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Tana French 38 страница



Un suono debole e insistente arrivò dagli altoparlanti. Nella sala degli interrogatori, Rosalind aveva cominciato ad annoiarsi e si era messa a canticchiare sottovoce.

 

 

Quella sera stessa, Sam, Cassie e io cominciammo a smobilitare la sala operativa. Lavorammo con metodo e in silenzio, staccammo le foto, cancellammo le scritte multicolori dalla lavagna, sistemammo i documenti e i rapporti e li infilammo in scatoloni di cartone stampigliati in blu. Qualcuno aveva appiccato un incendio non lontano da Parnell Street, la sera prima, ed erano morti una profuga nigeriana e il suo bambino di sei mesi. A Costello e a un suo collega serviva la sala.

O'Kelly e Sweeney stavano interrogando Rosalind, in fondo al corridoio, con Jonathan alle spalle che la proteggeva. Mi ero aspettato che l'uomo sarebbe arrivato pronto a sparare a zero su tutti, magari anche a picchiare qualcuno, ma, a quanto pareva, non aveva creato problemi. Quando O'Kelly aveva raccontato ai Devlin, fuori dalla stanza degli interrogatori, quello che Rosalind aveva confessato, Margaret si era voltata verso di lui, aveva respirato profondamente e aveva gridato un selvaggio e rauco: «No! ». La sua voce era rimbalzata contro le pareti del corridoio. «No. No. No. Era con le sue cugine. Come può farle questo? Come può … come… Oh, Dio, mi aveva avvisato, mi aveva avvisato che lei le avrebbe fatto questo! Lei…» Mi aveva puntato addosso un dito grasso e tremante e io avevo fatto un balzo prima che avessi potuto controllarmi. «… lei che la chiamava decine di volte al giorno, lei che le chiedeva di uscire, ed è solo una bambina, dovrebbe vergognarsi… e l'altra» aveva continuato, riferendosi a Cassie, «quella ha odiato Rosalind fin dall'inizio, Rosalind ha sempre detto che avrebbe cercato di incolpare lei per… cosa state cercando di farle? Ammazzarmela? Sarete contenti quando l'avrete ammazzata? Oh, mio Dio, la mia povera bambina… Perché la gente dice tutte queste bugie su di lei? Perché? Perché? Perché? » Si era artigliata i capelli ed era scoppiata in orrendi e devastanti singhiozzi.

Jonathan era rimasto immobile in cima alle scale, tenendosi alla balaustra, mentre O'Kelly cercava di calmare Margaret, e lanciandoci occhiate da incenerirci da sopra le spalle della donna. Era in completo e cravatta. Non so bene perché ma me lo ricordo chiaramente, quel vestito. Era blu scuro, con un po' di lucido dove era stato stirato troppe volte, e in qualche modo lo avevo trovato inesprimibilmente triste.

Rosalind era in arresto per omicidio e per aver aggredito un agente. Dall'arrivo dei suoi genitori aveva aperto la bocca solo una volta per sostenere, con labbra tremanti, che Cassie l'aveva colpita allo stomaco con un pugno e che si era solo difesa. Avremmo mandato un dossier all'ufficio del pubblico ministero per entrambe le accuse, ma sapevamo tutti che le prove per l'omicidio erano a dir poco inconsistenti. Non avevamo più nemmeno il collegamento con l'Ombra in Tuta Sportiva per dimostrare che Rosalind era stata complice: infatti la mia seduta con Jessica non era stata eseguita alla presenza di un adulto e non avevo modo di provare che fosse mai accaduta. Avevamo la parola di Damien e una serie di tabulati telefonici, ma era tutto.

Si stava facendo tardi, mancava poco alle otto, e l'edificio era molto tranquillo. Si registravano solo i nostri movimenti e una pioggerellina intermittente che picchiettava sui vetri della sala operativa. Staccai le foto del cadavere e le immagini di famiglia dei Devlin, gli appunti sull'Ombra in Tuta Sportiva e gli ingrandimenti sgranati di Peter e Jamie, tolsi loro gli adesivi usati per appiccicarli alla lavagna e li misi via. Cassie controllò ogni scatola, ci sistemò sopra i coperchi e li contrassegnò con un pennarello nero. Sam girò per la stanza con un sacchetto delle immondizie e raccolse i bicchieri di carta, svuotò i cestini, spazzò le briciole dai tavoli. Aveva delle macchie di sangue secco sul davanti della camicia.

La mappa di Knocknaree cominciava ad arricciarsi ai bordi e un angolino si strappò quando la staccai. Qualcuno ci aveva spruzzato dell'acqua e in alcuni punti l'inchiostro era colato, così che la caricatura dell'immobiliarista di Cassie aveva assunto un che di sinistro. «Questa la mettiamo agli atti» chiesi a Sam, «o…? »

Rimanemmo per un po' a guardarla: piccoli tronchi nodosi e il fumo che usciva dai camini delle case, fragile e nostalgico come quello di una favola. «Forse è meglio di no» rispose dopo un momento. Mi prese la mappa dalle mani, la arrotolò e la infilò nel sacchetto dell'immondizia.

«Manca un coperchio» disse Cassie. Delle croste scure e brutte a vedersi si erano formate sui tagli che aveva sulle guance. «Lì non ce ne sono più? »

«Ce n'era uno sotto il tavolo» rispose Sam. «Tieni…» Le lanciò l'ultimo coperchio. Lei lo sistemò e si alzò.

In piedi sotto le luci dei neon, ci guardammo l'un l'altro, i tavoli vuoti e il mucchio di scatole in mezzo a noi. " Tocca a me cucinare questa sera…" fui lì lì per dire, e sentii che lo stesso pensiero attraversò le menti di Sam e Cassie, un'idea stupida e impossibile, anche se non meno dolorosa.

«Bene» fece Cassie in tono pacato, con un lungo respiro. Lanciò un'occhiata alla stanza vuota attorno a noi e si pulì le mani sui jeans. «Direi che questo è tutto. »

 

Sono consapevole, comunque, del fatto che questa storia non mi pone in una luce particolarmente lusinghiera. So anche che, in quel pochissimo tempo che mi aveva conosciuto, Rosalind aveva fatto di me il cagnolino ammaestrato che correva su e giù per le scale per portarle un caffè, che annuiva mentre spandeva merda sulla mia collega, che, come un adolescente infatuato dei divi del cinema, la sognava come anima gemella. Ma prima che decidiate di ricoprirmi di disprezzo, considerate questo aspetto: ha fregato anche voi. Le vostre chance equivalevano alle mie. Vi ho raccontato tutto quello che vidi come lo vidi in quel momento. E se è stato ingannevole, ricordate: ve l'avevo detto. Ve l'avevo detto fin dall'inizio che io mento.

Mi è difficile descrivere il grado di orrore e ripugnanza che provai verso me stesso quando mi resi conto che Rosalind mi aveva fregato. Sono certo che Cassie avrebbe detto che, con la mia dabbenaggine, era più che naturale, che tutti gli altri bugiardi e criminali in cui mi ero imbattuto erano stati dei semplici dilettanti mentre Rosalind era una campionessa dalle doti innate, che lei invece era rimasta immune semplicemente perché ci era già cascata una volta, in passato. Ma Cassie non c'era. Alcuni giorni dopo avere chiuso il caso, O'Kelly mi informò che fino a quando non fossero stati emessi i verdetti, avrei lavorato lontano dall'unità investigativa principale, in Harcourt Street, «lontano da tutto quello che potresti mandare a puttane», per dirla con parole sue, e mi era stato difficile oppormi. Ero ancora ufficialmente alla Omicidi, quindi nessuno in realtà sapeva bene cosa farmi fare alla sezione generale. Mi assegnarono una scrivania e di tanto in tanto O'Kelly mi mandava una pila di cartacce burocratiche, ma ero quasi sempre libero di vagare per i corridoi, a origliare frammenti di conversazione e a schivare sguardi curiosi, incorporeo indesiderato: un fantasma.

Trascorrevo notti insonni, in preda al mal di testa, sempre a muovermi, le coperte che mi infastidivano, la sveglia sul comodino che strisciava con lentezza interminabile verso l'alba, a immaginare destini cruenti quanto improbabili, con tanto di particolari, per Rosalind. Non volevo semplicemente che morisse, la volevo spazzata via dalla faccia della terra, ridotta a un ammasso irriconoscibile, sminuzzata in un tritacarne, incenerita, che di lei restassero solo poche polveri tossiche. Non avevo mai sospettato di avere un animo così sadico e mi fece ancora più orrore rendermi conto che avrei messo in atto con gioia uno qualsiasi di quei supplizi. Tutte le conversazioni che avevo avuto con lei mi vorticavano nella testa: vedevo con spietata chiarezza con quanta abilità mi avesse giocato, con quanta sicurezza avesse posato il dito su qualsiasi cosa, dalle mie vanità alle mie sofferenze, fino a raggiungere le mie paure più profonde e nascoste e a sottoporle al suo volere.

Ma, più di tutto, fu questa la presa di coscienza più odiosa: in fin dei conti, Rosalind non mi aveva impiantato un microchip dietro l'orecchio, né mi aveva drogato e spinto alla sottomissione. Ero stato io a infrangere ogni voto ed ero stato io a condurre la nave al naufragio. Lei si era limitata, come tutti coloro che conoscono il loro mestiere, a usare quello che aveva avuto a portata di mano. Le era bastato uno sguardo per valutare me e Cassie dalla testa ai piedi e decidere di scartare Cassie in quanto inutilizzabile. In me, invece, aveva visto qualcosa, una qualità sottile ma fondamentale, che l'aveva indotta a pensare che valesse la pena tenermi.

 

Non testimoniai al processo di Damien. Il pubblico ministero disse che era troppo rischioso, che erano troppe le probabilità che Rosalind avesse raccontato a Damien la mia " storia personale", come la definì. Si chiama Mathews, indossa cravatte sgargianti, spesso lo definiscono " dinamico" e ha il potere di stancarmi sempre. Rosalind non aveva più tirato fuori l'argomento forse perché Cassie era stata così convincente da indurla a passare ad armi più promettenti. A dire il vero, dubitavo che avesse detto alcunché di utile a Damien, ma non mi diedi pena di sostenere quella tesi.

Però andai a vedere Cassie che deponeva. Mi sedetti in fondo all'aula che, diversamente dal solito, era stipata di pubblico. Il processo era stato sulle prime pagine e argomento di programmi alla radio ancor prima di iniziare. Cassie indossava un misurato completo color tortora e si era stirata i capelli. Non la vedevo da qualche mese. Sembrava più magra, più spenta. Quella mobilità da argento vivo che associavo a lei era sparita, e quella nuova pacatezza attirò la mia attenzione sul suo volto, sulle delicate arcate sopraccigliari ben segnate, sulle curve ampie e nette della bocca. Era come se non l'avessi mai vista prima. Era invecchiata, non era più la svelta ragazzaccia con la Vespa in panne, ma non per quello mi pareva meno bella: quale che sia la bellezza ellittica che Cassie possiede, non è mai stata nella tonalità della carnagione, ma più in profondità, nei levigati contorni delle sue ossa. La osservai sul banco dei testimoni, con addosso quel vestito inusuale, e ripensai ai morbidi capelli sulla sua nuca, caldi e profumati di sole, e mi parve una cosa impossibile, il miracolo più grande e triste della mia vita: quei capelli li avevo toccati, una volta.

Fu bravissima, ma lo era sempre stata in tribunale. Le giurie le credono e lei riesce a mantenere la loro attenzione, cosa più difficile di quanto non sembri, soprattutto nei processi lunghi. Rispose alle domande di Mathews con voce chiara e pacata, tenendo le mani ripiegate in grembo. Al controinterrogatorio fece quello che poté per Damien: sì, era apparso agitato e confuso… sì, sembrava proprio che avesse creduto fino in fondo che l'omicidio fosse necessario per proteggere Rosalind e Jessica Devlin… sì, a suo avviso era sotto l'influenza di Rosalind e aveva commesso il crimine perché spinto da lei. Damien si rannicchiava sulla sedia e la fissava come un bambino che guarda un film dell'orrore, con un'espressione stordita e gli occhi sgranati e disorientati. Aveva tentato di suicidarsi con il lenzuolo della prigione quando aveva saputo che Rosalind avrebbe testimoniato contro di lui.

«Quando Damien confessò il crimine» domandò l'avvocato della difesa, «le disse perché l'aveva commesso? »

Cassie scosse la testa. «No, non quel giorno. Il mio collega e io gli chiedemmo ripetute volte la motivazione, ma si rifiutò di rispondere, oppure disse che non ne era certo. »

«Anche se aveva già confessato e dirvi il motivo non avrebbe potuto danneggiarlo ulteriormente. Lei come lo spiegherebbe? »

«Obiezione, si richiede alla teste di formulare delle congetture…»

" Il mio collega. " Mi accorsi da come sbatté gli occhi nel pronunciarlo, dall'impercettibile movimento dell'angolazione delle spalle, che Cassie mi aveva visto rintanato in fondo all'aula. Ma non guardò mai nella mia direzione, neppure quando gli avvocati ebbero finito di farle domande e lei scese dal banco e uscì dall'aula. In quel momento pensai a Kiernan, a come doveva essersi sentito quando, dopo trent'anni di lavoro insieme, McCabe aveva avuto quell'infarto ed era morto. Più di quanto abbia mai invidiato qualcosa, gli invidiai quel dolore unico e inaccessibile.

Rosalind fu la teste successiva. Si diresse al banco in punta di piedi, in mezzo all'improvviso fermento di sussurri e di mani di giornalisti che scrivevano veloci. Rivolse a Mathews un timido sorrisetto a forma di bocciolo di rosa da sotto gli occhioni carichi di mascara. Me ne andai. Il giorno dopo, lessi sui giornali dei suoi singhiozzi quando aveva parlato di Katy, di come si fosse messa a tremare quando aveva ricordato la minaccia di Damien di uccidere le sue sorelle se avesse rotto con lui e, quando il legale del ragazzo aveva iniziato a scavare più a fondo, di come si fosse messa a gridare: «Come osa! Io adoravo mio sorella! » per poi svenire e obbligare il giudice ad aggiornare l'udienza al pomeriggio.

Non era stata rinviata a giudizio per decisione dei suoi genitori, ne sono certo, ma sua. Se avesse potuto scegliere, non credo si sarebbe lasciata sfuggire l'occasione di ricevere tutta quell'attenzione. Mathews aveva patteggiato lo stralcio della parte che la riguardava. Lo sanno tutti che le accuse di complotto sono molto difficili da dimostrare. Non c'erano prove solide contro Rosalind, la sua confessione era inammissibile, e comunque aveva ritrattato. Aveva spiegato che Cassie l'aveva fatta morire di paura facendole dei segni con la mano come per dirle che le avrebbe tagliato la gola. A parte tutto, in quanto minorenne le sarebbe stata inflitta una pena minima anche se fosse stata ritenuta colpevole. Inoltre, aveva sostenuto che, di tanto in tanto, avevamo fatto sesso, e per questo a O'Kelly era quasi venuto un colpo apoplettico, per non parlare del sottoscritto, e aveva portato la confusione generale a un livello prossimo alla paralisi.

Mathews si era giocato tutto concentrandosi su Damien. In cambio della sua testimonianza contro di lui, aveva offerto a Rosalind una sospensione della condanna a tre anni per condotta imprudente e per resistenza a pubblico ufficiale in occasione dell'arresto. Il solito tam‑ tam interno aveva fatto circolare la voce che le erano già state rivolte cinque o sei proposte di matrimonio e che i giornali e gli editori si stavano già accapigliando per assicurarsi i diritti della sua storia.

 

Quando uscii dal tribunale scorsi Jonathan Devlin che fumava, appoggiato a un muro. Con la sigaretta vicino al petto, aveva la testa rovesciata all'indietro per osservare i gabbiani che roteavano sul fiume. Estrassi il mio pacchetto dal cappotto e mi unii a lui.

Mi lanciò un'occhiata e distolse nuovamente lo sguardo.

«Come va? » domandai.

Scrollò le spalle con veemenza. «Come può immaginare. Jessica ha tentato di uccidersi. È andata a letto e si è tagliata le vene col mio rasoio. »

«Mi dispiace» dissi. «Sta bene ora? »

Ebbe una specie di tic a un angolo della bocca mentre gli si formava un sorriso triste. «Sì. Fortunatamente, si è tagliata in orizzontale invece che in verticale, più o meno. »

Mi accesi la sigaretta mettendo le mani a coppa attorno alla fiamma. Era una giornata ventosa, con nuvole violacee che si addensavano. Erano previste piogge intense per la notte. «Posso farle una domanda? » chiesi. «Del tutto ufficiosa, stia certo. »

Mi squadrò con occhi scuri e senza speranza, segnati da qualcosa che somigliava al disprezzo. «Perché no? »

«Lei sapeva, vero? L'ha sempre saputo. »

Rimase a lungo in silenzio, tanto che mi chiesi se avrebbe ignorato la domanda. Alla fine sospirò e rispose: «Non è che sapessi. Non poteva essere stata materialmente lei perché era dalle cugine e non sapevo nulla di questo tipo, questo Damien. Ma mi facevo delle domande. Conosco Rosalind e mi interrogavo…».

«E non ha fatto nulla. » Avevo cercato di mantenere la voce inespressiva, ma doveva esserci finita ugualmente una nota accusatoria. Avrebbe potuto dirci il primo giorno com'era Rosalind, avrebbe potuto dirlo a qualcun altro negli anni precedenti, quando Katy aveva cominciato a stare male. Anche se sapevo che, alla lunga, non avrebbe fatto alcuna differenza, non potevo non pensare a tutte le vittime che quel silenzio si era lasciato dietro, a tutte le macerie che aveva prodotto.

Jonathan lanciò il mozzicone della sigaretta e si voltò per guardarmi dritto in faccia, con le mani infilate nelle tasche del soprabito. «Secondo lei, cosa avrei dovuto fare? » chiese, con voce bassa e dura. «È figlia mia anche lei. Ne avevo già persa una. Margaret non voleva sentire parlare male di lei. Anni fa cercai di mandare Rosalind da uno psicologo per tutte le bugie che diceva e Margaret divenne isterica e minacciò di lasciarmi e di portare via con sé le ragazze. E non sapevo nulla. Non avrei avuto un cazzo da dirvi! La tenevo d'occhio e pregavo che fosse stato uno degli imprenditori edili che lavorano nella zona. Lei cosa avrebbe fatto? »

«Non lo so» risposi, con sincerità. «Molto probabilmente quello che ha fatto lei. » Continuava a fissarmi, col respiro affannoso, le narici dilatate. Spostai la testa e tirai una boccata dalla sigaretta. Con un sospiro, Devlin si riappoggiò al muro.

«Adesso ho io una cosa da chiederle» cominciò. «Rosalind ci ha preso quando diceva che lei è quello a cui sparirono i due amici? »

La domanda non mi sorprese. Aveva il diritto di ascoltare o vedere tutte le registrazioni degli interrogatori a Rosalind e, da un certo punto di vista, mi ero sempre aspettato che me lo chiedesse, prima o poi. Sapevo che avrei dovuto negarlo – ufficialmente, era una storia che mi ero inventato, in maniera legale anche se un po' impietosamente, per guadagnarmi la fiducia di Rosalind – ma non ne avevo la forza, e poi non ne vedevo il motivo. «Esatto» risposi. «Adam Ryan. »

Jonathan voltò la testa e mi guardò a lungo. Mi chiesi quali ricordi stesse cercando di associare al mio volto.

«Noi non c'entrammo con quella faccenda» disse, e il tono sottomesso della sua voce, gentile, quasi pietosa, mi stupì. «Voglio che lo sappia. Niente di niente. »

«Lo so. Mi dispiace di essermi accanito. »

Annuì, lentamente. «Probabilmente avrei fatto la stessa cosa, al suo posto. E non è che fossi l'innocenza dipinta. Vide quello che facemmo a Sandra, vero? Lei c'era. »

«Sì » confermai. «Sandra non sporgerà denuncia. »

Mosse la testa come se quel pensiero lo disturbasse. Il fiume era scuro e compatto, con una lucentezza oleosa e poco piacevole. C'era qualcosa nell'acqua, forse un pesce morto, o dei rifiuti, e i gabbiani ci si accanivano.

«Cosa farà, ora? » chiesi inutilmente.

Jonathan scosse il capo e fissò il cielo sempre più basso. Aveva l'aria stanca; non quel genere di stanchezza che avrebbe potuto eliminare con una buona nottata di sonno e con una vacanza. Era qualcosa di intimo e incancellabile che si era sedimentato in solchi profondi intorno agli occhi e alla bocca. «Ci trasferiamo. Ci scagliano mattoni contro le finestre, qualcuno ha scritto " pidoffilo" con lo spray sull'auto; chi l'ha fatto non sa scrivere, ma il messaggio è chiaro. Potrò resistere fino a quando la faccenda dell'autostrada non si sarà sistemata, in un modo o nell'altro, ma dopo…»

Le accuse di abuso infantile, a prescindere da quanto possano essere infondate, devono essere controllate. L'indagine rispetto a quelle di Damien contro Jonathan non aveva portato a nulla che avesse potuto dimostrarle, al contrario, avevamo trovato materiale per confutarle, e quelli della sezione Crimini sessuali avevano lavorato con la massima discrezione. Ma per qualche misterioso sistema che funziona come i tamburi della giungla, i vicini vengono a sapere sempre tutto. C'è un sacco di gente che pensa che non c'è fumo senza arrosto.

«Manderò Rosalind in terapia, come ha detto il giudice. Ho letto delle cose e dappertutto dicono che non funzionano per le persone come lei perché sono fatte così e non c'è cura che tenga, ma devo tentare. E la terrò a casa con me il più a lungo possibile per vedere cosa combina ed eventualmente intervenire se scopro che fa i suoi giochetti con qualcun altro. A ottobre inizierà il college, musica al Trinity, ma le ho detto che l'affitto di un appartamento non glielo pago. Resterà a casa, oppure dovrà trovarsi un lavoro. Margaret continua a credere che non abbia fatto nulla e che siete stati voi a incastrarla, ma è contenta di tenersela vicina ancora per un po'. Dice che Rosalind è sensibile. » Si schiarì la voce e produsse un suono sgradevole, come se quella parola avesse un saporaccio. «Jess andrà a vivere ad Athlone, da mia sorella, non appena le cicatrici sul braccio saranno un po' meno evidenti. Cerchiamo di tenerla al sicuro. »

La bocca gli si storse in un mezzo sorriso amaro. «Far del male a sua sorella…» Per un istante pensai a come doveva essere stata quella casa negli ultimi diciotto anni, a come doveva essere ora, e lo stomaco mi si rivoltò per l'orrore.

«Vuole sapere una cosa? » disse improvvisamente Jonathan, con una nota di dolore. «Margaret e io uscivamo da un paio di mesi soltanto quando lei scoprì di essere incinta. Eravamo terrorizzati. Una volta riuscii a tirar fuori che forse poteva pensare a… a prendere la nave per l'Inghilterra. Ma… vabbè, lei è molto religiosa. Già stava malissimo all'idea di essere rimasta incinta, parlare poi di… è una brava donna, non mi pento di averla sposata. Ma se avessi saputo cosa… quello che… come sarebbe stata Rosalind, che Dio mi perdoni, ce l'avrei trascinata io su quella nave. »

" Vorrei tanto che l'avessi fatto" stavo per dirgli, ma sarebbe stata una crudeltà. «Mi dispiace» ripetei inutilmente.

Mi lanciò un'ultima occhiata, fece un respiro profondo e si strinse nelle spalle. «Sarà meglio che vada dentro… Rosalind potrebbe aver finito. »

«Credo che ci metterà un po'. »

«Mi sa di sì » rispose con tono piatto, e si avviò pesantemente verso i gradini del tribunale, col soprabito che sventolava dietro di lui, appena piegato dalle folate di vento.

 

Damien era stato giudicato colpevole e, date le prove presentate, non poteva essere altrimenti. C'erano state varie dispute legali, complicate, multilaterali, sull'ammissibilità e gli psichiatri avevano dibattuto a lungo e nel loro linguaggio pesantemente intriso di tecnicismi, sul funzionamento della mente di Damien. Ero venuto a saperlo da informazioni di terza mano, da brani di conversazioni di passaggio o da interminabili telefonate di Quigley che, a quanto pareva, si era dato come missione della sua vita scoprire perché fossi stato relegato ai lavori d'ufficio in Harcourt Street. L'avvocato del ragazzo si era incamminato lungo due linee di difesa: Damien era stato temporaneamente incapace di intendere o, se così non era, aveva pensato di proteggere Rosalind da lesioni personali gravi. Questo molto spesso genera un po' di confusione e può far nascere il cosiddetto ragionevole dubbio. Ma avevamo una confessione piena e, cosa forse ancora più importante, c'erano le fotografie dell'autopsia di una bambina morta. Damien si era preso l'ergastolo, che in pratica significava rimanere in galera dai sette ai quindici anni.

Dubito che avesse colto gli innumerevoli aspetti ironici della faccenda, ma molto probabilmente quella cazzuola gli aveva salvato la vita, e di certo gli avrebbe risparmiato esperienze sgradevoli in prigione. A causa dell'aggressione di natura sessuale contro Katy, era stato ritenuto reo di un crimine a sfondo sessuale e condannato a essere recluso nell'unità ad alto rischio, con i pedofili, gli stupratori e altri criminali che non se la sarebbero cavata bene in mezzo alla popolazione penitenziaria in generale. Forse, tutto sommato, era stato un bene perché, se non altro, gli dava la possibilità di uscire dalla prigione vivo e senza malattie trasmissibili.

C'era una piccola folla pronta al linciaggio, qualche decina di persone, che lo aspettava fuori dal tribunale dopo la condanna. Vidi la scena al telegiornale in un piccolo e squallido pub vicino alle banchine del porto. Un basso e minaccioso mormorio di approvazione si levò dai clienti abituali mentre, sullo schermo, degli impassibili agenti in uniforme conducevano un Damien barcollante tra la folla e verso un furgone che si allontanò tra una selva di pugni levati, grida rauche e qualche mezzo mattone lanciato dai presenti. «Introduciamo la cazzo di pena di morte» borbottò qualcuno, in un angolo. So che mi sarebbe dovuto dispiacere per Damien, che si era fregato con le proprie mani nel preciso istante in cui era passato davanti a quel tavolo per la raccolta di firme, e che io, tra tutti, sarei dovuto essere quello in grado di mettere insieme un po' di compassione per lui, ma non ci riuscii. Proprio non ci riuscii.

 

Sinceramente non me la sento di dilungarmi su cosa scoprii che significasse " sospeso in attesa di indagini": udienze nervose e senza fine, arcigne autorità con uniformi e abiti perfettissimamente stirati, spiegazioni e autogiustificazioni impacciate e umilianti, la fastidiosa sensazione di essere dall'altra parte dello specchio, di trovarsi dal lato sbagliato nella stanza degli interrogatori. Con mia sorpresa, O'Kelly si rivelò il mio più agguerrito difensore, si dilungò in lunghi e appassionati discorsi sulla mia percentuale di casi risolti, sulle mie tecniche di interrogatorio dei sospetti, su tutte quelle cose che non aveva mai tirato fuori prima. Anche se sapevo che non lo faceva per un'impossibile vena di affetto ma solo per proteggere se stesso, visto che il mio comportamento si rifletteva negativamente su di lui e aveva bisogno di giustificarsi per aver offerto rifugio a una specie di rinnegato come me all'interno della sua squadra per così tanto tempo, gli manifestai ugualmente la mia gratitudine in maniera patetica, quasi con le lacrime agli occhi, come se fosse stato il mio unico alleato al mondo. Cercai di ringraziarlo anche quando lo incontrai nel corridoio, dopo una di quelle sedute, ma riuscii a pronunciare solo poche parole e lui mi rivolse uno sguardo carico di tale profondo disgusto che iniziai a balbettare e a indietreggiare.

Alla fine, le varie autorità decisero di non licenziarmi e neppure, e sarebbe stato molto peggio, di rimandarmi al servizio in uniforme. Credo ancora una volta che non fu perché pensavano che meritassi una seconda chance. Più semplicemente, licenziarmi avrebbe attirato l'attenzione di qualche giornalista e avrebbe fatto nascere qualche domanda inopportuna con conseguenze altrettanto indesiderate. Naturalmente, mi cacciarono dalla sezione. Anche nei momenti di ottimismo più sfrenato, non ero mai arrivato a sperare che non l'avrebbero fatto. Mi rispedirono al gruppo degli agenti di supporto, facendomi intuire che non ne sarei uscito tanto presto, se mai ne fossi uscito. Per la verità, con un meraviglioso misto di delicatezza e sensibilità, me lo dissero senza tanti complimenti. A volte Quigley, con un senso della crudeltà molto più raffinato di quanto non gli abbia mai riconosciuto, mi chiede di partecipare a qualche indagine porta‑ a‑ porta o di presidiare il telefono delle informazioni dei cittadini alla polizia.

Ovviamente, il procedimento al quale venni sottoposto non fu così semplice come l'ho illustrato. Ci vollero mesi, mesi durante i quali restavo nel mio appartamento in un miserabile stordimento da incubo, con i risparmi che si assottigliavano ogni giorno di più e mia madre che timidamente mi portava la pasta al formaggio per essere certa che mangiassi. Per non parlare di Heather, che attaccava bottoni infiniti per spiegarmi il difetto del mio carattere che stava alla radice di tutti i miei problemi: a quanto pareva, dovevo imparare a prendere maggiormente in considerazione i sentimenti delle altre persone, i suoi in particolare. Concludeva dandomi il numero di telefono del suo terapeuta.



  

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