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 Benaresyama 7 страница



       Presto i discorsi cominciano a farsi pressanti, saltano fuori i ricordi e soprattutto di quando avevamo litigato prima dell'estate e di tutte le persone che ci avevano fatto da cornice per i mesi successivi, ed è così bello raccontarsi di nuovo, è un po' l'emozione del primo appuntamento con una ragazza quando scopri di avere qualcosa in comune e soprattutto scatta quella magia che ogni cosa che viene detta fa battere il cuore a chi la sente; tiriamo fuori i peggiori pensieri reciproci che avevamo fatto mentre eravamo lontani e ci ridiamo su per esorcizzarli. Ci siamo fatti male a vicenda, diavolo, e non è assurdo questo? Comunque sia tutto è passato, e ne avrò la conferma più tardi in stazione quando mi farà vedere la lettera con cui l'avevo abbandonata prima di sparire e mi dirà: " Non sai quante lacrime ho versato su questa". E per quanto mi riguarda, lei ha avuto la conferma di tutto quando mi ha ritelefonato qualche mese fa e io mi sono ributtato in lei con la cieca fiducia di un cucciolo, come se non mi avesse mai fatto piangere e soffrire e disperarmi senza capirla. Ma ora è tutto a posto, gente. E' così fantastico, questo.

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       Mi regala una cassetta mentre siamo a bere un cappuccio per riscaldarci dal freddo che in questo inizio di Febbraio morde ancora; una cassetta piena di canzoni tipo suicidio, ma l'ascolterò lo stesso duemila volte, già lo so; ci guardiamo tanto e parliamo poco e questo mi piace, anche se non riusciamo a resistere a lungo guardandoci senza scoppiare a ridere. Usciamo e ci avviamo su per via Marconi giusto perchè non importa dove andiamo; finiamo in piazza Martiri e lei si siede sulla panchina e io mi siedo accanto a lei, ma poi mi subito mi alzo mentre continuano le nostre parole - Dio mio, ci stiamo dicendo tutto, penso terrorizzato, e ci rimarrà ancora qualcosa da dirci dopo di oggi? - e allora ci vuole un attimo di pausa, le tendo le mani e le dico - Vieni qui - lei si alza e viene verso di me e io l'abbraccio e la tengo stretta ripetendo - Vieni qui, vieni qui. - Mi rendo conto con un brivido di essere più o meno nello stesso punto dove ho baciato Elena, poco più di una settimana fa. La stringo ancora più stretta, perchè ad un tratto ho paura di scoppiare a ridere.

       Ok, via. Maciniamo ancora duemila chilometri passeggiando nella folla coraggiosa di questa fredda Domenica pomeriggio, nelle strade giù dietro piazza Maggiore, sbucando in galleria Cavour a sognare di fare shopping lì sotto Natale, un giorno; nel frattempo i discorsi sono saliti di tono, sono più allegri e meno evocativi. Entriamo in una libreria e ci perdiamo nella contemplazione di qualche bel libro, e mi compro " La città e la metropoli" del vecchio Jack, vediamo cos'altro ha da insegnarmi; il commesso della libreria sfodera un sorriso per me

       - no, penso più che altro per la mia splendida Anna - e nel resto che mi dà c'è un biglietto da cinquemila lire su cui è scritto " Il Corvo"; lo faccio vedere ad Anna ed è un altro comune tuffo nel passato, all'ultima notte di Hallo We'en quando lei mi aveva truccato come il Corvo, appunto.

       - ogni volta che parlo di quel personaggio non posso sentire una fitta 104

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       di tristezza per il primo che l'ha interpretato e ci ha messo la sua vita.

       Non ti dimenticherò, Brandon -

       Ancora parliamo d'amore di ricordi di viaggi da fare schivando la massa mentre risaliamo per via Indipendenza, e siamo in stazione; ci sediamo in sala d'aspetto che tanto è presto e lì appunto mi fa vedere le mie lettere gelosamente custodite nel suo diario. Basta parlare che ci siamo già detti tutto, appoggia la testa sulla mia spalla e ascoltiamo in silenzio i nostri respiri, amore mio, amica mia. Di nuovo quella sensazione di essere indispensabili l'uno all'altra. E allora che ci faccio qui?, mi viene da chiedermi.

       Poi viene l'ora di partire e ci eravamo giurati di non dirci niente per salutarci e non ce la facciamo, e allora per evitare ulteriori equivoci ci baciamo che quello va sempre bene, e che diavolo. Quante smancerie: siamo proprio squallidi, dannazione; ma è così bello. Alla fine ci separiamo bruscamente e lei sale sul treno e io la saluto un'ultima volta poi mi giro e cammino via veloce, che paura ho addosso, e perchè?

       A casa mi rendo conto che avevo paura perchè c'è mancato poco che salissi su quel treno. Passa qualche ora mentre lei è in viaggio, io sono in camera che ascolto musica e penso alla giornata e penso che è stata bellissima, storica; vorrei poterla congelare da qualche parte e farla rimanere sempre così, Cristo, so che non ce la farò mai; già ci sto costruendo e ogni attimo in più che ci penso è un pizzico di purezza in meno, contamino già il ricordo. All'inferno, mi dico, vivere la vita vuol dire proprio questo, metterci del proprio. Guardo l'ora: sì, Anna dev'essere già arrivata a casa.

       Corro giù da basso volando per le scale, gli stivali picchiano veloci sull'asfalto mentre raggiungo la MIA cabina, la cabina da dove ho fatto quasi tutte le telefonate per lei; mi precipito dentro e faccio il numero, ed ecco la sua voce che mi risponde " Pronto? "

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       Già mi manca, dannazione.

       - Ciao

       - Ciao -, mi risponde ridendo appena.

       - Tutto bene?

       - Sì, tutto bene.

       - Okay, volevo solo sapere questo.

       - Sto bene, sì.

       - Allora, che pensi di oggi? Solo un'impressione, via.

       - Mi sono divertita. Sì, davvero.

       - Allora tornerai a trovarmi.

       - Sicuro, se mi vuoi ancora tra i piedi.

       - Oh, diavolo, no, figurati...

       E' bellissimo. Sono questi i momenti per cui viviamo.

       - Allora a presto. E buonanotte.

       - Guarda che...

       - Sì, lo so che non vai a dormire adesso. Ma io te la dò lo stesso, va bene?

       - Va bene.

       - Ciao.

       - Arrivederci.

       Clik. Sono di nuovo solo. Torno lento verso casa e non c'è più Bologna intorno a me, l'unica ubicazione che ha un senso è " 180

       chilometri da Anna". Ancora una volta: che ci faccio qui? Per distrarmi penso alle sue parole di tutto il giorno, e sorrido di tenerezza ripensando alla sua timida preoccupazione: " Se mi vuoi ancora tra i piedi".

       Oh piccola dolce Anna! Se ti voglio tra i piedi? Vorrei averti tra i piedi quando mi sveglio, aprire gli occhi e vedere i tuoi grandi e dolci occhi; vorrei fare colazione con te, vedere la tua faccia assonnata e imbronciata; camminare con te fino alla fermata dell'autobus e 106

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       gustarmi la tua camminata pigra e assente, con la testa china; vorrei essere in classe con te a scuola e girarmi ogni attimo a guardarti e farti ridere mentre sei interrogata e riempirti di bigliettini; tornare a casa e mangiare e dormire con te, e ascoltare musica e mettere un lento e ballare abbracciati al tramonto davanti alla finestra; portarti fuori la sera, farti bere e sentirti ridere con quella tua risata che colora il vento; tornare a casa tenendoti per mano; abbracciarti piano prima di andare a letto; e vorrei addormentarmi con ancora il tuo profumo addosso.

       Ti basta?

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       Così insomma passai una settimana un poco diversa dalle altre, Anna mi aveva prepotentemente riportato addosso il profumo di Brescia e io mi lasciai ripercorrere dai ricordi; ora che stavo bene e mi divertivo come un pazzo, quella piccola cittadina di provincia non mi sembrava nemmeno più così cattiva; e il pensiero di fare un salto a casa per vedere come andavano le cose cercò a lungo di sedurmi. In serate tranquille mi distesi a pensare e ricordare, pazzo, ora ovviamente tornavano in mente solo le cose belle, accidenti. Insomma, vado a casa? Pensai che avrei potuto fare un salto la Domenica successiva, non troppo, partire la mattina e tornare la sera. Era pericoloso, certo; ma anche interessante.

       Poi invece successe che il Sabato sera fu una serata grandiosa, partita piano e esplosa poi; c'erano, oltre a me e Ramon, Laura e Domenico; eravamo gli stessi del viaggio di San Silvestro. All'inizio non si sapeva che fare, così passeggiammo a lungo per il centro e ci infilammo in un pub a bere una birra, perchè almeno diamo un senso alla serata. Certo, è triste, c'era qualcosa di triste, io pensavo a casa e ad Anna ed ero spento, ecco la parola giusta, spento, e forse contagiavo anche gli altri con questa mia strana mancanza di entusiasmo; perchè a proposito del 108

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       fatto di stare in un bar a chiacchierare del più e del meno e poi uscire dal bar e fermarsi davanti alla macchina a chiacchierare ancora inutilmente e poi qualcuno propone di andare a bere ancora una birra e così si tira tardi come se tirare tardi fosse l'unica motivazione - certo, sì, piacevole - ma è così banale: non ne abbiamo bisogno, ci fermiamo a parlare perchè parlare è sacro che siano le due di notte o le tre di pomeriggio non importa, non lo si fa per perdere tempo, sono lunghe amabili meravigliose chiacchierate a proposito dell'anima e il tempo perde di signifiicato - e in genere poi partiamo SEMPRE e non ci fermiamo finchè non siamo distrutti, non c'è nessun orario.

       Insomma era triste stare in quella birreria a far passare il tempo come quelli che non ne hanno la nozione. Ci limitammo a discutere di qualche bel libro da leggere e dei diversi generi letterari e dei pregi e dei difetti di ciascuno di essi; Ramon che ovviamente teneva in mano la discussione, io che per distrarmi e per svegliarmi mi infilavo con rapidità nelle sue pause e a volte riuscivo a tenerlo inchiodato ad ascoltarmi (che gioia, pensavo in quei momenti, ero così orgoglioso e adoravo ancora più il mio maestro), poi ogni tanto sporadici interventi di Domenico e Laura, magari istigati da noi perchè non avevamo l'abitudine di cacciar fuori nessuno, no, tutti dovevano dire la propria, e non era la stessa cosa altrimenti. Insomma dopo qualche tempo chissà come avevo riacquistato il buonumore, tutti avevano riacquistato il buonumore, e allora decidemmo di partire a fare un giro in macchina perchè intanto faceva ancora freddo e poi la città era ormai troppo piccola per contenere l'esplosione di buonumore che ci aveva assalito. Va bene, via; prima un cornetto caldo farcito di morbida crema zabaione vaniglia cioccolato, buonissimo; poi via sui colli dintorno Bologna a gustarci il silenzio e l'aria gelida e le luci della città e le poche nuvole nel cielo sereno che apparivano argentate alla luce della luna; su da porta San Mamolo e poi tutto il giro lungo 109

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       fino a San Luca, fermandoci ogni tanto e gustarci la scena, in qualche curva spoglia e scarna che sarebbe potuta sembrare di qualche posto esotico di vacanze d'estate, se non fosse stato per le luci giù là sotto che ci salutavano come una cartolina. Laura ci guardava silenziosa mentre noi contemplavamo il cielo assorti e fumati; e ripetevamo in continuazione - E' bello, è troppo bello, è bellissimo - eravamo estasiati. Io in particolare ammiravo il bagliore delle nubi che prendevano forme strane, come una che era compatta e lentamente si allungò e si arrotondò attorno alla luna come se fosse una calda sciarpa per proteggere il pallido corpo celeste, la Luna, la regina della notte. La Luna è la Regina della Notte e le stelle sono le sue damigelle. Sotto di noi la città e dall'altra parte gli appennini. Eravamo in alto, abbracciavamo la padanì a.

       E in tutto questo tempo il pensiero di casa era sparito da me; tornammo in macchina e guidai ancora per le tortuose ripide viuzze dei colli, ogni tanto spegnendo i fari per godere la luce lunare; bene, scendemmo in città fumando e meditando in mezzo a un silenzio pieno di soddisfazione, accompagnai a casa i ragazzi e mentre ci salutavamo saltò fuori Domenico a dire - Andiamo a Mantova domani? - e io risposi - Okay -, parlando più che altro a me stesso, per avvertirmi che non se ne parlava nemmeno di andare a casa, il giorno dopo; che diavolo, Mantova non l'avevo ancora mai vista. E poi cosa perdevo? Gli abbracci di Anna? Le domande banali dei miei vecchi

       " amici"? Gli sguardi di disapprovazione dei parenti che sapevano della mia partenza? Niente insomma che non avrebbe potuto aspettare ancora qualche week-end.

       La mattina successiva ero avvolto in un abbondante rincoglionimento che mi aiutò a limitare i confini della mia coscienza e mi lasciò la capacità mentale appena sufficiente per vestirmi, evitare gli ostacoli 110

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       mentre vagavo come uno zombie per la casa nell'oretta successiva, colpito a intermittenza dalle finestre soleggiate; e poi affidarmi docile alla guida di Ramon che mi portò sano e salvo fino all'auto, e mi chiese: - Be', sei pronto, Ivan?

       Mi venne in mente la mia proverbiale risposta: " Io sono nato pronto".

       Ma avevo qualcosa tipo carbone sulle corde vocali e mi limitai a bofonchiare un " Sì " accompagnato da un leggero dondolì o del capo; riuscii a percepire poco dopo due persone che entravano in macchina e poi era di nuovo asfalto e un odioso luccichio del sole di quasi mezzogiorno, e poi calò nuovamente la notte.

       Poi eravamo in macchina e d'improvviso mi svegliai tra la musica degli US3 e le vocianti conversazioni di Ramon, Domenico e Laura. -

       Qualcuno ha qualcosa da bere? - Domenico tirò fuori da uno zainetto una bottiglia di thè freddo e me la lanciò; poche avide sorsate mi fecero rinascere.

       - Buongiorno, gente! - gridai allegramente mentre chiudevo la bottiglia; la mia voce era ritornata.

       - Oh, eccolo - replicò Ramon. - Bene, ora ci siamo tutti. Che mi dici, Ivan?

       Buona lì, mi ero messo in moto. Presi una cassetta dal giubbino e la infilai nell'autoradio; potenti tamburi ci portarono dritti nell'ombelico del mondo, e cantai a squarciagola per recuperare tutto il silenzio, e finita la canzone cominciai: - Dio, è così bello, siamo ancora in viaggio, siamo ancora noi, è troppo bello, questi momenti di grande amicizia... perchè viaggiare è stupendo e chissà, dev'essere bello anche viaggiare da solo (un giorno voglio provare) ma viaggiare insieme è emozionante, dividere le emozioni, capite? Sono così contento di essere qui con voi, adesso... sarà un'altra grande giornata, yessss.... - e andai avanti così per un po' a tirar fuori questi dolci pazzi sconclusionati pensieri che si addensavano nella mia mente, emersi 111

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       come relitti ora che la nebbia dell'incoscienza si era dissolta; continuai inciampando talvolta nelle parole, o ripetendomi, ma vedevo che i ragazzi si divertivano e così continuavo, volevo andare avanti fino a non avere più parole; e poi vidi mio cugino che Ramon mi guardava sorridendo ed era un sorriso orgoglioso - adorabile cugino mio - e pensavo, sto andando come un treno, e allora, bene, chi si ferma più?

       Arrivammo a Mantova e la giornata era splendida, quasi tiepida, un anticipo di primavera e già questo mi mandava al settimo cielo; poi c'erano queste famigliole padane che passeggiavano nei giardini del Palazzo Te e noi quattro matti che passavamo in mezzo cantando e gridando come un temporale d'Aprile; ero a sessanta chilometri da Brescia e dalla mia amata Anna ma con un sole così non c'era posto per nessun tipo di nostalgia, quella la lasciamo ai giorni di pioggia, quando le nostre lacrime si confondono con le gocce che scendono.

       Tutto bene, accidenti; uno di quei momenti di perfezione, e pensai che in quel periodo me ne capitavano un sacco, dovevo solo scegliere tra cose belle, cose fantastiche e cose ancora migliori, era un periodo divino - sarebbe durato per sempre? Non ci pensavo, era tanto bello che nemmeno avevo paura che finisse, e questo la dice lunga.

       Bene, entrammo nel palazzo dopo una sosta al bar dell'ingresso per un tradizionale cappuccio con brioche; lanciammo occhiate languide e sorrisini complici all'indirizzo della ragazza della biglietteria e poi eravamo dentro, e calò il silenzio, per un po'; eravamo estasiati dalle splendide decorazioni, varie da una stanza all'altra, piene di fantasia; la grande Sala dei Cavalli con questi sei meravigliosi animali che escono dai dipinti; quell'altra grande stanza con Diana e Apollo e i rispettivi carri immortalati dal basso, al tramonto quando uno se ne va e l'altra arriva; c'era ironia, avvertivo una gran voglia di divertirsi in quello o quelli che avevano decorato quelle stanze. Ci avvolse l'epica 112

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       scena nella Sala dei Giganti, dove ti senti esattamente al centro della confusione, quasi potresti pensare che un masso ti stia per crollare addosso; la stanza da letto decorata invece per notturni voli di fantasia nelle ore d'insonnia; e poi eravamo fuori, negli spogli simmetrici giardini alla Versailles.

       E c'era ancora una sorpresa in fondo, l'appartamento della grotta, una finta grotta costruita ad arte come se fosse un presepio a grandezza naturale, un giardino segreto, questa stanza che chissà quanti baci di coppie nascoste aveva ospitato - mi piacerebbe prendere Anna e venire ad abitare qua, pensavo - sì, insomma, facile, vero?

       Ma che accidenti me ne importava? I sogni erano solo miei, e tutto lì era possibile.

       Comprai due cartoline e ne spedii una a casa ed una ad Anna, poi eravamo lanciati verso il centro, in queste stradette un po' contorte e queste grandi case; e c'era un sacco di gente ed era bellissimo, così freddo e così vivo. Passeggiammo e visitammo librerie e balconi, tutto okay, gente, un altro viaggio ben riuscito.

       Più tardi mi ricordai che a Mantova c'ero già stato eccome, c'ero passato tempo prima con Adry - già, Adriano, il vecchio Adry, che era partito con me alle quattro di mattina di un giorno di inizio Agosto (era l'estate credo dei diciassette o diciotto anni) e Mantova Ferrara Ravenna eravamo arrivati fino a Rimini in cerca di un campeggio per le vacanze che avremmo dovuto fare di lì a un paio di settimane; un epico viaggio lungo l'alba della pianura padana, giù fino all'Adriatico, fantastico, con la mia moto, una 125 che a viaggiare in due per così tanti chilometri ti vengono i crampi al sedere; avevamo girato qualche campeggio ma poi ci eravamo stufati e ci eravamo lanciati in spiaggia a fare un bagno e a guardarci un po' di belle ragazze, le figlie delle nostre care famigliole che passano le vacanze negli alberghi dell'Adriatico, quelle ragazze che vengono al mare e chissà perchè 113

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       sono più allegre e si sa, al mare tutto è concesso; i fidanzati e le fidanzate chiudono entrambi gli occhi, quando uno dei due va in vacanza sull'Adriatico. Ma ecco che io e Adry non avevamo certo tempo se non di guardarle e sorridere e poi scappammo in sala giochi a goderci il fresco, e poi erano appena l'una o le due di pomeriggio, cazzo, era prestissimo ma noi giovani e innnocui, ancora inesperti viaggiatori, già sentivamo nostalgì a di casa, e ci dicemmo - Be', se partiamo adesso torniamo in tempo per fare una partita a pallavolo.

       Così via sotto il sole terribile del primo pomeriggio e dopo nemmeno un paio d'ore non ce la facevamo più; ci fermammo a Ferrara su una panchina in un parco, e poi a Mantova entrammo in centro e ci fermammo su una panca di marmo fresco nella vasta piazza della Lega Lombarda.

       Ma non ci fermammo a lungo; c'era sempre quella famosa partita di pallavolo che ci aspettava e allora via per l'ultima lunga tirata, quei sessanta chilometri ancora fino alla nostra cara amata Brescia che allora ci appariva piena di illimitate possibilità, pronta a soddisfare tutte le nostre aspettative; un'altra pausa per fare benzina - cazzo, quella moto aveva un serbatoio maledettamente piccolo e credo che ci fermmammo qualcosa come tre o quattro volte a far benzina in un viaggio di trecento chilometri - e ci fu questa scena che mi rimase impressa, dopo esserci bevuti una bibita fresca al bar del distributore ci eravamo seduti sul marciapiede per far riposare il nostro stremato fondoschiena, e forse Adry fumava e mi offerse una sigaretta, oppure era una coca, non ricordo, comunque sia eravamo lì in silenzio seduti accanto alla nostra moto sotto il sole di un pomeriggio d'estate ed eravamo così VERI; mi assalirono - e mi assalgono tuttora quando ci ripenso - visioni di motociclisti abbronzati alla Easy Rider, loro con i giubbotti di pelle e noi con i nostri di jeans scoloriti; loro con le borse borchiate e noi con un Jolly Invicta; ma che diavolo, la filosofia era la 114

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       stessa, e noi avevamo solo diciott'anni e tutto il tempo di fare così; insomma, mi sentivo un vero Easy Rider, un abitante della strada anche se a quell'epoca nemmeno avevo letto Jack - per essere precisi, nemmeno sapevo che esistesse un franco-canadese di nome Jack Kerouac che decenni prima della mia nascita aveva imparato a scrivere come un treno e a viaggiare in lungo e in largo per gli Stati Uniti, e a bere, e a flirtare con le cameriere di ogni locale e con le passeggere degli autobus che lo portavano da uno stato all'altro. Il sole luccica sul serbatoio; saliamo, ci infiliamo i caschi e i guantini tagliati; chiudiamo i giubbini, è il mio turno di guidare ora e Adry inforca lo zainetto e partiamo per l'ultima tortura ma il viaggio è anche questo, soffrire per il caldo e la stanchezza e il male al culo negli ultimi chilometri prima di casa, e avere questa pazza voglia di arrivare.

       Diavolo, che bei ricordi!

       Insomma a Mantova ci sono già stato, e ora sono passati quattro anni quasi e sono ancora qui, e arriviamo nella piazza dove ci eravamo fermati io Adry e la moto, solo che stavolta c'è un mercatino e ci perdiamo via a guardare statuette cartoline maglioni e quadri. Tutte cose inutili ed esageratamente belle, diciamo come la maggior parte delle cose che ho fatto in vita mia. Ci fermiamo per una calda dolce cioccolata in una pasticceria giurando che torneremo un altra volta per visitare il castello; poi ci avviamo verso la macchina ed è già quasi buio quando partiamo, guarda te, ero abituato a viaggiare solo d'estate e non pensavo che sarebbe potuto essere così bello anche nel resto dell'anno, anche quando fa freddo e viene buio presto. Comunque il viaggio è tranquillo e sonnacchioso e non c'è nessun'altra sorpresa, questa sera; dopo una cena, qualche sigaretta e qualche pagina di Jack, me ne vado a dormire.

       Ma è una delle sere successive e sono ansioso stato d'animo da 115

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       duemila sigarette all'ora è terribile insopportabile questo dubbio non mi dà pace e allora qui ci vuole un po' d'aria sta diventando troppo interrogativa l'aria di questa casa, via, via, Ramon andiamo in macchina andiamo a fare un giro, non cambiarti non voglio andare da nessuna parte di preciso, voglio solo girare, dai, prendi il giubbino e scendiamo, apri la macchina, parti, parti, accendi l'autoradio e alza il volume, che non ho voglia di sentire il rumore della città che dorme, e per un po' facciamo finta di essere felici, scappiamo, non mi interessa se non è così che si risolvono i problemi, voglio solo non pensarci, voglio godermi questa Bologna che di notte sa essere magica e poi tutte le città sono più belle a tarda notte quando non c'è nessuno quando anche le puttane sono andate a dormire ormai e vedi solo quelli che puliscono le strade e pochi stranieri o giovani disadattati come noi che camminano in fretta con il colletto rialzato e le mani in tasca oppure fumandosi una sigaretta e allora non importa se ti geli la mano, per il vero fumatore non fa mai troppo freddo per fumarsi una sigaretta, è quasi un obbligo verso sè stessi, vedi questi estranei che passano con le mani bianche e le nocche violacee, questi vampiri di città senza classe nè fascino, questi animali disperati, vai oltre, cugino, vai oltre, vai a cercare un po' di luce sui viale e qualche macchina che passa un motorino con una vecchia assonnata e infreddolita che andrà a pulire il cesso di un qualche ufficio o cose del genere ma questo è ingiusto santo dio la vita è ingiusta a volte non dovrebbe essere permesso a vecchie così brutte di andare in giro sto scherzando Ramon sto scherzando, continua a guidare non lo so dove andiamo entra in città fatti qualche vicoletto oppure esci vai verso la pianura gira a destra, cos'è questa strada è la via Emilia, la mitica via Emilia? Vai, vai sulla via Emilia arriveremo fino al mare che ne dici saremo là e se non andiamo troppo veloce forse troveremo i primi bar aperti per fare colazione che ne dici? Dai che non si può stare a Bologna e non 116

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       andare a fare colazione al mare una volta almeno, eh, Ramon, queste sono le gioie della vita...

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       Non avevo risolto niente, era stata solo una piacevolissima pausa sapendo che avrei avuto ancora tempo per preoccuparmi e pormi domande. Infatti durante la settimana successiva sentii ancora Anna e il punto di tutto divenne tornare a casa per qualche giorno; perchè, diavolo, non sopportavo più di essere angosciato dal dubbio se facevo bene o male a sentire un po' di nostalgia, e mi dissi che non c'era altro da fare che prendere e andare e costringere la vita a darmi tutte le risposte che cercavo; così un tiepido pomeriggio di fine Febbraio ero di nuovo in stazione con una borsa e gli occhiali da sole, e un altro biglietto arancione dolce prezioso con scritto " Bologna C. le - Brescia"

       e la cosa mi riempiva di entusiasmo, allocco che non ero altro; ma non mi importava niente, seguivo quello che avevo voglia di fare e quello che avevo voglia di fare in quel momento era correre a casa ad abbracciare tutti i vecchi amici e tenere stretta Anna due giorni di fila per tutto il tempo che avevamo perso; cercare la mia vita dentro di me, e non fuori. Saltai sul treno salutando mio cugino, il mio caro cugino che tanto si prodigava per me, e nella sua espressione c'era solo comprensione, cazzo, mi approvava e questo per me era fantastico.

       Partì il mostro di metallo sferragliante ed ero diretto a Brescia. Cara 118

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       vecchia Brescia.

       Passano lungo il finestrino le scarne stazioni di San Giovanni, Crevalcore, San Felice; vedo il sole timido di questo anticipo di primavera che si stende su avide pianure rattrappite dall'inverno, e sento i loro sospiri di sollievo, al ritorno di un vecchio amico; e io fremo con loro al mio ritorno, così sto tornando a casa e forse sto tornando da me stesso, da quella parte di me che non se n'è mai partita da Brescia ed è rimasta là ad aspettare che io consumassi la carica iniziale per poi prendermi alla sprovvista il cuore e caricarmi di amara nostalgia, facendomi sentire più che mai dimezzato. Ora è pronta a riaccogliermi e vedo già il suo sorriso mentre mi viene incontro, lo vedo nelle facce di un gruppo di ragazzi che scende a Poggio Rusco, raccoglie alcune biciclette e si avvia ignaro e felice verso casa, la loro piccola anonima casa in quel nebbioso paese della distesa padana.

       Sento i passi di questa mia metà sovrapposti a quelli del controllore che si avvicina al mio sedile, discreto, e mi chiede il biglietto; ho un piccolo brivido quando legge il biglietto e mormora " Brescia" tra i denti. Sto tornando a casa, gente.

       Ancora una volta Ostiglia, Nogara, Isola della Scala, poi si transita davanti all'incomprensibile e deserta stazione di Buttapietra, ancora in cerca di una propria identità, o quantomeno ragion d'essere.

       Lentamente è di nuovo Verona; Verona amabile dove vissi quel giorno di gloria e d'amore tempo prima, Verona da guardare insieme a Eddie e Cico e Sandro, Verona da amare insieme ad Anna; Verona che mi aspetterà sempre, cara e affettuosa vecchia amica trascurata ma che mi sei nel cuore, senza dubbio.

       E ancora una volta Peschiera con il suo sapore di viaggio e di libertà, con i riflessi del sole sull'indolente Mincio e sulle automobili allo svincolo d'entrata e uscita dall'autostrada; e ancora una volta 119



  

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