, affettuoso -. Ma, perché sei tanto ostinato, ragazzo? Guarda... vuoi che facciamo un accordo? Io vengo con voi; passerò due o tre giorni a Campo Real che è la tenuta del signore D'Autremont. Se non vuoi rimanere lì, quando ritorno a Saint-Pierre, ti porto con me.

- Perché non mi lascia già d'ora con lei? Io so fare molte cose: tagliare legna, curare cavalli.... Io...

- Perfetto. Ti occuperai di tutto questo quando ritorniamo a casa. Ma, per il momento, devi compiacere il signore D'Autremont. ti sbagli pensando che non è buono; è buono e generoso, possiede una casa di campo carina, sua moglie è una bella dama, distinta e gentile, e ha un figlio che più o meno avrà i tuoi stessi anni. Sicuramente vorrà che stia con lui, affinché l'accompagni nei suoi giochi e sii qualcosa come il suo piccolo lacchè. Sarebbe bello Juan.

- Io preferisco rimanere con lei... o che mi lascino solo.

- Solo non ti lasciamo. Io ti porto, e...

- E mi porti.... mi porti dopo... mi dia la sua parola.... Io non voglio rimanere là!

- Bene, ometto, bene. Ti porto. Sei un ingrato col signore D'Autremont. Almeno, devi tentare di dimostrargli la tua gratitudine per la sua buona volontà. Cammina, vedi la carrozza, egli viene e devo parlargli.

 

- Che cosa succede, amico Nicola? - domanda D'Autremont.

- Resiste abbastanza, ma sono riuscito ad addomesticarlo con la promessa di venire anch’io con voi e portarlo con me quando ritorno se non si trova a suo agio. Egli preferisce rimanere con me, e lei non lo prenda a sgarbo. È un ragazzo raro, ma temo che sia straordinariamente intelligente nonostante il suo aspetto rude e selvaggio.

- Temere? perché?

- Ha una maniera di parlare. In fin dei conti, è sempre preferibile trattare con intelligenti che con rozzi. Questo ragazzo ci ha provato ad essere un coraggioso. Il viaggio che fece ieri sera in quella scialuppa, e con quella burrasca, evidenzia una tempera che molti uomini non avrebbero avuto. Sembra, inoltre, altezzoso, riservato, con una certa dignità naturale. Niente di quello è comune in chi vive come un mendicante. Gli ho trovato una certa familiarità...

- Lasci in pace la sua familiarità! Lo raccolgo perché suppongo che era quello che voleva farmi chiedere Bertolozi, ma nient'altro. Non abbiamo motivo di dare dettagli di questo genere a mia moglie. L'immaginazione delle donne complica tutto. Spero che lei non si sorprenda troppo se mi sente raccontare qualche storia diversa relativamente al ragazzo.

- Temo che sarà lei a complicarla, perché se si pettina e si lava il viso, quel ragazzo non potrà passare per nessun meticcio. Si è accorto che costui è un bravo ragazzo? I suoi grandi occhi italiani ricordano straordinariamente quelli della sfortunata Gina Bertolozi. Non se n’è accorto?

Nicola l'ha osservato, vedendolo impallidire, stringere le labbra.... Dopo, Francisco D'Autremont restringe le spalle, forzando il gesto spensierato, commentando:

- Non ho avuto tempo di guardare bene il suo viso. In un modo o nell'altro, le cose andranno avanti. E, nel peggiore dei casi, sono ancora io quello che comanda nella mia casa.

 

- GUARDA. MAMMINA! papà sta tornando. Viene per di là...!

Brillanti di allegria gli occhi, le guance accese per l'emozione un attimo, abitualmente pallide che incorniciano i cadenti capelli biondi, un ragazzo di dodici anni è entrato nella camera da letto della signora D'Autremont che apre gli occhi, incorporandosi lentamente nell'ampia amaca in cui riposa.

- Già? È possibile? Ma se non l'aspettavo fino a sabato!

Sofí a D'Autremont ha una bellezza delicata e fragile... grandi occhi di colore turchese, capelli biondi, soavi e cadenti come quelli del ragazzo, e, come questo, pallide guance di colore ambra.

Un momento è sparito il suo gesto dolente davanti alla notizia che gli ha appena portato suo figlio. E già in piedi, fa alcuni passi appoggiandosi sulle magre spalle di questo.

- Sei sicuro che è il tuo papà che arriva?

- Certo, madre, Sebastiá n venne correndo ad avvisare. Dice che dall’alto della collina vide papà nel suo cavallo bianco, e dietro le tre carrozze della carovana. Forse vengono pieni di regali...

- Per te?

- Per te, mammina. Se è arrivata la barca dalla Francia, papà ti porterà di tutto: tessuti di seta, profumi, cioccolatini e tutte quelle cose che ti porta sempre. Io gli chiesi un orologio da tasca. Me lo porterà?

- Sicuramente, figlio. Ma chiama le mie donzelle.... Isabel, Ana... la prima che trovi. Devo pettinarmi e vestirmi...

- Sig. ra, Sig. ra...! Dicono che il signore sta arrivando - esclama Ana, la donzella, irrompendo nella camera da letto.

- Vedi? Vedi, mammina? , E’ già qui.

- Gesù! Aiutami a pettinarmi, Ana. Di cambiarmi vestiti non c'è tempo, ma...

- La signora sta, come sempre, carina e sistemata.

Non mente la donzella meticcia. Come sempre, la signora D'Autremont è impeccabile. Un fine abito bianco fiorito con ampi pizzi, di seta, scarpe di tacco Luigi XV ed un fine abbellimento coi quali molto bene potrebbe presentarsi in qualunque centro elegante della sua terra nativa. Tuttavia, risiede solo nella gran casa, centro delle piantagioni di Campo Real, casona enorme e solida, di ampissimi soggiorni sontuosi, grandi lampade e piani brillanti come specchi; tanto lussuosa, tanto signorile, con le sue lune di Venezia e le sue mensole dorate che risulta anacronistica nel cuore di quell' isola americana, torrida e selvaggia; ma è degna dimora della fragile dama che avanza passo a passo sul levigato parquet, una mano appoggiata nel braccio della sua donzella favorita, un'altra busta la dorata testa di quel figlio unico tanto straordinariamente simile a lei.

- E’ papa! - grida il ragazzo, allontanandosi allegro. È corso all'incontro del fantino che si trattiene di fronte all'entrata principale e smonta con un salto del brioso cavallo, gettando le redini nella calza, dozzine di domestici che sono accorsi per rendergli omaggio e salutarlo. E dalla penombra della larga galleria, Sofí a D'Autremont contempla, con occhi di gelosa innamorata, la figura virile, arrogante e gagliarda, davanti alla quale tutti si inclinano, perché il padrone di Campo Real è sovrano indiscutibile della terra che pesta.

- Mi ha portato l'orologio, papà?

- No; figlio. Non ho avuto tempo di cercarlo.

- E la scatola di colori? E gli archi per il mio mandolino?

- Hai ragione, ma in questo viaggio non c’è stato tempo per cercare niente.

- Francisco... - mormora Sofí a, avvicinandosi a suo marito.

- Sofí a... come stai? - indaga D'Autremont, affettuoso e tenero.

- Come sempre.... Ma lasciamo i miei acciacchi. Come è che sei ritornato tanto presto? Ancora non ti aspettavamo...

- Suppongo che non ti dispiaccia che abbia anticipato il mio ritorno - risponde D'Autremont in tono gioviale.

- Dispiacermi? Che cose dici! È una sorpresa gradita; ma una sorpresa, in fin dei conti. Che cosa è successo? Non è arrivata la nave che speravamo? Hanno sospeso le feste preparate in onore del Maresciallo Pontmercy? O per caso è con te?

- Oh, no, no!. Non ho neanche visto il Maresciallo Pontmercy.

- Che cosa è successo? Qualche disgrazia? Il tempo è stato terribile questi ultimi giorni...

- No, nessuna disgrazia. La nave è entrata senza problemi e le feste si staranno celebrando in questo momento.

- Ma...

- Non mi importava andarci, Sofí a. Questo è tutto.

 - Pensavo che ti facesse piacere discorrere con un compatriota illustre. Sicuramente porterà fatti interessanti da raccontare. Potremmo avere notizie...

 - Pettegolezzi di salone o intrighi politici? Per quale motivo può servirci qui, amore? Stiamo a sette mila miglia della Francia e perfino il sole c'illumina in ore diverse.

- Non possiamo dimenticare la nostra patria per questo motivo - gli rimprovera Sofí a.

- La mia patria è questa, amore. Perché qui c’è la mia casa, c’è mio figlio e ci sei tu. In quest’isola che è inospitale solo per la tua salute. Ma non hai curiosità di vedere quello che ti ho portato? - e si rivolge verso la massa di fiori che avvolge la scalinata, entrata principale di quella facenda, dove si sono trattenute le tre carrozze che formano la carovana che lo seguiva. Una completamente vuota, dall'altro stanno scendendo già i suoi servitori fidati, e della terza che è quasi la più vicina, esce Nicola trascinando il ragazzo scuro che è stato il suo compagno di viaggio. Le fini sopracciglia della signora D'Autremont si uniscono in un gesto di perplessità che è quasi, quasi di dispiacere, commentando:

- Nicola.... Ma chi è che porta?

- Qualcuno che può intrattenere i tuoi momenti di ozio e quelli di nostro figlio Renato - spiega D'Autremont.

- Un ragazzo! - salta, allegramente, Renato -. Mi hai portato un amico, papà!

- Giustamente. Hai detto la parola esatta. Ti ho portato un amico. Mi piace molto che l’abbia capito subito. Un amico, un compagno...

- Ma che cosa stai dicendo Francisco? - interrompe Sofí a, con dispiacere soffocato.

- Porti Juan, Nicola - indica a questo, D'Autremont.

- Signora D’Autremont - saluta Nicola, avvicinandosi -, è un grande onore per me il potere presentarle i miei rispetti. - Dopo, dirigendosi a Renato, esclama -: Ciao, ragazzo!

- Buon giorno, signor Nicola - corrisponde Renato.

- Questo è Juan... - spiega D'Autremont, presentandolo.

- Juan? Juan che cosa? - vuole sapere Sofí a.

- Per il momento, Juan e basta. È un orfano abbandonato, per cui spero non manchi un angolo in questa casa tanto grande.

- Juan... e basta, eh? - calca Sofí a, con tintinnio.

- Mi chiamano anche Juan del Diablo - chiarisce lo scuro ragazzo, imperturbabile.

- Gesù, Maria e Giuseppe - si scandalizza la donzella facendosi il segno della croce.

C'è un momento di stupore generale, ed anche qualche risata soffocata, quando Nicola, mondano, interviene:

- Lo scusi, sig. ra Ancora il diamante è grezzo.

- Lo vedo.... E senza separarlo dalla sterpaglia - dice Sofí a, in tono mordace -. I cavalieri sono una vera calamità. A nessuno di loro due è venuto in mente lavare questo ragazzo prima di metterlo nella carrozza.

- È una dimenticanza che si può rimediare - spiega D'Autremont, contenendo il suo manifesto dispiacere -. Fatti carico di lui, Ana. Portalo al bagno, sistemalo, pettinalo e mettigli vestiti puliti di Renato.

- Di Renato? - si allontana Sofí a.

- Non credo che possa usare i miei.

- Né quelli di mio figlio.

- Tutto può aggiustarsi - interviene Nicola, conciliatore -. Sicuramente non mancheranno vestiti di qualcuno che possa servirlo.

- La nera Paula è l'addetta dei vestiti dei braccianti - chiarisce dispregiativa la signora D'Autremont - Chiedigli una camicia ed alcuni pantaloni per questo ragazzo. Ana.

- Io ho un abito che mi va grande, madre - offre Renato -. Ancora non l'ho indossato, proprio per questo motivo: È quello di panno azzurro...

- Te lo mandarono in regalo i tuoi zii dalla Francia - si oppose Sofí a con crescente dispiacere.

- Glielo ha offerto di buona volontà - commenta D'Autremont in tono soave, ma con determinazione - Non tagliare il suo impulso generoso, Sofí a. Il nostro Renato ha vestiti per vestire dieci ragazzi. Vai con Juan e con Ana, figlio, e pensa che, per lui questo è un mondo nuovo per il quale tu lo guidi. – Si rivolse a sua moglie, la supplicò con gentilezza -: Tu vieni con me, amore. Anche io mi metto un po' più presentabile. - Ed alzando la voce, chiama il domestico -: Battista.... Porta il signore Nicola alla stanza che normalmente occupa ed incaricati che niente gli manchi.

- Per me non si disturbino - si scusa Nicola -. Mi considero della casa.

- E lo è. Tra mezz'ora, Sofí a ci farà servire un aperitivo che prenderemo insieme prima di sederci a tavola, vero? Oggi ti vedo molto bene, hai un ottimo aspetto, Sofí a.... Sicuramente potrai accompagnarci e sarà un gran piacere per noi. Il tavolo è diverso quando ci sei anche tu...

È uscito Nicola, seguito dal domestico, e rimangono soli i coniugi D'Autremont Sofí a non può occultare la gelosia che le corrode l'anima, domandando:

- Chi è quel ragazzo?

- Mia cara Sofí a, calmati...

- E tu rispondimi.... Chi è quel ragazzo? Da dove lo ha tirato fuori e per quale motivo lo hai portato qui? Perché non mi rispondi?

- Ti rispondo, ma per parti. Si chiama Juan ed è un orfano...

- Questo già lo hai detto - l'interrompe Sofí a, nervosa - ed è l’unica cosa che so. Si chiama Juan del Diablo... una risposta abbastanza insolente da parte sua, quando nessuno gli domandava niente.

- Non c'è insolenza nella sua risposta, Sofí a. Si tratta del soprannome che gli davano sicuramente i pescatori, nel posto in cui era ubicata la capanna dei suoi genitori.

- Che posto era quello?

- Bene... vicino a quello che chiamano il Capo del Diablo. - D'Autremont cerca di sminuire d’importanza -. C'è lì un villaggio di gente molto umile, molto povere che rammendano reti e compongono barche. Tra quella povera gente...

- Tra quella povera gente ci sono molti orfani, ci sono molti ragazzi mendicanti e miserabili nei sobborghi di Saint-Pierre. Non ti è mai capitato di portare a nessuno, e molto meno darlo a tuo figlio come amico... come gemello, io direi.

- Sofí a!

- È il modo in cui hai portato a quel mendicante! - esclama Sofí a, strappata già per l'ira -. E credo che abbia diritto a domandarti: perché lo hai portato? Che cosa hai a che vedere tu con lui? Perché non può vestirsi con vestiti dei braccianti, e pretendi che indossi gli abiti di Renato? Perché deve essere nostro figlio che deve dargli il benvenuto, ed è in questa casa che dobbiamo trovargli un angolo, essendoci centinaia di baracche di braccianti dove stanno sempre in molti?

- Ti ho sempre immaginata come una donna di nobili e generosi sentimenti cristiani, Sofí a.

- Non mi manca la carità per i disgraziati, e più di una volta ti sembrai eccessiva.

- Quando si tentava di demoralizzare quelli che sono i miei servitori, ai quali devo imporre forza e che mi devono conoscere come signore e padrone. Non può andare avanti una tenuta che è come una provincia, senza il rispetto assoluto ad un'autorità, senza disciplina e senza punizioni che obblighino a rispettarla. Per quel motivo discutemmo in più di un'occasione. In questo caso...

- In questo caso, tutto è differente. Lo so, lo vedo e lo palpo. Non è un'opera di carità quello che stai facendo. È un'opera di riparazione. Quel ragazzo ti importa per te stesso. Ti importa molto... troppo...

- Bene, Sofí a.... Sì.... ti dico la verità. Quel ragazzo è il figlio di un uomo col quale io mi comportai male. Un uomo che si rovinò per colpa mia. È morto lasciandolo nella più spaventosa miseria. Mi sento in dovere proteggerlo. - Dubita un momento -. Che cosa pensi? Perché mi guardi di quel modo? È che non mi credi?

- Mi sembra molto strano. Hai rovinato molti, e non hai mai portato le sue figlie a casa.... Sarebbe stato meglio pensare un’altra storia. Quel ragazzo è il figlio di una donna che tu hai amato!

Con quell'accusa retta e precisa, come una lancia sparata contro la fredda corazza di indifferenza con che Francisco D'Autremont cerca di mantenere invano, sono andate le parole di Sofí a facendo giustamente centro. Per un momento è sembrato sul punto di esplodere in uno dei suoi momenti di violenta collera. Dopo, lentamente, si è dominato, perché quella donnetta bionda e fragile, dolente come un fiore, è l'unica persona che sembra avere la facoltà di addomesticare in lui gli impeti feroci, di risolvere i suoi temporali in un sorriso o in un gesto ambiguo che scaglia dopo in forzato atteggiamento galante.

- Perché ti impegni a pensare sempre quello che ti possa mortificare?

- Penso male per indovinare... ed indovino, sfortunatamente.

- In questo caso, no.

- In questo caso più che in nessuno. Di quale amore è il frutto quella creatura? Perché non ha nome? Quell'uomo che rovinasti che hai voluto soddisfare raccogliendo il figlio, che cognome aveva? Come si chiamava?

- Bene, il caso è che il ragazzo è figlio naturale di quest’uomo di cui parlo che non arrivò a dargli il cognome.... si disinteressò, sono cose che passano. Promettendogli di farmi carico di lui, si tranquillizzò un po’ la coscienza. E non vorrai che manchi alla promessa che feci ad un uomo che morì benedicendomi, solo perché in quella testa gli è entrata un'idea tanto strampalata come quella che hai appena manifestato.

- Non mi rammollisci con storie sentimentali...

- Allora dovrò concretare le cose: ho promesso, ho giurato di aiutare il ragazzo. Non credo che possa disturbarti la cosa minima. Io stesso mi incaricherò di educarlo...

- Come ad un altro figlio...? - insinua amaramente Sofí a.

- Come un amico e leale servitore di Renato - breve, tagliente, D'Autremont -. gli insegnerò a volergli bene, a difenderlo, a prestargli il suo aiuto e la sua protezione quando arrivi il caso.

- La sua protezione?

- Perché no? Nostro figlio non è forte né audace.

- Me lo rinfacci come se io fossi la colpevole.

- No, Sofí a, non voglio portare avanti questa discussione, ma se dobbiamo considerare la verità, nostro figlio, per un eccesso di attenzioni e amore da tua parte, non è quello che dovrebbe essere per le lotte e le responsabilità che cadranno su di lui un giorno in futuro. Te lo dissi già prima: gli manca valore, forza, audacia. E’ tempo che cominci ad acquisirli quanto prima.

- Mio figlio andrà in Europa per l’istruzione. Non voglio che si faccia uomo in questo posto selvaggio.

- Ho per lui progetti contrari: voglio che diventi qui uomo che conosca a fondo il terreno in cui deve districarsi che sappia governare, in un domani, il piccolo regno che gli trasmetto. Se avessimo avuto una bambina, tu diresti l'ultima parola. È un ragazzo e necessito che diventi un uomo. Per ciò parlo e comando.

- E quel ragazzino che hai portato...?

- Quel ragazzino è quasi già un uomo, e servirà meravigliosamente per il mio progetto. Mi incaricherò di insegnargli che tutto lo deve a Renato e che è il suo dovere dare la vita per lui se è necessario. Quella sarà la mia vendetta!

- Vendetta di che cosa?

- Del destino, della fortuna, o come vogliamo chiamarlo. Ti prego di non parlare più della questione, Sofí a. Lasciami sistemare le cose.

- Giurami che quello che mi hai detto è vero!

- Posso giurartelo. Non ti ho detto bugie. Inoltre, non sto facendo niente con carattere definitivo. Solo di dare al ragazzo un'opportunità di provare che vale la pena aiutarlo. Di quello che egli mi dimostri essere, dipenderà il suo futuro. Se ha nelle vene il sangue che dice che ha, saprà dimostrarlo.

- Che sangue?

- Date voi il vostro permesso? – È Nicola che arriva nel preciso istante in cui la situazione diventa già insostenibile tra i coniugi.

- Avanti, Nicola - invita D'Autremont, aspirando profondamente e ringraziando nel suo intimo l'arrivo del suo amico -. Lei arriva nel momento opportuno, ci prendiamo quell'aperitivo che vi ho detto prima. Non ti disturbare, Sofí a. Io stesso ordinerò che lo portino. - E dicendo questo si allontana, lasciando soli Sofí a e Nicola.

Sofí a ha fatto un vago gesto di fermarlo, l'anima tesa per la risposta non ottenuta alle sue ultime parole, ma rimane immobile, turbata per quello sguardo con cui Nicola sembra avvolgerla, indovinando fino ai suoi più reconditi pensieri.

- A volte meglio non approfondire troppo le cose, vero? Ammettere, senza approfondire troppo che anche gli uomini migliori hanno capricci, debolezze e commettono errori deplorevoli che possono dissimularsi con un po' di indulgenza, evitando mali maggiori.

- Che cosa tenta di dirmi, signor Nicola?

- In concreto niente, sig. ra Parlavo per parlare, come parlo molte volte; ma mentre attraversavo questa preziosa casa, per arrivare qua, pensavo che voi avete un matrimonio realmente felice e che conservare quella felicità merita qualunque piccolo sacrificio di amore proprio.

- A cosa mi sta preparando, Nicola?

- A niente, Sig. ra... che pensata! Lei è troppo sensata per avere bisogno di un mio consiglio, ma se per caso mi domandasse quale è la mia opinione su come comportarsi col signore D'Autremont, io le risponderei che aspettasse. Mio padre che fu notaio dei D'Autremont, in Francia, mi diceva sempre: " La collera di un D'Autremont è come un uragano: violenta, ma passeggera. "

Opporsi nel momento dello scatto, è una vera pazzia. Ma passa presto, ed allora è il momento di riparare quello che spezzarono...

- GUARDA COME STAI BENE? Sembri un altro. Guardati allo specchio - dice Renato a Juan.

- Lo specchio...?

- Lo specchio, certo.... Qui. Guardati. Non avevi visto mai un specchio?

- Tanto grande, no. È come un pò di acqua quieta.

- Non gli poggiare la mano che l'appanni - proruppe Battista, il domestico -. Avete visto il selvaggio...!

- Lascialo in pace. Papà disse che nessuno lo disturbasse.

- E chi lo sta disturbando? Che cosa vuole di più?

Juan è retrocesso un passo per guardarsi dalla testa ai piedi allo specchio che ha davanti. È, effettivamente, come un gran pezzo di acqua quieta che gli restituisce intera la sua immagine... un'immagine nella quale sembra un altro, benché sia la prima volta, nei dodici anni della sua vita che può contemplarsi ora lo sta facendo. C'è un gran stupore in sé nell'oscuro sguardo. Benché abbia la stessa età di Renato D'Autremont, è abbastanza più alto; il suo corpo, magro e muscoloso, ha l’agilità di un felino; le sue mani sono larghe e forti, quasi come quelle di un uomo; la sua fronte è ampia ed arrogante, ed i suoi ricci capelli neri, ora pettinati all'indietro, la lasciano libera, donandogli un aspetto simile il signore di Campo Real; il naso è retto; la bocca, ferma e stretta in gesto amaro che rende troppo duro quel viso infantile senza i grandi occhi neri, vellutati... quegli ammirabili occhi italiani, uguali a quelli di Gina Bertolozi.

- Ora, vieni affinché ti vedano papà e madre.

- Dal signore...? Dalla signora...?

- Certo! Il signore e la signora sono papà e mia madre.

- Per te, ma non per me - interviene Battista, dispregiativo -. Io credo che non debba portarlo nel salone.

- Perché no? Papà mi disse che dovevo mostrargli tutta la casa, i miei libri, i miei quaderni, i miei lavori di pittura, il mio mandolino ed il mio piano.

- Insegnagli tutto quello che piaccia, ma se non vuoi disgustare la signora, non lo portare nel salone, né nella sua stanza, né dove ella possa guardarlo. Capisci? E lo capisci anche tu: se vuoi rimanere in questa casa, non ti mettere davanti alla signora.

 

Solo, in quell'isolata stanza che è contemporaneamente biblioteca ed ufficio, Francisco D'Autremont è tornato a leggere la lettera che affondò, maltrattata, nelle sue tasche. L'ha letta lentamente, sminuzzandola, trattenendosi su ogni parola, tentando di penetrare fino in fondo ognuna delle sue frasi. Poi va verso la parete centrale e, separando alcuni libri, cerca in fondo di un scaffale la porta nascosta di una piccola scatola di ferro, e lancia lì la carta, come se gli bruciasse le mani.

- Ehi! Chi c’è lì? - indaga sentendo chiudere, cautamente, una porta.

- Io, papà.

- Renato, che cosa fai nascondendoti nel mio ufficio?

- Non mi stavo nascondendo, papà. Entravo per darti la buona notte...

- In tutto il giorno non ero venuto a cercarti. Dove eri?

- Con Juan...

- Ti senti vicino a Juan. Come gli sta il tuo abito?

- Come se fosse fatto per lui. A me andava grande, molto grande. Ciò che non gli entrarono furono le mie scarpe. Lo feci dire a madre da Battista, ma ella disse che non le importava che fosse scalzo. Ma questo è brutto, vero?

- Sì, molto brutto. Dov’è ora Juan?

- Lo mandarono a coricarsi.

- Dove...?

- Nell'ultima stanza del patio dei domestici - spiega il ragazzo, in tono compunto -. Battista disse che così comandava mia madre.

- Già! E perché non ti avvicinasti a me tutto il giorno?

- Perché camminavo con Juan, e Battista disse che mia madre non voleva che Juan gli fosse messo davanti. E tu sei stato tutto il giorno con madre.... me l'avevi fatto portare tu indubbiamente per tutta la casa, ma come diceva Battista.... Feci male?

- No. Devi obbedire a tua madre, come è naturale.

- Ed a te no?

- A me più che a nessuno - risponde D'Autremont, tagliente -, Domani ci metteremo di accordo tua madre ed io. Ora, vai a coricarti. Buona notte.

- Buona notte, papà.

- Aspetta.... Che cosa ti pare di Juan?

- Mi piace.

- Ti sei divertito con lui? Hai giocato? Gli hai insegnato le tue cose?

- Se, ma non gli piacquero. Era molto serio e molto triste. Poi uscimmo in giardino... andammo via più in là, ed allora cominciò ad andare meglio: Juan sa montare a cavalli senza sellarli, e tirare pietre, tanto forte e tanto alto che raggiunge gli uccelli che continuano a volare.... E caccia lucertole e rospi. Prese un serpente con una forcella che ne fece un palo, e lo ha rovesciato e lo mise in una scatola. E non lo morse, perché egli sapeva come afferrarlo. Mi disse che se avessimo una scialuppa mi portava a vedere come si pesca... perché egli sa tirare le reti e tirare fuori pesci.

- Me l'immagino. Suppongo che quello fu il suo mestiere.

- Davvero, papà? Non è bugia che egli può essere solo in una scialuppa per il mare?

- Non è bugia... ma continua a raccontarmi. Che altro è successo con Juan?

- Si presero gioco di lui nel burrone perché camminava scalzo e col mio abito di panno azzurro.... diede un cazzotto a quello che era più vicino, il quale era più grande di lui, e lo tirò di spalle. Gli altri fuggirono. Ma non lo punirai, vero, papà?



  

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