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 Benaresyama 8 страница



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       Desenzano con la sua stazione silenziosa e il passaggio sull'alto ponte che sovrasta la città, e la vista del meraviglioso azzurro lago. Ecco Lonato Ponte San Marco Rezzato Sant'Eufemia e poi riconoscere i dettagli della città; quello è viale Piave, gente; quello è il vecchio monastero abbandonato dove si fanno feste e concerti nelle calde gommose notti di fine Agosto quando la città sembra vuota; quello è il parco dove si va nelle mattine di Maggio a prendere il sole o a leggere o a baciarsi o a giocare a calcio o a pallavolo quando la scuola è troppo calda e noiosa, oppure nelle Domeniche d'estate sudate in compagnia; quella è la piscina delle nostre fresche salvezze di Luglio; l'inizio di via Duca degli Abruzzi con la birreria che ti prepara gli spaghetti alla carbonara fino alle cinque di mattina e la solita interminabile colonna di macchine ferme al semaforo; i grossi condomini scuri popolari dietro via Diaz con l'ingresso nascosto, rivolto proprio verso la ferrovia; e via Cremona, l'indimenticabile via Cremona dove succede di tutto, dove abitano metà delle ragazze più belle di Brescia, dove c'è la nostra gelateria preferita e tutti i negozi illuminati; e poi iniziano gli scambi e i movimenti del treno che si sta spostando sul secondo binario e ci siamo, gente. Ci siamo.

       E finalmente posai un piede sul marciapiede della nostra cara vecchia stazione bresciana, con la stessa emozione dei Venerdì sera quando tornavo in licenza dal militare - manco a dirlo, anche adesso è Venerdì sera -; uscii sul piazzale abbracciando con un solo sguardo tutte le persone che transitavano o aspettavano in quella zona; mi precipitai in cima ai gradini che portano alla stazione delle corriere, e lì mi sedetti sul muretto e rimasi per qualche minuto a guardarmi intorno, la facciata a tre lati della stazione, il tranquillo brulichì o della gente, blando visto l'orario; gli incontri e gli abbracci sul piazzale, appena fuori dalle porte d'entrata; oltre il muro di protezione, i treni che 120

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       partivano e arrivavano, ancora, continuamente; e mi sembrava di non averla mai vista così bella, la mia stazione, ora che la guardavo in una maniera diversa dal solito. Mi sembrava di scoprire qualcosa di nuovo, mi sembrava che la mia città stesse rinnovandosi, tirando fuori tutta la sua bellezza per convincermi che avevo fatto bene a tornare indietro.

       Come se la mia città fosse davvero affezionata a me.

       Ero emozionato, ma capivo benissimo che la bellezza è sempre nell'occhio di chi guarda. Brescia era sempre la stessa, ma io ora l'amavo di più, perchè andandomene mi ero costretto a rivalutare tutto e a capire quanto di me c'era ancora lì, in quel dormiente provinciale insediamento medio padano; ma soprattutto quanto di me c'era ora DENTRO di me, grazie a questo spostamento di coordinate che era stato in primo luogo un viaggio verso me stesso. E capii tutta la verità di quella frase di Herman Hesse che mi era penetrata nel cuore tempo prima: " Patria non è qua, o là. Patria è dentro di te, o in nessun luogo. "

       Lieto e sollevato come un gabbiano che affronta il lungo volo verso la propria libertà mi precipitai giù dalle scale con le mie interminabili borse con la polvere dei binari d'Italia; e rientrai in stazione con l'intenzione di telefonare a qualcuno per farmi venire a prendere. Ma mentre stavo per telefonare una mano mi toccò una spalla e girandomi vidi Manu, un vecchio amico mio di Brescia che non avevo visto da molto tempo prima di partire, e che probabilmente non sapeva nemmeno del fatto che io fossi stato via qugli ultimi tre mesi.

       Ci salutammo con un abbraccio spontaneo - era una di quelle persone con cui l'affetto resiste al tempo e una prolungata lontananza non crea imbarazzo - e gli chiesi se stava tornando in licenza dal servizio militare, e così era; mi chiese a mia volta dove andavo o da dove venivo e gli risposi semplicemente: - Da Bologna -. Non aveva nessun mezzo per tornare a casa, così gli offrii di aspettare che io mi facessi venire a prendere; acconsentì con entusiasmo.

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       Stavo già componendo il numero ma Emanuele mi bloccò ancora una volta dicendo: - Ehi, guarda chi c'è! - Mi voltai e vidi Andrea, un ragazzo amico di amici che a dire la verità conoscevo ben poco, le parole scambiate tra me e lui si limitavano ai saluti; tuttavia in quel momento mi sentivo più che mai amico di tutti, tutti coloro che come me abitavano in quella città, tutti coloro che quella sera stavano come me tornando a casa e avevano un gioioso fuoco nell'animo. Ci salutammo calorosamente, e finì che venne a prenderci la madre di Andrea, portò a casa Manu e mi lasciò sulla strada di casa. Avevo ancora un chilometro e mezzo circa per arrivare a casa, in altri momenti mi sarebbe pesato ma quella sera era magica e mi avviai leggero e pieno di energì a.

       Certo, è bello vivere così, mi dicevo. E' bello seguire solo e unicamente i propri orari, le proprie fantasie. E' bello vivere al di fuori della massa che si sposta indolente tra aule e uffici e stazioni e fermate degli autobus; remare controcorrente e andare a spasso per le vie quando non c'è nessuno; partire quando gli altri arrivano e tornare quando loro partono; come diceva Eddie di Verona, camminare quando tutti ti corrono intorno e poi mettersi a correre di notte, così, per il puro piacere di farlo. Mi sentivo meravigliosamente fuori tempo.

       E questo è jazz, signore e signori.

       Non avevo ancora fatto cento metri verso casa che vidi uscire delle persone da una palestra, e mi parve di riconoscere alcune voci; avvicinandomi scoprii che avevo ragione, erano amiche mie che avevano appena finito una partita di pallavolo.

       - Ehi, ciao, ragazze - dissi; si voltarono a guardarmi, mi riconobbero e vidi nei loro occhi tutta la sorpresa di incontrarmi lì a piedi a quell'ora con una borsa da viaggio in mano. Subito la sorpresa lasciò il posto ai baci e agli abbracci - Dio, che bellezza, tutti quegli abbracci - e in men che non si dica mi caricarono in macchina e mi proposero di andare 122

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       con loro a mangiare una pizza in compagnia.

       - Perchè no? - dissi, e così partimmo e tra grandi risate e i soliti sguardi maliziosi e le battute passarono quasi un altro paio d'ore prima che io giungessi a casa - nessun problema, non mi aspettavano - pescai le chiavi nel fondo dello zainetto e mi infilai silenzioso su per le scale e infine entrai nel mio vecchio appartamento con la stessa maestosa soddisfazione di quando torni a casa dopo lunghe vacanze. Era tutto buio, ovviamente; appoggiai le borse e mi tolsi i vestiti; recuperai una coperta e mi buttai a dormire sul divano. Ogni altra spiegazione e saluto avrebbe dovuto attendere il giorno dopo.

       E mentre stavo per addormentarmi pensavo " Tutto è assolutamente perfetto, adesso. Tutto è assolutamente okay. " Com'è bello addormentarti quando sei felice.

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       Era Sabato ed ero a casa; un Sabato mattina d'Inverno avanzato che mi svegliò con i raggi di sole obliqui attraverso la finestra del soggiorno.

       Mia madre era già scappata al lavoro, l'avrei vista più tardi; i miei fratelli dormivano ancora.

       Nel frattempo erano le dieci di mattina e ed ero in tempo per fare tante cose, solo che... non sapevo da che parte cominciare, o meglio, da chi cominciare. Sicuramente sarei passato più tardi a prendere Anna all'uscita di scuola, ma avevo questa fretta di vedere tutti e fare ogni cosa che cominciai furiosamente a pensare a chi potevo incontrare; mi venne allora in mente Giacomo, un amico con cui avevo smesso di uscire da prima di partire, ma eravamo rimasti affezionati ed era bello sentirsi ogni tanto per due chiacchiere liberatorie. Era un tipo piuttosto tranquillo e di sani principi, e ogni tanto mi faceva piacere confrontarmi con la sua stabilità, travolgendolo con il mio inquieto entusiasmo e facendomi tranquillizzare da lui; la sua regolarità era ammirabile, ma per quanto mi riguarda riusciva solo a convincermi maggiormente nelle mie scelte balorde; bene, era comunque divertente parlare con lui e così lo chiamai.

       Fortunatamente lo trovai. Gli dissi solo che ero a casa e che mi andava 124

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       di fare un giro e due chiacchiere, e lui acconsentì; proprio il genere di persona che è sempre pronta per te, e questo è così prezioso! Ci sono ancora persone affidabili a questo mondo, e Giacomo è uno di loro.

       Pochi minuti dopo piombavo sotto casa sua con la macchina di mia sorella e i Pearl Jam all'autoradio, ed era come nei vecchi Sabati prima di partire, tranquille luminose mattine piene di limitata soddisfazione, quando ti sembra tutto così piccolo fragile e a portata di mano che credi di non desiderare altro dalla vita.

       Giacomo non era cambiato; mi accolse con sorpresa moderata e cominciò subito a interrogarmi sulla mia partenza, quando, come, perchè, e che ci facevo a casa. Risposi in maniera più precisa possibile alle sue domande anche se - me ne rendevo conto - il giorno dopo alle stesse domande avrei potuto dare risposte completamente diverse. Lui rimase un poco perplesso soprattutto di fronte alla mia mancanza di progetti dettagliati, non capiva cosa intendevo quando gli dicevo che ero partito e ora chissà, vedevo dove mi portava il destino; ma del resto era proprio così, accidenti.

       Girammo un poco per la città con una breve passeggiata nel centro storico, io mi guardavo intorno riscoprendo i luoghi e intando gli chiedevo notizie su di lui e su tutti gli altri, quelli di cui sapeva qualcosa; mi parlò di un paio di matrimoni in vista e la cosa mi fece rabbrividire - ovviamente ero invitato anch'io. Mi disse delle solite partite a calcio e disse - Oggi giochiamo, vuoi venire? - e io risposi che probabilmente sì, era una buona occasione per rivedere un po' di gente e senza dover parlare troppo, visto che saremmo stati impegnati a giocare.

       Ci fermammo ancora a parlare dentro a un bar davanti a un cappuccio fumante e due o tre cannoncini, come vecchie signore che chiacchierano di cosmetici; cercavo di farmi dire ogni possibile cosa che mi fossi perso in quegli ultimi mesi, ero terribilmente curioso e 125

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       ansioso di sapere tutto, volevo al più presto sentirmi come se non fossi mai andato via e sapevo di poterlo fare, perchè Brescia lavora veloce ma per il resto è lenta, e non ci vuole molto a recuperare il tempo perso, oh sì, questo lo sapevo.

       E allora dimmi tutto, Giacomo; solo che rapidamente, tra le nostre infinite chiacchiere e una dolce sensazione di un'amicizia rinata, passammo mezzogiorno; lui doveva andare a casa e io a prendere Anna. Lo salutai e lui mi disse, con la sua solita discrezione: - Be', allora, se ci sei oggi a giocare ci vediamo lì... altrimenti, be', ci vedremo, sì.

       - Sicuro - gli risposi; sicuro non lo ero, certamente, ma lo meritava.

       Be', al diavolo, non era frenetico artista poeta come la gente di Bologna ma era sicuramente un buon amico, quello lo era proprio sul serio.

       E corsi alla scuola di Anna, e stavolta c'erano i Supergroove insieme a me, che cantavano " I think about you", e io cantavo con loro, ed era un Sabato mattina davvero emozionante.

       Giunsi in un parcheggio poco distante dall'uscita di scuola, sulla strada che lei faceva per andare a prendere l'autobus; cominciai a vedere la gente che usciva da scuola, i ragazzini con i loro giganteschi zaini, ansiosi per la partita a calcio del pomeriggio; le ragazze che si sarebbero affrettate a correre a casa, a mangiare e poi a farsi belle per uscire; i ragazzi più grandi con lo zaino a tracolla, e la tranquillità di chi si sente ormai troppo grande per correre. Già, volevo dire a quelli, aspetta qualche anno ancora e vedi se non ricomincerai a correre, piccolo mio... Era una scoppiettante uscita di scuola piena di attese e di speranze, come è sempre il Sabato; ancora di più con quel sole che brillava, e la temperatura tiepida che sapeva di corse in bicicletta o entusiasmanti gite primaverili, e amore. I ricordi di mille Sabati mi 126

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       assalivano nel frattempo, come quando correvo a casa a preparare le feste, le feste che negli ultimi anni di scuola organizzavamo ogni mese o poco più, quelle feste in cui succedeva di tutto, diavolo... i Sabati quando accompagnavo qualche amico fino in stazione, e intanto parlavamo di tutto, di libri, di viaggi, delle ragazze più belle della classe, di tutto quello che avemmo dovuto fare insieme... oppure quel sabato - me lo ricordo particolarmente bene - in cui ero sceso dall'autobus in pieno centro, e avevo camminato per quelle strade che entro due ore sarebbero state brulicanti di ragazzi, ragazze, famiglie, coppiette; mi ero goduto l'innaturale pace, il silenzio, la solitudine, le vetrine chiuse, la quiete prima della tempesta.

       Ma i ricordi vengono spazzati via come da un tornado, eccola, la mia Anna: eccola nel sole, brillare bella più che mai; ecco il suo giubbino, lo stesso che aveva il giorno che sono partito, e ancora la mia sciarpa nera; ecco i suoi occhi che sorridono mentre scherza con le compagne; ecco i suoi capelli lunghi mossi appena da un leggero vento; ecco la sua camminata composta, chiusa, quasi trascinata, ecco il suo largo sorriso. E' piena di vita, è vera, e sono tremendamente orgoglioso di lei.

       E' tutto per lei questo momento; il cielo stesso non è altro che la sua cornice; tutto ciò che riesco a pensare è " Dio santo quanto è bella".

       Così sono emozionato mentre esco dalla macchina e mi metto sulla sua strada, e non riesco a trattenere un largo sorriso quando vedo che mi riconosce - c'è tutto lo stupore sul suo viso; è uno stupore così pieno di gioia che mi commuove.

       - Non dovresti essere a Bologna, tu? - dice sorridendo mentre mi viene incontro con passo rapido.

       - Be'... invece sono qua - è tutto quello che riesco a dire, ma evidentemente non ha bisogno di altre spiegazioni; in pochi secondi è lì addosso a me, e ancora il suo profumo, Dio mio, la bacio e poi ci 127

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       stringiamo forte forte per qualche attimo, senza altre parole. Poi ci separiamo e ci guardiamo.

       - Ciao -, mi dice dolce. Io nemmeno le rispondo, la guardo e basta.

       Credo di avere gli occhi che brillano, già.

       - Questo è Ivan - dice poi girandosi verso le due ragazze che camminavano con lei. Vedo un sorriso malizioso comparire sul loro volto e capisco che deve aver già parlato di me; non posso fare a meno di sentirmi lusingato, diavolo.

       - Vieni, ti porto via - le dico: e poi l'abbraccio ancora, e mi chiedo -

       accidenti, perchè dev'essere così bella? In questo momento sento che nulla potrebbe portarmi via da lei, nessun sogno di gloria. In questo momento sento di essere così pazzo di lei che tutto il resto può andare a farsi benedire.

       Anna saluta le amiche e monta in macchina, io riaccendo i Supergroove e canto e le spiego che ho deciso di venire a fare un giro per vedere come tira l'aria; non le accenno ai miei dubbi perchè ho paura che ci si potrebbe infilare e agganciarmi per sempre; ma non dev'essere così, accidenti, che già questa fanciulla mi trattiene abbastanza senza fare o dire nulla di particolare, semplicemente per il fatto che c'è.

       - Quando riparti? - mi chiede quasi subito, timidamente.

       - Lunedì, penso - rispondo, e vorrei dire qualcos'altro, tipo, non ne sono sicuro, potrei partire domani o la settimana prossima oppure mai... ma è meglio che io non dica nient'altro.

       Ci lanciamo nel traffico confuso e io sono costretto a fare acrobazie perchè mi giro continuamente a gaurdarla; e fermi a un incrocio sto guardando se posso partire ma lei mi è addosso e mi bacia piena di passione e io rido, rido, la macchina dietro suona ma non importa, io rido perchè una ragazza così se ti va bene la trovi una volta ogni dieci vite o giù di lì; le dico cosa facciamo oggi e domani e lei risponde di 128

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       lasciarla studiare un poco oggi pomeriggio, così stasera e domani può uscire. Per me va bene, così il pomeriggio giocherò a calcio.

       E' okay: siamo a casa sua. Mi guarda qualche attimo e mi dice: - Sono così contenta che tu sia qui.

       Io ci penso su un attimo e le rispondo: - Anch'io sono contento di essere qui -. Ed è la pura verità, anzi, non è niente in confronto a quello che sento, come una fiammella di Bic scarico confrontata con il Great Fire of London.

       Nel pomeriggio dunque ero al campetto a giocare a calcio, con un paio di pantaloncini azzurri che una volta erano pantaloni di una tuta, e una bella vecchia casacca verde; e le mie care scarpe da calcio che stavano facendo metri cubi di polvere. Era tanto che non facevo una bella partita, e ne avevo una gran voglia; ma fu anche l'occasione per rivedere un sacco di gente, alcuni che conoscevo appena, e tutti comunque mi accolsero a domande e grandi pacche sulle spalle, come amiconi, e c'era questa allegria nei loro occhi che mi commosse.

       Ah, giocare a calcio, come sa di quartiere, di piccole cose: i grandi spiriti e i grandi artisti non giocano a calcio, di solito - e non sanno cosa si perdono. Cominciare bestemmiando per il freddo e poi dopo due azioni già non lo senti più; il sole è pallido e basso è da fastidio, invece che scaldare; ma la sua luce alza comunque il morale, come a dire che la primavera non è poi così lontana. L'erba è scivolosa e dura, fa più male quando cadi, cazzo, ma così ci sentiamo più veri, dannatamente più veri. E non importa se tutto attorno ci sono condomini di mattoni scuri e balconi ingombri invece che spalti gremiti, quiete famigliole provinciali e madri che puliscono la casa invece che tifosi urlanti; poco importa, il pallone è lì e quando c'è un'avversario da scartare, l'adrenalina sale comunque.

       La partita fu divertente ed emozionante, come al solito non avevamo 129

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       perso l'abitudine di dannarci come disperati, come bambini, e litigare su ogni fallo, e tutte queste cose; ma eravamo tutti troppo allegri per incazzarci veramente, e io e Giacomo eravamo due assi, ci intendevamo a meraviglia grazie ad anni e anni di partite insieme.

       Bene, alla fine della partita ero distrutto ma terribilmente soddisfatto; soprattutto avevo dimenticato ogni dubbio e ero deciso di buttarmi a capofitto in ogni cosa che potessi fare a Brescia, almeno per quel poco tempo che sarei rimasto. Così salutai tutti e mi chiesero di farmi vedere quella sera in almeno cinque posti diversi; e io risposi di sì a tutti - be', come al solito, insomma. E andai a casa di nuovo carico e scoppiettante, e mi sembrava strano sentirmi così anche a Brescia; tanto meglio.

       Avevo ancora voglia di fare, mentre mi avviavo verso casa, e proprio sulla strada incontrai Dario con una ragazza; era un tipo che conoscevo da secoli perchè abitava vicino a me anche se non avevamo mai passato tanto tempo insieme; ma ora chissà perchè mi salutò con entusiasmo e mi chiese tutto; prima di rispondergli gli dissi cos'aveva intenzione di fare prima di cena e lui disse che pensavano di andare a fare un giro in città.

       - Cazzo, vengo anch'io - gli dissi - Dammi quindici minuti per cambiarmi.

       - Okay - rispose. - Ah, questa è Francesca - aggiunse poi accennando alla ragazza; questa ragazza aveva lunghi capelli castani poco più chiari di quelli di Anna; il viso leggermente allungato e un naso appuntito che non stonava più di tanto; quello che rubava l'attenzione erano i suoi scintillanti occhi azzurri.

       - Molto piacere, ti darò la mano più tardi perchè ora è sporca.

       - Va bene - disse lei, e il suo tono di voce mi piacque molto, così, istintivamente. La guardai ancora una frazione di secondo e, diavolo, era proprio carina. Li portai su a casa mia mentre mi lavavo e 130

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       cambiavo in un lampo, passando disinvoltamente davanti a Francesca in boxer; quindici minuti dopo ero pronto, e partimmo.

       Sì, sì: centro storico di Brescia il Sabato pomeriggio, pieno di gente anche se il grosso è ormai passato, in queste romantiche ore buie del tardo pomeriggio illuminate dai lampioncini; è l'ora dei fighetti, di quelli che escono da scuola lentamente, o di quelli che già lavorano; delle coppiette e dei gruppi di amici che andranno a mangiarsi una pizza insieme; delle feste di addio al celibato o al nubilato o al militare che deve partire; o di quelli come me, che credono che non sia mai troppo tardi per una passeggiata in centro Sabato pomeriggio, che anche le sette vanno bene per partire. Non è che sia necessario stare qui tanto, per godersi l'atmosfera; non sono necessarie quindici vasche su e giù per i portici di via IV Novembre e avanti e indietro per Corso Zanardelli; non è necessario evitare le bambine che vanno in giro a braccetto a gruppi di due o di tre, o i ragazzi che camminano baldanzosi e guardano dritta negli occhi ogni femmina che vada nella direzione opposta, o che sia ferma in parte alla fiumana di gente. No, basta camminare un poco per Corso Magenta e passare davanti alle librerie, fermandosi a vedere tutte le copertine più belle; oppure avventurarsi nella zona che io preferisco, risalire i portici fino in fondo e poi attraversare piazza Loggia e magari c'è qualcuno che suona o che parla in mezzo alla piazza, altrimenti sono i piccioni ad occupare il pavé; prendere Corso Mameli e sbirciare nelle duemila vetrine diverse e su verso le finestrelle pensando " che bello dev'essere abitare qui"; ascoltare la musica che esce dai bar e dai negozi di abbigliamento, evitare i tappeti ingombri di ogni assurdità dei venditori ambulanti; giù, accanto all'università e ai negozi di scarpe; giù fino alla fontana e ai motorini parcheggiati; e poi ancora Corso Garibaldi, se hai voglia di camminare; e ti giri per tornare indietro quando ormai è già ora di 131

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       andare a casa, arriveremo in ritardo anche stavolta ma scusami, mamma, non guardavo l'orologio. Già, sì, adorabile Sabato pomeriggio. Sono le otto quando entro in casa, e nemmeno mi sono tolto il giubbino che suona il telefono: è Anna. Al bar alle nove, okay.

       Sì, ci sono tutti. Meglio, ho una gran voglia di vederli.

       Insomma in casa ci si sta giusto il tempo di mangiare e salutare, e poi via, via, via che è Sabato sera e ce n'è solo uno a settimana, accidenti.

       Via.

       Entrai nel bar con notevole imbarazzo ed emozione. Era quello il bar dove si trovava la mia pseudo-compagnia negli ultimi due anni, un posto che aveva cominciato a nausearmi quando aveva trasformato le nostre abitudini: dapprima ci si trovava lì, una partita a pincanello e poi si partiva; poi, col tempo, avevamo cominciato a passarci ore e ore, e li scoprivo a fare interminabili partite a briscolone e gridavo dentro di me: - A VENT'ANNI? CRISTO!

       Quelle erano le sere in cui scappavo alla ricerca di qualcosa di meglio, e, santo cielo, non l'avevo trovato; quelle erano state le prime avvisaglie della mia fuga. Avevo smesso di farmi vedere, per un pezzo, era stato quando avevo cercato di rifugiarmi in Anna.

       Così ora c'è questo imbarazzo, in un certo senso mi sento idiota a farmi rivedere qui dopo aver disprezzato tanto questo posto; ma tutti mi salutano allegri e questo mi dà fiducia, insomma, sono sempre tutti qui e non è cambiato molto e questo può apparire negativo e statico ma adesso non ho voglia di nient'atro che rivederli tutti e rispondere alle loro domande e farmi raccontare tutto ed essere grande amico anche di quelli che a malapena conoscevo, prima; e così sento questo grande entusiasmo dentro e tutti lo vedono e partecipano; saltiamo su tre macchine perchè stasera siamo davvero in tanti e mi sento parte di loro e anche qui c'è euforì a, anche se siamo diretti in qualche posto 132

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       banale pieno di paesani pieni di gel e giacche di pelle, ma non importa, ci sono io e ci sono i miei amici e c'è un autoradio che pompa e mi lascio prendere senza dubbio; va tutto bene; Anna capisce che ho voglia di stare con tutti e mi lascia libero; beviamo e fumiamo e c'è questa grande esplosione e voglia di strafare come è sempre il Sabato sera nelle città provinciali, che durante la settimana non sanno fare altro che lavorare e dormire; bene, posso farcela ancora a divertirmi come in fondo ero riuscito a fare diverse volte nella mia esistenza bresciana; d'accordo, esplodiamo patetici come cani chiusi in un recinto ai quali è concessa un'ora di libertà in un prato e li vedi correre e correre seguendo qualsiasi cosa si muova oppure anche senza seguire niente, facendosi scoppiare i polmoni per tutto il tempo in cui sono rimasti chiusi a mugolare; okay, ho voglia di essere proprio così, stasera.

       Eppure c'è qualcosa di più. Si parla in macchina di suonare, c'è Gigi che vuole cantare e Alex che suona la chitarra, e progettano di passare l'estate suonando per le strade sul lago, ed è un'idea, Cristo, è un'Idea e allora vuoi vedere che questa gente si è svegliata? Vuoi vedere che è arrivata anche qui un po' di fantasia? Sono tutti stupendi stasera, c'è Dario che canta e Francesca che ha gli occhi azzurri più belli che mai e ogni tanto mi guarda per un istante di troppo mentre magari Anna guarda da un'altra parte, ed è proprio una dolce sensazione questo scambio di sguardi muti intrisi di parole troppo meravigliose per essere dette; c'è Samuele che abbraccia Simone e poi gli parla delle stelle, e tutti si mettono ad ascoltarlo perchè lui è uno che racconta bene e quasi me n'ero dimenticato, ma ora sono lì che lo ascolto insieme agli altri. C'è questo gruppo che suona e mi fa sentire un po' di tutto, da Vasco ai Rolling Stones, da Otis Redding a Zucchero, e questo kaos è grandioso.

       Be', che ne dite se questa sera non finisse più?

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       Più tardi torniamo al parcheggio ma non è una di quelle sere in cui ce ne stiamo malinconici a balbettare qualche parola con la radio accesa; scendiamo dalle macchine anche se fa freddo e balliamo e ridiamo e facciamo casino senza badare più di tanto al fatto che sono le due di notte (e Gino è là, ovviamente, che guarda la tele: un tizio che immancabilmente è lì davanti allo schermo acceso che emana la sua luce blu, ogni volta che ci troviamo al parcheggio) e tutte le ragazze sono giù dalle macchine e questo è davvero eccezionale, gente. Sì, insomma, alla fine smetto di ridere e di scoppiare solo quando ci lasciamo davanti a casa, okay. Buonanotte, buona piccola grande notte; e sappiamo che inizierà molto tardi, domani, vero?

       Già, inizia tardi la Domenica ma non COSI' tardi, balzo giù dal letto che sono le undici e c'è ancora tempo prima di pranzo per un aperitivo come i grandi, in compagnia dei reduci che si sono alzati più presto - i migliori, insomma, quelli che vanno a dormire tardi e si alzano presto e magari talvolta non dormono per niente e non sbadigliano mai, fantastici come fuochi d'artificio; si passa a casa a mangiare e una cifra di telefonate subito dopo, c'è un magnifico pomeriggio da organizzare: si può iniziare con due tiri a pallavolo, perchè no? Anna lo adora. Allora ecco che siamo al campetto e c'è Anna e Dario e la sua amata Francesca che però non gioca, guarda soltanto; c'è pure il vecchio Samuele e Simone, quello più bello del gruppo; c'è anche Marcello che è in licenza dal militare, e poi altri - sono tutti adorabili, oggi. Dopo una sudata e qualche risata - è troppo tempo che non giochiamo - tutti a casa a cambiarsi e via a fare una passeggiata in centro e ci sono tutti, accidenti, poi passiamo dal nostro amico gelataio e lì tiriamo l'ora di cena; e tutti quelli che possono mandano la mamma a farsi benedire e si fanno una pizza in compagnia: io sono con loro, ovviamente. Non credo di voler perdere un solo istante. E la 134



  

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