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CAPITOLO 3



 

15 maggio 1985

Ieri Filippo mi ha invitato fuori a cena per il 19 maggio. È il mio compleanno: compio 18 anni.

“È un giorno importante” ha detto, “dobbiamo festeggiarlo per bene. ”

Oggi devo dirlo a mia mamma. È il mio compleanno. DEVE lasciarmi star fuori di sera. E poi, da quando abbiamo parlato, i rapporti tra me e i miei genitori sono migliorati. Mia mamma è più gentile e mio padre fa meno domande. Io sono anche uscita meno durante la settimana e ho studiato tantissimo. Insomma abbiamo trovato un compromesso ed è tornata la pace in famiglia. Filippo non parla molto con i suoi genitori. Ieri mi ha detto:

“Io voglio bene a mio padre e a mia madre, ma loro sono molto diversi da me. Non posso pretendere che mi comprendano. I tuoi genitori ti capiscono sempre? ”

“No, non sempre, ma quasi sempre, ” ho risposto.

“Sei fortunata, ” ha detto lui.

“Abbastanza fortunata, ” ho commentato io.

 

16 magio 1985

Questa mattina, prima di andare a scuola, ho detto a mia mamma: “Filippo mi ha invitato a cena per il mio compleanno. ”

La mamma non ha detto niente.

“Posso...? ”

“Sì, puoi. Ma... ”

C’è sempre un ‘ma’ con i miei genitori.

“Ma... insomma noi non conosciamo questo ragazzo. Da tanto tempo esci con lui e non ce lo hai mai presentato. Invitalo a casa nostra, alle sette, prima di uscire a cena con lui! Prendiamo un aperitivo insieme e parliamo un po’. ” “Glielo chiedo, ” ho detto io.

E Filippo ha accettato. Sono contenta. Sono sicura che la mia famiglia gli piacerà. I miei genitori sono intelligenti e colti. Sono molto orgogliosa di loro. Sono anche sicura che lui piacerà ai miei genitori. È vero che non è ‘di buona famiglia’ - mia mamma tiene molto alla famiglia - ma è intelligente, bravo a scuola, bello e simpatico. Cosa possono volere di più?

19 maggio 1985 pomeriggio

Filippo arriverà tra qualche minuto. Ho messo un vestito nuovo, verde - come la speranza - e molto elegante. Me lo hanno regalato i miei genitori per il compleanno. Ho detto alla mamma che servirò io gli aperitivi.

“Perché non Anna? ” ha chiesto la mamma. Anna è la nostra donna di servizio.

“Perché Filippo non è ricco come noi. Non ha la donna di servizio. Può offendersi. ”

“Capisco, ” ha detto la mamma. Ma non sembrava contenta.

 

20 maggio 1985 mattina

Sono disperata. È successa una cosa terribile. Ho pianto tutta la notte. Alle sette in punto è venuto a casa mia. Indossava un jeans e una maglietta. Ero delusa. Pensavo: “Sarà elegante per il ristorante. ” Invece no. Forse anche i miei genitori erano delusi, ma non lo hanno dimostrato.

Abbiamo preso l’aperitivo in sala. La nostra sala è molto grande; alle pareti sono appesi molti quadri e ci sono anche sculture e vasi. Improvvisamente mio padre gli ha chiesto: “Valentina mi ha detto che sei molto bravo a scuola, Filippo. Cosa vuoi fare dopo la maturità? ”

“Voglio viaggiare. ”

“Come viaggiare? ” ha chiesto papà.

“Voglio viaggiare per il mondo. ”

“Ma certo - ha detto la mamma - molti ragazzi di buona

famiglia si prendono un anno di tempo dopo la scuola superiore per andare a conoscere il mondo. ”

“Io non sono un ragazzo di buona famiglia, signora, ” ha detto Filippo seccato. “Mio padre è un operaio e mia madre una casalinga. ”

Abbiamo cercato di continuare la conversazione, ma ormai si era creato il ghiaccio. Così siamo andati via. “Torna prima di mezzanotte, cara, ” ha detto la mamma. Questo è stato l’inizio del disastro.

Non abbiamo più parlato fino al ristorante. Lui mi ha abbracciato per strada, ma si vedeva che era arrabbiato. E anch’io lo ero. Ma ho pensato:

“Al ristorante andrà meglio. ”

Il ristorante è stata un’altra delusione. Una specie di trattoria. II più brutto posto che abbia mai visto: piccolo, sporco, con grandi tavoli di legno. Non sono mai stata in un posto simile. Con i miei genitori vado sempre al “Berot” o all’“Oca blu”, ristoranti eleganti con una bella atmosfera. Filippo ha visto che ero delusa.

“Non ti piace, vero? ”

“Beh, non era ciò che mi aspettavo... ”

“Certo, con quella famiglia... ”

“Cosa vuoi dire? ”

“Siete tutti così raffinati... ” era ironico.

“Vuoi dire snob, vero? ”

“Sì, snob. ”

Ero sempre più arrabbiata e anche lui.

“Non ti piacciono le cose semplici? ”

“Questo ristorante non è semplice, è solo brutto. ”

Lui si è alzato.

“Allora ce ne andiamo, ” ha detto, “subito... ”

“Va bene, andiamo! ” ho risposto io.

Abbiamo camminato lungo via Masaccio.

“Ti accompagno a casa, ” ha detto.

“A piedi? ” Questa volta ero io ironica.

“Aspettiamo l’autobus alla fermata. Sai, sono troppo povero per permettermi una macchina. ”

“Già, è troppo povero... ” ho pensato, “è troppo povero... ” “Possiamo andare a casa mia, ” ha proposto, “mia mamma ci può preparare qualcosa da mangiare. ”

Lui voleva riappacificarsi, ma io no. Ero ancora offesa per quello che aveva detto sulla mia famiglia.

“No, non voglio andare a casa tua. ”

“Non ti piace? È troppo piccola e miserabile per te...? ” parlava con un tono aggressivo.

Io ho risposto:

“No, non mi piace... è piccola e brutta e puzza sempre di aglio... ”

Lui mi ha guardato e ha detto:

“L’ho detto. Sei come i tuoi, stupida e snob. Solo i soldi sono importanti per te. ”

“Anche i soldi sono importanti. E i vestiti. E la casa. E... non voglio avere una vita da poveretta in un appartamento di quaranta metri quadrati, perché tu sei... sei... ”

“Ho capito, Valentina. Non abbiamo più nulla da dirci. ” Ci siamo guardati. Per l’ultima volta forse?

Arrivava l’autobus in quel momento. L’ho preso e sono andata a casa.

Piangevo e forse... anche lui.

 



  

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