Хелпикс

Главная

Контакты

Случайная статья





Tana French 32 страница



Scosse impercettibilmente la testa. Aveva gli occhi ancora inchiodati alle fotografie, ma non dava l'impressione di vederle.

«È una persona che studia quale tipo di individuo può commettere quale crimine e dice alla polizia chi cercare. Il detective Maddox è il nostro profiler e ha una sua teoria sulla persona che ha commesso questo omicidio. »

«Damien» intervenne Cassie, «voglio rivelarti una cosa. L'ho detto subito, fin dal primo giorno, che questa cosa era stata commessa da qualcuno che non aveva intenzione di commetterla. Una persona che non è violenta, non è un assassino, non si è divertito a farle del male. Qualcuno che l'ha fatto perché doveva farlo. Non aveva altra scelta. L'ho detto fin dal primo momento e lo confermo. »

«È vero, è così » dissi. «Tutti le dicevamo che era fuori di testa, ma lei non ha mai mollato: per lei non era un pazzo, né un serial killer e nemmeno un violentatore di bambini. » Damien trasalì, un rapido guizzo del mento. «Tu cosa pensi, Damien? Bisogna essere un bastardo malato per fare una cosa del genere, o pensi che possa succedere anche a una persona normale che non vorrebbe fare del male a nessuno? »

Tentò una scrollata di spalle, ma era troppo teso e il risultato fu uno spasmo grottesco. Mi alzai e girai intorno al tavolo, lentamente, per appoggiarmi alla parete dietro di lui. «Be', non potremo mai essere sicuri che sia l'una o l'altra cosa, a meno che non sia lui a dircelo. Ma immaginiamo per un momento che il detective Maddox abbia visto giusto. Dopotutto, ha studiato psicologia. Ammettiamo che abbia ragione. Diciamo che il colpevole non è un tipo violento, che non è un assassino per temperamento. Ma è successo. »

Damien, che aveva trattenuto il respiro, lo fece uscire e respirò di nuovo, con un lieve spasmo.

«Ne ho incontrata di gente così. Sai cosa gli succede, poi? Schiantano di botto, Damien. Non riescono a convivere con se stessi. L'abbiamo visto succedere un mare di volte. »

«E non è un bello spettacolo» aggiunse Cassie. «Sappiamo quello che è successo, e anche lui sa che lo sappiamo, ma ha paura di confessare. Crede che andare in galera sia la cosa peggiore che gli può capitare. Dio, come si sbaglia. Ogni giorno, per il resto della vita, si sveglierà la mattina e questa cosa gli precipiterà addosso come se fosse successa il giorno prima. La notte avrà paura di addormentarsi per gli incubi. Continuerà a pensare che andrà meglio, ma non succederà. »

«E prima o poi» dissi, da dietro, «crolla e passa gli ultimi anni in una cella imbottita, in pigiama e pieno di calmanti fino agli occhi. Oppure una sera lega una corda a una ringhiera e s'impicca. Accade più spesso di quanto tu creda, Damien, di non riuscire ad affrontare neanche un altro giorno. »

Tutte balle, ovviamente. Delle decine di assassini mai condannati che potrei nominarvi soltanto uno si è ucciso, e aveva un passato di malattia mentale mai curata, tanto per cominciare. Gli altri vivono più o meno esattamente come prima, vanno al lavoro e poi al pub, portano i figli allo zoo, e se di tanto in tanto hanno un ripensamento lo tengono per sé. Gli esseri umani, come so bene io più di altri, si abituano a tutto. Con il tempo, anche l'impensabile si ricava un piccolo spazio nella mente e diventa semplicemente un fatto accaduto. Ma Katy era morta soltanto da un mese e Damien questa cosa non aveva ancora avuto il tempo di capirla. Era rigido sulla sedia, con lo sguardo abbassato sulla lattina di 7‑ Up e il respiro faticoso.

«Sai chi sopravvive, Damien? » chiese Cassie. Si chinò sul tavolo e posò la punta delle dita sul suo braccio. «Quelli che confessano. Quelli che scontano la pena. Sette anni dopo, o quello che è, è finita. Escono di galera e possono ricominciare. Non sono più costretti a rivedere il viso della loro vittima ogni giorno, anche quando hanno gli occhi chiusi. Non passano ogni attimo della loro vita nel terrore che possa essere quello il giorno in cui verranno presi. Non devono sobbalzare dalla paura ogni volta che vedono un agente o sentono bussare alla porta. Credimi, alla lunga sono loro quelli che se la cavano. »

Damien stringeva la lattina così forte che questa, con un crac, alla fine cedette. Sobbalzammo tutti.

«Damien» chiesi, a voce molto bassa, «ti sembra di riconoscere le sensazioni di cui parlo? »

Ed eccolo, quello sciogliersi alla base del collo, quell'ondeggiare della testa quando la spina dorsale si piega. Dopo un tempo che parve infinito, Damien annuì, quasi impercettibilmente.

«Vuoi vivere così per il resto della tua vita? »

Mosse la testa, a scatti irregolari, da un lato all'altro.

Cassie gli dette un'ultima piccola pacca sul braccio e tolse la mano. Non doveva esserci nulla che potesse somigliare a coercizione. «Non volevi uccidere Katy, vero? » gli domandò. Dolce, dolcissima, la voce che cadeva nella stanza soffice come neve. «È successo. »

«Sì » sussurrò. Fu quasi solo un sospiro, ma lo sentii. Ero così concentrato che avrei sentito battere il suo cuore. «È successo. »

Per un attimo, la stanza parve piegarsi su se stessa, come se un'esplosione troppo grande per essere sentita avesse risucchiato tutta l'aria. Nessuno riusciva a muoversi. Le mani di Damien diventarono molli e abbandonarono la presa sulla lattina che cadde sul tavolo con un rumore sordo, traballò brevemente e giacque immobile. La luce della lampadina striava i suoi riccioli dandogli una sfumatura bronzo pallido. La stanza respirò di nuovo. Un respiro lento, profondo, pieno.

«Damien James Donnelly» dissi. Non feci il giro del tavolo per mettermi di fronte a lui. Non ero sicuro che le gambe mi avrebbero retto. «Ti dichiaro in arresto con il sospetto di aver, il giorno 17 agosto di quest'anno, a Knocknaree, nella Contea di Dublino, ucciso Katharine Siobhan Devlin, in violazione della legge. »

 

Damien non smetteva più di tremare. Portammo via le foto e gli porgemmo una tazza di tè caldo, offrendoci di trovargli un altro maglione e di riscaldargli la pizza avanzata, ma lui scosse la testa senza guardarci. Tutta la scena mi sembrava incredibilmente irreale. Non riuscivo a togliergli gli occhi di dosso. Avevo scandagliato spietatamente la mia memoria alla ricerca di ogni ricordo, ero entrato nel bosco di Knocknaree, avevo messo a repentaglio la mia carriera e adesso rischiavo di perdere la mia collega preferita, tutto a causa di quel ragazzino. Avrei voluto toccarlo per essere sicuro che fosse reale.

Cassie compilò insieme a lui i moduli sui diritti, con calma e dolcezza, come se si trattasse della vittima di un brutto incidente. Io me ne stavo in disparte e trattenevo il respiro. Ma non chiese un avvocato. «A che serve? Sono stato io, voi lo sapevate già e adesso lo sapranno tutti. Cosa potrà fare un avvocato… vado in galera, no? Ci vado in galera, no? » Gli battevano i denti. Aveva bisogno di qualcosa di molto più forte di un tè.

«Adesso non preoccuparti di questo, va bene? » disse Cassie con tono tranquillizzante. Mi sembrò un suggerimento piuttosto paradossale, in quella situazione, ma parve calmare un po' Damien. Annuì, perfino. «Tu adesso continua a darci una mano e noi faremo tutto il possibile per aiutare te. »

«Io non… come hai detto tu, non volevo fare del male a nessuno, lo giuro su Dio. » Aveva gli occhi fissi in quelli di Cassie, come se la sua vita dipendesse da lei, dal fatto che lei gli credesse. «Lo dirai? Lo dirai al giudice? Non… non sono un pazzo o un serial killer o… non sono uno così. Non volevo farle del male, lo giuro, lo giuro su… su…»

«Shhh… Lo so. » Cassie aveva di nuovo messo la mano su quella del ragazzo e con il pollice gli strofinava il polso, per calmarlo. «Shhh, Damien. Andrà tutto bene. Il peggio è passato. Adesso ci devi solo dire cosa è successo, con parole tue. Riesci a farlo per me? »

Dopo un paio di respiri profondi, Damien annuì coraggiosamente. «Bravo» disse Cassie e sembrò quasi che volesse accarezzarlo sulla testa, dargli il biscotto premio.

«Abbiamo bisogno di sapere esattamente com'è andata, Damien» dissi, avvicinandomi con la sedia, «passo passo. Com'è cominciata? »

«Come? » chiese lui dopo un momento. Sembrava stordito. «Io… cosa? »

«Hai detto che non volevi farle del male. E allora com'è successo? »

«Io non… voglio dire che non lo so. Non mi ricordo. Posso raccontarvi solo… di quella notte? »

Io e Cassie ci scambiammo un'occhiata. «Okay» concessi. «Inizia da quando hai finito di lavorare, lunedì sera. Cosa hai fatto? » C'era qualcosa di strano. Non era possibile che la memoria lo tradisse così a comando. Ma se lo forzavamo adesso poteva anche chiudersi nel mutismo o cambiare idea circa la presenza di un avvocato.

«Sì. » Damien inspirò di nuovo a fondo e si mise a sedere dritto, con le mani strette tra le ginocchia, come uno studente agli esami. «Ho preso l'autobus per andare a casa. Ho cenato con mia madre e poi abbiamo giocato un po' a Scarabeo. Le piace molto giocare a Scarabeo. Mia madre… non sta bene, ha problemi di cuore. È andata a letto alle dieci, come sempre. Io… mah, sono andato in camera mia e ci sono rimasto fino a quando non si è addormentata. Russa, quindi… ho cercato di leggere e cose così ma non ci riuscivo, non riuscivo a concentrarmi, ero un po'…» Batteva di nuovo i denti.

«Calmo, calmo» disse dolcemente Cassie. «Adesso è tutto finito. Stai facendo la cosa giusta. »

Lui fece un breve respiro sincopato e annuì.

«A che ora sei uscito di casa? » chiesi.

«Mah, saranno state le undici. Sono andato a piedi allo scavo. Non è molto distante da casa mia, solo qualche chilometro. Con l'autobus ci si mette una vita perché va in città e poi torna indietro. Io ci sono andato tagliando parecchio, così non dovevo passare davanti alla zona residenziale. Ma non potevo non passare davanti al cottage, e il cane mi conosce. Quando si è alzato gli ho detto: " Buono, Laddie, bel cagnone" e lui ha smesso di abbaiare. Era buio ma avevo una torcia. Sono andato nella baracca degli attrezzi e ho preso un paio di… di guanti, e me li sono messi. Poi ho preso una…» Deglutì faticosamente la saliva. «… una grossa pietra. Da terra, dal bordo dello scavo. E sono andato nella baracca dei reperti. »

«Che ore erano? » chiesi.

«Più o meno mezzanotte. »

«Quando è arrivata Katy? »

«Doveva arrivare…» Sbatté le palpebre, ebbe uno scatto con la testa. «Doveva arrivare all'una, ma era in anticipo. L'una meno un quarto? Quando ha bussato alla porta mi è quasi venuto un colpo. »

Lei, lo aveva spaventato lei. Gli avrei dato un pugno. «E l'hai fatta entrare. »

«Sì. Aveva in mano due biscotti al cioccolato, credo li avesse presi uscendo da casa. Me ne ha offerto uno ma non potevo… insomma, non sono riuscito a mangiarlo. L'ho messo in tasca. Lei ha mangiato il suo e si è messa a raccontarmi della scuola di ballo e cose così, per un paio di minuti. E poi le ho detto… le ho detto… le ho detto: " Guarda lì sulla mensola" e lei si è voltata. Allora l'ho… l'ho colpita. Con la pietra, sulla nuca. L'ho colpita. »

Nella sua voce c'era una nota stridula d'incredulità. Aveva le pupille talmente dilatate che gli occhi gli erano diventati neri.

«Quante volte? » chiesi.

«Io non… io… Oh, Dio… devo fare anche questo? Voglio dire, vi ho detto che l'ho fatto, non potete solo… insomma…» Si aggrappava con le unghie al bordo del tavolo.

«Damien» disse Cassie, con dolcezza ma anche con grande decisione, «è necessario che tu ci dia tutti i dettagli. »

«Okay, okay. » Si passò goffamente la mano sulla bocca. «L'ho colpita solo una volta, ma credo non abbastanza forte, perché è come inciampata ed è caduta in avanti, ma era ancora… si è girata e ha aperto la bocca come per gridare, allora io… l'ho afferrata. Insomma, avevo paura, ero terrorizzato e se avesse urlato…» Stava praticamente farfugliando. «Le ho messo una mano sulla bocca e ho cercato di colpirla di nuovo, ma lei metteva in mezzo le mani e mi graffiava e mi dava dei calci… Eravamo per terra e non riuscivo nemmeno a vedere bene cosa stava succedendo perché la torcia era rimasta sul tavolo, non avevo acceso la luce. Cercavo di tenerla giù ma lei tentava di raggiungere la porta, continuava ad agitarsi, era molto forte… non immaginavo fosse tanto forte a vederla così …»

La voce gli si spense e rimase a fissare il tavolo. Respirava con il naso, respiri veloci, brevi, aspri.

«Così piccola» completai, inespressivo.

Damien spalancò la bocca, ma non ne uscì alcun suono. Era diventato di un terribile bianco verdastro, con le lentiggini che spiccavano come in un altorilievo.

«Possiamo fare una pausa, se ne hai bisogno» disse Cassie. «Ma prima o poi dovrai dirci il resto della storia. »

Scosse la testa con violenza. «No. Non voglio una pausa. Voglio solo… sto bene. »

«Bene, allora continuiamo» feci io. «Le avevi messo una mano davanti alla bocca e lei si divincolava. » Cassie ebbe un piccolo scatto che riuscì a controllare solo in parte.

«Sì, okay. » Damien si strinse la braccia intorno al corpo, le mani sepolte nelle maniche del maglione. «Poi lei si è girata sulla pancia e si è messa a strisciare verso la porta e io… l'ho colpita di nuovo. Con la pietra. Sulla testa, di lato. Questa volta più forte, credo… forse per l'adrenalina o qualcosa del genere. A quel punto è crollata. Ha perso i sensi. Però respirava, respirava molto forte, sembravano gemiti. Sapevo che avrei dovuto colpirla di nuovo, ma non ci sono riuscito. Non ho…» Adesso sembrava vicino all'iperventilazione. «Io non volevo… farle… del male. »

«E allora cos'hai fatto? »

«C'erano dei… dei sacchetti di plastica, sulle mensole. Per i reperti. Allora ne ho preso uno e… e gliel'ho messo sulla testa e l'ho tenuto chiuso fino a quando…»

«Fino a quando, cosa? » chiesi.

«Fino a quando non ha smesso di respirare» disse Damien alla fine, pianissimo.

Ci fu un lungo silenzio, rotto solo dal vento che fischiava nel condotto dell'aerazione e dal rumore della pioggia.

«E poi? »

«Poi…» La testa di Damien vacillò leggermente. Lo sguardo era quello di un cieco. «Poi l'ho presa in braccio. Non la potevo lasciare nel capanno degli attrezzi, altrimenti gli altri se ne sarebbero accorti. Volevo portarla fuori, nel sito. Era… c'era sangue dappertutto, credo per via dei colpi che le avevo dato. Le ho lasciato in testa il sacchetto di plastica perché non perdesse altro sangue. Ma quando sono andato verso il sito c'era una luce. Tipo un fuoco, o qualcosa del genere. C'era qualcuno. Mi sono spaventato. Ero così spaventato che non riuscivo quasi a stare in piedi. Ho pensato di mollarla lì … e se qualcuno mi vedeva? » Sollevò i palmi delle mani verso di noi, come a chiedere aiuto, la voce spezzata. «Non sapevo cosa farci, con lei. »

Non aveva ancora parlato della cazzuola. «E allora cosa hai fatto? » chiesi.

«L'ho riportata verso le baracche. In quella degli attrezzi ci sono delle incerate che dovremmo usare per coprire le parti delicate del sito quando piove, ma non ne abbiamo bisogno quasi mai. L'ho avvolta in una di quelle, così … insomma non volevo che… gli insetti…» Deglutì. «E poi l'ho messa sotto le altre incerate. Forse avrei potuto lasciarla semplicemente in uno dei campi di scavo ma… ci sono le volpi… e i topi… e potevano passare giorni prima che qualcuno la trovasse, e non volevo… gettarla via… non riuscivo a ragionare bene. Ho pensato che magari il giorno dopo, la sera dopo, avrei saputo cosa fare…»

«E poi sei tornato a casa? »

«No, io… prima ho pulito la baracca degli attrezzi. Il sangue. Era dappertutto, sul pavimento, sui gradini, e mi sporcava i guanti, i piedi e… ho riempito un secchio d'acqua con il tubo di gomma e ho cercato di lavare. Era… si sentiva l'odore… ogni tanto mi dovevo fermare perché mi veniva da vomitare. »

Aveva l'aria, lo giuro, di uno che si aspettasse solidarietà. «Dev'essere stato orribile» disse Cassie, comprensiva.

«Già. Mio Dio, sì. » Damien rivolse lo sguardo verso di lei, pieno di gratitudine. «Mi sembrava di essere lì da un'eternità, continuavo a pensare che era quasi giorno e che i ragazzi sarebbero potuti arrivare da un momento all'altro. Dovevo sbrigarmi, fare presto. A tratti mi sembrava che fosse tutto un incubo e che mi sarei svegliato. Mi girava la testa… non riuscivo a vedere quello che stavo facendo. Avevo la torcia, ma la tenevo quasi sempre spenta per paura che mi vedessero… pensavo che quelli nel bosco potevano venire a vedere… era tutto buio e c'era quel sangue, dappertutto, e tutte le volte che sentivo un rumore pensavo che sarei morto, che sarei morto stecchito… E fuori c'erano di continuo quei… quei rumori, come di qualcosa che raspava sulle pareti della baracca. A un certo punto mi è sembrato quasi di sentire il rumore di qualcuno che annusava, dietro la porta… per un attimo ho pensato che poteva essere Laddie, ma lo tengono alla catena, di notte, e… Oh, Dio, è stato…» Scosse la testa, frastornato.

«Ma alla fine sei riuscito a pulire tutto» dissi.

«Sì, credo di sì. Tutto quello che ho potuto. Più di così non… non ci riuscivo, capite? Ho messo la pietra sotto le incerate, insieme alla torcia piccola, quella che si era portata dietro lei. Per un attimo… quando ho sollevato le incerate, le ombre hanno fatto un gioco strano e l'ho guardata, e sembrava… sembrava che si muovesse. Dio…»

Aveva di nuovo un colorito verdastro. «Quindi hai lasciato la pietra e la sua torcia nella baracca degli attrezzi» dissi. Anche questa volta non aveva fatto parola della cazzuola. La cosa non mi dava fastidio, contrariamente a quello che potreste pensare: in quella fase, qualsiasi sua omissione poteva poi diventare un'arma che potevamo usare noi a tempo debito.

«Già. Ho lavato i guanti e li ho rimessi nella sacca. Poi ho chiuso le baracche e… me ne sono tornato a casa a piedi. »

Silenziosamente e senza freni, come se aspettasse di farlo da molto tempo, Damien si mise a piangere.

 

Pianse a lungo e con troppa violenza per riuscire a rispondere ad altre domande. Cassie rimase seduta accanto a lui, accarezzandogli il braccio, mormorando parole consolatorie e passandogli fazzolettini di carta. Dopo un po' incrociai il suo sguardo, sopra la testa del ragazzo. Annuì. Li lasciai e andai a cercare O'Kelly.

«Quel ragazzino cocco di mamma? » si stupì e le sopracciglia gli si sollevarono di scatto. «Be', ma pensa tu, cazzo, proprio non me l'aspettavo. Non credevo che potesse avere le palle per farlo. Avevo scommesso su Hanly. È andato via proprio adesso. Ha detto a O'Neill di mettersi le sue domande su per il buco del culo ed è uscito dalla stanza infuriato. Per fortuna Donnelly non ha fatto la stessa cosa. Preparo il dossier per il procuratore. »

«Ci servirà il dettaglio delle sue telefonate e dei movimenti di denaro» dissi, «e dovremo interrogare gli altri archeologi per conferma, i colleghi d'università, i compagni di scuola, chiunque lo conoscesse bene. Il movente non è chiaro. »

«E chi se ne frega del movente? » sbottò O'Kelly, ma la sua irritazione non corrispondeva esattamente al suo stato d'animo: in realtà era felicissimo. Avrei dovuto esserlo anch'io, ma, non so perché, non era così. Quando avevo sognato di risolvere il caso, la mia immagine mentale non era mai stata quella. La scena nella stanza degli interrogatori, che avrebbe dovuto rappresentare il più grande trionfo della mia carriera, mi era sembrata misera e tardiva.

«In questo caso» obiettai, «me ne frega. » O'Kelly aveva tecnicamente ragione. Se si riusciva a provare che il ragazzo aveva commesso il crimine, non era necessario spiegare anche il perché. Ma le giurie, a furia di guardare la televisione, pretendono anche un movente. E questa volta lo pretendevo anch'io. «Un crimine brutale come questo, per mano di un ragazzino che non ha per niente l'aria dell'assassino… la difesa chiederà sicuramente l'infermità mentale. Se troviamo un movente, sarà fuori discussione. »

O'Kelly sbuffò. «D'accordo. Dirò ai ragazzi di lavorarci. Adesso torna là dentro e vedi di blindare il caso. E, Ryan…» aggiunse riluttante, mentre mi voltavo per andare, «avete fatto un gran bel lavoro. Tutti e due. »

 

Cassie era riuscita a calmare Damien. Tremava ancora leggermente e continuava a soffiarsi il naso, ma non singhiozzava più. «Ti va se continuiamo? » gli chiese, stringendogli la mano tra le sue. «Ci siamo quasi, okay? Sei bravissimo. » Per un attimo sul viso di Damien apparve qualcosa di simile a un patetico sorriso.

«Sì » rispose. «Mi dispiace se… mi dispiace. Adesso va meglio. »

«Non ti preoccupare. Quando hai bisogno di un'altra pausa basta che me lo dici. »

«Bene» dissi. «Siamo arrivati al punto in cui sei tornato a casa. Parliamo adesso del giorno seguente. »

«Ah… sì. Il giorno seguente. » Damien fece un lungo respiro, rassegnato e tremante. «Quel giorno è stato un vero e proprio incubo. Ero così stanco che non riuscivo nemmeno a vedere dove mettevo i piedi. Tutte le volte che qualcuno entrava nella baracca degli attrezzi avevo paura di svenire. E dovevo anche comportarmi normalmente, ridere alle battute e far finta che non fosse accaduto nulla mentre invece continuavo a pensare… a pensare a lei… E poi anche quella sera ho dovuto fare la stessa cosa, aspettare che mia madre si addormentasse, sgattaiolare fuori e tornare a piedi allo scavo. Se ci fosse stata ancora quella luce nel bosco, non so dire che cosa avrei fatto. Ma non c'era. »

«Quindi sei tornato nella baracca degli attrezzi» dissi.

«Sì. Mi sono rimesso i guanti e l'ho… l'ho tirata fuori. Era… pensavo che sarebbe stata rigida, credevo che i cadaveri diventassero rigidi, ma lei…» Si morse il labbro. «Lei non lo era. Però era fredda. Era… non riuscivo a toccarla…» Rabbrividì.

«Però hai dovuto farlo. »

Damien annuì e si soffiò di nuovo il naso. «L'ho portata fuori dalla baracca, fino al sito, e l'ho messa sull'altare di pietra. Lì sarebbe stata al riparo, dai ratti e roba così. E lì qualcuno l'avrebbe trovata prima che… Ho cercato di metterla in una posizione che la facesse sembrare addormentata. Non so perché. Ho buttato via la pietra, ho lavato il sacchetto di plastica e l'ho rimesso dov'era, ma non sono riuscito a trovare la sua torcia, doveva essere da qualche parte tra le incerate e io… io volevo solo tornarmene a casa…»

«Perché non l'hai sepolta? » chiesi. «Lì sul sito? » Sarebbe stata la cosa più intelligente da fare, non che a quel punto avesse molta importanza.

Damien mi guardò con la bocca leggermente aperta. «Non mi è mai venuto in mente» rispose. «Volevo solo andarmene al più presto possibile. E poi… seppellirla, così? Come un sacco della spazzatura? »

E c'era voluto un mese intero per incastrare un tipo così. «Il giorno seguente» dissi, «hai fatto in modo di essere fra quelli che avrebbero potuto scoprire il corpo. Perché? »

«Ah, sì …» Fece un piccolo movimento compulsivo, qualcosa che assomigliava allo stringersi nelle spalle. «Avevo sentito dire… insomma, mi ero messo i guanti e quindi niente impronte, ma avevo sentito da qualche parte che se mi era caduto un capello su di lei, o un pelo del maglione o roba così, voi della polizia avreste potuto capire che ero stato io. Quindi dovevo essere io a trovarla… non volevo, Gesù, non volevo vederla ancora ma… Ho cercato tutto il giorno una scusa per portare lì tutto il gruppo ma avevo paura che la cosa potesse destare dei sospetti. Ero… non riuscivo a pensare con chiarezza. Volevo solo che fosse tutto finito. Ma poi Mark disse a Mel di andare a lavorare alla pietra. »

Sospirò stancamente. «E dopo… è stato più facile, in un certo senso, sapete? Almeno non dovevo fingere che andasse tutto bene. »

Ecco perché era stato così loquace quando lo avevamo interrogato la prima volta. Non abbastanza da metterci in allarme, però. Per essere la prima volta, se l'era cavata molto bene. «E quando abbiamo parlato con te…» cominciai, ma mi fermai immediatamente.

Cassie e io non ci guardammo, non muovemmo un muscolo, ma la consapevolezza ci colpì come la scarica di una recinzione elettrificata. Uno dei motivi per cui avevamo preso sul serio la storia di Jessica sull'Ombra in Tuta Sportiva era stato che Damien aveva messo la stessa persona praticamente sulla scena del crimine.

«Quando abbiamo parlato con te» dissi, dopo una piccola pausa, «ti sei inventato un tizio grande e grosso con la tuta per depistarci. »

«Sì. » Damien spostò con ansia lo sguardo dall'uno all'altro di noi. «Mi dispiace. Pensavo che…»

«L'interrogatorio è sospeso» disse Cassie e uscì. La seguii con una sensazione di disfatta nello stomaco, lasciandomi dietro come scia il flebile e apprensivo: «Aspettate… ma cosa…? » di Damien.

 

Per un qualche istinto comune non restammo nel corridoio e non tornammo nella sala operativa. Andammo nella stanza accanto, quella dove Sam aveva interrogato Mark. C'erano ancora dei resti sul tavolo: fazzolettini di carta usati, tazze di plastica, una macchia di liquido scuro dove qualcuno doveva aver dato un pugno o si era tirato indietro con la sedia.

«Avanti, dai! » disse Cassie, o qualcosa del genere, ansimando e ridendo. «Ce l'abbiamo fatta, Rob! » Lanciò il taccuino sul tavolo e mi gettò un braccio intorno alle spalle con un gesto veloce, allegro e spontaneo, ma che mi fece venire la pelle d'oca. Avevamo lavorato insieme con l'intesa perfetta di un tempo, lanciandoci la palla come se non fosse successo niente, ma era stato solo per Damien e perché il caso lo richiedeva. E non credevo fosse necessario spiegarlo a Cassie.

«Sì, sembra di sì » dissi.

«Quando finalmente l'ha detto… Dio, credo che la mascella mi sia caduta per terra! Stasera champagne, a qualsiasi ora finiamo, e anche parecchio! » Fece un respiro profondo, si appoggiò al tavolo e si passò le dita tra i capelli. «Forse dovresti andare a prendere Rosalind. »

Sentii le spalle irrigidirsi. «Perché? » chiesi con distacco.

«Io non le piaccio. »

«Sì, questo lo so. Ma perché dovremmo andare a prenderla? »

Cassie si fermò a metà di un gesto e mi guardò. «Rob, lei e Damien ci hanno dato esattamente la stessa falsa pista. Deve esserci un collegamento. »

«Veramente sono stati Jessica e Damien…»

«Pensi davvero che siano stati Damien e Jessica a tramare la cosa? Avanti, dai…»

«Penso che nessuno abbia tramato niente. Penso che Rosalind ne abbia passate più che abbastanza per una vita sola e che non c'è nessuna possibilità, neppure remota, che possa essere complice della morte della sorella, quindi non vedo il motivo di trascinarla qui e traumatizzarla ancora. »

Cassie si sedette sul tavolo e mi guardò. Aveva un'espressione negli occhi che non riuscivo a decifrare. «Credi davvero» chiese poi, «che il piccolo idiota abbia fatto tutto da solo? »

«Non lo so e non mi interessa» dissi, sentendo nella mia voce l'eco di quella di O'Kelly ma non potendoci fare nulla. «Forse Andrews o uno dei suoi amici l'ha pagato per farlo. Questo spiegherebbe perché schiva la faccenda del movente. Ha paura che possano prendersela con lui se li tradisce. »

«Sì, se non fosse che non abbiamo il minimo legame tra lui e Andrews. »

«Non ancora. »

«… mentre ne abbiamo uno tra lui e Rosalind. »

«Mi hai sentito? Ho detto non ancora. O'Kelly sta facendo esaminare le telefonate e i movimenti bancari. Quando ci darà i risultati vedremo cosa c'è e ripartiremo da lì. »

«Quando arriveranno i risultati Damien si sarà calmato e avrà trovato un avvocato, e Rosalind avrà letto dell'arresto sui giornali e sarà sulla difensiva. Andiamo a prenderla adesso e li mettiamo a confronto fino a quando non scopriamo cosa è successo. »

Pensai alla voce di Kiernan, o di McCabe, alla sensazione di vertigine che avrei provato quando le pastoie del mio cervello si fossero allentate, a me che galleggiavo in un cielo azzurro e infinitamente accogliente. «No» mi opposi, «non lo faremo. Quella ragazza è molto fragile, Maddox. È sensibile e provata, ha appena perso sua sorella e non sa neppure perché. E tu per tutta risposta vuoi metterla a confronto con l'assassino? Cristo, Cassie, abbiamo una responsabilità nei confronti di quella ragazza, dobbiamo proteggerla. »



  

© helpiks.su При использовании или копировании материалов прямая ссылка на сайт обязательна.