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Tana French 36 страница



«Di cosa stai parlando? »

«Ieri sera» continuò lentamente Cassie, «Rosalind mi ha accusata di essere andata a letto con il detective Ryan. »

Sam girò la testa di scatto verso di me. Io lanciai un'occhiata a O'Kelly che volle subito precisare: «Oh, non me n'ero certo dimenticato, credetemi. E sarà meglio che non sia vero. Voi due siete già abbastanza nella merda».

«No» disse Cassie, con una punta di stanchezza nella voce, «non è vero. Cercava solo di distrarmi e sperava di toccare un nervo scoperto. Non c'è riuscita, ma non ne è sicura. Può anche aver pensato che fingessi bene. »

«E allora? » chiese O'Kelly.

«Allora potrei andare a parlare con lei, ammettere che io e il detective Ryan abbiamo una storia da tempo e supplicarla di non tradirci. Dirle magari che sospettiamo sia implicata nella morte di Katy e offrirmi di raccontarle tutto quello che so in cambio del suo silenzio, qualcosa del genere. »

O'Kelly sbuffò. «E allora? Pensi che a quel punto vuoterà il sacco? »

Cassie si strinse nelle spalle. «Non vedo perché non dovrebbe. Sì, molti detestano ammettere di aver fatto qualcosa di orribile, anche se non rischiano di finire nei guai. Ma è perché si sentono in colpa, e perché non vogliono che si pensi male di loro. Per quella ragazza, gli altri non sono reali, sono come i personaggi di un videogioco, e bene e male sono solo parole. Non si sente in colpa e non ha rimorsi per aver convinto Damien a uccidere Katy. E vi dirò anche che, secondo me, è molto soddisfatta di sé. È stato uno dei suoi più grandi successi e non ha potuto vantarsene con nessuno. Se sarà sicura di avere il coltello dalla parte del manico e di non essere registrata – e io potrei mai essermi messa un registratore addosso e confessare poi di essere andata a letto con il mio collega? – credo che approfitterà delle circostanze. Il pensiero di dire a un detective tutto quello che ha fatto, sapendo che non potrà mai essere accusata, sapendo che per me avrebbe conseguenze terribili, sarebbe uno dei piaceri più eccitanti della sua vita. E non riuscirà a resistere. »

«Potrà dire tutto quello che le pare» disse O'Kelly. «Senza che le vengano formalmente letti i suoi dritti, niente di quello che dirà sarà ammissibile come prova. »

«Vorrà dire che glieli leggerò. »

«E credi che continuerà a parlare? L'hai detto tu che non è pazza. »

«Non lo so» ammise Cassie. Per un attimo mi sembrò esausta e francamente seccata, e questo la faceva apparire molto giovane, una ragazzina che non riusciva a nascondere la propria frustrazione davanti alla stupidità del mondo degli adulti. «Credo solo che sia la nostra carta migliore. Se la sottoponiamo a un interrogatorio formale, si terrà in guardia, se ne starà lì seduta e negherà ogni cosa, e noi avremo esaurito le nostre possibilità. Se ne tornerà a casa sapendo che non possiamo incastrarla in nessun modo. Così, invece, c'è la probabilità che pensi di essere intoccabile e si conceda il lusso di parlare. »

O'Kelly grattava furiosamente con l'unghia del pollice il finto legno del tavolo. Ci stava pensando. «Se lo facciamo, avrai un registratore. Non posso rischiare di avere la sua parola contro la tua. »

«Non l'avrei fatto in nessun altro modo comunque» disse Cassie, impassibile.

«Cassie. » Sam si sporse con sollecitudine sul tavolo. «Sei certa di poterlo fare? » Sentii un'improvvisa vampata di rabbia, totalmente ingiustificabile ma non per questo meno dolorosa: avrei dovuto farle io quella domanda.

«Ce la posso fare» gli disse Cassie, con un piccolo, mezzo sorriso. «Ehi, mi sono fatta quattro mesi di lavoro sotto copertura e non mi hanno beccata nemmeno una volta. Un'interpretazione da Oscar, che credi? »

Non penso che fosse quello che le aveva chiesto Sam. Quando mi aveva raccontato di quel tipo all'università, Cassie lo aveva fatto con un atteggiamento catatonico, ora vedevo quello stesso sguardo dilatato nei suoi occhi, sentivo la stessa nota troppo distaccata nella sua voce. Mi venne in mente la prima sera, vicino alla Vespa in panne: quella voglia di nasconderla sotto il cappotto, di proteggerla perfino dalla pioggia.

«Potrei farlo io» intervenni, forse con un tono di voce troppo alto. «A Rosalind piaccio. »

«No» scattò O'Kelly. «Tu non puoi. »

Cassie si strofinò gli occhi con due dita, si massaggiò la base del naso come se le stesse venendo il mal di testa. «Senza offesa» disse, neutra, «ma a Rosalind Devlin tu non piaci più di quanto non le piaccia io. È incapace di quel genere di emozione. Semplicemente ti trova utile. Sa di avere un bell'ascendente su di te, o di averlo avuto, non so, ed è sicura che tu sia il poliziotto che, se tutto va male, sarà fermamente convinto che sia stata ingiustamente accusata e si schiererà dalla sua parte. Credimi, non c'è nessuna possibilità che confessi a te. Io invece non le servo. Non ha niente da perdere a parlare con me. Sa di non piacermi, ma questo significa solo che avermi in suo potere le darà un brivido in più. »

«D'accordo. » O'Kelly stava radunando le sue carte e spingendo indietro la sedia per andarsene. «Procediamo. Maddox, spero proprio che tu sappia quello che stai facendo. Domani mattina per prima cosa ti metteremo addosso un registratore, poi andrai a farti una bella chiacchierata tra donne con Rosalind Devlin. Vedrò di farti dare un qualche aggeggio ad attivazione vocale, così che tu non debba cercare tasti di alcun genere. »

«No» disse Cassie. «Niente registratore. Voglio una trasmittente collegata a un furgone di supporto parcheggiato a meno di cinquecento metri. »

«Per interrogare una ragazza di diciotto anni? » fece O'Kelly con un tono di compatimento. «Tira fuori le palle, Maddox. Non abbiamo a che fare con al‑ Qaeda. »

«Per trovarmi a tu per tu, da sola, con una psicopatica che ha ucciso la sua sorellina. »

«Non si è mai mostrata violenta in prima persona» dissi. Non volevo che suonasse come un commento malevolo, ma ugualmente lo sguardo di Cassie mi passò addosso, inespressivo, come se io nemmeno esistessi.

«Trasmettitore e furgone di supporto» ripeté.

 

Quella notte tornai a casa alle tre del mattino, quando potevo essere certo che Heather dormisse. Presi la macchina, me ne andai a Bray, sul mare, e me ne rimasi seduto in auto. Aveva finalmente smesso di piovere, ma l'aria era carica di foschia. La marea era alta, sentivo gli schiaffi e le rincorse dell'acqua, ma vedevo solo a tratti le onde, tra i varchi nel grigio che cancellava tutto. L'allegro, piccolo chiosco appariva e scompariva come una visione fatata. Da qualche parte, un faro acustico ripeteva all'infinito la sua unica nota malinconica, e coloro che tornavano a casa a piedi per il lungomare si materializzavano dal nulla, sagome galleggianti a mezz'aria come oscuri messaggeri.

Pensai a molte cose, quella notte. Pensai a Cassie a Lione, a una ragazza con il grembiule che serviva il caffè ai tavoli all'aperto, pieni di sole, e scherzava in francese con i clienti. Pensai ai miei genitori quando si preparavano per andare a ballare: le righe precise che il pettine di mio padre gli lasciava nei capelli pieni di brillantina, la fragranza intensa ed eccitante del profumo di mia madre e il suo vestito a fiori che frusciava uscendo dalla porta. Pensai a Jonathan, Cathal e Shane, dinoccolati, avventati, e con le loro risate echeggianti; a Sam seduto al tavolone da pranzo insieme ai suoi sette rumorosi fratelli e sorelle; a Damien che, in una qualche silenziosa biblioteca universitaria, riempiva un modulo per un lavoro a Knocknaree. Pensai agli occhi da matto di Mark (" Le uniche cose in cui credo sono là fuori, allo scavo" ) e ai rivoluzionari che agitavano bandiere stracciate e intrepide, ai profughi che nuotavano di notte sfruttando le correnti. Pensai a tutti coloro che attribuivano così poco valore alla vita, o tanto ai loro ideali, da andare sicuri, a occhi aperti, incontro a ciò che avrebbe potuto togliergliela o trasformarla per sempre, e i cui alti principi sfuggivano alla nostra comprensione. Pensai anche a dei fiori di campo da portare a mia madre.

 

 

O'Kelly è sempre stato una specie di mistero, per me. Cassie non gli era mai andata a genio, non gli piacevano le sue teorie e riteneva che, tutto sommato, fosse più una rottura di scatole che altro. Ma la squadra ha un significato profondo, quasi totemico, per lui: quando si rassegna a sostenerne un componente, lo fa fino in fondo, anche se si tratta di una donna. Concesse a Cassie trasmettitore e furgone di supporto, anche se la considerava una totale perdita di tempo e di risorse. Quando tornai, la mattina dopo, ed era prestissimo perché volevamo prendere Rosalind prima che andasse a scuola, Cassie era in sala operativa e si stava facendo mettere addosso l'attrezzatura.

«Si tolga la felpa, per favore» le chiese gentilmente il tecnico della sorveglianza. Era basso e dai lineamenti comuni, con mani professionali e abili. Ubbidiente come un bambino nell'ambulatorio del dottore, Cassie si sfilò la felpa da sopra la testa. Sotto portava quella che sembrava una canottiera da maschio. Aveva rinunciato al trucco spavaldo degli ultimi giorni e gli occhi apparivano pesti. Mi chiesi se fosse riuscita a dormire e me la immaginai seduta sul davanzale con la T‑ shirt tirata fin sotto le ginocchia ripiegate fino al petto, il piccolo bagliore rosso della sigaretta che si incendiava e si affievoliva a ogni boccata, a osservare l'alba che rischiarava i giardini di sotto. Sam era alla finestra e ci dava le spalle, O'Kelly invece era tutto preso a tracciare righe, per poi cancellarle e tracciarne di nuove, sulla lavagna bianca. «E ora faccia passare il cavo sotto la T‑ shirt, grazie» proseguì il tecnico.

«Ci sono le intercettazioni che ti aspettano» mi ricordò O'Kelly.

«Voglio andarci anch'io» intervenni. Le spalle di Sam si mossero. Cassie, con la testa piegata sul microfono, non alzò lo sguardo.

«Quando l'inferno sarà ghiacciato e i cammelli torneranno a casa pattinando» rispose O'Kelly.

Ero così stanco che mi pareva di vedere tutto attraverso una sottile foschia bianca in movimento. «Voglio andarci anch'io» ripetei. Questa volta mi ignorarono tutti.

Il tecnico applicò il pacchetto della batteria ai jeans di Cassie, praticò una piccola incisione sul bordo della canottiera, attorno al collo, e ci infilò il microfono. Le aveva intanto fatto rimettere la felpa – Sam e O'Kelly si erano voltati dall'altra parte – e a quel punto le chiese di parlare. Cassie lo guardò con un'espressione vuota e O'Kelly sbottò allora con fare impaziente: «Di' la prima cosa che ti viene in mente, Maddox… cosa fai nel weekend, se vuoi». Ma lei recitò una poesia, una breve e vecchia poesia, di quelle che si imparavano a memoria a scuola. Mi sarei imbattuto in quei versi molto tempo dopo, sfogliando le pagine di un volume in una polverosa libreria:

 

Sui vostri capi sereni distesi

Con sillabe d'argilla le mie preghiere.

Quale dono dovrò portare, chiesi,

Prima che pianga e mi allontani?

 

Prendi la quercia e l'alloro, replicarono.

Prendi la nostra fortuna di lacrime

E vivi come un prodigo amante.

È un dono che non puoi dare quello che ti chiediamo.

 

La sua voce era bassa e piatta, inespressiva, e gli altoparlanti la incupirono ulteriormente, aggiungendovi un'eco bisbigliata. Si udiva anche un fruscio, come di un vento lontano. Mi vennero in mente storie di fantasmi nelle quali le voci dei morti tornavano tra i vivi da vecchie radio gracchianti o attraverso le linee telefoniche, viaggiando su sperdute lunghezze d'onda attraverso le leggi della natura e i selvaggi spazi dell'universo. Il tecnico trafficò con minuscoli e misteriosi aggeggi.

«Grazie, Maddox, molto commovente» disse O'Kelly, quando il tecnico ebbe finito. «Allora, qui c'è la zona residenziale. » Colpì la mappa di Sam con il dorso della mano. «Noi staremo nel furgone parcheggiato in Knocknaree Crescent, la prima sulla sinistra dopo l'entrata principale. Tu, Maddox, con quel tuo affare su due ruote parcheggi davanti alla casa dei Devlin e convinci la ragazza a uscire a far due passi. Usate il cancello posteriore dell'area residenziale e voltate a destra, dalla parte opposta dello scavo, poi di nuovo a destra, lungo il muro laterale, per sbucare sulla strada principale, e ancora a destra verso l'entrata anteriore. Se in qualsiasi momento doveste deviare da questo percorso, annuncialo nel microfono. Dai la tua posizione più spesso che puoi. Quando… oh, Cristo, diciamo " se" … se le hai letto i suoi diritti e hai ottenuto abbastanza per un arresto, procedi e arrestala. Se credi che si sia insospettita o ti sembra di girare a vuoto, chiudi tutto e vieni via. Se hai bisogno di sostegno, in qualsiasi momento, dillo e interveniamo. Se ha un'arma, identificala nel microfono, tipo " metti giù quel coltello" o qualsiasi cosa sia. Non hai testimoni oculari, quindi non essere tu a tirare fuori la tua arma a meno che non sia indispensabile. »

«Non porterò la pistola» disse Cassie. Si slacciò la fondina, la passò a Sam e distese le braccia. «Controllami. »

«Per verificare cosa? » chiese Sam, perplesso, osservando la pistola che teneva in mano.

«Per vedere se ho armi. » Lo sguardo di Cassie scivolò via, vacuo, oltre le spalle di Sam. «Potrebbe sostenere che, qualunque cosa dica, l'ha detta perché la tenevo sotto tiro. Prima che parta con la Vespa, controllate anche quella. »

 

Ancora oggi non so dire come riuscii a salire su quel furgone. Forse fu perché, sebbene in disgrazia, ero pur sempre il collega di Cassie, un rapporto per il quale quasi tutti i detective hanno un radicato e profondo rispetto. O forse perché bombardai O'Kelly con la prima tecnica che qualsiasi bambino piccolo impara: se chiedi a qualcuno qualcosa con ripetitività e abbastanza a lungo, e lo fai mentre quel qualcuno è affaccendato in altre cose, prima o poi ti dirà di sì solo per farti smettere. Ero troppo disperato per preoccuparmi dell'umiliazione che la cosa comportava. Magari dovette pensare anche che, se me lo avesse rifiutato, avrei preso la Land Rover e ci sarei andato da solo.

Il furgone era di quelli dall'aspetto sinistro, bianchi e senza finestrini, che regolarmente compaiono nei rapporti della polizia, con il nome e il logo di un'inesistente ditta di piastrelle stampati su un lato. Dentro era ancora più inquietante: grossi cavi neri arrotolati ovunque, un'attrezzatura che lampeggiava ed emetteva segnali acustici, una lucetta in alto che illuminava pochissimo. Sweeney si mise alla guida. Sam, O'Kelly, il tecnico e io sedevamo nel retro su scomode panchette basse, senza aprire bocca. O'Kelly si era portato un thermos di caffè e dei biscotti collosi che mangiò con morsi metodici, senza dare l'impressione che se li stesse gustando. Sam si grattava via una macchia immaginaria dai pantaloni e io mi feci schioccare le nocche delle mani fino a quando non mi resi conto di quanto la cosa potesse suonare irritante per gli altri; da quel momento pensai soltanto a tenere a freno il desiderio di fumare una sigaretta. Il tecnico risolveva i cruciverba dell'" Irish Times".

Parcheggiammo in Knocknaree Crescent e O'Kelly chiamò il cellulare di Cassie. Era nel raggio d'azione del dispositivo. La sua voce uscì dalle casse fredda e stabile. «Maddox. »

«Dove sei? » chiese O'Kelly.

«In prossimità della zona residenziale. Non volevo arrivare prima e vagare lì in giro. »

«Siamo in posizione. Vai. »

Una breve pausa, poi Cassie rispose: «Sì, signore». Sentii il ronzio della Vespa che si riavviava, poi lo strano effetto stereo quando, un minuto dopo, passò in fondo al Crescent, a pochi metri da noi. Il tecnico ripiegò il giornale, lo mise via e apportò una piccola regolazione a qualcosa. O'Kelly, di fronte a me, prese da una tasca un sacchetto di plastica con dolcetti e caramelle miste e si sistemò meglio sulla panca.

Passi veloci che facevano sobbalzare il microfono, il debole ding‑ dong del campanello… O'Kelly passò il sacchetto delle caramelle, nel caso qualcuno ne volesse. Vedendo che nessuno ne prendeva, fece un'alzata di spalle e si servì di una mentina.

Il clic della porta che si apriva… «Detective Maddox» disse Rosalind, senza sembrare lieta nonostante il tono. «Temo che in questo momento siamo tutti molto occupati. »

«Lo so» rispose Cassie. «Mi dispiace molto disturbarvi. Ma non è che potrei… non è che potrei parlarle un minuto? »

«Ha avuto la possibilità di farlo l'altra sera. Invece mi ha insultata e mi ha rovinato la serata. Sinceramente, non ho più voglia di perdere il mio tempo con lei. »

«Le chiedo scusa per quello. Io… non avrei dovuto farlo. Ma non riguarda il caso. Ho solo… bisogno di chiederle una cosa. »

Silenzio. Immaginai Rosalind che teneva la porta aperta e fissava Cassie, valutando la situazione. E Cassie con la faccia alzata, tesa, le mani affondate nelle tasche della giacca di camoscio. In sottofondo, qualcuno, Margaret, pronunciò alcune parole e Rosalind scattò: «È per me, mamma». Poi la porta sbatté.

«Allora? » domandò Rosalind.

«Potremmo…? » Un tramestio, Cassie che si muoveva nervosamente. «Potremmo andare a fare quattro passi? È una cosa un po' riservata. »

Questo doveva stimolare l'interesse di Rosalind, ma la voce non cambiò. «A dire il vero mi sto preparando per uscire. »

«Solo cinque minuti. Possiamo fare un giro dell'isolato o qualcosa del genere… La prego, signorina Devlin. È importante. »

Alla fine Rosalind sospirò. «D'accordo. Immagino di poterle concedere qualche minuto. »

«Grazie» disse Cassie, «lo apprezzo molto. » Le udimmo ripercorrere il vialetto, con le battute rapide dei tacchi di Rosalind.

Era una bella mattina. Il sole stava diradando la foschia della sera prima. Quando eravamo saliti sul furgone, ce n'era ancora che aleggiava sull'erba e intorbidiva il cielo. Le casse amplificavano il cinguettio dei merli, il cigolio del cancello sul retro della proprietà quando si aprì e il rumore che produsse quando si richiuse, i passi di Cassie e di Rosalind che frusciavano nell'erba umida al limitare del bosco… Pensai a quanto dovessero apparire belle a un osservatore mattiniero: Cassie, semplice, con i capelli scompigliati dal vento, Rosalind, bianca e flessuosa come un elemento appena uscito da una poesia. Due ragazze nella mattina settembrina, teste lucide sotto le foglie che andavano mutando, e i conigli che sgattaiolavano via al loro lento avvicinarsi.

«Posso chiederle una cosa? » cominciò Cassie.

«Be', pensavo che fossimo qui proprio per questo» rispose Rosalind, con appena un'inflessione per sottolineare che Cassie le stava facendo perdere del preziosissimo tempo.

«Sì, mi scusi. » Cassie inspirò. «Okay. Mi chiedevo come facesse a sapere…»

«Sì? » la incoraggiò Rosalind.

«Di me e del detective Ryan. » Silenzio. «Che noi avevamo… una relazione. »

«Oh, quello! » Rosalind rise. Fu un piccolo suono squillante, senza emozione, ma con un accenno di trionfo. «Oh, detective Maddox. Lei cosa ne dice? »

«Ho pensato che abbia tirato a indovinare. O qualcosa del genere. Che forse non l'avevamo nascosto così bene come credevamo. Ma mi sembrava solo… insomma, continuavo a chiedermelo. »

«Be', vi si vedeva in faccia, non è vero? » Maliziosa e con un lieve tono di rimprovero. «Ma no. Ci creda o no, detective Maddox, non trascorro il mio tempo a pensare a lei e alla sua vita amorosa. »

Silenzio. O'Kelly si tolse del caramello dai denti. «Allora come? » chiese Cassie, e la sua voce conteneva una nota di terrore.

«Me l'ha rivelato il detective Ryan, ovviamente» rispose amabilmente Rosalind. Sentii lo sguardo di Sam e quello di O'Kelly saettare su di me e mi morsicai l'interno della guancia per impedirmi di aprire bocca e negare.

Non è facile da ammettere, ma fino a quel momento avevo cullato la debole e incongrua speranza che potessimo aver equivocato. Un ragazzo che diceva quello che pensava volessimo sentirci dire, una ragazza che, incrudelita da un trauma, dal dolore e dall'essere stata respinta da me, si vendicava; potevamo aver travisato la cosa in molti modi. Fu solo in quel momento, per la facilità con la quale era stata pronunciata quella bugia, che compresi che Rosalind, la Rosalind che avevo conosciuto, la ragazza duramente provata dalla vita, seducente e imprevedibile con la quale avevo riso alla Centrale e alla quale avevo tenuto le mani su una panchina, quella ragazza, insomma, non era mai esistita. Tutto quello che mi aveva fatto vedere era stato costruito ad arte, con l'attenzione calcolatrice e meticolosa che un professionista mette nell'indossare il costume dell'attore. Sotto quei veli scintillanti, c'era qualcosa di semplice eppure letale, come un chiodo arrugginito.

«Stronzate! » la voce di Cassie s'incrinò. «Lui non lo direbbe mai, cazzo, mai…»

«Non osi inveire contro di me» scattò Rosalind.

«Mi scusi» disse Cassie, in tono sommesso, dopo un momento. «Solo che… non me lo aspettavo, ecco. Non avrei mai pensato che l'avrebbe detto a qualcuno. Mai e poi mai. »

«E invece l'ha detto. Dovrebbe fare più attenzione alle persone in cui ripone la sua fiducia. Desiderava chiedermi solo questo? »

«No. Ho bisogno di chiederle un favore. » Movimento. Cassie che si passava una mano fra i capelli o sul volto. «È contro le regole… fraternizzare con i colleghi. Se il nostro responsabile lo venisse a scoprire, potremmo essere licenziati tutti e due, o rispediti al servizio in uniforme. E questo lavoro… questo lavoro significa molto per noi. Per entrambi. Abbiamo dato l'anima per entrare alla Omicidi. Ci spezzerebbe il cuore esserne buttati fuori. »

«Avreste dovuto pensarci prima, dico male? »

«Lo so» assentì Cassie, «lo so. Ma c'è qualche possibilità che lei possa… che lei possa tacere sulla faccenda? Non dirlo a nessuno? »

«Coprire la vostra piccola relazione? È questo che intende? »

«Io… sì. Direi di sì. »

«Non sono certa di capire perché dovrei farle dei favori» disse Rosalind con freddezza. «Lei è sempre stata molto maleducata con me, tutte le volte che ci siamo incontrate… E ora che vuole qualcosa da me, invece… Non mi piacciono gli approfittatori. »

«Se sono stata scortese, le chiedo scusa» fece Cassie. La sua voce aveva un che di forzato, troppo alta e troppo veloce. «Sul serio. Credo di essermi sentita… non so, minacciata… non avrei dovuto prendermela con lei. Le porgo le mie scuse. »

«In effetti, le sue scuse sono più che gradite, ma questo esula dal nostro argomento. Non mi interessa il modo in cui lei mi ha insultato, ma se ha potuto trattare me così, sono certa che lo faccia anche con altra gente, giusto? Non so se dovrei coprire una persona che si comporta in modo così poco professionale. Devo pensarci un po' e capire se ho il dovere di informare i suoi superiori su come lei è realmente. »

«La troietta» disse Sam piano, senza sollevare lo sguardo.

«Un bel calcio nel culo, ecco quello che si merita» borbottò O'Kelly. Nonostante tutto, stava cominciando a interessarsi anche lui. «Se avessi avuto io la faccia tosta che ha questa ragazzina con una persona con il doppio dei suoi anni…»

«Senta» riprese Cassie, in tono disperato, «non riguarda solo me. E il detective Ryan? Lui non è mai stato maleducato con lei, no? Lui la adora. »

Rosalind rise con modestia. «Davvero? »

«Sì » confermò Cassie. «È proprio così. »

Forse Rosalind stava facendo finta di pensarci su. «Be', allora… immagino che, se era lei a stargli dietro, la colpa della relazione non sia stata sua. Potrebbe non essere giusto farlo soffrire per questo. »

«Credo che sia andata proprio così. » Sentivo l'umiliazione nella voce di Cassie, aspra e non mimetizzata. «Sono stata… sono sempre stata io quella che dava inizio alle cose. »

«E quanto è durata? »

«Cinque anni» rispose Cassie, «a momenti alterni. » Cinque anni prima Cassie e io non ci conoscevamo neppure, non eravamo neppure nella stessa regione del Paese. Mi resi conto, d'un tratto, che era tutto a beneficio di O'Kelly, che mentiva per le sue orecchie, nel caso gli fossero rimasti dei sospetti su di noi. Per la prima volta capii anche che stava conducendo un raffinato gioco a doppio taglio.

«Naturalmente devo essere certa che sia finita» disse Rosalind, «prima di poter anche solo pensare di coprirla. »

«È già finita. Glielo giuro, è così. Lui… lui ha chiuso un paio di settimane fa. Per sempre, questa volta. »

«Ah… e perché? »

«Non voglio parlarne. »

«Be', diciamo che non è in suo potere non farlo. »

Cassie respirò a fondo. «Non lo so il perché » rispose. «È la pura verità. Ho cercato in ogni modo di chiederglielo, ma dice solo che è complicato, che è confuso, che non è pronto per una relazione in questo momento… non so se c'è qualcun'altra o… non ci parliamo nemmeno più. Non mi guarda neanche. Non so cosa fare. » La sua voce ebbe un tremito.

«Senti, senti» commentò O'Kelly, non proprio con ammirazione. «Maddox non ha seguito la sua vocazione. Doveva stare su un palcoscenico. »

Ma Cassie non stava recitando, e Rosalind se ne accorse. «Be'» disse, e mi parve di avvertire un che di sogghignante nella sua voce, «non posso certo dirmi sorpresa. Non parla di lei come parlerebbe di un'amante. »

«Perché? Cosa dice di me? » chiese Cassie, impotente, dopo un secondo. Stava esponendo le parti di sé non coperte dall'armatura per attirare i colpi. Stava letteralmente lasciando che Rosalind le facesse male, la straziasse, si nutrisse a piacimento del suo dolore. Mi veniva da vomitare.

Rosalind tacque intenzionalmente, per farla attendere. «Dice che lei è terribilmente dipendente» rispose, infine. La voce era alta e chiara, immutabile. «" Disperata" è il termine che ha usato. E che mi trattava male perché gelosa del suo interesse per me. Ha fatto del suo meglio per essere gentile, credo che gli dispiacesse, ma si stava veramente stancando del suo comportamento. »

«Sono tutte cazzate» sibilai, furibondo, incapace di trattenermi. «Io non ho mai…»

«Sta' zitto» mi interruppe Sam, nello stesso momento in cui O'Kelly sbottava: «Chi cazzo se ne frega? ».

«Buoni, prego» chiese cortesemente il tecnico.

«L'ho messo in guardia contro di lei» proseguì Rosalind. «Così alla fine ha seguito il mio consiglio? »

«Sì » assentì Cassie, con voce bassa e tremante. «Direi di sì. »

«Oh, mio Dio. » Una punta di divertimento. «Lei è veramente innamorata, ho visto giusto? »

Nulla.

«Allora? È così? »

«Non lo so. » La voce di Cassie era roca e addolorata, ma fu solo quando si soffiò il naso che capii che stava piangendo. Non l'avevo mai vista piangere. «Non ci ho mai pensato… io non… non ho mai provato per nessuno quello che provo per lui. Adesso non riesco nemmeno a pensare chiaramente, non ci riesco…»

«Oh, detective Maddox. » Rosalind sospirò. «Se non riesce a essere onesta con me, almeno lo sia con se stessa. »

«Non glielo so dire. » Cassie pronunciava le parole con fatica. «Forse io…» Le si strozzarono in gola.

Nel furgone pareva di stare in un sotterraneo. Come in un incubo, le fiancate sembravano ripiegarsi verso l'interno e la qualità incorporea delle voci non faceva che aggiungere un che di orrido. Era come se stessimo origliando due fantasmi bloccati in un'eterna e inalterabile battaglia di volontà contrapposte. O'Kelly dovette vedermi cercare con lo sguardo la maniglia della portiera, invisibile in quella penombra, perché la sua espressione era dura e di rimprovero. «Ci sei voluto venire tu, Ryan» disse.

Non riuscivo a respirare. «Devo intervenire. »

«E a fare cosa? Sta andando secondo i piani, per quel che vale. Stai buono. »

Le casse emisero un piccolo e terribile rantolo. «No» dissi. «Ascoltate. »

«Sta facendo il suo lavoro» osservò Sam. Nella sporca luce gialla, il suo volto era imperscrutabile. «Siediti. »

Il tecnico sollevò un dito. «Si controlli, almeno, mi faccia il favore» continuò Rosalind, con disgusto. «È mostruosamente difficile condurre una conversazione sensata con una persona isterica. »



  

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