Хелпикс

Главная

Контакты

Случайная статья





Tana French 33 страница



«No, non è così Rob» disse freddamente Cassie. «Non è così. Quello è compito dell'unità di sostegno psicologico. Noi siamo responsabili per Katy, abbiamo la responsabilità di cercare e trovare la verità su quel che è successo, e basta. Qualsiasi altra cosa è secondaria. »

«E se Rosalind entra in depressione o ha un crollo nervoso per l'eccessiva tensione alla quale la sottoponiamo? Mi dirai che anche quello è un problema del servizio psicologico? Potremmo danneggiarla per tutta la vita, lo capisci? Fino a quando non avremo molto di più di una banale coincidenza, quella ragazza la lasceremo stare. »

«Banale coincidenza, dici? » Cassie si mise le mani in tasca con rabbia. «Rob, se si trattasse di chiunque altro che non fosse Rosalind Devlin, cosa faresti adesso? »

Sentii montare un'ondata di rabbia, una furia cieca, malvagia. «No, Maddox, no. Non ci provare nemmeno. Semmai è il contrario. Rosalind non ti è mai piaciuta, vero? Non hai fatto altro che cercare un motivo per andarle contro sin dal primo giorno e adesso che Damien ti ha fornito questo pallido fantasma di pretesto non vedi l'ora di gettartici sopra come un cane affamato su un osso. Mio Dio, quella povera ragazza me l'ha detto, che molte donne sono gelose di lei, ma non l'avrei mai pensato di te. Evidentemente mi sbagliavo. »

«Gelosa di… Gesù Cristo, Rob! Hai davvero una bella faccia tosta! Io non l'avrei mai pensato di te, che avresti lasciato andare un sospetto solo perché ti dispiace per lei, perché ti piace e perché ce l'hai con me per qualche strana ragione che non riesco a capire…»

Stava perdendo le staffe la cosa mi procurava un piacere perverso. La mia rabbia è fredda, controllata, articolata. Può mandare in pezzi un'esplosione a corta gittata come quella di Cassie in qualsiasi momento. «Sarebbe meglio che moderassi il tono della voce» dissi, «ti stai rendendo ridicola. »

«Ah, davvero? Sei tu che sei ridicolo e stai mettendo in imbarazzo tutta questa squadra del cazzo. » Si mise il taccuino in tasca con rabbia, sgualcendo le pagine. «Vado a prendere Rosalind Devlin…»

«No, tu non vai da nessuna parte. Cristo santo, comportati da detective, cazzo, e non da ragazzina isterica che si vuole vendicare. »

«Infatti, Rob, è quello che sto facendo. E tu e Damien potete fare quello che vi pare, potete anche mettervelo su per il culo a vicenda fino a crepare, per quello che me ne frega. »

«Be', questa sì che è una risposta. Molto professionale. »

«Ma che cazzo hai nella testa? » urlò Cassie. Si chiuse la porta alle spalle con un calcio e sentii l'eco propagarsi, profondo e sinistro, lungo il corridoio.

 

Le diedi tutto il tempo di andarsene e uscii a fumarmi una sigaretta. Damien poteva badare a se stesso ancora per un po', da bravo bambino. Iniziava a imbrunire e pioveva ancora, una pioggia spessa e apocalittica. Alzai il bavero della giacca e mi misi sulla soglia, stringendomi in una posizione scomoda per non bagnarmi. Le mani mi tremavano. Io e Cassie avevamo litigato molte volte, è ovvio. Due detective che lavorano insieme litigano anche ferocemente, come due fidanzati. Una volta, per una questione simile, cioè cosa fare con un sospetto, non ricordo bene, l'avevo fatta infuriare a tal punto che aveva dato una manata sul tavolo e si era slogata il polso. Non ci eravamo parlati per quasi due giorni. Ma questa volta era diverso, completamente diverso.

Buttai via la sigaretta, umidiccia e fumata solo per metà, e tornai dentro. Una parte di me avrebbe voluto abbandonare Damien al suo destino, tornarsene a casa, e lasciare che fosse Cassie a gestire la situazione al suo ritorno, quando non mi avrebbe trovato. Ma sapevo che non potevo permettermi quel lusso: dovevo trovare il movente, e dovevo riuscirci in tempo per evitare che Cassie facesse il terzo grado a Rosalind.

Damien aveva cominciato a rendersi conto di quello che era successo. Era in preda all'ansia, si mangiava le unghie e si tormentava le ginocchia, e continuava a farmi domande. E adesso cosa sarebbe successo? Sarebbe andato in prigione, no? Per quanto tempo? A sua madre sarebbe venuto un infarto, soffriva di cuore… La prigione è davvero pericolosa, come dicono in TV? Speravo, per il suo bene, che non guardasse i telefilm sulla vita nelle carceri.

Quando mi avvicinavo troppo al tema del movente, però, si chiudeva in se stesso. Si raggomitolava come un riccio, evitava il mio sguardo e sosteneva di aver perso la memoria. La litigata con Cassie mi aveva fatto perdere un po' il ritmo. Mi sembrava tutto strano, fuori fase e irritante, e per quanto ci provassi Damien non faceva altro che starsene seduto a fissare il tavolo e scuotere tristemente la testa.

«Va bene» dissi alla fine. «Allora vediamo di precisare qualcosa del tuo passato. Tuo padre è morto nove anni fa, vero? »

«Sì. » Damien sollevò lo sguardo, esitante. «Quasi dieci. Alla fine di ottobre sarà il decimo anniversario. Posso… quando finiamo qui, posso… uscire su cauzione? »

«La cauzione la decide solo il giudice. Tua madre lavora? »

«No. Soffre di… ve l'ho detto…» Fece un vago gesto indicandosi il petto. «Ha una pensione d'invalidità. E mio padre ci ha lasciato… Oh, Dio santo, mia madre! » Si alzò in piedi di scatto. «Sicuramente sarà fuori di sé … che ore sono? »

«Rilassati. Abbiamo già parlato con lei, sa che ci stai aiutando con le indagini. Anche se c'è il denaro che ha lasciato tuo padre, non dev'essere facile arrivare alla fine del mese. »

«Cosa? … Mah, ce la caviamo bene. »

«E comunque» aggiunsi, «se qualcuno ti offrisse un sacco di soldi per fare un certo lavoretto, saresti tentato di accettare, no? » Vaffanculo Sam e vaffanculo anche O'Kelly: se lo zio Redmond aveva pagato Damien, io dovevo saperlo adesso.

Le sopracciglia di Damien si congiunsero in un'espressione che sembrava di vera confusione. «Cosa? »

«Potrei nominarti parecchie persone che avrebbero un milione di ragioni per prendersela con la famiglia Devlin. Il punto è, Damien, che si tratta di gente che non sbriga da sola gli affari sporchi. È gente che paga altri. »

Feci una pausa per dare a Damien il tempo di dire qualcosa. Sembrava semplicemente stupefatto.

«Se hai paura di qualcuno» gli dissi, con il tono più gentile che mi riuscì, «possiamo proteggerti. E se qualcuno ti ha pagato per farlo, non sei tu il vero assassino, giusto? È lui. »

«Cosa… io non… cosa? Pensate che qualcuno mi abbia pagato per… per… Gesù! No! »

La bocca gli si spalancò in un espressione di sconvolta e genuina indignazione. «Ma allora, se non è stato per i soldi, perché? »

«Io non… ve l'ho detto, non lo so! Non me lo ricordo! »

Per un attimo molto spiacevole mi sfiorò il pensiero che potesse effettivamente aver perso un pezzo di memoria. E mi chiesi perché e come. Allontanai il pensiero. È una storia che sentiamo spesso, e avevo visto la sua espressione quando aveva omesso di parlare della cazzuola: l'aveva fatto deliberatamente. «Guarda, io sto facendo quello che posso per aiutarti» continuai, «ma non potrò continuare se non sarai completamente sincero con me. »

«Vi ho detto tutto! Non mi sento bene…»

«No, Damien, non è vero» lo contraddissi. «E adesso ti dico come lo so. Ti ricordi le foto che ti ho mostrato? Ti ricordi quella di Katy con la faccia staccata? È stata fatta dopo l'autopsia, Damien. E l'autopsia ci ha rivelato esattamente quello che hai fatto a quella ragazzina. »

«Ve l'ho già detto…»

Mi chinai sul tavolo, di scatto, avvicinandomi alla sua faccia. «E poi, Damien, stamattina abbiamo trovato la cazzuola, nella baracca degli attrezzi. Pensi davvero che siamo dei deficienti? Ecco quello che non ci hai detto: dopo aver ucciso Katy, le hai abbassato i pantaloni e la biancheria e l'hai penetrata con il manico della cazzuola. »

Damien si portò le mani ai lati della testa. «No… io non…»

«E vorresti dirmi che " è successo e basta"? Violentare una bambina con un attrezzo non è una cosa che " succede e basta", c'è sempre una ragione, una buona ragione, e adesso piantala di fare lo stronzo e dimmi qual è. A meno che tu non sia solo un maniaco da quattro soldi. È questo, Damien? Sei solo un maniaco? »

Ero stato troppo duro. Inevitabilmente, Damien, che tutto sommato aveva dovuto affrontare una giornata difficile, scoppiò a piangere di nuovo.

Restammo così a lungo, Damien con il volto tra le mani, che singhiozzava disperatamente e in modo convulso, io appoggiato alla parete che mi chiedevo che fare con lui. Di tanto in tanto, quando si fermava a prendere fiato, facevo un tentativo poco convinto di indagare sul movente. Non rispondeva mai. Non sono nemmeno sicuro che mi sentisse. Faceva troppo caldo nella stanza e si sentiva ancora l'odore della pizza, intenso e nauseante. Non riuscivo a concentrarmi. Continuavo a pensare a Cassie, a Cassie e a Rosalind. Aveva accettato di venire? Come stava? Cassie poteva bussare alla porta da un momento all'altro e metterla a confronto con Damien.

Alla fine rinunciai. Erano le otto e mezzo e non aveva senso: Damien ne aveva avuto più che abbastanza, nemmeno il miglior detective del mondo sarebbe riuscito a quel punto a tirargli fuori qualcosa di coerente, e sapevo che avrei dovuto accorgermene già da un po'. «Dai» gli dissi. «Adesso mangia qualcosa e riposati. Riprenderemo domani. »

Sollevò lo sguardo su di me. Aveva il naso rosso e gli occhi gonfi e mezzo chiusi. «Posso… posso andare a casa? »

" Ti hanno appena arrestato per omicidio, intelligentone, ma ti pare? " avrei voluto dirgli, ma non avevo abbastanza energia per essere sarcastico. «Dobbiamo trattenerti per stanotte» gli dissi. «Adesso chiamo qualcuno per accompagnarti. » Quando tirai fuori le manette, le guardò con genuino orrore, come fossero uno strumento medievale di tortura.

La porta della stanza d'osservazione era aperta. Passando, vidi O'Kelly in piedi davanti allo specchio, mani in tasca, che si dondolava avanti e indietro sui tacchi. Sentii un tuffo al cuore. Nella stanza degli interrogatori principale dovevano esserci Cassie e Rosalind. Per un attimo pensai di entrare, ma allontanai subito l'idea. Non volevo che Rosalind mi associasse in alcun modo a quel disastro. Consegnai agli agenti un Damien ancora stravolto e pallido come un cencio che faceva respiri lunghi come un bambino che avesse pianto troppo e me ne andai a casa.

 

 

Il telefono squillò a mezzanotte meno un quarto. Mi ci lanciai. Heather ha regole molto precise per le telefonate che arrivano dopo che lei è andata a dormire.

«Pronto? »

«Scusami se ti chiamo così tardi, ma è tutta la sera che ti cerco. » Era Cassie.

Avevo messo il cellulare in modalità silenziosa, ma le avevo viste tutte le sue chiamate e non avevo risposto. «Adesso non posso proprio parlare» dissi.

«Rob, cazzo, questa è una cosa molto importante…»

«Scusami, devo andare» dissi. «Sarò in centrale domani, a una certa ora, oppure lasciami un messaggio. » La sentii prendere fiato, dolorosamente, ma misi giù la cornetta ugualmente.

«Chi era? » chiese Heather, apparendo sulla soglia della sua stanza con una camicia da notte con colletto e l'aria assonnata e… incazzata.

«Era per me» dissi.

«Cassie? »

Andai in cucina, trovai del ghiaccio e ne misi alcuni cubetti in un bicchiere. «Oh, sì! » disse Heather con l'aria di chi la sapeva lunga. «Allora finalmente ci sei andato a letto, vero? »

Buttai il vassoio del ghiaccio di nuovo nel freezer. Heather alla fine mi lascia in pace se glielo chiedo, ma non ne vale mai la pena: il broncio, la stizza e gli accenni alla sua sensibilità si trascinano molto più a lungo della semplice irritazione che mi provoca.

«Non se lo merita» disse. Questo mi spiazzò. Heather e Cassie si detestavano. Una volta, proprio all'inizio, avevo invitato Cassie a casa mia a cena e Heather era stata scorbutica tutta la sera, al limite della maleducazione, e aveva passato ore, dopo che Cassie se n'era andata, a sprimacciare i cuscini del divano e ad aggiustare i tappeti, sospirando rumorosamente, mentre Cassie non aveva più nominato Heather. Non so se quell'improvviso attacco di solidarietà femminile avesse solo a che vedere con il «non più di quanto me lo meriti io» che mi lanciò dopo, tornandosene a dormire e sbattendo la porta. Mi portai il ghiaccio in camera e mi preparai una vodka tonic bella forte.

 

Non riuscii a dormire, e onestamente non vedo come avrei potuto. Quando la luce cominciò a filtrare dalle tende, ci rinunciai. Decisi che sarei andato a lavorare presto per trovare qualcuno che mi dicesse cosa era successo tra Cassie e Rosalind e per mettermi a preparare il fascicolo su Damien da mandare al procuratore. Ma pioveva ancora forte e il traffico era già congestionato. I veri yuppie dublinesi escono di casa prima delle sei, così riescono a trovare parcheggio, per poi dormire ancora un po' in auto davanti all'ufficio. Ovviamente, la Land Rover pensò bene di forare a metà di Merrion Road, così che, io che con la meccanica non vado molto d'accordo, dovetti scendere e trafficare per cambiare la ruota… con la pioggia che mi colava giù per il collo, il cric che mi massacrava le dita e gli automobilisti dietro di me che si scatenavano stupidamente con i clacson, come se senza la mia presenza lì a intralciarli fossero potuti arrivare chissà dove. Non ne potei più e li misi a tacere piazzando il lampeggiante sul tetto.

Erano quasi le otto quando arrivai in ufficio e, immancabilmente, il telefono squillò mentre ancora mi stavo togliendo il cappotto. «Sala operativa, detective Ryan, chi parla? » risposi infastidito. Avevo freddo, ero bagnato, stufo e me ne sarei tornato volentieri a casa a farmi un lungo bagno e a bere un whisky caldo. Chiunque fosse, non avevo alcuna voglia di parlarci.

«Muovi le chiappe e vieni qui» disse O'Kelly. «Adesso. » E riattaccò.

Fu il mio corpo a capire prima che il mio cervello: diventai gelido, sentii una stretta allo sterno e mi irrigidii al punto che quasi non riuscivo più a respirare. Non so per quale motivo, ma dovevo essere nei casini. Se O'Kelly ha voglia di due chiacchiere e basta, fa capolino dalla porta e abbaia: " Ryan, Maddox… nel mio ufficio" e sparisce per andare ad aspettarti al suo posto, dietro la scrivania, prima che tu riesca a raggiungerlo. Le convocazioni telefoniche, invece, sono foriere di una lavata di testa. Poteva essere qualsiasi cosa, ovviamente, una soffiata importante che avevo trascurato, Jonathan Devlin che si lamentava del mio modo di trattare la gente, Sam che aveva pestato i piedi al politico sbagliato, qualsiasi cosa. Anche se una vocina dentro la mia testa mi diceva che non sarebbe stato nulla di tutto ciò.

O'Kelly mi aspettava in piedi, con la schiena rivolta alla finestra e le mani in tasca. «Adam Ryan del cazzo» mi accolse. «Non ti è passato per la zucca che magari era il caso che io ne fossi informato? »

Venni travolto da un'ondata di cocente e terribile vergogna. Mi bruciava la faccia. Non mi capitava dai tempi della scuola un'umiliazione schiacciante, totale, quella che ti svuota lo stomaco quando ti rendi conto, senza possibilità di scampo, che ti hanno beccato, incastrato, che non c'è assolutamente nulla che tu possa dire o fare per negarlo, cavartela o migliorare la situazione. Gettai uno sguardo alla scrivania di O'Kelly, come per cercare qualcosa nella grana del finto legno, come uno studente condannato che aspetta di vedere la bacchetta con la quale verrà punito. Pensavo che il silenzio fosse un gesto di orgoglio, di solitaria indipendenza, una cosa da personaggio di Clint Eastwood provato dalla vita. Per la prima volta, lo vedevo per quello che era: un comportamento miope, infantile, sleale e stupido, stupido, stupido…

«Hai idea di quanto potresti aver incasinato l'inchiesta? » continuò gelidamente O'Kelly. Diventa sempre più abile con la parola quando è arrabbiato, altra ragione per cui penso sia più intelligente di quanto non finga di essere. «Cerca di farti venire in mente velocemente la linea di difesa alla quale potrebbe attenersi un buon avvocato nell'ipotesi che questa faccenda vada a finire in tribunale. Uno dei detective del caso che è stato l'unico testimone oculare e l'unica vittima di un fatto analogo rimasto insoluto… Cristo santo. Mentre tutti noi di notte sogniamo la figa, gli avvocati della difesa sognano di incontrare un detective come te. Potrebbero accusarti di qualsiasi cosa, dall'incapacità all'aver condotto l'indagine in maniera parziale, fino alla possibilità che possa essere tu stesso un sospetto in entrambi i casi. I mass media, i dietrologi e tutta quella gente che non sopporta i poliziotti andranno in brodo di giuggiole. Tra una settimana nessuno in questo paese si ricorderà chi fosse originariamente l'imputato. »

Lo guardai fisso. Quel pugno allo stomaco, arrivato come dal nulla mentre ancora cercavo di riprendermi dal fatto di essere stato scoperto, mi lasciò sgomento e ammutolito. Sembrerà incredibile, ma giuro che non mi era mai venuto in mente, nemmeno una volta in vent'anni, che potessi essere sospettato della sparizione di Peter e Jamie. Non c'era mai stato niente di tutto ciò nel fascicolo di quel caso, niente. L'Irlanda del 1984 assomigliava più a Rousseau che a Orwell. I bambini erano innocenti, appena usciti dalle mani di Dio: sarebbe stato un oltraggio alla natura pensare che potessero essere degli assassini. Oggi sappiamo tutti che non c'è un'età in cui si è troppo giovani per uccidere. Ero robusto per i miei dodici anni, avevo del sangue che non era il mio sulle scarpe e la pubertà è un periodo scivoloso e squilibrato. Avevo bisogno di sedermi.

«Chiunque tu abbia mai messo dentro chiederà un riesame sostenendo che potresti aver inquinato le prove, visto che lo hai fatto una volta. Congratulazioni, Ryan: hai appena mandato a puttane qualsiasi caso di cui tu ti sia mai occupato. »

«Allora sono fuori da questo caso» dissi, stupidamente.

Avevo le labbra viscose, intorpidite. Improvvisamente vedevo, come in un'allucinazione, decine di giornalisti che urlavano e raspavano alla porta del mio appartamento chiamandomi Adam e chiedendomi dettagli cruenti. A Heather sarebbe piaciuto un sacco: melodramma e martirio in abbondanza. L'avrebbero resa felice per mesi. Cristo.

«No, non sei fuori da questo dannato caso» scattò O'Kelly. «Non sei fuori da questo dannato caso perché non voglio che qualche cronista troppo sveglio si chieda perché ti abbia dato un calcio nel culo. D'ora in poi, la parola d'ordine sarà: limitiamo i danni. Non interrogherai più nessun testimone, non toccherai più nemmeno una prova, te ne starai seduto alla tua scrivania e cercherai di non fare più casino di quello che hai già fatto. Faremo tutto il possibile per evitare che la cosa trapeli. E quando il processo a Donnelly sarà finito, se mai ci sarà un processo, ti riterrai sospeso da tutte le indagini ancora in corso di questa squadra. »

L'unica cosa alla quale riuscivo a pensare era che " limitare i danni" erano solo parole. «Mi dispiace moltissimo, signore» dissi, sembrandomi il commento migliore da fare. Non avevo idea di cosa implicasse la sospensione. Mi venne in mente l'immagine di un poliziotto di un serial televisivo che sbatteva il distintivo e la pistola sulla scrivania del suo capo e, dopo un primo piano che si dissolveva nei titoli di coda, vedeva la sua carriera andare in fumo.

«Mi ci pulisco il culo con le tue scuse» disse O'Kelly, acido. «Vai a spulciarti le intercettazioni telefoniche e archiviale. Se ce ne sono che riguardano il caso, non finire neppure di leggerle, passale direttamente a Maddox o a O'Neill. » Si sedette alla scrivania, prese la cornetta del telefono e iniziò a comporre un numero. Me ne stetti lì a guardarlo per qualche secondo, prima di capire che dovevo andare.

 

Tornai lentamente alla sala operativa. Non so perché, ma non avevo nessuna intenzione di mettermi alle intercettazioni. Credo che sia stato una specie di pilota automatico. Cassie era seduta davanti al videoregistratore, con i gomiti appoggiati alle ginocchia, e stava guardando il nastro di me che interrogavo Damien. Le sue spalle erano cascanti, con un che di esausto, e il telecomando le pendeva mollemente da una mano.

Qualcosa dentro di me ebbe un guizzo orribile e malsano. Non so come, ma non mi aveva neanche sfiorato l'idea di chiedermi come avesse fatto O'Kelly a scoprirlo. Me ne resi conto in quel momento, mentre ero fermo sulla soglia della sala operativa e la guardavo: fatto intollerabile e crudele, poteva averlo saputo in un solo modo.

Ero stato piuttosto stronzo con Cassie negli ultimi tempi, anche se avrei potuto dire che la situazione era complicata e che avevo le mie ragioni. Ma niente di ciò che le avevo fatto, niente al mondo di quello che avrei potuto farle avrebbe giustificato una cosa come questa. Non avrei mai immaginato un simile tradimento ma, come canta il poeta, inferno non conosce furia. Credetti che le ginocchia non mi avrebbero sostenuto.

Forse feci rumore o un movimento involontario, non lo so, ma Cassie si voltò di scatto, dalla sedia, e mi fissò. Un attimo dopo premette il tasto STOP e lo schermo diventò azzurro. «Cosa ti ha detto O'Kelly? » disse, deponendo il telecomando.

Lo sapeva, lo sapeva già. L'ultima ombra di dubbio precipitò pesante come un macigno sul mio plesso solare. «Sono sospeso a partire dalla chiusura del caso» dissi secco. La mia voce sembrava appartenere a qualcun altro.

Cassie spalancò gli occhi, sbigottita. «Oh, merda» disse. «Oh, merda, Rob… ma non sei fuori, vero? Non ti ha… cacciato o qualcosa del genere? »

«No, non mi ha cacciato» dissi. «Anche se non è certo per merito tuo. » Lo shock iniziale cominciava a stemperarsi e lasciava il posto a una rabbia fredda e cattiva, come una scarica elettrica. Mi faceva tremare in tutto il corpo.

«Sei ingiusto» disse Cassie, e la sua voce vacillò leggermente. «Ho cercato di avvertirti in tutti i modi, non so più quante volte ti ho chiamato ieri sera…»

«Un po' tardi per preoccuparsi di me, a quel punto, non ti pare? Avresti dovuto pensarci prima. »

Cassie era impallidita mortalmente. Avrei voluto levarle dalla faccia quello sguardo attonito e sconcertato. «Prima di… COSA? » chiese.

«Prima di andare a spiattellare la mia vita privata a O'Kelly. Ti senti meglio adesso, Maddox? Mandare a puttane la mia carriera ti ha ripagata di non essere stata trattata come una principessina questa settimana? O hai ancora qualcosa in serbo? »

Dopo un momento disse, con un tono molto calmo: «Pensi che sia stata io a dirglielo? »

Quasi mi misi a ridere. «Sì, lo penso, sì. Ci sono solo cinque persone al mondo che lo sanno e onestamente dubito che i miei genitori o un amico che non vedo da quindici anni possano aver scelto proprio questo momento per chiamare il mio capo e dirgli: " Oh, a proposito, lo sapevi che il nome di battesimo di Ryan è Adam? " Ma mi credi completamente stupido? Lo so benissimo che sei stata tu, Cassie. »

Non aveva abbassato lo sguardo: lo teneva fisso nel mio, ma in qualche modo era cambiato e mi resi conto che era furiosa almeno quanto me. Con uno scatto, afferrò una videocassetta dal tavolo e me la lanciò contro con forza, facendo un ampio movimento con il braccio. Mi scansai istintivamente. Andò a sbattere contro il muro, esattamente dov'era prima la mia testa, cadde e finì in un angolo.

«Guarda quel nastro» disse.

«Non m'interessa. »

«Guarda quel nastro, subito, o giuro su Dio che farò in modo che domani mattina la tua faccia sia su tutti i giornali del Paese. »

Non fu tanto la minaccia in sé a convincermi quanto piuttosto il fatto che venisse da lei, che avesse giocato la sua carta migliore. Accese qualcosa in me, una violenta curiosità mista a una sorta di orribile premonizione… O forse è solo il senno di poi, non lo so. Raccolsi la cassetta, la infilai nel videoregistratore e premetti il tasto PLAY. Cassie, rigida e con le braccia conserte, mi guardava immobile. Presi in malo modo una sedia e mi sedetti davanti allo schermo, dandole le spalle.

Era la cassetta sfocata e in bianco e nero dell'interrogatorio di Cassie a Rosalind, la sera prima. L'orario in sovrimpressione diceva 20. 27. Nella stanza accanto, a quell'ora stavo per rinunciare a proseguire quello di Damien. Rosalind era sola nella stanza degli interrogatori principale e si stava ritoccando il rossetto aiutandosi con uno specchio. C'erano dei rumori di sottofondo e mi ci volle un attimo per riconoscerli: erano singhiozzi disperati e c'era la mia voce che ripeteva, senza troppa convinzione: «Damien, ho bisogno che tu mi spieghi perché l'hai fatto». Cassie aveva acceso l'interfono sul mio interrogatorio a Damien. Rosalind sollevò la testa e guardò nel vetro a specchio, il viso totalmente inespressivo.

Si aprì la porta e Cassie entrò, Rosalind chiuse il rossetto e lo mise nella borsetta. Damien singhiozzava ancora. «Merda» disse Cassie, lanciando un'occhiata all'interfono. «Mi scusi, mi dispiace che fosse acceso. » Lo spense. Rosalind le rivolse un sorrisetto teso e contrariato.

«Il detective Maddox interroga Rosalind Frances Devlin» disse Cassie rivolta alla telecamera. «Si sieda. »

Rosalind non si mosse. «Temo di doverle dire che preferirei non parlare con lei» disse con una voce gelida e sprezzante che non le avevo mai sentito usare prima. «Vorrei parlare con il detective Ryan. »

«Mi dispiace ma non è possibile» disse Cassie con tono allegro, prendendo una sedia per sé. «Sta conducendo un interrogatorio, come avrà certamente potuto sentire» aggiunse, con un debole sorriso.

«Allora tornerò quando avrà finito. » Rosalind si mise la borsa sotto il braccio e si diresse verso la porta.

«Un momento, signorina Devlin» disse Cassie e nella sua voce questa volta c'era qualcosa di duro. Rosalind sospirò e si girò, con le sopracciglia inarcate in uno sguardo di sufficienza. «C'è qualche ragione particolare per la quale lei è improvvisamente così riluttante a rispondere a qualche domanda sull'assassinio di sua sorella? »

Vidi gli occhi di Rosalind sollevarsi per un attimo verso la telecamera, ma il suo sorrisino freddo non cambiò. «Credo che lei sappia, detective, se è onesta con se stessa» disse, «che sono più che disponibile a contribuire in ogni modo alle indagini. È semplicemente che non voglio parlare con lei, e sono certa che sappia bene perché. »

«Facciamo finta che io non lo sappia. »

«Oh, detective, è stato evidente fin dall'inizio che a lei di mia sorella non importa proprio nulla. A lei interessa solo fare la sciocca con il detective Ryan. Ma non è contro le regole andare a letto con un collega? »

Mi colse un nuovo accesso di rabbia, così violento da togliermi il respiro. «Gesù Cristo! È di questo che stiamo parlando? Solo perché pensavi che io le avessi detto…» Rosalind aveva tirato a indovinare, non le avevo mai detto una parola, né a lei né a nessun altro. E Cassie aveva pensato che lo avessi fatto e si era vendicata in quel modo senza nemmeno chiedermi…

«Sta zitto» disse gelida, dietro di me. Congiunsi le mani con forza e fissai lo schermo. La rabbia quasi mi accecava.

Sullo schermo, Cassie non si era neppure mossa. Dondolava la sedia sulle due gambe posteriori e scuoteva il capo, divertita. «Mi spiace, signorina Devlin, ma non mi faccio disorientare così facilmente. Io e il detective Ryan la pensiamo esattamente allo stesso modo sulla morte di sua sorella: vogliamo trovare l'assassino. Allora, come mai, glielo chiedo di nuovo, all'improvviso lei non vuole parlarne? »

Rosalind rise. «Esattamente allo stesso modo? Oh, non credo proprio, detective. Lui è molto coinvolto in questo caso, non è vero? »

Nonostante le immagini fossero sfocate, riuscii a vedere che Cassie sbatteva le palpebre e che Rosalind aveva un lampo di selvaggio trionfo sul viso, si rendeva conto di averla spiazzata. «Oh» proseguì, in tono dolce, «non lo sapeva? »

Fece una brevissima pausa, tanto per ottenere il massimo effetto, ma a me sembrò eterna perché sapevo, con un orribile e vertiginoso senso di ineluttabilità, cosa stava per dire. Credo sia questa la sensazione che provano gli stuntman quando una caduta va male o i fantini quando vengono disarcionati da un cavallo al galoppo: quel silenzioso e calmo brandello di tempo prima che il corpo si schianti al suolo. La mente si svuota di tutto tranne che di una semplice certezza: è arrivato il momento.



  

© helpiks.su При использовании или копировании материалов прямая ссылка на сайт обязательна.