Хелпикс

Главная

Контакты

Случайная статья





Tana French 29 страница



 

Quel pomeriggio, quando andai fuori a fumarmi una sigaretta, Cassie mi seguì.

«Hai da accendere? » mi chiese.

Era dimagrita, gli zigomi erano più evidenti, e mi chiesi se era un processo già in corso, dovuto allo stress dell'Operazione Vestale, o se, e il pensiero mi procurò uno spiacevole brivido di malessere, era la conseguenza di quegli ultimi giorni. Pescai l'accendino e glielo porsi.

Era un pomeriggio freddo e nuvoloso, le foglie cadute si accumulavano contro i muri. Cassie si mise di schiena al vento per accendersi la sigaretta. Era truccata. Mascara e un'ombra di rosa sulle guance, ma il viso, chino sopra le mani a coppa, era ancora troppo pallido, quasi grigio. «Che succede, Rob? » chiese, sollevando la testa.

Sentii lo stomaco stringersi. Tutti abbiamo dovuto affrontare una qualche terribile conversazione almeno una volta nella vita, ma non conosco nessuno che pensi sia davvero utile a qualcosa, non conosco nemmeno un caso in cui sia servita, e avevo sperato contro ogni evidenza che Cassie si sarebbe rivelata una di quelle rare donne che riescono a evitarla. «Niente, non succede proprio niente» risposi.

«Perché sei strano con me? »

Mi strinsi nelle spalle. «Sono uno straccio, il caso è un disastro e queste ultime settimane mi hanno distrutto. Niente di personale. »

«Andiamo, Rob, non è vero. C'è anche qualcosa di personale. Ti comporti con me come se avessi la lebbra da quando…» Sentii tutto il corpo irrigidirsi. La voce di Cassie si spense.

«No, non è vero» protestai. «Ho solo bisogno di spazio, okay? »

«No, non so nemmeno che cosa intendi dire. So solo che con me sei strano e io non posso farci niente se non ne capisco il motivo. »

Con la coda dell'occhio vidi il profilo deciso del suo mento e mi resi conto che questa volta non avrei potuto svicolare. «Non è che sono strano» dissi, orrendamente a disagio. «È solo che non voglio rendere le cose più complicate di quanto già non siano. Non sono proprio in grado di iniziare una relazione in questo momento, e non voglio dare l'impressione di essere uno che…»

«Relazione? » Le sopracciglia di Cassie si mossero verso l'alto in un'espressione di sorpresa. Quasi rise. «Cristo, era questo il problema? No Ryan, non mi aspetto che tu mi chieda di sposarti e di essere il padre dei miei figli. Cosa diavolo ti ha fatto credere che io volessi una relazione? Voglio solo che le cose tornino come prima, perché la situazione, così com'è, è ridicola. »

Non le credetti. Era una recita, anche se convincente. Lo sguardo interrogativo, la noncuranza con la quale aveva appoggiato la spalla al muro… Chiunque altro al mondo avrebbe tratto un respiro di sollievo, l'avrebbe abbracciata goffamente e si sarebbe incamminato sulla via di una qualche normalità, a braccetto con lei. Ma conoscevo Cassie come le mie tasche. La rapidità del suo respiro, i muscoli tesi della spalla, l'impercettibile sfumatura interlocutoria della voce: era terrorizzata, e la cosa terrorizzava anche me.

«Okay» dissi. «Hai ragione. »

«Lo sai, vero, Rob? » Di nuovo quell'impercettibile tremito.

«In questa situazione» dissi, «non credo che sia possibile tornare alla normalità. Quello di sabato sera è stato un grosso errore e vorrei non fosse mai accaduto, e invece è successo. E non possiamo non tenerne conto. »

Cassie scosse la cenere sui ciottoli della strada, ma avevo visto il lampo di dolore sul suo viso, un viso abbattuto e turbato come se lo avessi colpito con uno schiaffo. Dopo un attimo disse: «Be', non sono sicura che debba essere per forza considerato un errore».

«È una cosa che non sarebbe dovuta accadere» insistetti. Avevo la schiena premuta contro il muro con una tale forza che ne sentivo le protuberanze fin dentro la carne, attraverso la giacca. «E non sarebbe mai accaduta se non mi fossi fatto ritrovare in uno stato confusionale per via di altre cose. Mi dispiace, ma questa è la realtà. »

«Okay» disse lei, guardinga. «Okay, ma non è il caso di farne un affare di stato. Siamo amici, ci conosciamo bene, ed è per questo che è successo. Doveva semplicemente portarci a conoscerci meglio, fine della storia. »

Era assolutamente ragionevole e pieno di buon senso. Sapevo di essere io quello che faceva la figura dell'immaturo, del melodrammatico, e la cosa mi feriva ancora di più. Ma i suoi occhi… li avevo già visti così, guardare la siringa di un tossico in un appartamento dove non avrebbe dovuto viverci nessun essere umano, e anche allora era riuscita a sembrare calmissima. «Già. » Distolsi lo sguardo. «Forse. Magari ho solo bisogno di tempo per mettere le cose in prospettiva. Insieme al resto di ciò che è successo. »

Allargò le braccia. «Rob» disse, con quella vocina piccola, chiara, un po' perplessa che non riuscirò mai a dimenticare. «Sono sempre io. »

Ma non l'ascoltavo più. A stento riuscivo a vederla e il suo volto mi sembrava quello di un'estranea, indecifrabile e pericoloso. Avrei voluto essere altrove. «Adesso devo rientrare» dissi, gettando via la sigaretta. «Mi ridai l'accendino? »

 

Non so spiegare cosa mi spingesse a dare così poco credito alla possibilità che Cassie avesse detto la pura e semplice verità su quello che voleva da me. Dopotutto, non credo che avesse mai mentito, a me o a chiunque altro, e non so perché mai fossi così sicuro che avesse cominciato a farlo proprio allora. Non mi sfiorò neppure per un attimo il pensiero che la sua disperazione potesse derivare non tanto da una passione non corrisposta quanto dall'aver perso il suo migliore amico, cosa che potevo senz'altro affermare di essere.

Sembrerà arrogante che mi considerassi un irresistibile Casanova, ma davvero non credo che fosse così semplice. Dovete tenere conto del fatto che non avevo mai visto Cassie in quello stato. Non l'avevo mai vista piangere, potevo contare sulle dita di una mano le volte che l'avevo vista spaventata. Adesso aveva gli occhi gonfi e lividi, sotto il trucco goffo e aggressivo, e vi vedevo un lampo di paura e una richiesta disperata di aiuto ogni volta che li rivolgeva verso di me. Cosa dovevo pensare? Le parole di Rosalind – trent'anni… orologio biologico… non possono permettersi di aspettare ‑ mi ossessionavano come un dente cariato. Mi veniva in mente tutto quello che avevo letto sull'argomento (le riviste stropicciate nelle sale d'aspetto, le copie di " Cosmopolitan" di Heather che sfogliavo a colazione, ancora mezzo addormentato): " Dieci modi per le donne sopra i trenta di approfittare della loro ultima occasione. Come evitare di rimandare troppo la decisione di avere un figlio". E, come se non bastasse, quello strano articolo su come fosse assolutamente da evitare di andare a letto con il proprio migliore amico perché comportava inevitabilmente " sentimenti" da parte della donna, paura di impegnarsi da parte dell'uomo e una serie infinita, inutile e noiosa di casini.

Avevo sempre pensato che Cassie fosse lontana anni luce da quei cliché da letteratura rosa (a volte, quando siamo molto vicini a qualcuno, ci sono cose che ci sfuggono ), ma avevo anche pensato che fossimo un'eccezione a qualunque regola, e guarda un po' com'era andata a finire. Non volevo diventare un cliché anch'io, ma Cassie non era l'unica con una vita andata a rotoli. Sentendomi a mia volta perso e confuso, mi tenevo semplicemente aggrappato alle sole certezze che mi sembrava di avere.

E, non ultimo, avevo imparato presto a presumere che ci fosse sempre qualcosa di oscuro e letale al cuore delle cose che amavo, e quando non lo trovavo reagivo, stupito e guardingo, nell'unico modo che conoscevo: mettendocelo io stesso.

Adesso sembra ovvio, naturalmente, dire che perfino una persona forte abbia i suoi punti deboli e che avevo colpito Cassie con la massima potenza e con la precisione di un gioielliere che taglia una pietra preziosa lungo un'incrinatura. Di sicuro Cassie doveva aver pensato, a volte, a una sadica maledizione inscritta nel suo nome da un qualche dio: dire sempre la verità e non essere mai creduta.

 

Sam si presentò da me il lunedì sera tardi, verso le dieci. Mi ero da poco rimesso a letto, dopo un toast per cena, e mi ero quasi riaddormentato quando suonò il citofono. Ebbi un irrazionale brivido di paura immaginando che potesse essere Cassie, magari un po' sbronza, che veniva a chiedermi di parlare una volta per tutte. Feci rispondere a Heather. Quando bussò nervosa alla mia porta e annunciò: «È per te, un tale Sam», ne fui così sollevato che mi ci volle un po' prima che la sorpresa prendesse il sopravvento. Sam non era mai venuto a casa mia. Non sapevo neppure che avesse idea di dove fosse.

Andai alla porta della mia stanza, intanto che mi infilavo la camicia nei pantaloni, e lo sentii salire su per le scale. «Ciao» gli dissi, quando arrivò sul pianerottolo.

«Ciao» disse lui. Non lo vedevo dal venerdì mattina. Indossava il suo pesante cappotto di tweed, non si era fatto la barba e aveva i capelli sporchi che gli ricadevano in lunghe ciocche umide sulla fronte.

Rimasi per un momento in attesa, ma lui non offrì alcuna spiegazione per la sua presenza, così gli feci strada in soggiorno. Heather ci seguì e incominciò a chiacchierare. «Ciao, io sono Heather, sono proprio felice di conoscerti. Ma dove ti ha tenuto nascosto Rob per tutto questo tempo? Non porta mai a casa gli amici e non è una bella cosa. Sto guardando The Simple Life, tu lo guardi mai? Dio, quest'anno è da matti…» Le nostre monosillabiche risposte dovettero alla fine farle intuire qualcosa perché, con un tono ferito, concluse: «Va bene… mi sa che voi due avete voglia di starvene un po' per conto vostro» e, poiché nessuno di noi due fece nulla per smentirla, se ne andò con un sorriso radioso a Sam e uno un po' più freddo a me.

«Mi dispiace essere piombato qui così all'improvviso» disse Sam. Si guardò intorno sconcertato, cuscini dal design aggressivo e firmato, mensole piene di animaletti di porcellana.

«Non importa. Ti va qualcosa da bere? » Non avevo la più pallida idea del perché fosse venuto e non volevo neppure prendere in considerazione l'ipotesi che avesse qualcosa a che fare con Cassie. " Non è possibile" pensai. " Non è assolutamente possibile che gli abbia chiesto di venire a parlare con me. "

«Un whisky andrà benissimo. »

Andai in cucina e trovai nella mia dispensa una mezza bottiglia di Jameson. Quando portai la bottiglia in soggiorno Sam era ancora nella stessa poltrona, non si era tolto il cappotto e aveva la testa china e i gomiti sulle ginocchia. Heather aveva lasciato la TV accesa senza audio e due donne identiche con un fondotinta arancione stavano litigando istericamente ma in silenzio su chissà cosa. Quel chiarore saltellava confusamente sul viso di Sam conferendogli un'aria spettrale.

Spensi la TV e gli porsi il bicchiere. Lo guardò quasi sorpreso, ma ne bevve la metà con un goffo movimento del polso. Forse, pensai, era già un po' ubriaco. Non barcollava, né aveva la voce impastata ma sia il modo di muoversi sia le sue parole avevano un che di diverso, di aspro e pesante.

«Allora» chiesi scioccamente, «che succede? »

Sam bevve un altro sorso. La lampada a stelo lì accanto lo intrappolava a metà tra luce e ombra, con una spalla al buio e il chiarore che faceva splendere i suoi capelli bronzo opaco. «Sai quella cosa di venerdì? » cominciò. «Il nastro registrato. »

Mi rilassai un po'. «Sì? »

«Non ci ho parlato, con mio zio. »

«No? »

«No. Ci ho pensato tutto il weekend. Ma non l'ho chiamato. » Si schiarì la voce. «Sono andato da O'Kelly. » Si schiarì di nuovo. «Oggi pomeriggio. Con il nastro. Gliel'ho fatto ascoltare e poi gli ho detto che la voce era quella di mio zio. »

«Caspita. » A dire la verità, non credevo che lo avrebbe fatto. Mio malgrado, ero stupito.

Sbatté le palpebre, guardò il bicchiere che aveva in mano e lo posò sul tavolino basso. «Sai cosa mi ha detto? »

«Cosa? »

«Mi ha chiesto se ero fuori di testa. » Rise in modo un po' scomposto. «Dio, era proprio deciso… Mi ha detto di cancellare il nastro, di togliere le cimici dai telefoni e di lasciare in pace Andrews. " È un ordine", così ha detto. Ha detto che non ho uno straccio di prova che Andrews abbia qualcosa a che vedere con l'omicidio e che se vado avanti così prima o poi mi ritrovo di nuovo in uniforme, e lui pure. Non subito, e magari neanche direttamente per questo motivo, ma un bel giorno ci ritroviamo di pattuglia nel buco del culo del mondo e per il resto della nostra vita. Testuale: " Questa conversazione non c'è mai stata, perché quel nastro non è mai esistito". »

La voce di Sam stava aumentando di tono. La stanza da letto di Heather confinava con il soggiorno ed ero quasi sicuro che lei se ne stesse con l'orecchio incollato alla parete. «Vuole che tu insabbi tutto? » chiesi a voce bassa, sperando che Sam capisse e mi imitasse.

«Credo che volesse arrivare lì, sì » fece lui, con una nota di pesante sarcasmo. Non gli veniva naturale, e invece di suonare duro e cinico lo faceva sembrare tremendamente giovane, come un adolescente disperato. Sprofondò nella poltrona e si passò una mano tra i capelli. «Non me lo sarei mia aspettato, sai? Di tutte le cose di cui mi preoccupavo… a questa non avevo pensato. »

Credo, onestamente, di non aver mai preso troppo sul serio la pista investigativa di Sam. Società di capitali internazionali, costruttori senza scrupoli e speculazioni su terreni edificabili: mi era sempre sembrata una faccenda lontanissima e impossibile, grossolana e quasi assurda, un filmone hollywoodiano da quattro soldi, di quelli con Tom Cruise, non una cosa di gente vera. L'espressione sul volto di Sam mi prese in contropiede. Non aveva bevuto. Quella doppia catastrofe… suo zio, O'Kelly… l'aveva colpito come due autobus. E dato che si trattava di Sam, non se lo era neppure lontanamente immaginato. Per un attimo, nonostante tutto, sentii che avrei voluto trovare le parole per consolarlo, dirgli che certe cose potevano sempre capitare, che succedeva a tutti e che, come tutti, sarebbe sopravvissuto.

«E adesso cosa faccio? » mi chiese.

«Non lo so» risposi, perplesso. Io e Sam avevamo passato un sacco di tempo insieme, ultimamente, ma questo non ci rendeva amici per la pelle e comunque non ero nelle condizioni di dare saggi consigli a nessuno. «Non vorrei sembrarti insensibile, ma perché lo stai chiedendo a me? »

«E a chi altro potrei chiederlo? » fece Sam a bassa voce. Quando sollevò lo sguardo su di me vidi che aveva gli occhi rossi. «Non posso andare a raccontarlo a nessuno della mia famiglia, no? Li ucciderebbe. E i miei amici sono fantastici, ma non sono dei poliziotti, e questa è una faccenda da poliziotti. E Cassie… non vorrei proprio coinvolgerla in questa cosa. Ha già abbastanza gatte da pelare di suo. Ha un'aria terribilmente stressata ultimamente. Tu sapevi già tutto e avevo bisogno di parlare con qualcuno, prima di decidere cosa fare. »

Ero sicuro di aver avuto un'aria piuttosto stressata anch'io, nelle ultime settimane, anche se in un certo senso mi faceva piacere pensare di essere stato più bravo a nasconderlo di quanto pensassi. «Decidere? » dissi. «Non mi pare che tu abbia molta scelta, in verità. »

«C'è Michael Kiely» disse Sam. «Potrei dare a lui il nastro. »

«Dio, perderesti il lavoro prima ancora che esca l'articolo. E potrebbe essere addirittura illegale, anche se non ne sono sicuro. »

«Lo so. » Si premette le mani sugli occhi. «Credi che dovrei farlo? »

«Non ne ho la più pallida idea» dissi. Il whisky, a stomaco quasi vuoto, stava iniziando a darmi la nausea. Avevo usato i cubetti di ghiaccio in fondo al freezer e avevano un sapore cattivo, stantio.

«Se lo facessi cosa succederebbe? Lo sai? »

«Be', perderesti il posto. Forse ti denuncerebbero. » Non disse niente. «Potrebbe esserci un processo, credo. Se decidono che tuo zio ha fatto qualcosa di sbagliato gli dicono di non farlo più, lo mettono in secondo piano per un paio d'anni e poi tutto torna come prima. »

«Ma l'autostrada. » Sam si passò le mani sul viso. «Non riesco a pensare con chiarezza… se non dico niente, l'autostrada andrà avanti, sarà costruita e distruggerà tutti i reperti archeologici. Senza motivo. »

«Succederà comunque. Anche se vai ai giornali, il governo dirà solo: " Oh, ma che peccato, ormai è troppo tardi per spostarla però " e tutto continuerà allegramente come prima. »

«Lo pensi davvero? »

«Be', sì » risposi. «Davvero. »

«E Katy» riprese. «Perché è di questo che dovremmo preoccuparci. E se Andrews avesse pagato qualcuno per ucciderla? Lasciamo che se ne vada impunito? »

«Non lo so. » Mi chiesi per quanto ancora sarebbe rimasto.

Per un po', nessuno di noi disse nulla. Nell'appartamento accanto c'era una cena o qualcosa del genere perché si sentiva un vocio allegro, Kylie dallo stereo e una ragazza che diceva, civettuola: «Ma sì che te l'avevo detto, te l'avevo detto eccome! ». Heather diede un pugno alla parete, ci fu silenzio per un attimo, seguito da uno scoppio di risa soffocate.

«Lo sai qual è il mio primo ricordo? » disse Sam. I suoi occhi erano in ombra, per cui non potevo vedere che espressione avessero. «Il giorno in cui Red entrò al Dà il. Ero bambino, potevo avere tre anni o forse quattro, ma andammo tutti a Dublino ad accompagnarlo. Tutta la famiglia. Era una bellissima giornata, piena di sole. Io avevo un vestito nuovo. Non sapevo cosa stesse succedendo di preciso, ma sapevo che era una cosa importante. Erano tutti così contenti, e mio padre… scoppiava di gioia e d'orgoglio. Mi prese sulle spalle perché potessi vedere e gridò: " Quello è tuo zio, ragazzo mio! ". Red era sulle scale, salutava con la mano e sorrideva, e io gridai: " Quel signore è mio zio! ". Tutti risero e lui mi fece l'occhiolino… Abbiamo ancora la foto sulla parete del soggiorno. »

Ci fu un altro silenzio. Mi venne in mente che forse il padre di Sam si sarebbe stupito meno del figlio degli exploit del fratello, ma decisi che sarebbe stata una magra consolazione.

Sam si tirò di nuovo indietro i capelli. «E poi c'è la mia casa» disse. «Lo sai che è mia, no? »

Annuii, con la sensazione di sapere dove voleva andare a parare.

«Già » continuò. «È una bella casa. Quattro camere da letto e tutto il resto. In realtà cercavo solo un appartamento, ma Red mi disse… sai, per quando avrò una famiglia. Non pensavo di potermi permettere granché ma lui… be'…» Si schiarì di nuovo la voce e fu un suono stridulo, inquietante. «Mi presentò al tizio dell'immobiliare. Mi disse che erano amici da tanto tempo e che mi avrebbe procurato un'occasione. »

«Be', è andata così. Non ci puoi fare molto, ormai. »

«Potrei venderla, per il prezzo al quale l'ho pagata. A una coppia giovane che altrimenti non riuscirebbe mai a comprarsene una. »

«Perché? » chiesi. Quella conversazione era diventata frustrante. Sam era come un grosso sanbernardo disorientato che cercava di fare il suo dovere nel bel mezzo di una tempesta che rendeva inutile qualunque sforzo. «Autoimmolarsi è un bel gesto, ma di solito non porta a grandi risultati. »

«Non conosco la parola» disse Sam stancamente, prendendo il bicchiere. «Ma capisco quello che vuoi dire. Mi stai dicendo che dovrei lasciar perdere. »

«Non ho la minima idea di quello che dovresti o non dovresti fare. » Ero assalito da un'ondata di stanchezza e di nausea. " Dio", pensai, " che settimana. " «Forse sono l'ultima persona alla quale chiedere consigli. Però non vedo la ragione per fare di te stesso un martire e sbarazzarti della tua casa e della tua carriera, dato che non servirebbe comunque a nessuno. Tu non hai fatto niente di male, no? »

Sam mi guardò. «No» disse a bassa voce e in tono amaro. «Non ho fatto niente di male. »

 

«Bel tipo il tuo amico» commentò Heather, dopo che Sam se ne fu andato. Nessuna delle sue conquiste speed‑ dating era mai andata a finire bene. Dopo attenta analisi, aveva sempre concluso che si erano sentiti minacciati dalla prospettiva di uscire con una donna di ben altra classe che la loro. «Sei stato cattivo a cacciarmi in quel modo, ma ti perdono. È libero? »

«Credo sia gay» dissi.

«Be', potrei fargli cambiare idea» mi assicurò. «Non hai visto come mi guardava? » concluse poi, e se ne andò a letto, con le sue ciabatte trapuntate.

 

Cassie non era l'unica a dimagrire. Era passata più di una settimana dal mio ultimo pasto vero e proprio, con carboidrati, proteine e tutto il resto, e mi stavo accorgendo che quando mi radevo dovevo manovrare il rasoio intorno a nuovi vuoti che si erano creati sul mio viso. Ma solo quando mi spogliai, quella sera, mi resi conto che i pantaloni mi calavano sulle anche e che la giacca mi pendeva dalle spalle. Molti detective perdono o acquistano peso nel corso delle loro inchieste più importanti. Sam e O'Gorman cominciavano a mostrare un girovita un po' appesantito, dovuto all'eccesso di schifezze ingurgitate, cosa che su di me si nota sempre poco per via dell'altezza. Ma se la cosa si fosse protratta, avrei dovuto comprarmi un abito nuovo o andare in giro come Charlie Chaplin.

Questo è un segreto che non sa nemmeno Cassie: quando avevo dodici anni, ero un bambino grasso. Non uno di quei ragazzini sferici e senza lineamenti che si vedono adesso in qualche servizio televisivo sull'inferiorità morale della nuova gioventù. Nelle foto sembro solo massiccio, magari un po' tarchiato, alto per la mia età e terribilmente a disagio, ma io mi sentivo mostruoso. Il corpo mi aveva tradito. Si era allungato e allargato fino a diventare irriconoscibile, una specie di scherzo che ero costretto a portarmi in giro tutti i giorni, in ogni momento. A peggiorare la cosa c'era che Peter e Jamie erano invece uguali a prima: avevano le gambe più lunghe, avevano perso i denti da latte, ma erano ancora snelli, leggeri e invincibili come sempre.

Quella mia fase, diciamo, tarchiata non durò molto: in ossequio a una certa tradizione, il cibo in collegio era talmente cattivo che anche un ragazzino senza molta nostalgia di casa e in crescita veloce avrebbe avuto qualche difficoltà a mangiarne a sufficienza e acquistare peso. Non mangiai quasi nulla, il primo anno. All'inizio il preside mi faceva stare a un tavolo da solo, a volte per ore, fino a quando non mandavo giù a forza qualche boccone e lui non avesse raggiunto il suo scopo, qualunque fosse. Dopo un po' diventai un esperto nel far scivolare il cibo in un sacchetto di plastica che tenevo in tasca per buttarlo poi nel gabinetto. Il digiuno è, credo, un modo di chiedere aiuto profondamente istintivo. Per quanto assurdo possa sembrare, sono sicuro che il mio pensiero fosse questo: se avessi mangiato il meno possibile per un tempo sufficientemente lungo, Peter e Jamie sarebbero tornati e tutto sarebbe rientrato nella normalità. All'inizio del secondo anno, ero alto, magro e con troppi spigoli, così come si supponeva che dovesse essere un ragazzo di tredici anni.

Non so perché proprio questo, tra tutti i segreti possibili, sia stato quello meglio custodito. Potrei pensare che sia dipeso da una società in cui essere obesi è uno dei pochi peccati imperdonabili, oppure dalla mia sensibilità estetica, che mi diceva di vergognarmi per aver rovinato la perfetta aerodinamica di quell'estate con la mia pesantezza terrena. Credo che la verità sia un'altra: mi sono sempre chiesto se fosse questa la ragione per cui rimasi indietro quel giorno, nel bosco. Perché ero grasso, perché non riuscivo a correre velocemente, perché ero pesante e goffo e perdevo l'equilibrio, perché avevo paura di saltare dal muro del castello. A volte penso alla linea sottile e ondivaga che separa il venire risparmiato dal venire rifiutato. A volte penso agli antichi dei che chiedevano il sacrificio di esseri senza macchia e senza paura e mi domando se, chiunque o qualsiasi cosa fosse quella che portò via Peter e Jamie, non avesse deciso che io, invece, non andassi bene.

 

 

Quel martedì, come prima cosa, salii finalmente sull'autobus per Knocknaree per andare a prendere la mia auto. Non è che ne avessi particolarmente voglia. Potendo scegliere, avrei preferito non dover pensare mai più a quel posto, ma ero stanco di andare e tornare dal lavoro in treni pieni come uova e puzzolenti di sudore. Per di più, urgeva una spesa come si deve, prima che la testa di Heather implodesse.

Era ancora lì dove l'avevo lasciata, più o meno nelle stesse condizioni, anche se la pioggia l'aveva coperta di uno strato di sporcizia su cui qualcuno aveva scritto DISPONIBILE ANCHE IN BIANCO con un dito, dalla parte del passeggero. Mi incamminai tra le baracche di lamiera. Parevano deserte, a parte l'ufficio di Hunt, dove c'era lui che si soffiava rumorosamente il naso. Mi inoltrai nel sito archeologico per recuperare anche il sacco a pelo e il thermos.

L'atmosfera era cambiata: questa volta non c'erano guerre con l'acqua e grida allegre. La squadra era al lavoro in un silenzio cupo. Sembravano tanti forzati alla catena che lavorassero a un ritmo sostenuto e punitivo. Cercai di fare mentalmente un po' di calcoli: quella era la loro ultima settimana perché, se l'ingiunzione fosse stata respinta, il lunedì seguente sarebbero venuti quelli dell'autostrada e avrebbero iniziato i lavori. Vidi Mel che smetteva di zappettare e si raddrizzava con una mano sulla schiena e una smorfia. Ansimava, e la testa le ricadde all'indietro come se non avesse la forza di tenerla dritta. Dopo qualche secondo di stretching, fece un respiro profondo e si rimise al lavoro. Il cielo era grigio e pesante, sgradevolmente vicino. Da qualche parte nella zona residenziale, distante e ignorato, provenne l'urlo isterico dell'allarme di un'auto.

Il bosco era scuro e tetro, impenetrabile. Lo guardai e pensai che l'ultima cosa al mondo che desideravo era entrarci di nuovo. Il mio sacco a pelo sarebbe stato ormai fradicio, colonizzato da muffa, formiche e altre simili amenità; non l'avrei comunque usato mai più. E di sicuro non valeva quello che mi sarebbe costato addentrarmi in quel profondo silenzio. Magari l'avrebbe ritrovato uno degli archeologi, o uno dei ragazzi del posto, e se lo sarebbe preso prima che marcisse.

Ero già in ritardo sull'orario di lavoro. Il tragitto in autobus, che si snodava lungo un'infinità di stradine secondarie a carreggiata unica, era stato più lungo del previsto. Il pensiero di andare in centrale mi pesava, e qualche minuto in più, a quel punto, non avrebbe fatto alcuna differenza. Mi sistemai su un muretto diroccato, tirai su una gamba per tenermici in equilibrio e mi accesi una sigaretta. Un tizio ben piantato con i capelli scuri e stopposi, un certo George MacQualcosa che io ricordavo dai giorni dell'interrogatorio di quelli che lavoravano al sito, sollevò la testa e mi vide. Forse ispirato da me, infisse la cazzuola nel terreno, si accovacciò e tirò fuori dai jeans un pacchetto di sigarette schiacciato.

Mark era inginocchiato in cima a un terrapieno e grattava il terreno con energia. Il MacQualcosa non aveva ancora tirato fuori la sigaretta che lui l'aveva già adocchiato e si stava scapicollando giù per il pendio, con i capelli al vento. «Ehi, Macker! Che cazzo credi di fare? »

Macker fece un salto, con aria colpevole. «Cristo! » Si chinò a raccogliere il pacchetto delle sigarette che gli era caduto in mezzo al fango. «Mi fumo una sigaretta. Perché, scusa, hai qualche problema? »

«Te la fumi nella pausa caffè, come ti ho già detto. »

«Ma che sarà mai! Posso fumare e scavare nello stesso tempo. Ci vogliono cinque secondi per accendere una paglia. »

Mark perse la pazienza. «Non possiamo sprecare nemmeno cinque secondi. Non ne abbiamo nemmeno uno, se è per questo. Credi di essere ancora a scuola, idiota del cazzo? Credi che siamo qui tanto per divertirci? »

Aveva i pugni serrati e la posizione di attacco del lottatore da strada. Gli altri archeologi avevano smesso di lavorare ed erano rimasti a guardare, con la bocca aperta, esitanti, con gli attrezzi a mezz'aria. Mi chiesi se la faccenda non stesse per degenerare in rissa, ma poi Macker rise forzatamente e fece un passo indietro, sollevando le mani. «Rilassati, amico» disse. Prese la sigaretta tra pollice e indice e, con un gesto plateale, la rimise nel pacchetto.



  

© helpiks.su При использовании или копировании материалов прямая ссылка на сайт обязательна.