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 Benaresyama 4 страница



       E così i due ragazzi ignari prima di rendersi conto di cos'era successo si ritrovarono con un mucchietto di neve tra i capelli, che sciogliendosi bagnava il viso e scendeva nel collo. Dopo qualche gridolino isterico si avvidero dei colpevoli - noi, che intanto li guardavamo sorridendo soddisfatti come certi gatti che hanno appena rubato un pezzo di carne in cucina e ti osservano leccandosi languidamente i baffi e sembra quasi che ti prendano in giro - e ci assalirono con una valanga di neve buttata con mani e piedi.

       Cominciammo allora a correre per tutta la piazza, dentro e fuori dai portici, con il fiatone che creava grosse dense nuvolette nell'aria gelida tra un fiocco e l'altro, spargendo neve su marciapiedi finestre selciati, contro vetrine e cabine telefoniche, mentre risuonavano le nostre risate e gli urli, allegri e incoscienti come bambini. Mi stavo divertendo come un pazzo, e gli altri non erano da meno; saltavamo le catene e i paletti e ci nascondevamo talvolta dietro le colonne, davanti alle vetrine della copisteria e della libreria.

       Ci ritrovammo a lanciarci palle di neve da un lato all'altro della piazza, e in poco tempo altri ragazzi e ragazze si unirono da una parte e dall'altra a questa folle confusa battaglia; gli studenti più seri si 54

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       limitavano a passare ai bordi guardandoci male come per sfidarci a colpirli con i nostri bianchi freddi proiettili. Ma io mi limitavo a ricambiare il loro sguardo con tutta la mia gioia e il mio inspiegabile infinito affetto; e ad un tratto ero lì che mi preparavo a lanciare un bel colpo verso qualcuno quando improvvisamente venni colpito in pieno volto da una manciata di fredda neve; mi ripulii mentre alcune malefiche gocce si insinuavano dentro il mio collo e mi girai poi verso lo schieramento opposto dove vidi questa ragazza che esultava, questa perfetta adorabile sconosciuta, un bel visino chiaro e i lisci morbidi capelli scuri raccolti in una coda, e un pesante giubbotto color terra arida con righine verticali di stoffa sopra i pantaloni larghi scuri e un paio di anfibi: ricambiò il mio sguardo sorridendo e facendo un gesto di innocenza. Io rimasi interdetto, mentre lei si avvicinava spalancando i suoi splendenti occhi verdi e diceva: " Be', non vorrai colpire una ragazza, vero? ". E io non dissi niente ma le sorrisi ancora e la guardai mentre mi superava e se ne andava per via Zamboni girandosi ogni tanto per precauzione. Questa poi...

       L'epica battaglia volgeva al termine. Il nostro respiro si era fatto pesante; gocce di neve sciolta mi colavano dai capelli sul viso e un paio di goffe scivolate mi avevano inumidito i jeans, e lo stesso era successo ad altri. Decidemmo allora di fare una tregua e di andare al Piccolo Bar a scaldarci e curarci le ferite, questo piccolo infreddolito ingenuo esercito di matti. E lì cominciai a conoscere meglio i miei primi nuovi amici, quelle matte persone che ero venuto a cercare - e ora, a quanto pareva, avevo trovato.

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       Bologna sotto Natale è uno spettacolo, come una splendida donna tirata a festa; è piena di luci e di colori, di musica e di profumi caldi e voci e pianti di bambini e risate e le porte dei negozi che si aprono e si chiudono e le commesse che addobbano le vetrine e la lunga onda di luci che scende dalle due torri come un trampolino di quelli per il salto con gli sci e atterra sulla frenetica affollata via Rizzoli traboccante di anime passeggianti; tutti stanno cercando i regali per i propri cari, i genitori per i figli, i figli per i genitori, poi i fidanzati più giovani con paura ed entusiasmo, i gruppi di amici e di amiche che entrano festosi e allegri nei grandi magazzini scherzando tra loro e con i commessi; le signore si provano cappelli e guanti, mentre le figlie le guardano divertite e intanto pensano a come vestirsi per la festa dell'ultimo dell'anno, quando ci sarà un cuore da rubare; i bambini si perdono in mezzo ai vasti reparti giocattoli tra tastiere elettroniche e robot luminosi e piste elettriche e modellini e videogiochi e bambole e case e biciclette e palloni; e poi fuori assillano la mamma con i loro lamenti e desideri; intanto qualche coppietta gira abbracciata stretta per proteggersi dal freddo e si ferma ad ogni vetrina e magari sognano insieme davanti a un negozio di arredamenti con un bel letto 56

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       matrimoniale in vista, poi si baciano teneramente e riprendono la loro passeggiata; bande di ragazzi più giovani battono rumorosamente i marciapiedi parlando degli ultimi fumetti acquistati e di fare un salto in sala giochi; gli universitari girano in gruppetti rilassati di due o tre persone con i loro giacconi pesanti e affollano le librerie e immancabilmente escono con due o tre libri sotto braccio, prima di lanciarsi a comprare i regali per tutta la famiglia, che fra pochi giorni torneranno a casa; e poi ogni minuto c'è qualcuno che si incontra e si scambia baci abbracci auguri inviti a pranzo mentre le ragazze si chiedono a vicenda dove passeranno la notte di San Silvestro; decine di bancarelle affollano i portici e c'è chi vende maglioni guanti sciarpe, chi cassette e dischi, chi libri e fumetti usati; chi chiede un aiuto per questa o quella associazione; chi raccoglie firme per un partito o per un referendum; chi chiede dei soldi e basta; chi nemmeno li chiede ma appoggia il suo malconcio cappello per terra e si abbandona contro il muro guardando sconsolato e triste i passanti.

       Io sono lì in mezzo e vedo tutto questo e molto ancora: vedo gli occhi azzurri di quella ragazza che brillano di gioia mentre chiama qualcuno da una cabina telefonica tra improvvisi scoppi di ilarità e di emozione mentre un'amica l'aspetta fuori; vedo la barba attorno al sorriso orgoglioso di quel padre che tiene per mano i due figlioletti piccoli, oggi niente lavoro, oggi esistono solo i suoi due piccoli amori; vedo lo sguardo curioso di un bimbo che vede il mondo dal suo passeggino e prova a cercare di capire cosa può riservargli il futuro in questa pazza colorata rumorosa esistenza cittadina; vedo il passo affrettato della signora che ha ancora del lavoro da finire, prima di poter tornare a casa, dare un bacio affettuoso a suo marito e stendersi sul divano a riposare, che stamattina è uscita di casa presto quando ancora il sole doveva sorgere; vedo il fumo della sigaretta del conducente dell'autobus mentre aspetta annoiato appoggiato a una colonna che 57

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       arrivi il suo turno di lavoro alla fermata del 14 - non vede l'ora di iniziare anche se sa che ci sarà traffico e ressa e confusione e vecchie con le borse che chiedono di scendere e giovani schiamazzanti, ma questo è il suo lavoro e lui ama il suo lavoro; vedo la faccia triste di un militare che gira solo malinconico in mezzo a tutta questa gente e pensa a casa, a un albero con sotto i suoi regali, a una ragazza che sta passeggiando in una città lontana e stasera penserà a lui prima di addormentarsi, e mentalmente le dice " A presto, amore"; vedo la cuffia colorata di una dolce piccola studente che passa insieme alle amiche e mi guarda un attimo e sorride e poi strizza l'occhio e io le mando un bacio mentre se ne va e sento le risate discrete delle amiche che fanno qualche battuta su di me. Vedo la vita e il calore della gente e la felicità e l'entusiasmo, vedo la tristezza e la solitudine, vedo l'amore e l'affetto e la paura e la nostalgia, vedo tutto questo: è quasi Natale, sotto questi meravigliosi portici di Bologna.

       E così non posso fare a meno di passare da casa e chiamare Ramon: è troppo bello questo pomeriggio di fine Dicembre per non assaporarlo, bisogna uscire, gli dico, bisogna andare per le strade a respirare la frenesia e l'odore della vita. E' quell'ora dopo il tramonto in cui tutti corrono e vivono di più, quando la gente ti avvolge per le strade con il suo calore e la sua fretta di esistere, quell'ora in cui ringrazi gli altri di esserci, chiunque siano. Noi passiamo guardando negli occhi e leggendo le storie e i sogni delle persone; passiamo chiedendoci dov'è la sorgente inesauribile da cui scaturisce tutto questa vitalità, tutta questa grandiosa coscienza umana dell'esserci e del provare emozioni.

       E' quasi commovente.

       - Ramon, non trovi che sia bellissimo? Intendo dire, per quanto possa sembrare venale e commerciale e superficiale, io dico, secondo me qui intorno c'è un sacco di emozione, di calore... e questo mi piace tantissimo.

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       - Sì, è proprio così. E' un periodo in cui senti la frenesia sulla pelle...

       c'è questa cosa strana, questa specie di... fretta gioiosa, fretta di essere felici... è tutto amplificato, ogni battito del cuore. E poi guarda come splende la città.

       E' davvero splendida, questa città piena di luci e di persone; è un angolo di perfezione. E così anche noi proseguiamo unendoci a questa specie di gioiosa fretta, e camminiamo veloci col sorriso sapendo di essere felici... come potremmo non esserlo? Mi sento in uno di quei pochi attimi di vera felicità che ci vengono concessi quando troviamo un delicato fragilissimo breve equilibrio tra le nostre conquiste e i nostri desideri; ci sono dentro in pieno e poi di nuovo l'incanto è rotto dalla mia sete di novità e porto Ramon per tutti i vicoli a guardare i suonatori ambulanti e le signore che ti vendono i dolciumi e caldarroste... guardo tutti gli alberi di Natale, piccoli, grandi, barocchi e spartani, veri e finti, di plastica, di carta, disegnati, argentati, innevati; e le insegne luminose e le pubblicità dei concerti e delle feste di San Silvestro, feste di ogni tipo, sì, sì, ho persino rabbia perchè vorrei fare tutto quello che si può fare, vedere ogni gruppo che suona, e ogni film di Natale, e partecipare a tutte le feste, tutto questo, e insomma c'è solo l'imbarazzo della scelta ma io non vorrei dover scegliere... e allora corro quasi e Ramon mi chiama e sembro proprio un cane a cui sia stato tolto il guinzaglio in un bel prato pieno di farfalle, torno da lui e lui ride e io gli dico: - Dai, Ramon, dai, che voglio vedere tutto, e lo voglio vedere entro stasera.

       Allora lui corre insieme a me attraverso piazza Maggiore e via D'Azeglio e poi beviamo e auguriamo buon natale alle ragazze e mangiamo una brioche e facciamo di tutto e quella che arriva è una dolce luminosa fredda sera, e domani è la vigilia di Natale.

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       La sera della vigilia Ramon mi portò a mangiare in un piccolo ristorante che conosceva. Quasi tutti i suoi amici erano tornati a casa per le feste natalizie, e così non rimanevamo che noi due matti fuggiaschi a spartire il Cenone; certo, eravamo comunque una famiglia visto che la parentela c'era, una nuova piccola splendida famiglia.

       C'erano decine di candele accese, su ogni tavolo e mobile e ripiano del locale; luminose calde candele rosse con decorazione natalizie che brillavano della loro fioca luce e illuminavano il posto, oltre a poche lampade elettriche sulle pareti. E ci servì una splendida cameriera bionda tutta impacchettata nell'abito bianco e rosso, una divisa da lavoro in tema natalizio; una sportiva fanciulla che si rivelò essere una studente proveniente da Verona. Aveva l'aria di chi si divertiva un mondo.

       E' un pazzo lavoro è quello dei camerieri nei ristoranti. L'ho fatto d'estate in un ristorante all'aperto, quando c'è bisogno di più gente e allora il personale aumenta e accoglie anche altri ragazzi e ragazze, magari che vogliono occupare un po' di tempo e guadagnare un po' di soldi.

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       Il ristorante dove ho lavorato è in un bellissimo posto tranquillo non lontano dal centro città; una cascina ristrutturata a due piani, con un meraviglioso giardino ovviamente pieno di tavoli. In tutto c'è posto per quattrocento persone, più o meno. I proprietari di questo ristorante sono due persone, marito e moglie: lei, una scatenata matta signora, lunatica e spesso intrattabile durante il lavoro, tanto quanto poi dolce nei momenti di pausa; grida ai camerieri e ai cuochi e poi scherza con loro facendo la voce da bambina e saltellando in giro presa da momentanei attacchi di energia. Suo marito è un tipo tranquillo, che si muove silenzioso e sa rimproverare senza mai urlare. Lascia fare molto dell'organizzazione a Ivana, lui si occupa dei lavori di sistemazione del locale, oltre che di dare man forte alla moglie quando c'è da insegnare a qualcuno come si lavora. Ci sono datori di lavoro migliori, sicuramente, ma nel complesso non sono affatto male, basta saperli prendere.

       Hanno due figli che lavorano nel ristorante. Diana è la più grande di età, ma è una fragile piccola bellissima ragazza, con una folta cascata di capelli neri e occhi dello stesso colore. Riesce sempre a metterti in imbarazzo con la sua infinita dolcezza. Giovanni è regolare, un post-adolescente con tutto quello che gli serve per far bene nella vita, e si aggira per il ristorante con l'aria sicura di chi non ha nulla di cui preoccuparsi.

       E i camerieri... ce n'è per tutti i gusti. Ci sono i camerieri professionisti, quelli che fanno il lavoro a tempo pieno e ovviamente è uno spettacolo vedere come viaggiano sicuri e come riescono ad attirarsi le simpatie dei clienti; al contrario dei novellini come me che macinano chilometri perchè si dimenticano sempre qualcosa, e sorridono e parlano in fretta e cercano di nascondere la tensione, e appena hanno un attimo si fumano furiosamente una sigaretta.

       Fra i professionisti c'è Carlo, che ama gli uomini, ed è il primo che ci 61

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       scherza sopra: c'è sempre quando si esce dopo il lavoro, c'è fino a tardi, anzi, probabilmente non si perde un'alba. Poi c'è Gianni, impeccabile: non corre mai, sa sempre cosa fare, ed è lui che serve quando viene qualche cliente importante. Luisa è la più giovane, appena ventitrè anni ma sono anni ormai che fa questo mestiere, le piace da matti e si vede: non sta mai ferma finchè tutto non è stato fatto, tutto messo a posto, tutto sistemato. Dice che le piace l'attività, il movimento.

       Io le rispondo che si prova il vero movimento quando si fugge.

       E poi ci siamo noi, giovani assatanati pasticcioni che ci divertiamo come matti e non lo neghiamo. C'è la mia amata Clara, una pallida ragazzina con occhi tristi che mi dice delle sue malinconie e io le dico delle mie, e ci abbracciamo ogni volta che è possibile, nel via vai di piatti che entrano ed escono. Silvia è un'affettuosa chiacchierona che ti abbraccia e bacia con calore ogni volta che ci si incontra o ci si lascia... lei ci sa fare con i clienti. C'è Sandro che è un bel ragazzo e conquista quasi tutte le clienti. Siamo, qui, giovani pazzi che promettono disastri e grandi divertimenti per tutti.

       Ma il vero fulcro del ristorante è la cucina, questo posto di vapori caldi e forti odori, di pavimento unto e grida, e passi, e confusione. La prima persona che noti in cucina è il capo cuoco, Benedetto, che si occupa di dirigere il traffico e spesso in prima persona fa cuocere grandi bistecche fiorentine grondanti sangue, robusti pezzi di carne sfrigolanti sulle piastre bollenti; ma non è per questo che noti Benedetto, no; parlo di un cuoco gigantesco, alto quasi due metri e con la stazza di un atleta, che si aggira per la cucina con coltellacci e piatti cantando My Way e raccontando le sue avventure: senti la sua profonda voce che si leva in mezzo ai vapori e agli odori della cucina e dice di quando era nella savana e c'erano " te lo giuro, zanzare grosse come elicotteri... come elicotteri, davvero" oppure di quando è stato in 62

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       America e " i neri di San Francisco mi chiamavano brother", e cosi via, impressioni da tutte le città del mondo che ha girato, e ogni esperienza è racchiusa in alcune frasi tipiche che lui ripete di tanto in tanto e che per noi sono diventate citazione, da tirar fuori ridendo ad ogni chiacchierata quando mangiamo alla fine del lavoro o dopo, persi a passare la notte in qualche bar. Benedetto parla e dà ordini in continuazione ma senza gridare, sempre con questa sua voce profonda, risonante e impetuosa che ti avvolge; come il suono di un trombone, già, un trombone in carne e ossa, grande grosso e assolutamente indiscreto, non puoi fare a meno di notarlo. Lui è il capo qui in cucina, ed è proprio come ti aspetti che debba essere un capocuoco. Guai a contraddirlo, ma se lo ascolti attentamente ti farà sempre sorridere.

       Dall'altro lato dei fornelli c'è quell'altro cuoco veneto dalla faccia triste, Michele, tutto impegnato a buttar pasta gridando a destra e a sinistra, con le bestemmie che gli escono a raffica dalla bocca come acqua da una fonte, bestemmie per i camerieri che non sono abbastanza rapidi o che gli fanno gli ordini sbagliati, e bestemmie per quell'aiuto cuoco giovane sbarbato che non ha ancora buttato il riso.

       Sembra che reciti bestemmie invece che preghiere come se ne avesse un certo numero da raggiungere, come se fosse stato troppo buono durante i suoi primi quarant'anni di vita (segnati uno per uno sul suo viso stanco e duro) e ora dovesse recuperare; e così le sue bestemmie impudenti si infilano fra i racconti e i comandi di Benedetto.

       C'è poi un cuoco ciccione che fa patate e salsicce, con una barba sfatta e un viso rovinato e sporco, che tutto agitato grida cercando di imitare il capo cuoco, prendendosela con i camerieri e con l'aiuto cuoco; ma noi sappiamo che è un pallone gonfiato che abbaia e non morde, lo lasciamo parlare e talvolta lo prendiamo in giro. C'è poi l'indiano che si occupa delle grigliate e non lo vedi nemmeno tutta sera ma senti la sua voce che risponde " Okay" a Benedetto quando gli urla: " Peter! Vai 63

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       con due grigliate miste! ". Ho il sospetto che non si chiami nemmeno Peter ma se così lo chiama Benedetto... così è.

       Questo è l'equipaggio del ristorante: e le serate iniziano piano, fitte di tiepidi dialoghi mentre si preparano i tavoli, si taglia il pane, si riempiono i porta grissini, e così via: poi arrivano i primi clienti e vengono serviti con calma tra una sigaretta e l'altra, tra baci abbracci e un bicchiere di sorbetto o un lattina di coca-cola. Poi improvvisamente scoppia la bomba, il ristorante è pieno e allora vedi solo persone che corrono avanti e indietro, dentro e fuori dalla cucina, c'è confusione, caos, un maelstrom nel quale bisogna galleggiare intuendo risposte appena pronunciate, improvvisando gran sorrisi e meravigliose finte scuse con i clienti, rompendo le scatole ai cuochi e finendo sempre a litigare, lanciandosi battute e baci volanti mentre ci si incrocia; o facendo rapide proposte indecenti alle cameriere più carine; tutto questo per tre o quattro ore che corrono via veloci come un lampo, nel trambusto e nelle corse avanti e indietro... poi lentamente la situazione si calma, come il riflusso lento delle acque dopo un alluvione; cominci a sparecchiare tutti i tavoli rimasti liberi, e a raccogliere le oliere; ti fermi a fumare una sigaretta e intanto conti le mance; incontri gli altri con lo stesso tuo sguardo, stanco ma sereno, e ci si scambiano splendidi sorrisi senza parole. Poi si liberano i tavoli più vicini alla cucina perchè ora tocca a noi mangiare: nel frattempo è quasi mezzanotte e solo pochi clienti sono ancora nel ristorante, e comunque per la maggior parte hanno già preso tutto compreso il caffè, e se ne stanno lì a chiacchierare tra sbuffi di fumo godendosi l'aria fresca delle sere d'estate.

       E' bello questo momento, ci si ritrova tutti insieme dopo essersi incrociati solo per pochi secondi durante la serata; ci si siede al tavolo e vengono fuori le cose più belle, le frasi più dolci, ma anche le discussioni più infuocate; ci si alza per mettere a posto qualcosa, poi ci 64

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       si risiede, e così via... ci si dà una mano per finire prima. E un'ora dopo si comincia a chiedere " Dove andiamo? Che si fa? ". Scopri chi va a casa, chi ha già un appuntamento, e poi via saluti i capi e parti...

       c'è una notte che ci aspetta e altri locali dove andare, il nostro lavoro è finito e questo ci fa sentire a posto con la vita, ora vogliamo solo assaggiare il succo di un'altra dolce notte di piccoli intrighi e di romantici silenzi a guardar le stelle, di giri interminabili sulle macchine e di mille piccoli gruppi che si fanno e si sciolgono, di sguardi segreti con le ragazze, di abbracci affettuosi e abbracci passionali e abbracci finti; sono lunghe ore di rilassata esplosione per scaricare la tensione, e nel frattempo arriva l'alba.

       Torni alle macchine, il gruppo si è assottigliato a poco a poco, come prendere acqua da una fontana con le mani a coppa e cercare di portarla via, invece man mano che ti allontani l'acqua cade, finchè non ne rimane più che un goccio, e a un certo punto apri le mani e le scuoti sconsolato, e anche le ultime gocce se ne vanno a morire a terra.

       Questa è l'alba di freddi saluti e poi si va a dormire fino al pomeriggio.

       Domani sarà un'altra pazza sera di lavoro.

       Questo è il lavoro dei camerieri.

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       Che dire? E' stata una paurosa esaltante impresa questo veglione di San Silvestro che mi ha stancato e riempito di gioia. E' iniziato tutto blandamente e sonnacchioso in una tarda mattinata innevata girando per le strade ad accordarsi con gli amici in compagnia di un pessimo raffreddore, con giusto il tempo di qualche partita di calcetto al bar prima di tornare a casa per il pranzo e subito dopo saltiamo in stazione a prendere un treno - ancora un treno - uno di quei trenini delle ferrovie secondarie, di quelli che ti portano sulle montagne vicine facendo duemila fermate e ci mettono tre ore a fare nemmeno cento chilometri, ma a questo punto non te ne frega niente e infatti ho passato un piacevolissimo viaggio leggendo quel meraviglioso libro di Anne Rice sul vampiro Louis e guardando fuori dal finestrino i piccoli animati paesi che passano e affacciandomi ad ogni stazione a salutare tutti ed augurare a tutti un buon anno e una buona serata soprattutto; poi arriviamo al capolinea che è un paesino come gli altri solo con un paio di bar in più e facciamo passare un'ora bevendo coca-cola e mangiando patatine, finchè è l'ora di prendere il pullman che ci farà fare la seconda parte del viaggio.

       Con quest'aria intima ci portiamo sul fondo dell'autobus e mi ricorda 66

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       troppo le gite scolastiche con i bulli della classe arroccati a fare meravigliosi progetti e proposte oscene alle donne nei sedili in fondo, lontani dagli sguardi indagatori e maleducati degli educatori. Il rumore dell'autobus diventa più lieve in mezzo alla neve, e in questo quasi silenzio e in questo buio che potrebbe spaventare arriviamo su fino alla frazioncina dove c'è quest'amico di Ramon, Claudio, che ha una casa di villeggiatura e ci ha invitato a una festa che si tiene nell'oratorio del paese. Certo, mi faceva un po' paura l'idea di una festa in oratorio ma pare che tutti i ragazzi del paese - che perlopiù sono villeggianti anche loro - e dei paesi vicini ci vadano con grandi aspettative così mi sono fidato e ho fatto bene, accidenti. Dunque arriviamo su che sono le otto circa, io, Ramon, una certa sua amica Laura e un certo Domenico: andiamo a scaldarci un attimo in casa di Claudio facendoci offrire un thè caldo e intanto chiacchieriamo e io mi limito quasi completamente ad ascoltare perchè sono molto assorto, specialmente mio cugino è uno spettacolo per me, quando lo sento parlare e mi costringe a star lì a bocca aperta ad ascoltarlo soffocando le risate. Ma sono contento: sono in quello stato “mu” di assenza di pensieri, né depresso né entusiasta, pacifico e in attesa degli eventi, e quando ho quest'umore la serata di solito trascorre bene.

       Un'ora passa in fretta e in un attimo sono le nove ed è ora di partire: usciamo tutti e cinque di casa, io e Domenico con camicie ben stirate per quanto sia possibile dopo il lungo viaggio e i pantaloni eleganti, mentre Ramon indossa una maglietta aderente sotto una giacca bordeaux che deve aver rubato così a occhio e croce dall'armadio di mio zio. Laura sta benissimo, piccola e magra com'è ma non troppo, con calze pesanti e una gonna lilla con lo spacco, una maglietta leggera leggera e una canottiera nera sopra, lei dice che non ha mai freddo e il cappotto lo usa solo per spostarsi ma come entra in un posto chiuso si spoglia e il mondo un po' la guarda.

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       Che ci sarà, mi chiedo, che ci sarà di speciale in questa festa? Entro subito dopo Claudio e scopro una sala tirata veramente a lucido e completa d'ogni genere d'arredo da festa, musica a volume alto abbastanza per coinvolgerti, " Fairground" dei Simply Red e questo già mi tira su il morale; vedo un paio di pinguini in giacca e cravatta scure su camicia bianca che vengono verso Claudio e lo salutano calorosamente, poi si affacciano verso di noi e con grandi sorrisi ci dicono di divertirci, che è tutto a posto. E io istintivamente rispondo:

       " Ci puoi giurare, che ci divertiremo. "

       E cosi è.

       Ho bevuto tanto ma non troppo, limitando i danni; ho ballato dance blues rock e ogni genere di musica perché quando ballo non c'è limite; e poi tre lenti con una splendida ragazza, Chiara, che così per gioco dopo esserci presentati ed esserci presi in simpatia è stata la mia ragazza per la serata, Una bionda con splendidi lisci capelli lunghi e così snella che ad abbracciarla troppo forte ti sembra di schiacciarla, ma irrefrenabile nei balli veloci e sensuale in quelli lenti con il suo corpicino pieno di vita; “meriteresti innamoramenti folli”, le dico mentre ci baciamo una volta sola e con più gioia che passione al termine di un ballo particolarmente stretto.

       E poi è arrivata la mezzanotte e ho fatto festa stappando una delle infinite bottiglie di champagne e siamo usciti abbiamo illuminato la strada innevata con mille piccoli bastoncini scintillanti, ed ero elettrizzato da tutta l'allegria di quei ragazzi; e al rientro ho baciato tutte le ragazze perchè lì c'era quella adorabile tradizione, che ci si bacia per farsi gli auguri: ho incontrato labbra morbide e dure, cedevoli e aggressive, bagnate di champagne o di saliva, rosse viola bordeaux, al gusto di fragola o di Adelscott o di Pinot o di cioccolata; labbra sexy e timide, labbra delicate e labbra invadenti. Poi mi vedo Chiara che mi guarda sorridente e cedo alle lusinghe e ci baciamo un 68

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       po' più a lungo. Ma per quella magica sintonia delle feste ci separiamo e ci vogliamo bene come prima, senza che nessuno voglia andare oltre. Anche tu con il cuore già altrove, piccola principessa? Be' non mi sorprende.

       E intanto mi batte forte il cuore, per la gioia e l'emozione. Mi sono divertito, beh, è così che dovrebbero essere tutte le feste, continuavo a ripetere agli amici - e tutti, ormai, erano amici. Questa è una festa, continuavo a ripetere anche a me stesso la mattina dopo quando senza essere andati a dormire ci siamo dovuti fare a piedi tutto il viaggio di ritorno fino alla stazione ferroviaria perchè il pullman è sospeso il primo dell'anno; e poi distrutti con gli occhi pesti abbiamo dormito sul treno e alla fine arrivati a casa che è di nuovo ora di pranzo ci siamo accasciati vinti felici sul letto e improvvisamente il black out.

       Mi sono svegliato che era già sera; Ramon già sveglio, siamo usciti a fare due passi e a fare gli auguri agli amici che non avevano passato l'ultimo con noi, abbiamo fatto passare ancora qualche ora in casa e poi sono tornato a dormire. Avevo iniziato il mio primo anno solare a Bologna, e l'avevo iniziato alla grande.

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       Una serata tra una birra al Celtic Druid e uno spinello in Piazza Maggiore, sì, ricordo l'inizio della sera blando cazzeggiare filosofico abbandonati sulle larghe poltrone nel vasto appartamento sull'aria dei Doors che riempiva le stanze, e poi un improvviso flebile alito d'energia preso al volo e in capo a dieci minuti scendevamo le ampie scale scivolose a due gradini alla volta, alla ricerca di amici con i quali passare una bella serata... non tutte le sere eravamo fuori, ogni tanto Ramon voleva stare in casa e anch'io tuttavia sentivo che non volevo buttarmi semplicemente a uscire come un indemoniato e insoddisfatto teen-ager, ma volevo godermi la magia delle serate veramente fuori dal normale, anche a costo che fossero una ogni tanto.



  

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