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 Benaresyama 6 страница



       Salire al buio perchè siamo troppo emozionati e abbiamo troppa fretta per stare a pensare di accendere la luce; soffocare le risate per evitare di svegliare tutta il palazzo, e poi le chiavi più silenziosamente possibile nella porta dell'appartamento. La luce accesa dalla camera dove Ramon scrive, pensa e dorme, comunque da là non si muoverà per tutta la notte; tenersi ancora per mano mentre finiamo nell'altra camera dove di solito dormo io e lei che si butta sul letto come un bambino che gioca; la musica in sottofondo, Pino Daniele che stasera ci sta proprio bene; salto anch'io sul letto e per qualche attimo ci prendiamo a cuscinate e ci facciamo il solletico. Poi ci guardiamo, abbiamo il fiatone tutti e due e un sorriso di incredibile inattaccabile felicità stampato sul volto; lentamente ci prendiamo ancora per mano, e poi i suoi bottoni scivolano si aprono mentre il mio giubbino vola sul 86

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       pavimento; ancora il caldo maglione che si sfila velocemente spettinandosi i capelli, e sono altre risate; io la camicia con i bottoni a clip, li strappo tutti in una volta; e poi cominciano i baci prima ancora che finiamo di spogliarci, le mani che accarezzano il suo lieve corpo e la candida pelle, le labbra " perfette incollate" come dice intanto Daniele Silvestri dallo stereo.

       Scivoliamo insieme in un volo fatto di amore e fantasia, con passione limpida come acqua di sorgente, e amore puro; un candido volo nei rispettivi universi, tra baci e sorrisi e sospiri e gemiti, che messi insieme creano un infinito spazio di gioia. Ecco che cos'è davvero il sesso, ricorderò d'aver pensato a posteriori, ecco come dovrebbe sempre essere far l'amore con una persona…

       Al risveglio la mattina dopo una pallida luce biancastra entra indiscreta dai vetri, e io accarezzo lieve lieve con la punta delle dita la schiena candida di Elena che dorme ancora, dolcissimo angioletto.

       Ritrovo la mia coscienza ottenebrata e confusa, e nell'irreale pace della stanza la esamino attentamente alla ricerca di sensi di colpa, ma non ne trovo. L'unica cosa che sento è una nuova piacevole sensazione che rimarrà poi per tutto il giorno e nei giorni successivi, ma per ora non mi rendo conto di che cos'è e mi sembra solo tremendamente bella, così mi lascio cullare.

       Sarà solo dopo qualche giorno che capirò che cos'è, e comincerò a preoccuparmi. E' appagamento. Giro per le strade assente e confuso sentendomi come se avessi toccato il cielo; come se avessi raggiunto l'ultima meta, la verità assoluta; l'amore di una donna è sempre la vittoria più dolce; ora sento quella piccola inspiegabile piacevole malinconia che ci assale dopo ogni vittoria, dopo ogni traguardo raggiunto, come se sapessimo che il momento più bello è arrivato ed è passato. Sento - ed è questo soprattutto che mi preoccupa - che 87

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       difficilmente riuscirò a ottenere qualcosa di più, e non è un discorso o un ragionamento ma una pura sensazione di serenità, di pace, di conclusione, di " Okay, questo è tutto".

       Ma io non voglio accontentarmi. Sono venuto qui per iniziare un lungo cammino, per soddisfare la mia fame di novità e di ricerca, e ora non può essere già finito. Improvvisamente questa sensazione mi fa paura. Non è così che funziona la mia vita.

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       Una telefonata a Anna verso le undici di sera previo rapido avvertimento pomeridiano di farsi trovare pronta al telefono, da una cabina ad un incrocio di Strada Maggiore. E' da parecchio che non le telefono, sicuramente da almeno un paio di settimane prima di passare la notte con Elena, e da quella notte è già passata un'altra settimana -

       non ho più visto Elena, nel frattempo, dev'essere tornata a casa per qualche tempo. La scheda viene mangiata dalla macchinetta, qualche attimo di pausa e poi compare l'importo sul display, è una scheda già usata ma una bella chiacchierata ci sta comunque. Picchio con emozione sullo " 0", poi sul " 3", poi sullo " 0"; ed è come fare un pezzo di strada verso casa. Poi comincia il suo numero, un " 3", un " 5", un altro " 3" e via via tutti gli altri. Pausa. C'è una pianura da attraversare, una pianura deserta e nebbiosa a quest'ora di sera. Lo squillo del suo telefono, e la solita inesplicabile paura. Spero che risponda subito, non vorrei disturbare nessuno. Un altro squillo. Un'improvvisa ondata di paura mi assale perchè questa telefonata è troppo importante per me, ha una sua precisa collocazione spazio-temporale e non potrei sopportare di rimandare, perderei tutto e mi riempirei - già lo so, conosco le mie debolezze - di una cupa, immotivata e per questo più 89

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       profonda malinconia.

       Ma la sua voce mi risponde " Pronto" ed è come un'adorabile doccia fresca a Ferragosto, come spalancare le finestre in primavera dopo un temporale e godere l'abbraccio di una morbida brezza con l'odore dell'erba bagnata e dei fiori che ricominciano a sbocciare.

       - Ciao, stella - dico io e sento l'istante di gioia iniziale che ci pervade entrambi, e quest'attimo è il momento più importante di tutta la telefonata, d'ora in poi saremo schiavi solo di un umanissimo bisogno di raccontarci tutto per soddisfare le nostre curiosità e di scambiarci qualche parola dolce, ma il succo di tutto è in questa iniziale breve vampata di felicità e di comunione, quell'immenso abbraccio scambiato solo mentalmente, senza parole e senza contatto fisico. Ora siamo davvero vicini e innamorati, perchè " se desideri con tutto il cuore essere accanto a qualcuno che ami, forse non ci sei già? " Ogni altra parola ci allontanerà da questa nostra temporanea vicinanza spirituale e ci riporterà nella nostra condizione materiale di corpi divisi da 180 chilometri di pianura. Entrambi lo sappiamo ed entrambi esitiamo qualche attimo in silenzio.

       - Ciao -, mi dice tranquilla e con quella sua cadenza strana, come se fosse un ciao di congedo anzichè di benvenuto.

       - Come stai? - le chiedo.

       - Sola - mi risponde tentando di farla apparire come una battuta.

       - No, dai - insisto. - Non mi dire così, perchè poi anch'io mi sento solo

       -

       - Sei tu che sei via -, mi incalza subito crudelmente e io rischio di incazzarmi ma sono troppo perso nella sua voce per poter pensare ad altro che ad amarla. Lei sente il silenzio e capisce di aver detto una cosa pericolosa e subito aggiunge: - Dimmi qualcosa, dai. E' tanto che non ci sentiamo.

       Io taccio ancora un istante immaginandola con la cornetta in mano, 90

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       stesa sul letto o sul divano con uno dei suoi pigiamoni felpati o il suo preferito, quello da uomo, che le piace perchè ha le gambe lunghe mentre gli altri terminano sul polpaccio; immagino i suoi occhi persi di volta in volta sul soffitto, o per terra, o contro la parete opposta; immagino il gatto che gira blando leggero silenzioso etereo per la camera e magari salta sul letto e le passa accanto e lei gli sfiora la coda con le dita.

       Per un attimo rischio di affogare nelle dolci dense cascate del ricordo.

       Poi mi riprendo.

       - Lo so, mi sono immerso completamente in quello che mi sta succedendo. Mi sto divertendo da matti. Sai, Ramon mi fa conoscere un sacco di gente. E' troppo forte.

       - Io lo odio, tuo cugino - mi interrompe lei ridendo.

       - No, se lo conoscessi non lo odieresti. E' un artista. E' pieno di energia... Dio, non te lo farò mai conoscere, potresti innamorarti di lui.

       - Non ci sperare… non finchè ci sei tu in giro. - mi interrompe lei con una frase detta ridendo, con una romantica esagerazione che mi fa comunque piacere, grazie al tono della sua voce, è una bella sensazione che magicamente passa atraverso il filo del telefono -

       amato carissimo filo surriscaldato dalle nostre emozioni che lo percorrono in forma di parole, e queste parole poi diventano gabbie nelle quali le nostre passioni a malapena accettano di stare, e rischiano di esplodere. E' per questo che il filo del telefono scotta, brucia per la rabbia di sentimenti ingabbiati; ma rimane un romantico messaggero, come un paggetto che porti messaggi d'amore da una casa all'altra, da una città a un'altra, da un cuore a un altro.

       Sento un'ondata d'affetto che mi zittisce per qualche istante. Ne sono realmente degno? In realtà non ci ho mai pensato veramente, l'inquietudine mi spinge a destra e a manca ma non bado molto alle reazioni della gente, mi sono sentito sempre più solo negli ultimi 91

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       tempi... fino a che ho incontrato Anna, adorabile dono del cielo, inaspettato e fantastico regalo.

       -Tu sei stupenda, Anna - le rispondo, - Dio mio, sei troppo forte. Ma dove ti ho trovata, nell'uovo di Pasqua?

       Sento il suo sorriso che mi brucia nel cuore, la immagino mentre le sue labbra si piegano all'insù a pochi centimetri di distanza dal ricevitore, nella sua casa silenziosa, semi-addormentata, in una camera dolce di poster colorati e di musica soft, con le mie lettere sparse sul comodino e il suo profumo che aleggia.

       - E allora, che intenzioni hai?

       - In che senso?

       - Quando torni a casa? - Eccola, perfida. Aspetta di colpirmi dritto nel cuore e di farmi sentire quanto mi manca per poi pormi la fatidica domanda, ogni volta.

       - Non lo so, non lo so ancora. Verrò a trovarti presto, sì... - non le ho già dette, queste parole? Il fatto è che VORREI partire all'istante solo per rivederla, per abbracciarla, la sua voce mi basta per essere di nuovo pazzo di lei, non so quale oscura forza mi trattiene qui in questa cabina anzichè lasciarmi correre come un pazzo fino in stazione e saltare sul primo treno per Brescia.

       Non lo farò. Non la andrò a trovare. Mi incatenerebbe a lei, ne sono certo. E io sono un animale selvatico, con il brutto vizio di affezionarsi in fretta.

       - Sì, ci credo. - mi risponde diffidente.

       - Perchè non vieni tu a trovarmi? - le propongo.

       - Ci ho pensato, ma non ti sento mai. Non so nemmeno cosa fai tutti i giorni.

       - Oh, be', in effetti ho delle giornate piene, ma se vieni tu sospendo tutto. Ti faccio da guida turistica. Con un programma particolare.

       - Sì? E che cosa?

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       Sorrido. - Be', è troppo bella la casa di Ramon, devi vederla. Devi conoscerlo. E poi, magari, posso farti vedere una collezione di farfalle...

       - Scemo.

       - Oh, dai, scherzavo.

       - Sì, sì.

       C'è ancora qualche attimo di silenzio, felice ma pericoloso, destinato a infrangere l'illusoria serenità Made in Telecom e a ricordarci la nostra stupida mortale condizione fisica di lontananza.

       - Oh, Anna. - comincio senza saper che altro dire, solo per rompere quel maledetto silenzio.

       - Cosa c'è?

       - Stai bene? Cioè, intendo dire, sei allegra? Ti diverti?

       - Sì. - Ma è un " sì " privo di convinzione, come tuffarsi in una piscina vuota.

       - Senti, quello che voglio dire è che voglio che tu stia bene, c'è un sacco di gente lì intorno...

       - Questo è un discorso del cazzo e lo sai benissimo. Io ti penso ogni giorno.

       - Anch'io ti penso ogni giorno, giuro, ti ho scritto un'altra lettera ieri sera... a proposito, m'è arrivata la tua... grazie, è bellissima.

       Soprattutto i disegnini sulla busta.

       - Ti piacciono?

       - Sì, sono davvero belli.

       - Li ho fatti a scuola. Durante le ore di lezione. Ecco, io non sto neanche attenta alle lezioni per colpa tua. E tu vai via e mi lasci qua da sola.

       Sospiro. Mi prende con le unghie. Risento le sue mani artigliate sulle maniche del mio giubbino, in quella fredda mattinata di sole obliquo in stazione, qualche tempo prima. Mi manca da morire, questa 93

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       ragazza.

       - Mi manchi da morire.

       Sento un ruggito di rabbia soffocato, e poi la sua voce concitata e nervosa: - Vedi, non è vero, perchè altrimenti torneresti, e invece sono due mesi che sei via e non ti fai più vedere. E se io avessi voglia di stringerti?

       - Lo sai perchè non torno, te l'ho già spiegato. Sto vivendo la mia migliore occasione, e se tu davvero ci tieni a me dovresti capire quanto è importante.

       Attimi di pausa. Vorrei che parlassimo d'altro.

       - Lo so -, comincia con voce debole - ma è che anche tu mi manchi.

       Davvero. Anche adesso, ecco, appena metti giù già mi manchi.

       - Anna, io ti voglio troppo bene. Fai finta che io ti stia abbracciando, adesso.

       - Non funziona.

       - Che peccato.

       - Mi dispiace, devi proprio venire a casa.

       Ma mi sta ascoltando?, mi chiedo. Intendo dire, non sentire le mie parole come un rumore qualsiasi; dico ascoltare, capire, avere lo stesso alfabeto. Magari sto parlando con un'intelligenza artificiale.

       Anzi, con una stupidità artificiale. Riproviamo.

       - Anna io sono lì, lì con te. Questo lo sai. E tu sei dentro di me. Non essere materiale, ti prego. Anch'io avrei voglia di stringerti, ma non dobbiamo essere così banali. Oh, Dio, che discorsi mielosi stiamo facendo! Su, piccola! Stiamo facendo la nostra vita, non credi? Non dovrebbe renderci felice, questa cosa?

       - La fai semplice, tu.

       - No, è che è davvero così. Dovresti davvero venire qui a provare come è facile cambiare le proprie abitudini, i pensieri... in poco tempo ti sembra di non aver fatto altro in tutta la vita. Sai, è troppo 94

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       importante, questo.

       - Vuol dire che ti trasferirai definitivamente lì?

       - Non ne ho idea. Non ho idea di cosa ci sia nel mio futuro. Certo, sarebbe bello. Che ne dici? Io trovo una casa qui, tu finisci la scuola poi mi raggiungi qui e ci sposiamo.

       - Non dirlo perchè poi lo faccio davvero. Anzi, non aspetto nemmeno di finire la scuola.

       Sospiro.

       - Ma cos'hai nella testa? - mi chiede sconsolata.

       Sorrido prima di risponderle.

       - Non lo so, Anna. Non lo so. Ma so che non voglio più compromessi, capisci? Mi sento vero, qui, mi sento pieno più che mai. E' terribile, quando cominci a farti sul serio la tua vita poi non riesci più a smettere, poi non hai più paura di niente e non ti trattieni più, ed è solo così che puoi andare lontano. Capisci?

       - Capisco solo che deve passare ancora un po' di tempo prima che io ti capisca. Non posso che augurarti buona fortuna, e spero che mi aspetterai davvero.

       - Sicuro che ti aspetterò. Già ti aspetto e ti aspetterò per sempre.

       Cosa mi succede? Io che dico " per sempre"? Non è che devo farmi perdonare qualcosa?

       - Mia madre è contenta che tu sia andato via - riprende lei dopo qualche attimo di silenzio. - Dice che la bolletta del telefono di questo mese è la metà del solito.

       - Be', vedi che c'è anche qualcosa di positivo?

       Poche risate forzate.

       - Vuoi dire che tutte le tue telefonate erano per me? - riprendo.

       - Praticamente. Mi sto scazzando da morire.

       - Perchè? Cosa fai tutto il giorno?

       - Studio, o almeno ci provo. Poi capita che mi perdo via a ascoltare la 95

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       musica, o magari mi metto a massacrare qualche pezzo con la chitarra.

       Sono un disastro.

       - No, dovresti impegnarti. E' troppo bello suonare.

       - Senti, non rompere. Ho tutto il diritto di buttare via i miei pomeriggi, va bene?

       - Va bene.

       - E mi raccomando, tu non sentirti in colpa nemmeno un po', vero?

       Perchè non è a te che penso, okay? Non sei tu che mi fai smettere di studiare. Non apro il diario e rileggo le tue lettere. Non ti penso mai, guarda.

       - Sei sempre un tesoro.

       - Leccaculo.

       Quando dice così vuol dire che è felice.

       - Dai, ti vengo a trovare Domenica - mi propone all'improvviso.

       - Oddio... davvero?

       - Perchè no?

       Già, perchè no? Eppure una strana paura mi assale all'improvviso. Mi manca già da morire e mi riempie di dubbi ora che solo sento la sua voce, cosa succederà se la vedo di persona?

       - Non so... niente, niente. Ma questa Domenica ho paura che saremo via.

       - Ecco. Non mi vuoi vedere, insomma.

       - Che cazzo dici? Non ci sono Domenica, ecco tutto. Ci vedremo presto, fidati di me. - In realtà non merito nemmeno un briciolo di fiducia e me ne rendo conto, dirò di più, non VOGLIO nemmeno che si fidi di me perchè avere qualcuno che si fida di te è una grossa responsabilità e ora non voglio responsabilità, voglio essere egoista come un bambino appena nato.

       - Certo certo. " Fidati di me". E' ovvio che mi fido di te, altrimenti ti avrei già mandato a farti benedire. Anche se a dir la verità non so 96

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       nemmeno perchè mi fido.

       - Non dire sempre che non sai perchè. Non c'è niente di male, sai? Lo sai benissimo il perchè, è lo stesso motivo per cui io ti telefono a quest'ora di sera invece che essere altrove.

       - Grazie tante, sai che sforzo.

       Non l'ha presa bene. Mi rendo conto che suona male, ma quello che ho detto aveva un senso.

       - Non hai capito - riprendo. Faccio un istante di pausa per trovare le parole giuste. - Vorrei farti capire quanto sei importante per me anche se dal lato pratico non sembra. Vorrei che tu sapessi che ti porto dentro ovunque sono, e che non ti servono le mie telefonate e le mie parole ogni giorno per sentirmi vicino. Vorrei che capissi questo...

       quello che mi preoccupa è che io questo non te lo potrò mai dare, capisci? Ti posso riempire di dolcezza quando siamo vicini, ma non sarò attaccato a te, lo sai. Devi fidarti di me se vuoi, se pensi che ne valga la pena. Io ti darò tutto quello che posso e soprattutto io ti cercherò e ti terrò sempre dentro di me. Sei unica nella mia vita e non ti dimenticherò mai, qualsiasi cosa succeda. -

       Non so se l'ho convinta del tutto. Devo fare qualcos'altro.

       - Senti, per Domenica dobbiamo decidere domani, io e Ramon. Se non andiamo via ti chiamo subito e allora magari ci vediamo. Tu tieniti libera, okay?

       - Okay. Ah, senti, porta Ramon in giro fino a tardi senza giubbotto, stanotte. Così si prende una broncopolmonite e Domenica non andate da nessuna parte.

       - Sei una peste.

       - Sì.

       E in un attimo mentre la penso ho queste pericolose visioni di noi due che viaggiamo insieme, chilometri in macchina mentre io guido e lei dorme, e poi si sveglia e mi bacia, oppure in treno dormiamo 97

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       abbracciati e poi su un prato, nelle città camminando mano nella mano, e poi su una scogliera a parlare di tutto quello che abbiamo appena visto, cosa ci ha lasciato, e quando le parole si esauriscono ci guardiamo in silenzio e guardiamo il mare mentre il vento agita i nostri capelli.

       - Sì, cavolo, devi venire qui così ti faccio conoscere un po' di gente.

       - Tanto per me i bolognesi sono tutti antipatici.

       - Vuoi sapere la verità? Non ne ho conosciuto nemmeno uno. Tutte le persone che Ramon mi ha fatto conoscere vengono da altre parti d'Italia. Le uniche persone di Bologna che frequento sono quelle che lavorano nei negozi.

       Era proprio così, e questo mi piaceva di Bologna, città di stranieri, meta preferita dei ragazzi che si spostano, che mollano le loro radici per trovare qualcosa di nuovo, più che altro dentro se stessi; gente che con coraggio fugge dalle abitudini e dalla comodità per abbracciare la vita e trovare il proprio spirito.

       - Non importa. E' l'aria di Bologna che rovina le persone.

       - Dici? Ma se tutti sono così felici, qui?

       - Fanno finta. Anche tu non sei così felice come dici. Lo sento dalla tua voce.

       - Tu sei fissata. Oh, sta finendo la scheda. Ci siamo. Ti saluto.

       - Quando mi richiami?

       - Non so. Presto, comunque: lo sai che non resisto senza sentirti.

       - Ti odio.

       - Io ti amo. E non è vero che tu mi odi.

       Pausa. E proprio in quel momento la linea cade, la scheda viene sputata fuori dalla macchinetta e una luce rossa comincia a lampeggiare, mentre dalla cornetta un insistente suono ritmico tipo allarme antiaereo sottolinea che non c'è più nessuno dall'altra parte del filo. Il perfido telefono ci ha regalato qualche attimo di illusoria 98

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       vicinanza salvo poi strapparcela e separarci con un improvviso colpo d'accetta. Sto così qualche istante, quasi incredulo, poi riattacco, piglio la scheda e la guardo sconsolato, e infine la lascio cadere a terra e me ne esco nella fresca aria di Strada Maggiore.

       Cammino verso le due torri lentamente, lasciando che i miei stivali picchino sul marciapiede - non ho voglia di stare sotto i portici, stasera. Sto ripensando alle ultime parole di Anna, quando ha detto che non mi sente davvero felice. Ha preso un abbaglio, mi dico. Sto vivendo in quello che oserei definire il mio habitat naturale, pieno di vita ed energia e mille cose da fare ad ogni momento, una stupenda città in cui il centro storico è un viavai di gente a tutte le ore, fino a tardi - anche adesso mi tocca ogni tanto spostarmi per evitare gruppetti di persone -. e librerie, tante e grandi e aperte fino alle due di notte nelle quali non solo è bello andare a cercare un libro ma addirittura stare e sfogliare pagine, come mi ha insegnato Ramon; e poi osterie per tutti i gusti, in tutti gli stili, con tutte le musiche, tutte rigorosamente affollate in ogni giorno della settimana - non riusciresti a sentirti solo neanche se lo volessi. C'è mio cugino Ramon che sta vivendo un'esperienza eccezionale, è riuscito a emergere dalla banale quotidiana lotta per la sopravvivenza, e io ora posso stare con lui e imparare tutto ciò che c'è da imparare - ho un vero maestro, finalmente. E' pieno di persone interessanti e l'aria è frizzante ed è bello girare quando piove senza ombrello e saltare su uno dei mille autobus che passano ad ogni istante, e fare un salto alla Montagnola di Venerdì e perdersi tra le bancarelle dove vendono veramente di tutto; passeggiare lungo i portici ad alto scorrimento di via Indipendenza e il saliscendi di piazza VIII Agosto; posso affacciarmi dalla finestra della camera dove dormo e vedere la torre più alta, e se scendo in due minuti sono in piazza Ravegnana, all'ombra dei due colossi che dominano il centro, illuminati con effetto onda sotto Natale; posso 99

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       entrare nelle latterie e gustarmi un cappuccio a metà mattina con una brioche morbida e godermi un'accesa discussione sulle ultime partite della Virtus e della Fortitudo; apro il giornale e leggo ogni giorno di concerti o manifestazioni, che a Bologna succede di tutto, dal Motor Show che riempie la città di altri forestieri, ad Arte in Fiera dove trovi tutti i fumetti che vuoi, alle partite della nazionale bosniaca al Dall'Ara, alle prime visioni dei più bei film italiani; posso andare al cinema, a uno dei quasi quaranta cinema che ci sono in città, e sicuro che tutti i più bei film del momento sono fuori.

       Insomma, è perfetto, qui.

       Già, sì, ma allora cos'era quel velo di tristezza che mi cominciò a prendere da quella sera in poi quando mi stavo per addormentare, all'inizio quasi impercettibile come un granello di sabbia e poi, col passare dei giorni, sempre più grande, più presente, più incombente?

       C'era ancora qualcosa che non andava.

       Proprio sul più bello, insomma.

       Sempre così la mia vita.

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       - Ramon?

       - Sì?

       - Sentì... ho sentito Anna, ieri sera. Vuole venirmi a trovare, Domenica.

       - Bello, sì, bello. Così posso conoscerla meglio.

       L'aveva già vista una o due volte a Brescia.

       - Sì, è che... be', ho un po' paura.

       - Paura di cosa?

       - Paura di vederla, paura dell'effetto che può farmi. Ti ho già detto di quando sono partito, no? Poco ci mancava che mi riportasse subito a casa.

       - Senti, non c'è nulla di male.

       - Pensavo che ti sarebbe sembrato stupido.

       - Ma che stupido. Lo sai quanto me, Anna è la tua ragazza, giusto?

       Intendo dire, dentro di te.

       - Sì, penso di sì.

       - E allora non c'è nulla di male nel fatto che tu abbia voglia di vederla.

       - Non è quello che mi preoccupa. E' che ho una voglia mostruosa di vederla. E mi viene il pensiero... giusto il pensiero, capisci... che potrei 101

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       tornare a casa per starle vicino. E questo non mi piace molto.

       Si rilassa, respira, attende qualche istante, poi mi guarda.

       - Non devi viverla così, Ivan. Non devi dimostrare niente a nessuno.

       Non devi costringerti a fare nulla.

       E come al solito mi dico " Cazzo quanto ha ragione". Domenica aspetterò Anna in stazione, decido, ed è proprio come dice Ramon, giusto e facile e naturale.

       Domenica non devo aspettare; piombo in stazione all'ora esatta di arrivo del suo treno (ed entrando mi rendo conto che è da quando sono arrivato che non ci entro, anche se ci sono passato davanti spesso; ripenso con un fremito d'orgoglio a quel glorioso, epico viaggio di andata di qualche tempo prima) e scopro che il treno è già fermo al binario e non c'è più nessuno; chiedo a un ferroviere da dove e da quanto è arrivato questo treno e lui dice " Da Verona pochi minuti fa".

       Capisco che è arrivato in anticipo. Dove sarà la mia Anna? Il binario è vuoto, dev'essermi venuta incontro; così scendo le scale di corsa mi guardo intorno, poi la vedo, più avanti nel sottopassaggio, e che sollievo, gente! Smetto di correre e mi avvicino a lei col passo veloce dei miei stivali, sorridendo e guardandomi intorno. Lei mi guarda con un sorriso ironico - deve aver capito che nulla è cambiato, sono ancora quell'adorabile frenetico pasticcione che lei conosceva, che non manca mai agli appuntamenti ma arriva sempre regolarmente correndo, e comunque con un pizzico di ritardo. Il suo sorriso in un certo senso mi dice quanto sono suo e quanto entrambi lo sappiamo. Certo non le appartengo; come un gatto, vanitosamente concedo ogni tanto a qualcuno di affezionarsi a me, mi dico: ecco tutto.

       Balle, mi dico poi. Farei di tutto per quella signorina. Il fatto di non essere possessivo e di non voler appartenere a nessuno è un altro discorso, una cosa congenita, tipo in qualche cellula del DNA.

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       Siamo vicini finalmente dopo tutto questo tempo e l'abbraccio come una sorella, forte forte e carico di nostalgia e di gioia; ricambia il mio abbraccio ed è proprio una liberazione. Ci allontaniamo un attimo e mi dice: - Ciao -, in un soffio di voce morbido come velluto che mi scioglie ogni dubbio. Non dico altro e la bacio ma delicatamente, per salutarla, non con desiderio. Che tenero quel bacio rapido come due bambini al primo contatto di labbra!

       - Andiamo - le dico, e la città ci attende, ci avviamo subito scendendo per le vetrine di via Indipendenza e le prime parole sono tiepide considerazioni sul suo viaggio e battute varie; sono emozionato per l'importanza della situazione, e ci vorrà tempo per calmarmi - in fondo spero che non ce ne sia bisogno, spero di non calmarmi, che sia una giornata ad alta adrenalina.



  

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