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 Benaresyama 5 страница



       Quella era una sera così, magica e priva di esitazioni, ricca di elettricità costruttiva, di serena ricerca di verità; e così passammo a tirar giù da sonnacchiose stanze un paio di suoi amici, Rino e Massimiliano, quelli della battaglia a palle di neve di qualche settimana prima; compaesani venuti a Bologna per studiare, amabili pigri studenti di quelli che sentono sempre che dovrebbero trovare qualcosa da fare per mantenersi, e poi si sentono la coscienza a posto semplicemente per il fatto di averci pensato, e continuano a non fare 70

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       niente se non godersi la vita - ah, forse saremmo tutti più sereni così.

       In ogni caso eravamo quattro e li avevo già visti e Massimiliano tendeva a scherzare su tutto, a prendere in giro, a dissacrare ciò che Ramon si lanciava con foga da maniaco a declamare, lunghe roboanti dissertazioni su questioni quali l'importanza di esprimersi e la bellezza di alcuni paesi lontani, la voglia di fare viaggi particolari che fossero tutto tranne che turistici, e di come viaggiare fosse la maniera più completa ed efficace di imparare, sotto ogni punto di vista; Rino invece attento osservatore di poche parole, per la maggior parte interrotte dagli altri chiacchieroni del gruppo, e io che proprio per questo con simpatia lo interrogavo e ascoltavo fino in fondo le sue risposte ignorando gli interventi degli altri; e scoprire poi in lui pure una passione per l'arte - o epressione - letteraria. Che diavolo, mi chiesi, era rimasto qualcuno a Bologna che non scrivesse?

       E non ci fu nemmeno un attimo di silenzio mentre tornavamo verso il centro - dopo esser passati da Rino che abitava verso Piazza dell'Unità, poco a Nord della stazione - ma una serie impressionante di discorsi spezzettati e tutti bellissimi, allegri. Si riempivano i portici con le nostre parole. Parlammo di tutto in quei venti minuti necessari per essere di nuovo di fronte al Nettuno; ci infilammo in una delle trasversali di Via Rizzoli e lì c'era il Celtic Druid, un locale fumoso e affollato dove sempre senza smettere di parlare ci scolammo una morbida Guinness cogliendo i luccichii dei sorrisi e degli sguardi e il brusio della compagnie attorno.

       Più tardi ci trovavamo in Piazza Maggiore nonostante il freddo vento che la spazza per tutto l'inverno; seduti e infreddoliti sui gradini di San Petronio preparammo uno spinello - Ramon fece tutto, maestro - e poi fumammo camminando in mezzo a turisti incuriositi dalle nostre risate e lunghe chiacchiere; mi sentivo dannatamente bene, fra me e Ramon c'era un'intesa assolutamente soprannaturale tanto che a un certo punto 71

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       non avevamo più nemmeno bisogno di finire le frasi perchè l'altro aveva già capito tutto - che forza, gente.

       Una serata piena di entusiasmo, meravigliosa potente di quelle quando torni a casa e semplicemente sei tanto carico che non riesci nemmeno a immaginare di andare a dormire - ti sembra di esserti dimenticato cosa vuol dire " dormire"; così salimmo in casa e misi su i Red Hot Chili Peppers e mio cugino si mise a scrivere mentre io pensavo, pensavo, pensavo, incapace d'arrestare il flusso di riflessioni che questa nuova vita mi faceva esplodere dentro, ogni minuto era intenso e vasto e quando poi mi sedevo in poltrona non potevo che ripensarci e cercare di assaporare e riassaporare tutto l'entusiasmo che essere felice mi provocava…

       Un'altra volta Ramon non aveva voglia di uscire e così progettammo di ritrovarci insieme ad alcuni amici per una serata in casa, a parlare e fumare in compagnia. C'erano, oltre a me e a Ramon, una certa Elena dolce e riservata, che stava in mezzo a noi con estrema discrezione e proprio per questo mi sembrava adorabile; Manuel, un tizio rilassato come una musica blues dopo le tre di notte, che ci colpiva con improvvise frasi poco più che mormorate, immancabilmente azzeccate di verità; Carlo che era un grande amico di Ramon ed aveva molta influenza su di lui ma l'aveva su tutti, per via della sua voce calda e della sua bravura nel raccontare le proprie esperienze e le proprie idee dando sempre l'impressione di estrema sicurezza e conoscenza, era un vero piacere sentirlo parlare di qualunque cosa; poi c'era Domenico, il tipo che avevo già visto alla festa dell'ultimo dell'anno e che era diventato mio grande amico in pochi minuti, un tipo inquieto ed entusiasmabile con la mia stessa sete di verità, che assisteva con gioiosa meraviglia ai lunghi discorsi degli altri, inframmezzandoli di scoppi di ilarità e di poche parole tipo: " Cazzo, sì ", " Anch'io! ", 72

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       " Certo"

       Dopo una semplice cena a base di pasta e fagioli cucinata da Elena ci trasferimmo in un'altra stanza che fungeva da salotto, sedendoci su poltrone, divani, e Ramon sul tappeto di paglia; accendemmo sigarette e facemmo girare alcuni spinelli, quelli forti pesanti intensi di hasish e quelli morbidi vellutati di marijuana, mentre intanto non c'erano attimi di pausa ma un continuo esprimersi a proposito di vari discorsi quali l'evoluzione del comportamento femminile e poi l'omosessualità e ancora i viaggi mentre la musica ci accompagnava, variando in continuazione; ogni pochi minuti Elena o Carlo si alzavano per cambiare disco. Così si alternarono nelle nostre orecchie i Nirvana, i Red Hot Chili Peppers, i Supergroove, i Jamiroquai - con Elena che chiedeva in continuazione " Ma di che nazionalità sono i Jamiroquai? ", non diceva " Da dove vengono? " o " Dove vivono? " ma proprio " Di che nazionalità sono? ", questa complicata costruzione grammaticale dalle sue labbra sembrava inevitabile, e alla fine si scoprì che erano inglesi -

       e poi la colonna sonora di Pulp Fiction che ci diede l'occasione per rivisitare alcune delle scene più belle del film, che tutti avevano visto.

       Mentre ascoltavamo i Nirvana Manuel disse che era riuscito a vedere Kurt Cobain in concerto un mese prima che si sparasse - io pensai a come mi aveva colpito quella storia, a come in quel periodo ero militare a Brunico e avevo visto una scritta dedicata a quel cantante sul muro di una galleria in quel diavolo di paesino dove tutto era pulito così avevo pensato “cazzo, deve essere stato proprio forte questo Cobain”, avevo pensato che doveva essersi conquistato un posto molto profondo nell'animo di quelli che lo ascoltavano; allora avevo preso - solo adesso - i suoi dischi e letto un libro su di lui cercando di capire e recuperare qualcosa di questo personaggio; e poco dopo questo personaggio era diventato un uomo, un'artista pieno di talento ma con troppa poca forza per resistere a se stesso e a coloro 73

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       che lo stringevano. Mi aveva riempito di tristezza la sua storia fatta di genio e di debolezza, e lo sentii come un amico, uno non troppo diverso da molti di noi, geniale, ma che non ce l'aveva fatta.

       Più avanti, un giorno, avevo pianto guardando una sua fotografia.

       Ma il pensiero volò via rapido mentre intanto si era finiti a parlare di come i Nirvana avevano cambiato il modo di fare musica, e di altri gruppi che suonano in un modo assolutamente univoco ed inimitabile, come i Pearl Jam con la bellissima voce di Eddie Vedder che canta poesie ermetiche. E la serata proseguiva calda e con una comunanza, una sintonia di pensieri incredibile, per via di quel sottile magico effetto delle droghe leggere.

       Poi Ramon si mise a farci domande strane tipo cosa stavamo facendo esattamente un anno prima e io dissi che mi stavo innamorando, sì, avevo appena conosciuto Anna esattamente un anno prima, stesso giorno. Ci chiese cosa avremmo fatto esattamente tra un anno e tutti quanti rispondemmo che esattamente non ne avevamo la più pallida idea.

       Intanto c'era una musica soft, tipo fusion, e lui disse che gli sembrava di essere all'interno di un night affollato dove un gruppo suonava, e lui invece stava al balcone a bersi un whisky; interrogò Carlo chiedendogli se anche lui era in quel night e dove si trovava; gli fece descrivere il locale e la ragazza con cui stava ballando, e insistette nel voler sapere più dettagli possibile su quest immaginaria lei, tanto che Carlo gli rispose: - Senti, Ramon, te la vuoi fare?

       E quei due straordinari personaggi che erano mio cugino e il suo amico improvvisarono un dialogo di domande e immaginazione imbastendo lì per lì una storia di gelosì a e di scazzottamenti e di fughe d'amore in paesi tropicali, e poi la musica cambiò e dissero che nel frattempo era un'altra serata nello stesso night, e così via ci tennero inchiodati ai loro voli di fantasia per parecchio tempo. Io mi sentivo 74

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       estasiato sia per la bellezza della situazione, questo salotto ricco di filosofia e di immaginazione dove si riusciva a pensare e a preoccuparsi per le cose più belle della vita, anzichè per quelle più importanti; sia per la gioia di aver trovato queste persone così vere, così vive, così totalmente piene di interesse per l'esistenza, che mi davano l'immagine di un diverso stile di essere, anzi, diciamo pure un diverso livello di essere, un appartenere a se stessi e ai propri pensieri, e dare valore e vigore materiale alle proprie immaginazioni. Ramon era scrittore e Carlo avrebbe potuto esserlo, ma più che tutto avevano il senso della vita; avevano trovato la perla.

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       Ci sono poi queste giornate frenetiche che esplodono all'improvviso quando sembravano ormai inattive, come vecchie mine sotterrate in qualche campo e rimaste lì dalla guerra; queste giornate iniziate all'alba, un'alba confusa e intuita dietro nuvole cariche di neve, questa neve fredda di metà Gennaio; balzare in macchina con la radio e i biscotti e partire allegri verso Sud, imboccare l'autostrada e via, via, via, chilometri d'asfalto e vento freddo mentre Lorenzo ci dice di partire, viaggiare, viaggiare, partire, viaggiare; passare oltre le uscite d'Arezzo e di Firenze dando appuntamento per un'altra volta a queste meravigliose città; e durante tutto il viaggio ininterrottamente occupati a spiegarci le nostre idee, il nostro modo di vivere questi spostamenti, che poi non ce n'è nemmeno bisogno perchè se ci sono due persone al mondo che si capiscono senza parole, quelle siamo io e Ramon, ma abbiamo dentro tante parole che potremmo andare avanti a parlare per duemila anni e non rimanere mai senza niente da dire, e questo è talento; uscire poi dall'autostrada e imboccare la statale umida, costeggiare il lago Trasimeno con le sue isole che spuntano dalla nebbia come frammenti d'antichi regni sotterranei riemersi per incanto, arrivare a Perugia e incamminarsi con zainetto in spalla sotto 76

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       la pioggia, su per le ripide salite che portano al centro storico, attraversare la gente che va e viene da messa, e poi si chiude in casa per il pranzo; percorrere solitari queste viuzze strette con sapore medioevale, in mezzo ai pochi turisti di questa piovosa giornata d'inverno che è strano andare a visitare una città in questo periodo ma proprio per questo è più bello, più vero; nessun monumento, nessun museo, nessun itinerario guidato, solo una lunga passeggiata senza meta dopo essersi fermati a mangiare e aver scritto le cartoline con uno strano inspiegabile entusiasmo mel cuore. Telefono ad Anna per dirle che Perugia è bellissima e mi sento troppo bene e che un giorno ce la porto, e poi la saluto perchè oggi non ho tempo per nient'altro.

       Ridere mentre si passeggia così dunque muovendosi attirati semplicemente dalla curiosità, ogni paesaggio, ogni casa, ogni via può essere bella e regalarci gioia, la gioia della contemplazione delle bellezza e della novità, e la gioia di essere qui che ci fa venire voglia di fare altri due milioni di viaggi e di vedere due milioni di altri posti -

       ce la faremo in una vita sola? Intanto la pioggia non ci molla, ma dopo un po' nemmeno la si sente più; mi passo una mano tra i capelli pesanti e li sento stanchi e fradici ma è bello così.

       Incontro un paio di gatti, i miei amici felini; uno è tanto impegnato a frugare in un sacco dell'immondizia che nemmeno mi presta attenzione; l'altro invece mi vede arrivare e quando tendo la mano non ha alcuna esitazione, viene verso di me e comincia a strofinarsi, l'accarezzo e non gli basta, si appoggia sui miei jeans e gioiosamente mi conficca le unghie nelle gambe per farmi sentire quanto è vero - un po' come fanno certe ragazze prese dalla passione, e cazzo, sono le migliori, quelle che ti lasciano il segno delle unghie anche solo quando le baci avidamente contro un muro. E questo gatto è dolce con me e io sono dolce con lui, per qualche attimo, senza alcun imbarazzo; c'è qualcosa che dobbiamo imparare dai gatti, per quanto riguarda la 77

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       sensualità.

       Ci tuffiamo nel palazzo comunale che dice Ramon " è uno dei palazzi più belli d'Italia" e io ci credo già vedendo l'ingresso, quest'ampia stanza con archi di pietra e una cassaforte medioevale appoggiata a una parete; le larghe e rilassate scale che portano ai piani superiori ma tutto è chiuso e l'unica cosa che possiamo goderci è un pizzico di vista dei tetti della città da una finestrella. Ci lanciamo in ogni piccolo vicolo che stimola la nostra curiosità, indiscreti come bambini; non facciamo distinzione tra sculture e vetrine, perchè tutto fa parte della città e della sua essenza. Penso che mi piacerebbe vivere qualche tempo in una di queste aguzze alte case; immagino di potermi svegliare al mattino e affacciarmi alla finestra e vedere quest'intrico di tetti e le stradine sotto con una vecchia bicicletta legata e anziane signore che camminano con la borsa della spesa; immagino di dover attraversare ripidi saliscendi per chiamare qualche amico e giocare a rincorrersi nelle due vie principali che portano da piazza Italia alla totalmente asimmetrica piazza della Cattedrale, dove io e Ramon ci siamo fotografati vicino alle statue e abbiamo fatto alzare in volo un immenso stormo di piccioni. I saliscendi nei vicoli sono per Perugia quello che i portici sono per Bologna, il segno distintivo, ciò a cui dovrai più fare l'abitudine e ciò che ti mancherebbe di più quando poi dovessi tornare a camminare in un'altra città.

       Guardiamo le mura, o quel che ne resta, dalle vie che costeggiano la collina del centro storico; e c'è un'insegna con un nome strano, e sotto scritto " Viaggiatori Viandanti e Sognatori", e peccato che sia Domenica e che sia tutto chiuso e deserto perchè un'insegna così è come offrirmi un Tiramisù, farcita di promesse e potenziali grandiosità tanto da farmi felice solo all'idea. Passiamo oltre.

       Altri giri e passeggiate e rapidi sguardi con ogni dolce fanciulla di passaggio, poi quando la gita sembra volgere al termine ci 78

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       avventuriamo nei sotteranei di una rocca e improvvisamente ci troviamo in un altro mondo: mi sento avvolto di magia in questi complessi intrichi di stanze e celle e scalette di pietra dove una volta bruciavano torce e passavano cavalieri, e correre per voler vedere tutto, aver quasi voglia di perdersi per assaporare sul serio il brivido di questo posto, troppo ingabbiato, troppo sistemato e illuminato, come un leone in gabbia; vorrei perdermi e sarebbe come entrare nella gabbia del re della foresta - è tutta un'altra cosa, al di là della sbarra; e quando torniamo fuori alla luce sembra quasi di essere scesi da un giro su qualche infernale labirinto d'attrazione del Luna Park - mentre lo dico a Ramon mi viene in mente il Palazzo dei Faraoni che c'è a Gardaland, quel divertente intrico sotterraneo di statue semoventi e rumori e luci avventurose attraversate a bordo di un carrellino tipo miniera che ci facevano impazzire, tanto l'atmosfera era davvero ben ricreata; ricordo quando andavamo con i miei amici in gite organizzate dalla parrocchia e si creavano per incanto quei meravigliosi provvisoriamente perfetti gruppi di ragazzi e ragazze, e tutto il giorno era andare e venire e mangiare di corsa e cercare di non perdere nemmeno un minuto come se fosse stata in gioco la nostra sopravvivenza - lunghissime calde giornate di Luglio; be', ricordo che andavamo DECINE di volte dentro questa cosa dei Faraoni, anche perchè era il posto dannatamente più fresco di tutto il parco.

       - Andremo anche a Disneyland, un giorno! - esclamo rivolto a Ramon per concludere questa mia rapida escursione nel passato.

       Infine si scende a lungo e stancamente nella pallida pioggia del primo pomeriggio, e poco dopo saliamo in auto ed è di nuovo viaggio, ed è di nuovo asfalto, ed è di nuovo chilometri che passano, chilometri pieni di musica e di novità e di pensieri, non ci sono parole tra di noi perchè tutte le parole ora sono DENTRO di noi; si torna a casa attraversando vaghi riflessi rossastri del tramonto tra le nuvole 79

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       cantando " Ridammi il sole"; si torna a casa con una gran voglia di tornare ma è dannatamente bello quello che si è fatto. Avere voglia di tornare a casa non è altro che il vero unico attendibile segnale che il viaggio è concluso. E questo non è affatto negativo, oh no. Per nulla.

       E via per queste strade correndo a fianco del tramonto, gli U2 sparano dall'autoradio la loro canzone su un angelo di Harlem e noi corriamo e improvvisamente sembra estate, sembra vacanza, sembra libertà - non lo è, in fondo? Con nostalgica violenza mi assalgono i ricordi delle calde lingue d'asfalto d'Europa che ho attraversato nelle mie passate estati, le lunghe tirate sulle statali francesi e tedesche, centinaia e centinaia di chilometri ogni giorno e ritrovarsi al tramonto in una piccola cittadina alla ricerca di un negozio ancora aperto per prendere qualcosa da mangiare; e ripartire in quell'ora magica quando tutti i colori sono più caldi, quell'ora che adoro in cui l'ultima luce del sole morente combatte la sua quotidiana lotta contro le tenebre che avanzano, combatte con l'ardore di un eroe che non vuole morire, ogni giorno... e quotidianamente soccombe... e non s'arrende mai. Via per traghetti sulla Manica o campeggi nei boschi o su rive di freddi laghi di montagna; via cantando e guardandosi intorno con il cuore traboccante di gioia e di gratitudine; via attraverso un cielo pieno di colori che sembra un'opera d'arte e ti chiedi chi ha inventato colori così belli; via perchè il cielo sarà ancora più bello tra qualche chilometro, oh sì, ne sono sicuro amico mio; ne ho la certezza, lo sento nel sangue, negli occhi che mi lacrimano per la commozione; e allora corri amico mio, perchè questo tramonto sta arrivando di corsa e io ho fretta di vivere; corri amico mio perchè non ho voglia di perdermelo, questo tramonto; non ho voglia di perdermi questa vita.

       Mi chiedo: ma dove diavolo sono? Ed ecco, semplicemente sono da qualche parte nella mia vita, in bilico tra un burrone e un'autostrada; sono nella città di tutto il mondo; sono continuamente in movimento.

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       Sono a mezza strada tra il cielo e la strada, tra l'acqua e l'aria, e a ben vedere non sono da nessuna parte, sono semplicemente fuori da qualsiasi cosa, fuori dalla vita e dentro me stesso. E mi sento bene, okay; mi sento completamente padrone della situazione. Stasera conquisterei il mondo, stasera partirei per New York con una jeep e i Pearl Jam a tutto volume, passerei da Brescia a prendere Anna e poi via, via, via... farei un frullato di nuvole nell'anima fino a farle diventare come tanti fiocchi di neve e le spanderei sul mondo per veder ballare qualche bambina, e poi via, via, via...

       Pensavamo io e Ramon di arrivare a casa e buttarci distrutti a letto dopo una doccia e una cena, ma poi passò Domenico che aveva passato il week-end a casa sua in un'altra città ed era appena tornato; il suo ingresso in casa aveva portato con sè un'imponente ondata di energia come una finestra aperta nel bel mezzo di un tornado; in pochi attimi ne eravamo contagiati e stavamo parlando senza fine, tirando fuori ogni pensiero sul nostro futuro; dicendo di tutti i posti dove saremmo dovuti andare e raccontandogli le bellezze di Perugia.

       Mentre parlavo ogni tanto mi rendevo conto dell'energia che mi scoppiava nell'anima e allora cacciavo un urlo e mi mettevo a ridere, sentendomi più vicino che mai alla follì a, e mai sentito così bene, gente.

       E che diavolo, la serata non poteva finire così, oh no, e allora via di nuovo, cacciarsi in macchina instancabili come tanti Marco Polo ad alta tensione, girare per le umide vie di una città stanca, è Domenica sera e tanti posti sono chiusi; intanto cominciò a scendere pure la neve e noi ridevamo come matti cantando mentre Domenico faticosamente tentava di disappanare i vetri. Ci trovammo in strade sconosciute e appena illuminate, girando a caso ad ogni incrocio, allontanandoci e poi cercando di ritrovare la via giusta, passando più volte negli stessi 81

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       posti; finchè ci fermammo in una birreria per acquietare la nostra frenesia e trasformarla in parole. Parole sulla notte e sull'amicizia dinanzi a due birre e una vodka, sbirciando le facce di mille studenti in attesa della verità della vita; e noi con la dolce orgogliosa sensazione di essercela andata a cercare, questa verità; e averla trovata; e aver scoperto che ce n'è sempre una nuova da scoprire, poi; se hai un po' di energia da spendere, puoi correre tutta la tua vita senza arrivare mai, le verità non smetteranno mai di apparire, farsi inseguire e trovare, come le migliori ragazze. Ce n'è sempre una migliore.

       La radio annuncia la mezzanotte mentre usciamo dalla birreria, e un piccolo brivido mi attraversa: non posso non amare quest'ora, l'ora in cui tutto si mostra com'è veramente - perchè la luce abbaglia più di quanto il buio nasconda. E questo è l'ultimo dolce pensiero, l'ultima verità di questa infinita immensa giornata. Vado a dormire e di più proprio non potrei fare, tutto il succo è stato spremuto da questa giornata, gente.

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       Si era verso la fine di Gennaio, un'umida serata tra le torri, quando incontrai Elena. Ero sceso a passeggiare e a guardarmi attorno, Ramon aveva deciso di non uscire quella sera e per me andava benissimo ma non ero riuscito a resistere a lungo leggendo Sherman Alexie, non perchè non fosse bello ma perchè è intenso e denso di poesia quanto una vodka è intrisa d'alcool; va gustato poco a poco. Così avevo preso la via della strada, anche se sapevo che si sarebbe risolta probabilmente in una solitaria passeggiata in compagnia del rumore dei miei passi. Ma quelle strade mi davano una sensazione di pace, di soddisfazione, di quiete; un riposo necessario dopo la mia frenesia di imparare e di vedere tutto quello che c'era, quell'ansia di agguantare ogni singolo particolare.

       Ero così appena sceso e giunto in Piazza Ravegnana quando sentii una voce che mi chiamava; mi girai ed era Elena, sola come me.

       C'eravamo visti una sola volta quell'altra sera in casa nostra, ma era stata una serata di tale morbida comunione che ci sentivamo già, più che amici, fratelli. La sua voce e il suo volto mi erano ormai familiari, erano compresi in quella schiera di eletti ai quali sentivo di appartenere, il mio piccolo Olimpo personale. Insomma eccola qua, 83

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       questa fanciulla bionda con i capelli lunghi appena ad appoggiarsi morbidi sulle spalle come code di gatto; e il suo montgomery scuro con i bottoni enormi a forma di corno, o unghia di drago, che ne so, comunque imponenti; il suo viso brillante che contornava gli occhi azzurri come un cielo di primavera. Era questa una fanciulla dolce e desiderabile, l'avevo sentito fin dalla prima occhiata e dalle poche parole che aveva pronunciato, ma ero stato tanto filosoficamente preso dall'amosfera della serata che non mi ero soffermato su queste considerazioni. Ora invece che la vedevo nuovamente e sola, ora che lo spettacolo era lei, e non ne era una parte, ora la vedevo davvero graziosa; e quel sorriso con il quale mi si stava avvicinando mi accendeva piccole scintille. Risposi al suo saluto, poi senza dire null'altro ci abbracciammo e ci scambiammo un bacio sulla guancia; e sempre di tacito accordo ci avviamo per via Rizzoli camminando a braccetto.

       Era per lo stesso mio motivo a girovagare nelle strade umide e pressochè deserte della quasi mezzanotte, mi spiegò, un desiderio di pace e di serenità. Le chiesi dove abitava, e lei parlò di un appartamento con altre ragazze nei pressi di via D'Azeglio.

       Cominciammo a conoscerci senza partire dal passato, lasciando che i nostri occhi esprimessero le premesse necessarie; saltando direttamente ai sogni e ai desideri, accordandoci nel giro di pochi minuti per una gita a Verona da tenersi in un prossimo futuro - mi disse che c'era stata diverse volte e io le confessai il mio amore per quella città; mi parlò poi di alcuni suoi viaggi facendomi fremere di invidia e di emozione, e finimmo poi presto - come è ovvio che due ragazzi facciano - a parlare d'amore, inframmezzando le nostre esperienze con citazioni da canzoni e libri, il chè ci fece ben presto scoprire di avere una montagna di gusti musicali e letterari in comune.

       Chi era questa fatina che capiva le mie idee, e che mi riusciva così 84

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       facile, accettabile, comprensibile, vera, nonostante la conoscessi da così poco tempo? Sentii un brivido di gioia al verificarsi di uno di quei momenti di sintonia perfetta con questa persona appena giunta nella mia vita. Del resto forse solo così possono verificarsi questi momenti, con persone che si conoscono appena; conoscersi è un po' morire, si dice, o quantomeno - dico io - è perdere il calore, l'energia della scintilla iniziale che scocca quando due persone spiritualmente vicine s'incontrano. Quando due persone speciali si incontrano ed entrambe si abbandonano l'una nell'altra senza imbarazzi e timidezze, allora subito scoppia la scintilla, e c'è subito confidenza, intesa, fiducia, dedizione totale.

       Mi sentivo così mentre passeggiavo con Elena a braccetto, passandomi ogni tanto una mano nei capelli umidi; e poi coraggiosamente la passai affettuosamente nei suoi e lei alzò lo sguardo e mi sorrise dolce, così dolce da far male come un tramonto sul mare alla fine delle vacanze. Pieno di entusiasmo le recitai alcuni versi in inglese di una poesia di Oscar Wilde dedicata a una certa Helen. Era questa anglosassone Elena capace di far perdere al poeta irlandese ogni cognizione o paura del paradiso e dell'inferno, semplicemente con un sorriso; e dimostrandogli così di essere la sua unica dea.

       - Sei un poeta - mi disse allora lei e io gli ripetei che la poesia non era mia ma lei insistette: - Non importa. E' il modo in cui l'hai detta.

       Ecco, ora mi ero addirittura trasformato in poeta. Magia di Bologna.

       Proseguimmo insieme a parlare d'amore e di poesia e di vita battendo ritmicamente i piedi sull'asfalto, tenendo esattamente lo stesso passo e ridendo mentre ci guardavamo le scarpe. Così proseguimmo fino in fondo a via Bassi e per un pezzo di via San Felice, e poi tornammo indietro e l'abbracciai stretta per un istante per farle cambiare direzione, che piacere! Salimmo lungo i portici larghi di via Marconi e 85

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       guardammo le vetrine dei negozi chiusi commentando tutto e dicendo tutto quello che ci saremmo voluti comperare; arrivammo poi in piazza Martiri e lì ci sedemmo un istante su una panchina. Ma io ero troppo irrequieto per stare seduto e allora mi alzai e saltai sul bordo della fontana mentre continuavamo a parlare, e io mi lanciai in un sogno ad occhi aperti sul volo e allargai le braccia.

       - Sogni di volare? - mi chiese.

       - No. Lo sto già facendo. - risposi, e saltai giù ridendo; in un istante lei si alzò dalla panchina e mi balzò incontro e mi abbracciò; girammo in tondo così abbracciati, e poco dopo ci baciavamo, neppure me ne ero reso conto. Non era stato uno di quei baci liberatori che risolvono timidezze, o di quelli esplosivi dettati dalla passione; era successo in maniera assolutamente armoniosa e senza sussulti, come una naturale prosecuzione di quello che ci stava accadendo quella sera. Non pensavo a nient'altro, stavo vivendo forse il più bel sogno della mia vita ed era un sogno che non prevedeva risveglio.



  

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