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Tana French 26 страница



Arrivai a Knocknaree verso le sette e parcheggiai nella piazzola di sosta. Mi ero portato il sacco a pelo, una torcia, un thermos di caffè molto corretto e un paio di sandwich – quei preparativi mi avevano fatto sentire un po' ridicolo, un po' come uno di quegli escursionisti tecnologicamente organizzati, o come un ragazzino scappato di casa – ma nulla per accendere un fuoco: gli abitanti della zona residenziale erano ancora molto allarmati, si sarebbero fiondati a chiamare la polizia se avessero visto un qualche misterioso chiarore e mi sarei trovato in una situazione estremamente imbarazzante. Inoltre, non sono un boy scout fatto e finito e avrei rischiato di mandare a fuoco quello che rimaneva del bosco.

Era ancora chiaro, lunghe lame di luce davano alla pietra del torrione una colorazione rosa dorata, e gli scavi e gli ammassi di terra smossa davano alla scena un che di magico e triste. Si udiva un agnello belare in lontananza, nei campi, e l'aria aveva un odore ricco e tranquillo: di fieno, di mucche, di fiori sconosciuti. Stormi di uccelli si esercitavano nella formazione a V oltre il crinale della collina. Fuori dal cottage, il cane da pastore si sedette sulle zampe posteriori e, fissandomi, produsse un mezzo latrato di preavviso. Poi decise che non rappresentavo una minaccia e si riaccucciò. Seguii gli accidentati percorsi degli archeologi, larghi a malapena per le carriole, attraversai il sito e raggiunsi il bosco: questa volta indossavo un vecchio paio di scarpe da ginnastica, jeans frusti e un pesante maglione.

Se, come me, siete essenzialmente gente di città, allora è probabile che quando immaginate un bosco pensiate a una cosa semplice: alberi tutti uguali in file ordinate, un morbido tappeto di foglie morte o aghi di pino, tranquillo come il disegno di un bambino. Magari i boschi artificiali creati dall'uomo saranno così, non ho modo di saperlo. Il bosco di Knocknaree, invece, era un bosco naturale, e più intricato e segreto di quanto ricordassi. Aveva un proprio ordine, le proprie fiere battaglie e alleanze. In quel momento io ero un intruso ed ebbi l'impressione, diffusa in tutto il corpo come un pizzicore, che la mia presenza fosse stata istantaneamente colta e che l'ambiente mi stesse osservando con un ambiguo sguardo collettivo, senza accettarmi o respingermi, per ora. Con riserva di giudizio.

Nella radura di Mark c'era cenere fresca nel punto in cui era stato acceso il fuoco e altri mozziconi di sigarette arrotolate sparsi sulla nuda terra lì attorno. C'era tornato, dopo la morte di Katy. Sperai ardentemente che non scegliesse proprio quella notte per ricongiungersi al suo patrimonio storico. Estrassi dalle tasche i sandwich, il thermos e la torcia, distesi il sacco a pelo sull'area compatta di erba schiacciata dove Mark aveva disteso il suo e mi misi a girovagare per il bosco, senza fretta.

Fu come imbattersi nelle rovine di una grande città antica, Atlantide o Pompei. Gli alberi si innalzavano più alti dei pilastri delle cattedrali, lottavano per farsi spazio, sostenevano grossi tronchi caduti, seguivano piegandosi la direzione del pendio della collina. Querce, faggi, frassini e altre specie di cui non conoscevo il nome. Lunghe lance di luce filtravano, deboli e sacre, attraverso le verdi arcate. Grandi estensioni di edera ricoprivano gli enormi tronchi, penzolavano come cascate dai rami, trasformavano i ceppi in menhir. I miei passi erano attutiti da uno spesso strato molle di foglie cadute. Mi fermai a rivoltarne un tratto con la punta della scarpa e mi colpì un forte odore di marcio. Scoprii la terra scura e umida, le teste delle ghiande, il pallido e frenetico dimenarsi di un verme. Degli uccelli si alzarono in volo lanciando richiami tra i rami, piccoli tramestii di avvertimento esplosero al mio passaggio.

Boscaglia e frammenti erosi del muro di pietra. Radici nodose, verdi di muschio e più spesse del mio braccio. Le basse rive del fiume, infestate di rovi (vi scivolavamo, sulle mani, sul sedere… " Ahia! La gamba! " ) e sovrastate da cespugli di bacche di sambuco e salici. Il fiume era come un foglio di oro vecchio, increspato e punteggiato di nero. Vi galleggiavano sottili foglie gialle, e il loro dondolio pareva quello di una massa solida.

La mia mente vacillava, vorticando freneticamente. Ogni passo faceva scattare qualcosa intorno a me, ma come in un codice Morse ad alta frequenza che mi era impossibile cogliere. Lì avevamo corso, scapicollandoci con passo sicuro giù per la collina, lungo la ragnatela di sentieri appena accennati. Lì avevamo mangiato mele selvatiche dalle forme diverse prendendole da un albero contorto. Sollevando gli occhi verso quel turbinio di foglie, quasi mi aspettavo di vederci lassù, aggrappati ai rami come gatti selvatici. Dai margini di una di quelle piccole radure con l'erba alta e il cerfoglio selvatico, avevamo osservato Jonathan e i suoi amici tenere Sandra ferma a terra. Da qualche parte, magari nel punto esatto in cui mi trovavo io, il bosco aveva tremato e si era aperta una voragine che aveva inghiottito Peter e Jamie.

Non avevo un piano prestabilito per quella notte, non nel senso stretto della parola. Andare nel bosco, dare un'occhiata in giro, passarci la notte e sperare che accadesse qualcosa. Fino a quel momento, la mancanza di organizzazione non mi era parsa un ostacolo. Negli ultimi tempi, ogni volta che avevo tentato di pianificare qualcosa, era andato tutto storto in maniera spettacolare, era stato un fallimento con i fuochi d'artificio. Dovevo cambiare drasticamente tattica, e cosa poteva esserci di più drastico che buttarmi nella cosa senza nulla di preordinato e aspettare semplicemente di vedere cosa mi avrebbe portato l'onda buona? Immagino anche che quel modo di agire esercitasse un certo fascino sul mio senso del bizzarro. Credo di aver sempre desiderato, nonostante dal punto di vista del temperamento sia totalmente inadatto al ruolo, di vestire i panni dell'eroe mitico, aureo e indomito che galoppa senza sella per andare incontro al proprio destino su un cavallo che nessun altro sa cavalcare.

Ora che ero lì, però, la cosa non mi sembrava più un salto di fede imbevuto di spirito libero. Sembrava solo vagamente un po' hippy – avevo anche pensato di aiutare il mio subconscio ad avere successo con qualche genere di sostanza, ma la marijuana mi fa sempre dormire – e un po' più che vagamente idiota. D'un tratto mi resi conto che l'albero al quale ero appoggiato poteva essere benissimo quello dove ero stato trovato, che poteva presentare ancora le vecchie e pallidi cicatrici prodotte dalle mie unghie piantate nella corteccia. Mi resi anche conto che cominciava a imbrunire.

Fui quasi sul punto di andarmene. Tornai alla radura, scrollai il sacco a pelo dalle foglie morte e cominciai ad arrotolarlo. Mi trattenne il pensiero di Mark. Aveva trascorso la notte lì, e non una volta sola ma con regolarità, e non sembrava che gli fosse passato nemmeno per l'anticamera del cervello che potesse essere un'esperienza pericolosa. Non potevo lasciare che vincesse uno a zero, che fosse venuto a saperlo o meno. Si era acceso un fuoco, lui, ma io avevo una torcia e una Smith & Wesson, anche se mi sentivo un po' stupido ad averlo pensato. Ero a poche centinaia di metri soltanto dalla civiltà; dall'abitato, se non altro. Mi fermai, col sacco a pelo in mano, e un istante dopo lo srotolai nuovamente, mi ci intrufolai, lo chiusi fino alla cintura e mi appoggiai con la schiena a un albero.

Mi versai una tazza di caffè al whisky. Il sapore forte e adulto fu stranamente rassicurante. Gli squarci di cielo andavano scurendosi sopra di me, passando dal turchese a un indaco brillante. Gli uccelli si posavano sui rami e, dopo stridii e battibecchi furiosi, si sistemavano per la notte. I pipistrelli attraversavano il sito emettendo i loro suoni striduli e tra i cespugli si udiva ora un rapido balzo, ora uno tramestio, poi silenzio… In lontananza, nel quartiere, un bambino cantilenava a voce alta Ally Ally in free…

Senza che la cosa mi sorprendesse più di tanto, come se lo avessi sempre saputo, arrivai gradatamente a pensare che se fossi riuscito a ricordare qualcosa di utile l'avrei riferito a O'Kelly. Non subito, magari avrei aspettato un paio di settimane per riannodare qualche capo slegato e sistemare faccende mie, per così dire. Perché quando ne avessi parlato con O'Kelly, avrei potuto dire addio alla mia carriera.

Solo qualche ora prima, quel pensiero sarebbe stato come una mazzata. In qualche modo, quella sera, sembrava quasi un'ipotesi seducente, scintillava nell'aria, allettante lì di fronte a me, e me la rigirai con una sorta di sontuoso stordimento. Essere un detective della Omicidi, l'unica cosa per cui mi fossi mai impegnato seriamente, la cosa intorno alla quale mi ero costruito il guardaroba, l'andatura, un linguaggio, insomma la mia intera vita: l'idea di gettare via tutto in un colpo solo… era inebriante osservarla librarsi nel cielo come un palloncino. Avrei potuto cominciare a lavorare come investigatore privato, pensai, affittare un ufficetto in un malandato edificio georgiano, far stampare il mio nome a lettere dorate sul vetro smerigliato della porta, andare al lavoro quando ne avevo voglia e dribblare con perizia la legge, oltre a rompere le scatole a un furibondo O'Kelly per ottenere informazioni riservate. Mi chiesi, come in sogno, se Cassie mi avrebbe seguito. Mi sarei comprato un cappello floscio, un impermeabile e avrei condito il tutto con un arguto senso dell'umorismo. Me la immaginai seduta come una sciantosa al bar degli hotel, con un provocante abito rosso addosso e una macchina fotografica nel rossetto per incastrare gli uomini d'affari che tradivano le mogli… Quasi mi sfuggì una risata.

Mi accorsi che stavo per addormentarmi, e non lo avevo previsto. Lottai per restare sveglio. Ma tutte le notti insonni mi si stavano scaricando addosso in una volta sola, come sparate dritte in vena. Pensai al thermos del caffè e mi parve che prenderlo richiedesse uno sforzo immane. Il sacco a pelo si era riscaldato col calore del mio corpo e mi ero sistemato bene tra gli avvallamenti del terreno e dell'albero. Mi sentivo meravigliosamente comodo, quasi narcotizzato. Sentii la tazza del thermos scivolarmi dalle dita, ma non riuscii ad aprire gli occhi.

Non so quanto dormii. Ma mi ritrovai dritto a sedere e con un grido pronto a erompere prima ancora di essere completamente sveglio. Qualcuno aveva detto, in modo chiaro e distinto, e proprio nel mio orecchio: «Cos'è stato? ».

Rimasi lì seduto a lungo, a sentire il sangue che mi saliva al collo. Le luci dell'abitato erano tutte spente. Il bosco era silenzioso, si udiva solo il sospiro del vento tra i rami sopra la mia testa. Da qualche parte giunse il rumore di un rametto spezzato.

Peter che, sul muro del castello, si girava e allungava la mano aperta verso me e Jamie per bloccarci: «Cos'è stato? ».

Eravamo stati fuori tutto il giorno, da quando la rugiada aveva cominciato ad asciugarsi sull'erba. Faceva molto caldo, i respiri erano tiepidi come l'acqua del bagno e il cielo era del colore della fiamma di una candela. Avevamo dei brick di limonata nell'erba sotto un albero, per quando ci fosse venuta sete, ma si erano scaldati e appiattiti e le formiche stavano banchettando. Qualcuno stava usando un tagliaerba lungo la strada, qualcun altro aveva la finestra della cucina aperta, la radio a volume alto e stava cantando Wake Me Up Before You Go‑ Go. Due bambine facevano a turno con un triciclo rosa sul marciapiede e la sorellina smorfiosetta di Peter, Tara, giocava alla maestra nel giardino della sua amica Audrey. Le due ciarlavano con un gruppetto di bambole messe in fila. I Carmichael avevano comprato un irrigatore a spruzzo. Non ne avevamo mai visto uno e tutte le volte che lo usavano ci fermavamo a guardarlo, ma la signora Carmichael era una stronza, Peter diceva che se mettevi piede nel suo giardino ti spaccava la testa con un attizzatoio.

Non avevamo fatto altro che andare in bici. A Peter avevano regalato una Evil Knievel per il suo compleanno – se la facevi impennare, riuscivi a saltare pile intere di vecchi annuari Warlord ‑ così ci stavamo esercitando. Costruimmo una rampa in strada con mattoni e un pezzo di compensato che il padre di Peter aveva nel capanno in giardino – «La faremo sempre più alta» diceva Peter. «Aggiungeremo un mattone al giorno. » – ma traballava da matti e non riuscivo mai a non attaccarmi ai freni prima di prendere il volo.

Jamie provò la rampa un paio di volte, poi rimase lì a bighellonare al bordo della strada, a staccare un adesivo dal manubrio e a scalciare un pedale per farlo girare velocemente. Quella mattina era uscita tardi ed era stata zitta tutto il giorno. Non era mai stata una chiacchierona, ma quel giorno era diverso: il suo silenzio era come una densa nuvola che la circondava, e rendeva irrequieti me e Peter.

Peter volò dalla rampa urlando e atterrò zigzagando furiosamente, mancando di pochissimo le bambine sul triciclo. «Siete degli scemi, ci ammazzerete una di queste volte» esclamò stizzita Tara, senza staccarsi dalle bambole. Indossava una lunga gonna a fiori che scendeva fin sull'erba e un grande cappello dalla forma strana con un nastro attorno.

«Non sei il mio capo» le gridò per tutta risposta Peter. Sterzò sul prato di Audrey e sgusciò davanti a Tara, strappandole il cappello dalla testa. Come se avessero fatto le prove, Tara e Audrey si misero a strillare all'unisono.

«Adam! Prendi! » Lo seguii nel giardino, pur sapendo che saremmo finiti nei guai se la mamma di Audrey fosse uscita. Riuscii ad afferrare il cappello senza cadere dalla bici, me lo misi in testa e feci un giro intorno alla classe delle bambole senza tenere il manubrio. Audrey cercò di buttarmi giù ma la schivai. Era simpatica e non sembrava veramente arrabbiata, così cercai di non passare sopra le sue bambole. Tara si posizionò con le mani sui fianchi e cominciò a urlare a Peter. «Jamie! » gridai. «Vieni! »

Jamie, che era rimasta in strada sbattendo ritmicamente la ruota anteriore contro il bordo della rampa, lasciò cadere la bici, prese la rincorsa e saltò oltre il muro.

Peter e io ci dimenticammo di Tara, che intanto ci urlava dietro: «Sei proprio un disgraziato, Peter Savage, te lo dico io, aspetta solo che la mamma senta come ti comporti…». Frenammo e ci guardammo. Audrey mi strappò il cappello dalla testa e corse via, controllando che non la inseguissi. Lasciammo le bici in strada e scavalcammo il muro dietro a Jamie.

Era al dondolo fatto con il pneumatico e ogni tanto si slanciava dando un calcio al muro. Teneva la testa bassa e riuscivo a vedere solo un paravento di capelli chiari e dritti e la punta del suo naso. Ci sedemmo sul muro e aspettammo.

«Mami mi ha misurata stamattina» disse alla fine, torturandosi una crosticina su una nocca.

Perplesso, pensai allo stipite della porta della cucina: legno bianco lucido, con segni di matita e date a indicare la mia crescita. «Allora? » chiese Peter. «Scemotta. »

«Per le uniformi! » gli gridò contro Jamie. «Sei duro, eh? » Scese dal pneumatico, atterrò pesantemente e si mise a correre nel bosco.

«Ehi! » disse Peter. «Ma che cos'ha? »

«Il collegio» risposi. Solo a pronunciarlo mi venivano le gambe molli.

Peter mi fece una faccia incredula e disgustata. «Ma non ci andrà. L'ha detto la sua mami. »

«No, non è vero. Ha detto: " Vedremo". »

«Sì e poi più niente da allora. »

«Vabbè, però adesso l'ha fatto, a quanto pare. »

Peter strizzò gli occhi per il sole. «Andiamo» disse e saltò giù dal muro.

«Ma dove? »

Non rispose. Recuperò la sua bici e quella di Jamie e riuscì a condurle entrambe nel suo giardino. Io presi la mia e lo seguii. Con una fila di mollette del bucato pinzate sull'orlo del grembiule, sua madre stava stendendo la biancheria. «Non dar fastidio a Tara» gli ingiunse.

«Va bene» rispose Peter e lasciò cadere le bici sull'erba. «Marni, andiamo nel bosco, okay? » Il piccolo Sean Paul era steso su un telo, indossava solo il pannolino e cercava di gattonare. Lo toccai esitante nel fianco col piede. Lui rotolò, mi afferrò la scarpa da ginnastica e mi rivolse un gran sorriso. «Buono bimbo» gli dissi. Non volevo andare a recuperare Jamie. Avrei potuto restare lì, a occuparmi di Sean Paul per la signora Savage, e aspettare che Peter tornasse a dirmi che Jamie sarebbe partita.

«Si cena alle sei e mezzo» avvisò la signora Savage e, mentre Peter passava, allungò una mano sovrappensiero per lisciargli i capelli. «Hai l'orologio con te? »

«Come no. » Peter le agitò il polso sotto il naso. «Dai, Adam, andiamo. »

Quando c'era qualcosa che non andava, di solito andavamo nello stesso posto: la sala più in alto del castello. Le scale per le quali ci si arrivava erano crollate da tempo e da sotto non si poteva nemmeno immaginare che ci fosse qualcosa lassù. Bisognava arrampicarsi lungo il muro esterno fino in cima e poi saltare sul camminamento di pietra. L'edera che lo ricopriva ci facilitava il compito: era come il nido di un uccello, abbarbicato lassù.

Jamie era lì, rannicchiata in un angolo con un gomito piegato a uncino sopra la bocca. Piangeva forte e in maniera scomposta. Una volta, secoli prima, le era finito il piede in un buco dei conigli mentre correva e si era rotta la caviglia. Ce l'eravamo caricata sulle spalle fino a casa e non aveva versato una sola lacrima, neanche quando ero inciampato e le avevo stortato la gamba. Si era limitata a un: «Ahia, Adam, sta' attento, scemo! » e mi aveva dato un pizzicotto sul braccio.

Scesi nella sala. «Vai via! » mi urlò Jamie, soffocata dal braccio e dalle lacrime. Aveva il viso rosso e i capelli arruffati, con le mollette che le pendevano storte. «Lasciami sola. »

Peter era ancora sul muro. «Vai in collegio? » le chiese.

Jamie strizzò occhi e bocca, ma i singhiozzi trattenuti si udirono ugualmente. Quasi non capivo quello che diceva. «Non me l'ha mai detto, faceva finta che andasse tutto bene e invece… mentiva! »

Fu l'ingiustizia della cosa a colpirmi maggiormente, a lasciarmi senza parole. «Vedremo» aveva detto la madre di Jamie, «non preoccuparti» e noi le avevamo creduto e avevamo smesso di preoccuparci. Nessun adulto ci aveva mai traditi prima di allora, non su qualcosa di quell'importanza, e non riuscivo a capirlo. Avevamo trascorso l'intera estate convinti di avere tutto il tempo del mondo.

Peter camminò sulla cima del muro, avanti e indietro, in equilibrio precario, poi lo rifece su una gamba sola. «Allora rifacciamo la stessa cosa. Ammutinamento. »

«No! » gridò Jamie. «Ha già pagato le tasse d'iscrizione e tutto il resto, è troppo tardi… Vado tra due settimane! Due settimane…» Strinse le mani a pugno e le abbatté sul muro.

Non potevo sopportarlo. Mi inginocchiai accanto a lei e le misi un braccio attorno alle spalle. Se lo scrollò via ma, quando ce lo rimisi, lo lasciò lì. «Non piangere, Jamie» la implorai. «Ti prego, non piangere. » Il vortice verde e oro dei rami tutt'intorno, Peter sconcertato e Jamie che piangeva, la pelle setosa e abbronzata del suo braccio che mi faceva fremere la mano. Il mondo intero sembrava ondeggiare, la pietra del castello che rollava sotto di me come i ponti delle navi nei film… «Sarai a casa tutti i weekend…»

«Ma non sarà la stessa cosa! » si lamentò Jamie. Rovesciò la testa all'indietro e singhiozzò senza neppure cercare di nasconderlo, una fragile gola scura rivolta verso gli squarci di cielo. L'infelicità nella sua voce mi colpì profondamente. Aveva ragione, non sarebbe stata mai più la stessa cosa, mai più.

«No, Jamie, non piangere… smettila…» Non riuscivo a stare fermo. Sapevo che era una cosa stupida ma per un istante fui lì lì per dirle che sarei andato al posto suo, che l'avrei sostituita, che sarebbe potuta restare per sempre… Prima di rendermene conto, chinai la testa e la baciai su una guancia. Sentii le lacrime umide sulla mia bocca. Jamie odorava di erba al sole, calda e verde, inebriante.

Rimase così stupefatta che smise di piangere. Voltò la testa dalla mia parte, come una sciabolata, e mi piantò gli occhi in faccia, occhi cerchiati di rosso e di un azzurro intenso. Erano vicinissimi. Sapevo che stava per far qualcosa, assestarmi un pugno, ricambiare il bacio…

Peter saltò giù dal muro e atterrò sulle ginocchia davanti a noi. Mi afferrò il polso, forte, e poi afferrò quello di Jamie. «Ascoltate» disse. «Scappiamo. »

Lo fissammo a occhi sbarrati.

«Che stupidaggine» sbottai, dopo un po'. «Ci prenderanno. »

«No, no che non lo faranno, non subito. Possiamo nasconderci qui per qualche settimana, senza problemi. Non deve essere per sempre o cose del genere… Aspettiamo che sia più sicuro. Una volta iniziata la scuola, torniamo a casa e sarà troppo tardi. E anche se la mandano via lo stesso, chissenefrega! Scappiamo ancora. Andiamo a Dublino e prendiamo Jamie. A quel punto la espelleranno e dovrà tornare a casa. Facile! »

Gli brillavano gli occhi. L'idea prese forma, si ingigantì, cominciò a roteare lì nell'aria tra noi.

«Potremmo vivere qui» disse Jamie. Le venne meno il respiro per un lungo singhiozzo. «Nel castello, voglio dire. »

«Ci sposteremo tutti i giorni. Qui, nella radura, sull'albero grande con i rami a forma di nido. Non gli daremo la possibilità di prenderci. Pensi sul serio che qualcuno potrebbe trovarci qui? Avanti, su! »

Nessuno conosceva il bosco come noi. Scivolare tra la boscaglia, leggeri e silenziosi come guerrieri pellerossa, in osservazione tra il folto degli alberi e sui rami più alti, immobili, mentre il gruppo alla nostra ricerca avanzava con passo pesante…

«Faremo i turni per dormire. » Jamie se ne stava seduta più dritta, ora. «Uno di noi farà la guardia. »

«Ma i nostri genitori» dissi pensando alle mani calde di mia madre, immaginandomela che piangeva, disperata, «si preoccuperanno un sacco. Penseranno che…»

Jamie stirò la bocca. «Certo… mia madre no. Non mi vuole tra i piedi comunque. »

«E la mia pensa quasi esclusivamente ai piccoli» rincarò Peter. «E a mio padre di certo non gliene fregherà nulla. » Jamie e io ci scambiammo uno sguardo. Non ne parlavamo mai, ma sapevamo entrambi che, quando si ubriacava, il padre di Peter a volte li picchiava. «E poi, chi se ne frega se i genitori si preoccupano? Non te l'hanno detto che Jamie sarebbe finita in collegio, no? Ti hanno lasciato credere che era tutto a posto! »

Aveva ragione, pensai, stordito. «Potrei lasciare un biglietto… solo per dirgli che stiamo bene. »

Jamie cominciò a dire qualcosa ma Peter la interruppe. «Esatto, perfetto! Lascia un biglietto con su scritto che siamo andati a Dublino, o a Cork, o altrove. Così ci cercheranno là mentre noi saremo qui, tutto il tempo. »

Si rimise in piedi e tirò su anche noi. «Ci state? »

«Io in collegio non ci vado» disse Jamie, pulendosi la faccia con l'avambraccio. «Non ci vado, Adam. Neanche per sogno. Farò qualsiasi cosa. »

«Adam? » Vita selvaggia, abbronzati e scalzi tra gli alberi. Il muro del castello aveva un che di freddo e indistinto al tatto. «Adam, che altro dovremmo fare? Vuoi lasciare che mandino via Jamie? Non vuoi far qualcosa? »

Mi strattonò per il polso. La sua mano era forte, pressante. Sentivo il mio battito pulsare nella presa. «Ci sto. »

«Sì! » gridò Peter, vibrando un pugno nell'aria. L'urlo echeggiò tra gli alberi, alto, selvaggio e trionfante.

«Quando? » chiese Jamie. Le brillavano gli occhi per il sollievo, aveva la bocca aperta e sorrideva, era in punta di piedi, pronta a prendere il volo non appena Peter avesse dato il via. «Ora? »

«Frena, frena» le disse Peter con un largo sorriso stampato in faccia. «Dobbiamo prepararci. Andiamo a casa e recuperiamo tutti i soldi che abbiamo. Abbiamo bisogno di provviste, ma dobbiamo comprarle a poco a poco, così nessuno si insospettisce. »

«Wurstel e patate» proposi. «Possiamo accendere un fuoco con i rametti…»

«No, niente fuoco, lo vedrebbero. Non prendete roba da cuocere. Cibi in scatola, fagioli in salsa di pomodoro e quei cerchietti di pasta precotti ad esempio. Devi dire che sono per tua madre. »

«Qualcuno deve procurarsi un apriscatole…»

«Ci penso io, mia madre ne ha uno in più, non se ne accorgerà. »

«Sacchi a pelo e torce…»

«Sì, bravo, ma aspetteremo l'ultimo minuto per quelle cose, non vogliamo che si accorgano che non ci sono più …»

«Possiamo lavare i vestiti nel fiume…»

«… e infilare i rifiuti in un tronco cavo, così nessuno potrà trovarli…»

«Quanti soldi avete ragazzi? »

«Quelli che mi hanno regalato per la comunione sono tutti sul conto postale, non li posso prendere. »

«Allora, roba che costa poco. Ci procureremo… latte e pane…»

«Bleah, il latte va a male! »

«Ma no, lo mettiamo al fresco nel fiume, in un sacchetto di plastica…»

«Jamie beve il latte raggrumato! » gridò Peter. Fece un salto verso il muro e cominciò ad arrampicarsi verso la cima.

Jamie saltò dietro di lui. «No che non lo bevo, tu lo bevi! » Gli afferrò una caviglia e cominciarono ad azzuffarsi, là in cima, ridendo a crepapelle. Li raggiunsi e Peter mi trascinò nella baruffa. Lottammo, vocianti e ridanciani, senza fiato, pericolosamente in equilibrio. «Adam mangia gli scarafaggi! » «Vaffanculo, è successo quando eravamo piccoli…»

«Zitti! » Peter si districò da noi e si accovacciò, immobile, facendoci segno di tacere. «Cos'è stato? »

Fermi e in allerta come lepri spaventate, ci mettemmo in ascolto. Il bosco era fermo, fin troppo, come in attesa. La normale animazione pomeridiana di uccelli e insetti e animaletti invisibili si era interrotta come per ordine della bacchetta di un direttore d'orchestra. Solo da qualche parte, davanti a noi…

«Che ca…» bisbigliai.

«Shhh…» Musica, o una voce, o semplicemente uno scherzo del fiume sulle rocce, il vento nel tronco cavo di un albero… Il bosco aveva un milione di voci che cambiavano a ogni stagione e tutti i giorni. Era impossibile conoscerle tutte.

«Andiamocene» disse Jamie, con gli occhi scintillanti. «Andiamocene» e si lanciò giù dal muro come uno scoiattolo volante. Si tenne a un ramo, penzolò, si lasciò cadere rotolando e si mise a correre. Peter aveva già saltato dopo di lei, prima ancora che il ramo avesse smesso di oscillare. Scesi faticosamente anch'io e mi misi al loro inseguimento «Aspettatemi, aspettatemi…»

Il bosco non era mai stato così lussureggiante e selvaggio. Le foglie lanciavano bagliori di luce solare come fossero girandole e i colori erano così brillanti che ci potevi vivere, l'odore della terra, così ricca e fertile, era amplificato e inebriante come il vino della messa. Schizzammo tra nuvole di moscerini, saltammo fossi e ceppi d'alberi in putrefazione, i rami turbinavano attorno a noi come acqua, le rondini compivano acrobazie lungo il nostro percorso e tra gli alberi, a lato, giuro, c'erano tre cervi che stavano al nostro passo. Mi sentivo leggero, fortunato e libero, non avevo mai corso così velocemente o saltato senza sforzo così in alto. Un colpo di reni e avrei potuto prendere il volo.

Per quanto corremmo? I nostri punti di riferimento preferiti dovevano essersi spostati per consentirci quella corsa veloce perché li superammo tutti; saltammo la lastra di pietra e ci librammo nella radura con un solo balzo, tra le sferzate dei rovi di mora e i conigli che sollevavano il muso per vederci passare. Smuovemmo il pneumatico dell'altalena nella nostra scia e ci fermammo alla quercia cava. E davanti a noi, così dolce e selvaggio da far male, così pieno di lusinga…

Gradatamente mi accorsi che nel sacco a pelo ero zuppo di sudore, che la schiena contro il tronco dell'albero era così rigida che tremavo, che annuivo con colpi secchi e convulsi della testa, come un giocattolo. Il bosco era nero e vuoto come sarebbe stato agli occhi di un cieco. In lontananza, si udiva un rapido picchiettio come di gocce di pioggia sulle foglie, minuscole e in espansione. Lottai per ignorarlo, per continuare a seguire quel fragile filo d'oro della memoria, per non abbandonarlo in quell'oscurità, o non avrei più ritrovato la via di casa.

La risata che scivolava alle spalle di Jamie come in uno sfarfallio di lucenti bolle di sapone, api che ronzavano in un raggio di sole, le braccia di Peter che si aprivano nel salto di un ramo caduto, un grido entusiasta. I nodi dei lacci delle scarpe che mi si allentavano, scampanii di allarme che salivano insistenti da qualche parte dentro di me, le case si dissolvevano come bruma dietro di noi… Siete sicuri? Siete sicuri? Peter, Jamie, aspettate… fermatevi…



  

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