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 Benaresyama 1 страница



 

        

       Ferrovia, di A. Zanardi

       Collana: Narrativa Contemporanea

           

       Edizioni Kult Virtual Press - http: //www. epaperback. org Responsabile editoriale Marco Giorgini, Via Malagoli, 23 - Modena Ferrovia

        A. Zanardi

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       Sommario

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       A. Zanardi

       Narrativa Contemporanea

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        Ad Anna,  

        nonostante tutto.

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       " Un treno è un genere di evento progettato per portare a certi risultati"

        (Sherman Alexie)

       " Viaggiare, vedere tutti gli angoli della terra, rincorrere le estati, farsi rincorrere dalla guerra che hai nel cuore, correre più veloce del dolore... "

        (Jovanotti)

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       Molto sinceramente, ricordo che un bacio fu l'inizio di tutto, al contrario del solito che i baci concludono le storie e vissero tutti felici e contenti; un bacio in mezzo alla folla sotto il sole obliquo di un Lunedì mattina di Dicembre, io tenendo con una mano i suoi morbidi capelli scuri e con l'altra la sua mano, lei con la mano libera sul mio fianco, il nostro primo bacio, liberatorio, esplosivo, dopo mesi di una strana amicizia che non si sapeva dove volesse andare a finire. Riaprii gli occhi e non c'era più nessuno, le persone intorno erano diventate come fantasmi. C'era solo lei, bella e calda finalmente di fronte a me e mia, mia; adorabile ragazza, amica, amante finalmente. Fosse arrivata dieci minuti dopo avrei semplicemente preso quel treno e nient'altro...

       ma ero ancora in coda per il biglietto quando l'avevo vista arrivare di corsa, lo sguardo spalancato alla mia ricerca, il petto suo meravigliose colline ansanti per la corsa, il fiato che usciva impetuoso. Il suo classico giubbino nero e bianco, la sciarpa nera - mia, un tempo -

       avvolta a doppio giro intorno al collo, cadente e artisticamente trasandata. Mi vide e mi raggiunse. Mi mise una mano sul braccio, sotto lo sguardo di disprezzo degli altri in coda, una vecchia con la pelliccia economica rovinata, un carabiniere di leva col pizzetto e lo 6

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       sguardo superbo, un signore barbuto con la ventiquattr'ore.

       - Ivan...

       Nient'altro. Ma il suo tono tra l'implorante e l'incazzato lo conoscevo bene, mi diceva tutto, l'ansia, la rabbia, la sorpresa, la paura. Ero egoisticamente orgoglioso di quella paura, paura di perdermi. Non le risposi subito, era arrivato il mio turno.

       - Un biglietto per Bologna, sola andata. Grazie.

       Attesi che la signora coi capelli tinti e uno scintillante pullover rosso mi consegnasse il cartoncino bianco-arancione insieme al resto. Dolce morbido biglietto con gli smussi arrotondati come per dimostrare di essere innocuo, ma noi sapevamo, oh sì non c'ingannava, conoscevamo la sua potenza, la potenza di un biglietto ferroviario: la potenza del viaggio, dei chilometri che cambiano la tua anima, insieme alle tue coordinate. L'allargamento dei tuoi confini, l'ampliamento del tuo orizzonte, la ricerca della tua dimensione: tutto questo risiede spesso in un biglietto ferroviario. E io presi quel biglietto bianco arancione rotondo prezioso perfino pesante mi sembrava, e lo misi con cura nel portafogli nero. Poi la guardai.

       - Ciao, Anna. Che vuoi?

       Quei suoi occhioni castani mi uccidevano. Sapevo benissimo cosa voleva, ma nel frattempo io mi ero stancato di aspettare. E lei con voce acuta mi intimò: - Dove stai andando? Non puoi partire!

       Freddo e per nulla sorpreso la fissai. Raccolsi le borse e mi spostai all'aperto, vicino al binario. Mi venne dietro, tenero dolce docile cucciolo.

       - Non puoi andartene! - insistette - Non puoi.

       Attesi qualche gelido istante prima di replicare: - E perchè non posso?

       Rimase disorientata, o forse aveva paura di rispondermi. - E tutti quelli che ti vogliono bene? - s'inventò lì per lì.

       - Tutti quelli che mi vogliono bene capiranno che è meglio per me. Mi 7

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       dispiace lasciare alcune persone, quelle a cui tengo di più... come te - e così dicendo le sfiorai una guancia con le dita infreddolite - ma non ci resisto più... la vita qui non mi basta.

       - Tu non ci tieni a me, altrimenti non te ne andresti! - Patetica mi sembrava ma pure sinceramente dispiaciuta, forse realmente interessata.

       - No, non è così. Io ci tengo...

       - Non è vero! - m'interruppe bruscamente. Odio quando mi interrompono.

       - Anna! - sbottai.

       - E' inutile che t'incazzi! Sai benissimo quanto mi sono affezionata a te in questi mesi e sai benissimo che ho cercato di essere... la tua migliore amica. Ma se vai vuol dire che non ci sono riuscita.

       Confesso che la sua uscita decisa mi aveva spiazzato. - Ci sei riuscita, cazzo - cercai di replicare - sei la mia migliore amica.

       - Al diavolo, Ivan. E allora dove vai? Non l'hai ancora capito?

       Sospirai, mostrando un'espressione perplessa ma in realtà soddisfatto dentro di me. L'ora della verità era giunta, finalmente, in quel freddo mattino di Dicembre. Proseguì.

       - Non mi basta esserti amica, se non ci sei. Non mi basta essere la tua migliore amica. Tu non sai cosa ho sentito in questi mesi parlando con te, standoti vicino. Non so nemmeno come spiegartelo, io... so solo che sei la parte più importante della mia vita e ora non puoi, non puoi andartene e lasciarmi qui da sola.

       - Non sei sola...

       - Sono sola senza di te!

       Mio Dio! Questa rivelazione cambiava le carte in tavola. Io avevo sperato a lungo che si aprisse a me... ero pronto a innamorarmi di lei, a donarle il mio cuore, ma volevo sentire la sua passione, il suo desiderio, la sua voce che mi dicesse limpida che finalmente c'era 8

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       qualcosa tra noi che era di più che una semplice amicizia surriscaldata dalla troppa voglia di stare insieme; avevo cercato questo in ogni nostro sguardo senza parole, in ogni sua carezza, in ogni telefonata, avevo cercato qualcosa di più. Tuttavia pensavo ormai di averlo perso, ci avevo rinunciato, e avevo così rotto l'ultimo vincolo che mi tenesse ancora lì ed ora ero pronto a partire e ad andarmene per fare la mia vita piena di sogni e di desideri e di viaggi e di avventure. Ed ora Anna che c'entrava in tutto questo?

       Ma per un istante decisi di non pensarci. Il momento era troppo bello, LEI era troppo bella per resistere, la storia era troppo bella per non essere conclusa così come poi avvenne, e credo che se non avessi osato in quel momento non sarebbe mai più successo; non certo per iniziativa sua, la mia timida amica, la mia bella intoccabile Anna. Così sentii come un pubblico di amici che mi spingeva e mi diceva “adesso baciala, adesso baciala” e decisi che non era affatto una brutta idea e così la baciai, e fui improvviso e sicuro e adorabile e, quindi, irresistibile. Lei, per la prima volta, non resistette.

       E da lì, come ho detto. cominciò tutto.

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       Le sue labbra hanno il sapore delle ciliegie rosse rosse umide dopo una violenta pioggia d'Aprile, e per qualche secondo coprono l'odore di ferro e di olio bruciato e di gente che corre. Questo bacio mi conclude un'epoca, è il trionfo finale. Lo ricorderò a lungo con la gioia di aver bruciato, finalmente, uno di quei desideri che sembrano destinati ad aggirarsi insoddisfatti e pungenti nel nostro cuore per l'eternità. Poi torna il rumore dei passi e delle ruote metalliche, e subito ripenso al mio prezioso dorato biglietto nel portafogli, biglietto di sola andata per la mia vita, la vita che ho sempre voluto, e torna la domanda: che c'entra Anna in tutto questo? Perchè oltre a tutto il resto c'è anche il fatto che sono molto orgoglioso e quando ho preso una decisione mi piace portarla fino in fondo, perciò prima di cambiare idea (e non ci vuole molto, ormai, con la mia anima scossa fino alle fondamenta da questa spettacolare ragazza) mi sforzo di cancellare l'espressione adorante dal mio viso, guardo altrove, mi infilo gli occhiali da sole e recito con il massimo della coolness possibile: - Sei un tesoro, Anna. Sei davvero un tesoro - questo lo penso davvero. - Ti ringrazio di esistere, e di avermi dato tutto quello che mi hai dato, che è tantissimo. Ma questa è la fine - proseguo senza badare al panico 10

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       misto a rabbia che si diffonde sul suo viso. - Una bellissima fine, ma ora devo andare. Il mio destino non è qui. Mio cugino mi aspetta a Bologna, e lì inizierò a fare qualcosa di serio per la mia vita. Devo andare, tesoro mio.

       - No! - grido spontaneo e immacolato, secco e deciso. Più che amore, la definirei possessione: mi sta ORDINANDO di non partire, come se fossi suo. E la cosa mi uccide. E' pericolosamente vicina alle lacrime.

       - Come sarebbe... non puoi andartene adesso. E io cosa ti ho baciato a fare?

       Sospiro, e c'è una lunga pausa. Ha le mani artigliate sulle maniche del mio giaccone, e gli occhi inchiodati al mio viso. Sarà una bella battaglia.

       - Non posso stare qui. E' soffocante. Ho la claustrofobia, in questa città. Voglio andarmene.

       - E io? - mi assale, mio povero piccolo cucciolo che sta per essere abbandonato.

       - Tu... se hai un po' di testa te ne andrai anche tu. Ma poi non è detto, forse tu stai bene qui, io... io no. -

       E' difficile da spiegare, mi rendo conto, questa voglia di fuggire e di farsi un'altra vita che ti prende all'improvviso e non c'è scampo, nulla più ti può fermare, in fondo c'è in gioco la tua esistenza, no?

       - Non ci sto bene nemmeno io qui, senza di te. Tu sei troppo importante per me adesso, non so che altro dirti. Se te ne vai mi cade il mondo addosso. Non voglio.

       Be', ma io amo questa ragazza! Me ne rendo conto così all'improvviso come aprire le tende al mattino dopo una notte di sballo e venire colpiti a sangue dalla luce del sole che ti si conficca dritta negli occhi come fusi soffiati da ragazzini contro gatti di passaggio. L'abbraccio con foga senza dire una parola, che non riesco più nemmeno a trovare qualcosa da dire, sento le sue mani sulla mia schiena e le sue braccia 11

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       che mi tengono come un cappotto stretto, ma anch'io la stringo perchè l'amo e non solo, lei mi ama, e questa accoppiata di fatti crea una situazione davvero meravigliosa. E subito mi viene rabbia perchè -

       penso - adesso non ho più voglia di partire ma questa città mi fa schifo, è ora il momento di andare, adesso o mai più, Cristo, ma perchè devo rinunciare a qualcosa di così bello, in ogni caso?

       Già, perchè devo rinunciare?

       - Vieni con me! - le dico e il senso di quelle parole mi raggiunge rimbalzando sulla sua espressione dopo che le ho già dette, ma dopo averle dette ne sono maggiormente convinto e così lei non ha il tempo di di dire niente che io le ripeto: - Sì, vieni con me!

       - Oh, no, io... - riesce appena a mugugnare scuotendo la testa e ridendo, è bello vederla ridere, comunque.

       Insisto. - Sì, tu qua ci stai male quanto me, me l'hai appena detto! -

       Sorrido, preso dalla foga primordiale dello scienziato che ha appena scoperto una nuova medicina, pieno di incontenibile entusiasmo. - Io qua ci sto male, tu pure, e vogliamo stare insieme. Vieni con me, allora!

       - Ma come diavolo faccio? - mi urla esasperata e proprio in quel momento arriva il treno, il treno che devo prendere. Freni cigolanti che assordano le orecchie per un tempo interminabile, mentre tutti e due ci distraiamo a guardarlo. La folla si agita come api in un alveare percosso, improvviso frenetico brulicare e sguardi speranzosi e ultimi abbracci tra cappotti valigie e lacrime, e la metallica litanì a dell'altoparlante.

       - Vieni - dico ancora, abbranco la mia borsa scura e inforco lo zainetto e mi getto verso i vagoni. Mi segue disorientata.

       - Ivan, aspetta, ti prego, aspetta... - mi sviolina nelle orecchie ma io l'interrompo: - No, basta parole, tesoro mio, facciamo qualcosa, adesso! - Salgo sul treno mentre la sua mano scivola dalla mia spalla.

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       Mi volto verso di lei e le dico - Sali - e mi rendo conto che è un'ottima prova, se non sale sul treno non avrò perso niente. Mancano ormai poche persone, il treno sta per partire, lei si guarda intorno ansiosa e proprio non sa che fare e questo è già molto e allora per aiutarla le porgo la mano e la guardo in modo da farle capire che non può, proprio non può rifiutare; prende la mia mano e la stringe forte e salta su con uno strillo di rabbia; due secondi dopo le porte si chiudono e noi come gelati restiamo immobili finchè il treno faticosamente comincia a muoversi. Allora si sblocca e mi grida: - Ma vaffanculo!

       Che cosa ci faccio qui? - ed è davvero arrabbiata o forse solo molto ansiosa ma non m'importa, sono troppo orgoglioso di lei, non le dò una risposta e nemmeno il tempo di dire qualcos'altro, sorridendo mi sporgo verso di lei che è contro la parete della carrozza e la bacio, all'inizio con forza per soffocare il suo nervosismo, poi più dolcemente quando si lascia andare, e la trascino con me nel dolce breve illusorio oblì o dell'amore.

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       Ci baciammo a lungo lì, in quella specie di atrio fra le porte del vagone e l'inizio del corridoio degli scompartimenti, i classici vecchi scompartimenti a sei della linea Milano - Venezia; non avevamo nessuna fretta di renderci conto di quello che stavamo facendo, perlomeno io non l'avevo e lei non dava segni di averne, da come mi stringeva. Ma un passeggero spezzò l'incantesimo transitando nel nostro improvvisato privé, e forse salvò le nostre anime altrimenti probabilmente destinate a perdersi l'un l'altra rendendoci incapaci di compiere qualsiasi altra azione cosciente oltre che amarci reciprocamente. Guardammo il giovane universitario con gli occhiali che prudentemente passò con lo sguardo imbarazzato rivolto altrove.

       Anna sbuffò, e fece scivolare le mani via dalla mia schiena riafferrandomi le maniche.

       - Ivan, cosa ci faccio qui? - mi chiese, ma era molto meno agitata di prima.

       - Ehi, ehi - le risposi accarezzandole il viso - non è niente di grave, non è un aereo per Rio de Janeiro, è un treno per Verona e ci metti un'ora a tornare a casa. Diciamo che mi accompagni un pezzo.

       - Oh Dio, lo sapevo che eri pericoloso - sospirò abbracciandomi di 14

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       nuovo, e capii di quanto eravamo essenziali l'uno all'altra, in simbiosi per sopravvivere in un ambiente ostile.

       - E per il biglietto? - mi chiese poi.

       - Vado a cercare il controllore - le risposi, e con un bacio la lasciai a sorvegliare le mie borse.

       Passai i vagoni sbirciando negli scompartimenti pieni e vuoti, sfavillanti a metà. Studenti in viaggio quotidiano, chiacchieroni su esami e professori, giovani donne in viaggio d'affari, manager rampanti senza patente. Trovai poco dopo l'omino in abito blu, un giovane ma non troppo barbuto rappresentante statale della categoria buona, per fortuna - quelli che si ricordano che il loro lavoro è un servizio ai passeggeri, in fondo - e gli spiegai la situazione.

       Gentilmente si scusò dicendo che la sua macchinetta era rotta e mi consigliò di scendere a Desenzano per fare il biglietto mancante. Caro ragazzo. Era un viaggio fortunato, lo sentivo.

       Tornai veloce dal mio amore, che attendeva là immobile e impaziente.

       Le spiegai cosa mi aveva detto e le chiesi se aveva intenzione di scendere e di tornare indietro già a Desenzano. Esitò qualche attimo, poi mi rispose: - Ci penso, poi te lo dico -. La condussi in uno degli scompartimenti semivuoti che avevo visto, c'era solo un ragazzo - lo studente universitario di prima. Mi divertii a girare il dito nella piaga.

       - E' libero? - chiesi con un sorriso da caimano.

       - Sì, certo - borbottò quello schiarendosi la voce.

       Entrai buttando la borsa scura - cara, adorabile compagna di tanti viaggi - sul portabagagli sospeso sulla testa, appoggiai lo zainetto sul sedile, poi mi voltai e presi per mano Anna, facendola entrare.

       Sembrava di condurla in casa mia. Forse non ero troppo lontano dalla verità. Mi sedetti e cominciammo a parlare a bassa voce, lanciando ogni tanto qualche occhiata al ragazzo che leggeva un libro di semiotica fingendo di non sentirci.

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       Io e Anna. Avremmo dovuto accordarci sul tragitto, ma cominciammo a parlare di tutt'altro e ci dimenticammo di tutto; tutta la stranezza della situazione sembrava svanita, pure lei era ormai tranquilla e pareva non solo aver accettato la cosa, ma averci addirittura preso gusto. Progettammo di viaggiare fino in America, tra un bacio e l'altro, e cominciammo a ricordare come ci eravamo conosciuti, e come ci eravamo cercati, e le cose più belle che erano successe, e così via.

       Dolce sincero aprirsi e svelarsi una volta per tutto, com'è bello svuotare quel che si ha dentro da tanto tempo! E lei finalmente era mia, e le nostre parole soffici con il rumore del treno in sottofondo mi penetravano più a fondo di quanto mai avessi provato, mi sentivo vicino più che mai alla perfezione - perlomeno, alla mia perfezione personale di quel periodo. Perchè la perfezione è continuamente mutevole, segue le nostre esperienze e si accorda con esse, si evolve in base alla nostra evoluzione, legata a doppio nodo con la felicità - in fondo, la perfezione è qualcosa che non potremo mai possedere dentro di noi per quanti sforzi facciamo, ma che comunque deve farci da traguardo finale, da cartello indicatore, indirizzare le nostre scelte e i nostri cambiamenti. Non esistono persone perfette, ma momenti perfetti. E quel momento era probabilmente perfetto.

       Arrivammo rapidamente in prossimità di Desenzano e quando lo dissi ad Anna lei sbattè gli occhi perplessa per qualche istante e poi mi sorrise e strusciò il viso contro il mio e mormorò blandamente: - No, non voglio scendere ancora. - Allora soddisfatto mi accinsi a correre giù in biglietteria per acquistare un altro di quegli splendidi e potenti biglietti, che lì - già lo sapevo - conservavano il loro colore giallino come carta vecchia di tempo e umidità.

       - Ma non farai in tempo - si preoccupò la mia adorabile involontaria ma cosciente compagna di viaggio, guardandomi con i suoi enormi occhi da cartone animato giapponese.

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       - Ce la farò, tesoro mio, stai tranquilla. - Mi sentivo abbastanza sicuro di me, sentivo che avrei potuto fermarmi davanti al treno e fermarlo con una mano, se ce ne fosse stato bisogno. La baciai ancora davanti alla porta del treno, irresistibili maledette calamite rosse che erano le sue labbra piene. Il treno sbuffò, segnale di fermata, e io aprii con forza la porta, con vigore sovrumano - sarà mai possibile rompere una porta del treno, mi chiedo - e mi precipitai giù a rotta di collo e di caviglie, schivando le figure inermi e immobili come sagome del tiro a segno e lanciandomi per le ripide scale che scendevano alla biglietteria, in quella stazione in cui i binari corrono al piano superiore. La biglietteria era miracolosamente libera, e in un attimo un biglietto per Verona era nelle mie mani; feci per tuffarmi a risalire le scale, ma improvvisamente vidi due ragazzi che stavano entrando in stazione e riconobbi uno dei due: il mio vecchio e inseparabile amico Federico, Cico per gli amici. Eravamo stati a scuola insieme e poi avevamo preso l'abitudine di sentirci ogni tanto tra un impegno e l'altro, che lui era sempre in giro e io pure, ma quando ci vedevamo era festa grande, era fuga, era trovare una persona simile, un fratello di sangue e di mentalità in mezzo a una folla di extraterrestri, una reciproca oasi nel deserto quando la sete ti brucia la gola.

       Lo chiamai e ci salutammo con un grande abbraccio - ma c'era quella signorina che mi aspettava al piano di sopra, e allora gli gridai di aspettarmi - buon vecchio Cico - mentre mi tuffavo nuovamente su per le scale. Arrivai sul binario giusto in tempo per sentire il rumore delle porte che si chiudevano e la mia bella era affacciata al finestrino con lo sguardo disperato e perso di un cerbiatto nelle mani dei cacciatori ed era così bella e tenera che rimasi un attimo distratto a guardarla; poi i suoi richiami mi svegliarono: il treno stava per partire.

       - Sali, svelto! - mi gridava dal finestrino, e io: - No, scendi, veloce, scendi! - le rispondevo e c'era quel ragazzo vicino al finestrino con il 17

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       ginocchio - immaginavo - contro le di lei cosce, già imbarazzato e poi confuso da queste grida e dalla situazione, cosicchè non doveva capirci più niente, poveretto, e probabilmente era convinto di aver trovato la coppia più sbandata dell'intera rete ferroviaria italiana.

       Comunque nel frattempo gli omini blu F. S. erano già saliti e le porte erano chiuse alle loro spalle, cosicchè non c'era più nessuno di cui poter richiamare l'attenzione - forse non mi avevano visto scendere di corsa o forse mi avevano visto e se n'erano fregati, comunque sia stavano tranquillamente per andarsene verso Peschiera Sommacampagna Verona senza di me - e allora gridai ad Anna di buttar giù le borse e di saltar giù; immediatamente - be', ormai faceva quasi qualsiasi cosa le dicessi, ed era una gran bella sensazione, questa

       - prese lo zainetto e me lo buttò mentre il treno ingaggiava la sua battaglia contro la forza d'attrito, poi subito dopo anche la borsa nera, mentre il treno cominciava a convincere se stesso di essere un oggetto mobile nonostante l'aspetto ingombrante ed elefantesco, e infine si affacciò nuovamente al finestrino mentre io la seguivo da sotto, corricchiando appena.

       - Salta giù! - le gridai, non perchè non mi sentisse perchè in fondo era a un metro da me, ma per l'emozione, e credetemi non so perchè ma mi stavo divertendo come un matto, come se non fossimo che su un gioco di Gardaland tipo Montagne Russe, dove tutti gli strilli sono per finta. Lei si affacciò sporgendo con il petto oltre il finestrino e io immaginai il suo sedere sollevato che dondolava oscenamente dinanzi al naso del nostro amico studente, immaginai la sua faccia e i suoi pensieri in quel momento. Afferrai la sua mano e la tirai verso di me mentre il treno prendeva lentamente velocità e lei urlava: - Mi ammazzo! Così mi ammazzo! - e io non riuscivo a capacitarmi del fatto che nessuno dei macchinisti si accorgesse del casino che stava succedendo ma sembrava che lo facessero apposta per metterci alla 18

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       prova e io accettavo la sfida e mi stavo divertendo come un matto, non riuscivo a pensare al peggio, alle migliaia di possibilità di farsi male che in quel momento aleggiavano intorno a lei; chissà se lei ci pensava, forse era troppo presa dal panico, ora era fuori fino alla cintura e io le urlavo di darsi la spinta con i piedi, ma veloce per Dio che tra poco la banchina sarebbe finita e allora tirai ancora e lei scivolò fuori quasi involontariamente fino alle ginocchia con un grido di dolore e quando finalmente capì - perchè non è scema, la mia Anna

       - che ora era molto più rischioso rimanere così che lanciarsi fuori allora si diede la spinta con un urlo che mi fece più paura di tutto il resto e mi finì addosso e io caddi di lato mentre correvo e lei si accasciò su di me a corpo morto. Ci fu qualche attimo di silenzio, poi sollevai il capo mentre tutto il resto di me era bloccato da lei -

       piacevole sensazione, in fondo - mi voltai giusto in tempo per vedere la faccia allibita dello studente al finestrino del treno che si allontanava, e le chiesi: - Tutto bene, Anna?

       Lei mi guardò come se volesse incenerirmi, sul serio, poi forse per pietà forse per sfogarsi cominciò a ridere, prima con piccoli sbuffi soffocati come quelli di una locomotiva nei primi metri, poi con ampie liberatorie cascate di ilarità che mi contagiarono, e risi anch'io, evidentemente non si era fatta davvero male. Dopo qualche attimo le risate si purificarono, non c'era più nè rabbia nè paura nei suoi rapidi soffi e nei suoi occhi, ed era bellissima, spettinata, ansante, addosso a me con quel suo corpo pieno e morbido, dolce tenero peluche che non era altro.

       - Perchè sto facendo tutto questo? - mi chiese, soffocando gli ultimi accenni di risa.

       - Perchè mi ami - risposi pronto e rapido come una saetta, e l'afferrai e la baciai di nuovo senza nemmeno darmi la pena di alzarmi da terra.

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       Cico si era goduto solo la parte finale della scena, quella forse più emozionante, il salto, il ruzzolone e il momento romantico - come nei migliori film di 007... il mio nome è Bond, Ivan Bond - ma tanto gli era bastato per scoppiare in grasse risate con il suo amico, un perfetto sconosciuto per il momento, e avvicinarsi declamando a gran voce: -

       Be', vedo che sai ancora divertirti, vecchio lupo! - Mi raggiunse con le mie borse raccolte lungo la banchina, mentre le sagome scappate dai tiri a segno ci guardavano con facce piuttosto sconvolte, alcune quasi scandalizzate. Be', era così strano, in fondo? Con orgoglio mi risposi che sì, lo era: avevamo frantumato l'ordine di quella comune mattina ferroviaria, trasformandola in un piccolo spettacolo.

       Anna si rimise in piedi e subito la imitai, spazzandomi di dosso la polvere caduta dalle scarpe di mille viaggiatori, resti di biglietti lacerati dal tempo - sconsacrati, già - sputi e forfora, ghiaia e residui metallici. E ci furono le presentazioni. Introdussi Anna come la mia compagna di viaggio, quello strano entusiasmante viaggio che era appena iniziato e prometteva grandi cose; Cico si presentò molto calorosamente e poi ci presentò il suo amico, tale Sandro suo compaesano e compagno di viaggi, studi e divertimenti, primo fra i 20

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       quali i giochi di ruolo, i mitici eccitanti stimolanti giochi in cui interpreti un eroe non usando una pedina ma immaginandoti il suo personaggio pieno di realtà, tra angosce e dubbi e problemi, oltre a coraggio e fortuna da vendere; quei giochi che ti spingono a interminabili voli di fantasia talvolta tanto ampi ed elevati che superano l'effetto di un sano spinello.

       Decidemmo che eravamo tutti e quattro in attesa dello stesso prossimo treno per Venezia, e quindi potevamo comportarci come un unico gruppo di viaggio. Diavolo, mi ero immaginato un tragitto solitario e sonnacchioso fino a Bologna, e mi ritrovavo già sceso a Desenzano e con tre compagni di viaggio! La cosa si faceva interessante. Mancava un'ora al treno successivo, e la mattina continuava a torturarmi con quel sole freddo e obliquo, così proposi di rintanarci all'ombra di uno di quei freschi onesti bar giornalieri per un cappuccio e una brioche, come buona consuetudine degli animali prevalentemente notturni, quali io e Cico sicuramente eravamo, il suo amico non doveva essere da meno, e Anna che se mi voleva stare vicina avrebbe dovuto imparare. Anna mi stupiva invece perchè si era ormai calata nel ruolo, forse presa dall'avventura sentiva quello che io avevo sentito tante volte, quell'impulso che - non si può mollare adesso - prima non volevo esserci ma ora non me ne andrei per nulla al mondo. Ero sempre più orgoglioso di lei, stava rivelando carattere e iniziativa, stava dimostrandomi di possedere quel qualcosa in più che differenzia le persone interessanti dalle amebe. Ci stavo sempre meglio, e mi sembrava che il suo arrivo in stazione a Brescia fosse avvenuto secoli prima.



  

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