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Tana French 31 страница



«Ecco» disse Sophie. Si rialzò e accese la lampadina centrale. Guardai stupito il pavimento, pulito e innocente.

«Guarda. » Cassie mi fece segno. Su una delle mensole più in basso c'era un sacchetto di plastica pieno di altri sacchetti. Erano del tipo usato dagli archeologi per metterci dentro i reperti: grandi, robusti, trasparenti. «Se la cazzuola è stata un'arma occasionale…»

«Oh, cazzo» disse Sophie. «Quindi dovremo fare il test su tutti i sacchetti di questo posto di merda. »

Un ticchettio sordo e improvviso esplose sui vetri e sul tetto della baracca: si era messo a piovere.

 

 

Continuò a piovere forte per tutto il resto della giornata, una pioggia densa e infinita, di quelle che ti inzuppano fino alle ossa anche nei pochi metri per raggiungere l'auto. Ogni tanto un fulmine si abbatteva sulle colline scure e il rumore del tuono arrivava fino a noi. Lasciammo quelli della Scientifica a completare l'esame della scena del crimine e portammo in centrale Hunt, Mark, Damien e, per non saper né leggere né scrivere, anche uno Sean profondamente risentito («Pensavo che fossimo soci, in questa faccenda! »). Li sistemammo ciascuno in una stanza per gli interrogatori diversa e ricontrollammo i loro alibi.

Fu facile escludere Sean. Divideva un appartamento a Rathmines con altri tre ragazzi e tutti si ricordavano della notte in cui era morta Katy: avevano festeggiato il compleanno di uno dei tre e Sean vi aveva partecipato come DJ fino alle quattro del mattino. Poi aveva vomitato sugli stivaletti della ragazza di un tizio e aveva perso i sensi sul divano. C'erano almeno trenta testimoni pronti a dirci dov'era stato e che gusti musicali aveva.

Per gli altri tre fu più difficile. L'alibi di Hunt era sua moglie, quello di Mark era Mel. Damien viveva a Rathfarnham con sua madre, vedova, che era andata a letto presto ma era certa che non sarebbe potuto uscire di casa senza svegliarla. Questi sono gli alibi che i detective detestano, deboli ma inamovibili, di quelli che possono mandare a puttane un caso. Potrei raccontarvi di una decina di casi in cui sapevamo esattamente chi era stato, com'era andata e quando era successo, ma non potevamo fare nulla perché la mamma del tizio giurava che era rimasto tutto il tempo sdraiato sul divano a guardare la televisione.

«Va bene» disse O'Kelly in sala operativa, dopo che avevamo raccolto la deposizione di Sean e dopo averlo rispedito a casa. Mi aveva perdonato per il tradimento e offerto un cinque di commiato. Aveva voluto anche sapere se poteva vendere la storia ai giornali e io gli avevo risposto che in quel caso sarei andato personalmente a cercare droga a casa sua ogni sera, fino a quando non avesse compiuto trent'anni. «Carta che vince, carta che perde, fate il vostro gioco ragazzi, chi prendiamo? » Era tornato di buon umore adesso che il sospettato era in una delle stanze degli interrogatori, anche se non sapevamo con certezza chi fosse.

«Damien» rispose Cassie. «Corrisponde perfettamente al profilo. »

«Mark ha ammesso di essere stato sulla scena del crimine» obiettai io, «ed è l'unico che potrebbe avere uno straccio di movente. »

«Per quello che ne sappiamo adesso. » Sapevo cosa intendeva dire, o almeno pensavo di saperlo, ma non volevo tirare in ballo la faccenda dell'omicidio su commissione, non davanti a O'Kelly o a Sam. «E non riesco proprio a immaginarlo mentre lo fa. »

«Io invece ci riesco. »

Cassie alzò gli occhi al cielo e io trovai la cosa quasi confortante: una piccola parte di me aveva temuto un qualche diverso tipo di reazione.

«O'Neill? » chiese O'Kelly.

«Damien» disse Sam. «Ho portato a tutti una tazza di tè e lui è stato l'unico a prenderla con la sinistra».

Dopo un attimo di sorpresa, io e Cassie ci mettemmo a ridere. La battuta era per noi. Mi ero quasi completamente dimenticato della faccenda del mancino, ma ci prese una tremenda ridarella e, come dei ragazzini sul bus delle gite scolastiche, non riuscivamo a smettere. Sam sorrise e si strinse nelle spalle, contento della reazione. «Non so proprio che cosa abbiate da sghignazzare, voi due» disse burbero O'Kelly, ma si vedeva che anche a lui scappava da ridere. «Avreste dovuto accorgervene, con tutte quelle chiacchiere sui profili…» Ma continuai a ridere, rosso in viso, con gli occhi che mi lacrimavano. Dovetti mordermi il labbro per fermarmi.

«Oddio, Sam» disse Cassie, facendo un respiro profondo. «Come faremmo senza di te? »

«Basta con gli scherzi» ci redarguì O'Kelly. «Voi due occupatevi di Damien Donnelly. O'Neill, tu manda Sweeney e un altro da Hanly, e io troverò qualcuno che parli con Hunt e il testimone per l'alibi. E Ryan, Maddox e O'Neill: vogliamo una confessione. Cercate di non fare casino. Su, su, andale andale! » Si ritrasse con la sedia, con uno stridio da spaccare le orecchie, e se ne andò.

«Andale? » ripeté Cassie, pericolosamente vicina a un altro attacco di ridarella.

«Bravi, ragazzi» disse Sam. Ci tese la mano. La sua stretta era forte e calda. «Buona fortuna. »

«Se per caso è stato Andrews a ingaggiare uno di loro» dissi, quando Sam se ne andò per cercare Sweeney e Cassie e io restammo soli nella sala operativa, «sarà il casino del secolo. »

Cassie inarcò un sopracciglio ma non aggiunse altro. Finì il caffè. La giornata si preannunciava lunga e avevamo fatto tutti il pieno di caffeina.

«Come vuoi procedere adesso? » chiesi.

«Guida tu. Lui pensa alle donne unicamente come a una fonte di simpatia e approvazione. Gli darò una pacca sulla spalla di tanto in tanto. Si sente minacciato dagli uomini, quindi vacci piano. Se sei troppo duro si irrigidirà e vorrà andarsene. Prendi tempo, portalo piano piano verso la consapevolezza. L'ho visto insicuro fin dall'inizio. » Era la cosa più vicina a un " te l'avevo detto io" che avrebbe potuto dire. «E sono certa che abbia l'inferno dentro. Se facciamo appello alla sua coscienza prima o poi crollerà, è solo questione di tempo. »

«D'accordo» dissi, «faremo così. » Ci lisciammo gli abiti, ci aggiustammo i capelli e ci avviammo, spalla a spalla, lungo il corridoio delle stanze degli interrogatori.

Fu l'ultima volta che lavorammo insieme. Vorrei tanto farvi capire che un interrogatorio può avere una sua bellezza, fulgida e crudele come quella di una corrida. Può mostrarvi come possa, nonostante i delitti più atroci o il sospettato più idiota, mantenere inviolata una sua grazia irresistibile, ed eccitante un suo ritmo. Può rivelarvi il modo in cui due detective si conoscono, come l'uno segua alla perfezione il pensiero dell'altro, alla stregua di due ballerini che danzano da una vita un pas de deux. Non saprò mai se io o Cassie fossimo dei grandi detective, anche se ho il sospetto di no, ma una cosa la so: insieme eravamo una coppia epica, di quelle cantate dai bardi e che vanno a finire sui libri di storia. Quella fu la nostra ultima danza, la migliore, ballata in una piccola stanza degli interrogatori, con il buio fuori e la pioggia che cadeva dolce e instancabile sul tetto, senza altro pubblico che i condannati e i morti.

 

Damien se ne stava raggomitolato sulla sedia, spalle rigide, ignorando la tazza di tè ancora fumante sul tavolo. Quando gli lessi i suoi diritti mi guardò come se parlassi urdu.

Il mese che era trascorso dalla morte di Katy non era stato buono con lui. Indossava un paio di pantaloni color kaki e un vecchio maglione grigio sformato. Si vedeva che era dimagrito e la cosa lo faceva sembrare un ragazzo di strada, anche più basso di quanto non fosse in realtà. Il suo fascino da componente di una boy‑ band iniziava a mostrare un po' la corda: borse violacee sotto gli occhi, un solco verticale che si andava formando tra le sopracciglia. Il fiore della giovinezza, che sarebbe dovuto durare per lui ancora qualche anno, stava appassendo in fretta. Quel cambiamento non mi era parso tanto evidente allo scavo, ma adesso lo notavo e mi fece riflettere.

Cominciammo con domande facili, cose senza implicazioni alle quali poteva rispondere senza doversene preoccupare. Era di Rathfarnham, vero? Studiava al Trinity? Aveva appena finito il secondo anno? Com'erano andati gli esami? Damien rispondeva a monosillabi e intanto si attorcigliava il bordo del maglione attorno al pollice. Ovviamente, moriva dalla voglia di sapere perché glielo chiedevamo, ma aveva anche paura di scoprirlo. Cassie portò gradatamente la conversazione sull'archeologia e lui piano piano si rilassò. Smise di tormentare il maglione e bevve il suo tè, rispondendo con frasi di senso compiuto. I due intavolarono tutta una lunga e serena conversazione sui vari reperti che avevano trovato allo scavo. Li lasciai fare per almeno venti minuti prima di intervenire. Sfoderai il mio sorriso più tollerante. «Mi spiace interrompervi, ragazzi, ma sarebbe meglio tornare a parlare di quello che ci interessa, altrimenti mi sa che finiamo nei guai tutti e tre. »

«Ma dai, Ryan, un minuto» implorò Cassie. «Non ho mai visto un fermamantello. Com'è fatto? »

«Pare che lo esporranno al Museo nazionale» aggiunse Damien, arrossendo di orgoglio. «È piuttosto grande, di bronzo, e sopra c'è un disegno…» Fece dei ghirigori con un dito, forse per indicare il motivo inciso.

«Dai, me lo disegni? » chiese Cassie, facendo scivolare verso di lui il suo taccuino e la penna. Damien disegnò, obbediente, con la fronte aggrottata per la concentrazione.

«Una cosa tipo questa» disse, restituendo il taccuino a Cassie. «Non sono bravo a disegnare. »

«Wow» disse Cassie con ammirazione. «E sei stato proprio tu a trovarlo? Se avessi trovato io una cosa così mi sarebbe venuto un colpo, un attacco di cuore o che so io. »

Lanciai un'occhiata da sopra la sua spalla: era un ampio cerchio con quello che sembrava uno spillone fissato al centro, sul retro, decorato con linee curve, fluide ed equilibrate. «Bello» dissi. Damien era senza dubbio mancino, con mani che sembravano ancora troppo grandi per il suo corpo, come le zampe di un cucciolo.

 

«Hunt è fuori» disse O'Kelly, nel corridoio. «Nella deposizione sostiene di aver cenato e poi guardato la televisione con sua moglie tutta la sera di lunedì fino a quando non è andato a letto, alle undici. Hanno guardato quei documentari del cazzo, una roba pallosa sulle manguste e poi uno su Riccardo III. Ci ha raccontato tutti i dettagli, che lo volessimo o no. La moglie dice la stessa cosa, e la guida TV conferma. Il vicino poi ha un cane, una di quelle merdine che abbaiano tutta la notte. Ha sentito Hunt che gli gridava di smetterla, affacciato alla finestra, all'una di notte. Perché poi non abbia detto lui stesso al suo cane di smetterla… Dice che è sicuro del giorno perché è stato quando gli hanno montato il rivestimento nuovo di legno e il cane si è innervosito per via degli operai. Adesso lo mando a casa, Einstein, prima che mi rincoglionisca del tutto. È stata una gara dura, ragazzi. »

«Come se la sta cavando Sam con Mark? » chiesi.

«Niente di fatto. Hardy è indisponente come pochi. Si ostina con la storia della notte di scopate e la sua ragazza conferma. Se anche fingono, non mi pare che possano smentirsi a breve. E non è mancino. Il vostro? »

«Il nostro sì » disse Cassie.

«Quindi direi che per adesso è il favorito. Ma non credo basterà. Ho parlato con Cooper…» Il viso di O'Kelly si contorse in una smorfia di disgusto. «Posizione della vittima, posizione dell'assalitore, calcolo delle probabilità … c'è più merda che in un letamaio, ma alla fin fine pensa che il nostro uomo sia mancino, anche se non lo può confermare al cento per cento. Fa come i politici. E Donnelly, che dice? »

«È nervoso» dissi io.

O'Kelly diede uno schiaffo alla porta della stanza degli interrogatori. «Bene. E voi non lasciate che si calmi. »

 

Tornammo dentro e ci mettemmo d'impegno. «Va bene ragazzi» dissi, prendendo una sedia. «Adesso dobbiamo andare al sodo. Parliamo di Katy Devlin. »

Damien annuì, serio, ma lo vidi irrigidirsi. Sorseggiò il tè, anche se ormai doveva essere freddo.

«Quand'è stato che l'hai vista, la prima volta? »

«Credo che fossi a tre quarti della collina, e stavo salendo. Comunque ero più in alto del cottage e delle baracche. È stato per l'inclinazione del pendio…»

«No» disse Cassie, «non il giorno in cui hai trovato il cadavere. Prima. »

«Prima? » Damien sbatté le palpebre, prese un altro sorso di tè. «No… io non… non l'avevo mai vista. Mai incontrata prima di allora… di quel giorno. »

«Non l'avevi mai vista prima? » Il tono di Cassie non era cambiato, ma avevo immediatamente percepito in lei l'immobilità del predatore che osserva la sua prossima preda. «Ne sei certo? Pensaci bene, Damien. »

Lui scosse la testa con decisione. «No. Lo giuro. Non l'avevo mai vista prima in tutta la mia vita. »

Ci fu un attimo di silenzio. Rivolsi a Damien quella che speravo sembrasse un'occhiata di scarso interesse, ma la testa mi girava.

Avevo puntato su Mark colpevole non solo per spirito di contraddizione, come potreste pensare, né perché qualcosa in lui mi irritava, senza voler per forza spiegare cosa. Credo fosse perché tutto sommato, date le opzioni possibili, preferivo che fosse lui. Non avevo mai preso sul serio Damien né come uomo, né come testimone e certamente ancora meno come sospettato. Era solo un tremendo imbranato, tutto riccioli e balbettii e vulnerabilità, uno che si poteva spazzar via come un soffione. Soltanto pensare che tutto un mese passato come l'avevamo passato potesse aver avuto origine da uno come lui mi appariva scandaloso. Mark invece, qualunque cosa pensassi io di lui e lui di me, era un avversario e un obiettivo che valeva la pena di incastrare.

Ma Damien aveva sicuramente detto una bugia priva di senso. Le figlie dei Devlin erano state spessissimo allo scavo, quell'estate, ed era difficile non averle notate. Tutti gli altri archeologi si ricordavano di loro. Perfino Mel, che era rimasta a debita distanza dal cadavere, l'aveva riconosciuta immediatamente. E Damien, che accompagnava spesso i visitatori, era quello che probabilmente aveva avuto più occasioni di parlare con Katy, passare del tempo con lei. Si era chinato sul suo cadavere, in teoria per vedere se respirava ancora, e anche quel gesto, me ne rendevo conto solo adesso, anche quell'insolito coraggio era fuori dal personaggio. Non aveva nessuna ragione al mondo per negare di averla vista prima, a meno che non stesse goffamente cercando di evitare una trappola che non avevamo mai preparato. A meno che il pensiero di essere legato a lei in qualche modo non lo spaventasse a tal punto da impedirgli di ragionare lucidamente.

«Okay» disse Cassie. «E suo padre, Jonathan Devlin? Tu fai parte di " Spostiamo l'autostrada"? » Damien ingollò un grosso sorso di tè ormai gelato e annuì di nuovo. Abbandonammo con destrezza l'argomento prima che avesse modo di rendersi conto di quello che aveva detto.

 

Alle tre, Cassie, Sam e io andammo a prendere delle pizze. Mark iniziava a rompere le scatole, diceva che aveva fame, e noi volevamo che sia lui sia Damien si sentissero a loro agio. Nessuno dei due era in arresto, potevano decidere di andarsene dalla centrale in qualsiasi momento e non avremmo potuto fare niente per fermarli. Stavamo giocando, come facciamo spesso, sull'elementare desiderio umano di compiacere l'autorità, di fare i bravi. Anche se ero certo che questo sarebbe bastato a tenere Damien nella stanza degli interrogatori in eterno, non nutrivo la medesima certezza con Mark.

«Come va con Donnelly? » mi chiese Sam, in pizzeria. Cassie era al bancone, ci si era appoggiata e stava scherzando con il ragazzo che aveva preso la nostra ordinazione.

Mi strinsi nelle spalle. «Difficile dirlo. E con Mark? »

«Un incubo. Dice che ha passato sei mesi a farsi il culo per " Spostiamo l'autostrada", perché avrebbe dovuto rischiare di mandare tutto a puttane uccidendo la figlia del presidente? Sostiene che sia tutta una faccenda politica…» Sam fece una smorfia. «Ma Donnelly» riprese, non guardando me ma Cassie che ci dava la schiena. «Se è il nostro uomo, cosa avrebbe… insomma, quale sarebbe il movente? »

«Per adesso non abbiamo trovato niente» dissi. Non volevo ancora rivelare nulla.

«Se salta fuori qualcosa…» Sam si ficcò le mani nelle tasche dei pantaloni. «… qualcosa che pensi io possa voler sapere… mi chiami? »

«Sì » promisi. Non avevo mangiato nulla in tutto il giorno, ma era l'ultima cosa che desideravo fare in quel momento. Volevo solo tornare da Damien e sembrava ci volessero ore per quelle pizze. «Certo. »

 

Damien prese una lattina di 7‑ Up ma rifiutò la pizza. Non aveva fame. «Davvero? » chiese Cassie, cercando di raccogliere con le mani la mozzarella che filava. «Dio, quando ero studentessa non avrei mai saputo dire di no a qualcuno che mi offriva una pizza. »

«Tu non rifiuti il cibo in nessuna circostanza» le dissi. «Sei un aspirapolvere umano. » Cassie, con la bocca troppo piena per rispondere, annuì allegra e fece il gesto del pollice in alto. «Dai, avanti, Damien, prendine un pezzo. Devi mantenerti in forze, vedrai che ci toccherà stare qui ancora per un po'. »

Spalancò gli occhi. Gli porsi uno spicchio e quando lui scosse la testa feci un'alzata di spalle e lo mangiai io. «Okay, parliamo di Mark Hardy. Che tipo è? »

Damien sbatté le palpebre. «Mark? Mah, è un tipo a posto. È un po' rigido ma, insomma, è giusto così. Non abbiamo molto tempo. »

«Lo hai mai visto diventare violento? Perdere le staffe? » Agitai una mano verso Cassie e lei mi lanciò un tovagliolo di carta.

«Ah… no… Insomma, sì, a volte si arrabbia, se qualcuno fa casino, ma non l'ho mai visto alzare davvero le mani, o cose simili. »

«E pensi che sarebbe capace di farlo, se fosse molto arrabbiato? » Mi pulii le dita e sfogliai il blocco, cercando di non ungere le pagine. «Il solito sbrodolone» mi rimproverò Cassie. Le mostrai il dito medio. Damien ci guardò, disorientato.

«Cosa? » chiese poi, esitante.

«Credi che Mark possa diventare violento se provocato? »

«Forse sì, non lo so. »

«E tu? Hai mai picchiato qualcuno? »

«No! Ma… no! »

«Avremmo dovuto prendere anche il pane all'aglio» disse Cassie.

«Io non ci sto di sicuro chiuso in una stanza degli interrogatori con due persone e della roba all'aglio. Cosa pensi ti ci vorrebbe per picchiare qualcuno, Damien? »

La bocca del ragazzo si spalancò.

«Non sembri un tipo violento, ma tutti hanno un punto di rottura. Per esempio, picchieresti qualcuno che insultasse tua madre? »

«Io…»

«Oppure per denaro? O per autodifesa? Cosa potrebbe spingerti a farlo? »

«Io non…» Damien sbatteva le palpebre in continuazione. «Non lo so. Insomma io… io non ho mai… però credo che, come diceva lei, tutti hanno un punto di rottura, non lo so…»

Annuii e presi mentalmente nota. «Magari ne vuoi una diversa? » chiese Cassie, guardando la pizza. «Per me la migliore resta quella con prosciutto e ananas, però di là ce n'è una tosta… salame piccante e salsiccia. »

«Cosa? Ma… no. No, grazie. Chi c'è …? » Aspettammo, masticando. «Chi c'è di là? Posso… posso chiederlo? »

«Certo» risposi. «C'è Mark. Abbiamo già mandato a casa Sean e il dottor Hunt, ma Mark non possiamo ancora lasciarlo andare. »

A mano a mano che elaborava le informazioni e le relative implicazioni, Damien mostrava un pallore sempre più accentuato. «E perché? » chiese debolmente.

«Questo non posso dirtelo» rispose Cassie, prendendo un altro pezzo di pizza. «Mi dispiace. » Gli occhi di Damien rimbalzarono, disorientati, dalle sue mani al suo viso, poi al mio.

«Quello che posso dirti, però » dissi, muovendo verso di lui il pezzo di crosta di pizza che avevo in mano, «è che questo è un caso davvero molto serio. Ho visto molta brutta roba nella mia carriera, Damien, ma questo… Non c'è peggior crimine al mondo che uccidere un bambino, in questo caso una bambina. Una vita spezzata per sempre, l'intera comunità gettata nel terrore. I suoi amici non supereranno mai lo shock, la sua famiglia ne sarà devastata…»

«A pezzi» rincarò Cassie, con la bocca piena. Damien deglutì, abbassò lo sguardo sulla 7‑ Up come se l'avesse dimenticata e si mise ad armeggiare con la linguetta.

«Chiunque abbia fatto una cosa del genere…» Scossi la testa. «Non so proprio come possa andare avanti senza fare i conti con se stesso. »

«Occhio al pomodoro» mi disse Cassie, passandosi un dito sull'angolo della bocca. «Insomma, non ti posso proprio portare da nessuna parte. »

 

Finimmo quasi tutta la pizza. Non mi andava, persino l'odore, grasso e penetrante, era troppo per me, ma la messinscena aveva messo Damien sempre più in agitazione. Alla fine accettò uno spicchio e se ne stette lì tapino a mordicchiare i pezzetti d'ananas, voltando la testa da Cassie a me e di nuovo a lei, come se stesse seguendo una partita di tennis troppo da vicino. Rivolsi un pensiero a Sam: era improbabile che salame piccante e mozzarella doppia potessero destabilizzare allo stesso modo anche Mark.

Mi vibrò il cellulare nella tasca. Controllai il display: Sophie. Uscii nel corridoio. Dietro di me, Cassie dichiarò: «Il detective Ryan lascia la stanza dell'interrogatorio».

«Ciao, Sophie» dissi.

«Ehi… un aggiornamento: nessun segno di scasso sulla serratura. Non è stata forzata. E la cazzuola è effettivamente lo strumento dello stupro. Sembra che sia stata lavata, ma ci sono tracce di sangue nelle crepe del manico. C'è anche un bel po' di sangue su una delle incerate. Stiamo ancora controllando i guanti e i sacchetti di plastica, ma mi sa che a ottant'anni saremo ancora qui. Sotto le incerate abbiamo trovato una torcia. È piena di impronte, ma sono tutte piccole e la torcia ha dei disegni di Hello Kitty, quindi immagino che appartenesse alla vittima, e che sia lo stesso per le impronte. Da voi come va? »

«Stiamo ancora lavorando su Hanly e Donnelly. Callaghan e Hunt sono fuori. »

«E me lo dici adesso? Cristo santo, Rob, abbiamo perso un sacco di tempo a esaminare l'auto di Hunt. Niente, ovviamente. E non ci sono tracce di sangue neppure nella macchina di Hanly. Milioni di capelli, fibre… Se anche ha trasportato la vittima di certo non si è dato la pena di ripulire e quindi può anche darsi che salti fuori qualcosa. In verità dubito che abbia mai pulito la macchina in generale. Se mai dovesse trovarsi a corto di siti archeologici, potrebbe sempre dedicarsi a esplorare sotto i suoi sedili anteriori. »

 

Mi richiusi la porta alle spalle, dissi rivolto alla telecamera: «Il detective Ryan rientra nella stanza dell'interrogatorio» e mi misi a sgomberare gli avanzi della pizza. «Era la Scientifica» comunicai a Cassie. «Hanno confermato che le prove corrispondono esattamente a quello che ci aspettavamo. Damien, ne vuoi ancora di questa? » chiesi, rimettendo nella scatola per buttarla la fetta di pizza senza ananas prima ancora che potesse rispondere.

«Ottimo» commentò Cassie, prendendo un tovagliolo di carta e dando una rapida pulita al tavolo. «Damien, hai bisogno di qualcosa prima che ci rimettiamo al lavoro? »

Damien la fissò, come per capire, poi scosse la testa.

«Bene» dissi, spingendo in un angolo il cartone della pizza e prendendo una sedia. «Cominciamo con il metterti al corrente di alcune delle cose che abbiamo scoperto oggi. Hai idea del perché vi abbiamo portato qui, voi quattro? »

«Per quella ragazzina» rispose lui, debolmente. «Katy Devlin. »

«Be', sì, certo. Ma ti sei chiesto perché abbiamo convocato solo voi quattro? E non il resto della squadra? »

«Avete detto…» Damien fece un gesto verso Cassie con la lattina di 7‑ Up. La teneva con tutte e due le mani, come se temesse che potessi togliergli anche quella. «Avete chiesto delle chiavi. Chi aveva le chiavi delle baracche. »

«Tombola» disse Cassie, annuendo convinta. «Ben detto. »

«Avete…? » Inghiottì. «Avete… trovato qualcosa in una delle baracche? »

«Proprio così » dissi. «In realtà abbiamo trovato qualcosa in due baracche, ma ci sei andato vicino. Non posso entrare nel dettaglio, naturalmente, ma il succo è questo: abbiamo le prove che Katy è stata uccisa nella baracca dei reperti la notte di lunedì e che il cadavere è rimasto nascosto in quella degli attrezzi per tutta la giornata di martedì. Nessuna delle serrature è stata forzata. Cosa significa secondo te? »

«Che ne so» disse Damien, dopo una pausa.

«Significa che cerchiamo qualcuno che aveva le chiavi. Ovvero Mark, il dottor Hunt e tu. E Hunt ha un alibi. »

Damien sollevò una mano, come fosse a scuola. «Ma… anch'io. Voglio dire, ho un alibi. »

Ci guardò speranzoso, ma entrambi stavamo scuotendo la testa. «Mi dispiace» disse Cassie. «Tua madre dormiva nelle ore che ci interessano. Non può coprirti. E comunque…» Si strinse nelle spalle e sorrise. «Voglio dire, sono sicura che la tua mamma è sincera ma, di solito, una mamma direbbe qualsiasi cosa pur di tenere il suo bambino fuori dai guai. Che il Signore le benedica per questo, ma significa anche che non possiamo fidarci di loro su una questione di questa gravità. »

«Mark ha lo stesso problema» aggiunsi. «Mel dice che era con lui, ma è la sua ragazza e le fidanzate non sono molto più affidabili delle madri. Un po' di più, ma non tanto. E quindi eccoci ancora qui. »

«E se hai qualcosa da dirci» aggiunse Cassie, incoraggiante, «questo è il momento. »

Silenzio. Bevve un sorso della sua 7‑ Up e ci guardò, tutto occhi azzurri trasparenti e sconcerto. Scosse la testa.

«Okay» dissi. «D'accordo. Voglio farti vedere una cosa, Damien. » Sfogliai con aria seria il dossier che avevo davanti. Gli occhi di Damien seguivano la mia mano, apprensivi. Tirai fuori una serie di fotografie e gliele misi davanti, a una a una, guardandole prima di appoggiarle, facendolo aspettare un po' ogni volta.

«Katy e le sue sorelle, Natale dell'anno scorso» dissi. Albero di Natale finto addobbato con lucine rosse e verdi. Rosalind nel mezzo, con un vestito di velluto blu. Rivolgeva un sorriso sbarazzino alla macchina fotografica e circondava con le braccia le gemelle. Katy rideva e si indicava la giacca bianca di finto montone che aveva addosso; Jessica, con un sorriso più incerto, quella che aveva lei, simile ma di colore beige, riflesso di uno specchio crudele e inquietante. Inconsciamente, Damien ricambiò il sorriso della foto.

«Katy a un picnic di famiglia, due mesi fa. » Istantanea con prato verde e panini.

«Sembra felice, no? » domandò Cassie, seduta accanto a me. «Stava per partire per la scuola di ballo, stava per cominciare una nuova vita… è bello sapere che era felice prima che…»

Una delle Polaroid della scena del delitto: un'immagine a figura intera di lei rannicchiata sulla pietra cerimoniale. «Katy subito dopo il ritrovamento. Te ne ricordi? » Damien si agitò sulla sedia e, accortosi, si immobilizzò immediatamente.

Un'altra foto della scena del delitto, un primo piano: sangue rappreso sul naso e sulla bocca, un occhio semiaperto. «Ancora Katy, dove l'aveva messa il suo assassino. »

Una foto del cadavere. «Katy, il giorno dopo». Damien smise di respirare. Avevamo scelto la foto più crudele che avevamo: la faccia era ripiegata su se stessa perché fosse visibile il teschio. Una mano guantata teneva un righello di metallo vicino alla frattura sopra l'orecchio. Ciocche di capelli e frammenti di osso.

«Non è facile da guardare, vero? » disse Cassie, quasi parlando tra sé. Passò le dita sulle foto, sul primo piano della scena del delitto, accarezzando la curva della guancia di Katy. Sollevò lo sguardo su Damien.

«Già » mormorò lui.

«Vedi» dissi, appoggiandomi allo schienale della sedia e tamburellando sulla foto del cadavere, «per me solo un pazzo criminale poteva fare una cosa simile a una ragazzina. Un animale senza coscienza che si eccita all'idea di fare del male alla persona più indifesa che riesce a trovare. Ma io sono solo un detective. La mia collega Maddox, invece, è un detective che ha studiato psicologia. Sai cos'è un profiler, Damien? »



  

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