Хелпикс

Главная

Контакты

Случайная статья





Tana French 25 страница



«Margaret adora le nostre figlie» disse Jonathan. La voce era tesa come la corda di una chitarra. «Non lo farebbe mai. »

«Mai cosa? » volle sapere Cassie. «Non farebbe mai star male Katy, o non l'ammazzerebbe mai? »

«Nulla in assoluto. Mai e poi mai. »

«Quindi chi ci resta? » domandò Cassie. Era appoggiata al muro, indicava la foto post mortem e lo osservava imperturbabile come la protagonista di un dipinto. «Rosalind e Jessica hanno entrambe un alibi solidissimo per la notte in cui Katy è morta. Chi resta? »

«Non ci provi nemmeno a insinuare che io possa aver fatto del male a mia figlia» minacciò Jonathan. «Non ci provi nemmeno. »

«Abbiamo tre bambini assassinati, signor Devlin, tutti e tre uccisi nello stesso luogo, tutti e tre uccisi molto probabilmente per coprire altri crimini. E abbiamo una persona che è sempre nel bel mezzo di entrambi i casi: lei. Se ha una buona spiegazione per la cosa, è meglio che la tiri fuori ora. »

«Questa è una stronzata, una cazzata incredibile, non ci posso credere» disse Jonathan. Stava alzando pericolosamente la voce. «Katy è … qualcuno ha ammazzato mia figlia e voi volete una spiegazione da me? È il vostro lavoro questo, cazzo. Siete voi quelli che dovrebbero dare a me delle spiegazioni, non accusarmi di…»

Mi ritrovai in piedi ancora prima di rendermene conto. Gettai il blocco per gli appunti, che produsse un rumore secco, mi puntellai sulle mani e mi sporsi sul tavolo, fermandomi a pochi centimetri dalla sua faccia. «Uno del posto, Jonathan, trentacinque anni o più, che vive a Knocknaree da oltre vent'anni. Uno che non ha un alibi solido. Uno che conosceva Peter e Jamie, che aveva accesso quotidiano a Katy e con un forte movente per ucciderli tutti. Di chi cazzo stiamo parlando, secondo lei? Mi dica il nome di un'altra persona che corrisponda a questa descrizione e giuro su Dio che potrà uscire da quella porta e non le romperemo più le scatole. Avanti, Jonathan. Ce ne dica uno. Uno solo. »

«Allora arrestatemi! » ruggì Jonathan. Allungò le mani strette a pugno, polso contro polso. «Avanti, se siete così sicuri, cazzo, con tutte le vostre prove… arrestatemi! Avanti! »

Non so dirvi, e mi chiedo se riuscite a immaginarlo anche voi, con quanta parte di me avrei voluto farlo. Mi passò tutta la vita davanti agli occhi, come si dice che succeda a chi sta annegando: notti di lacrime in gelidi dormitori, zig‑ zag in bicicletta al grido di: " Guarda mamma, senza mani", sandwich con burro e zucchero, caldi per essere rimasti in tasca, voci di detective continuamente nelle orecchie. Ma sapevo che non avevamo abbastanza prove, che il castello sarebbe crollato e che in dodici ore lui sarebbe uscito da quella porta libero come un uccellino e colpevole come il peccato. Non ero mai stato altrettanto sicuro di qualcosa in vita mia. «Vaffanculo» dissi, tirandomi su le maniche della camicia. «No, Devlin. No. Te ne sei stato qui a prenderci per il culo tutta la sera e ne ho le scatole piene. »

«Arrestatemi, oppure…»

Mi buttai su di lui col braccio alzato pronto a colpirlo. Fece un salto all'indietro in posizione di difesa, mandando la sedia a rotolare con un gran fracasso. Ma Cassie era già su di me e mi stava tenendo il braccio con entrambe le mani. «Cristo, Ryan! Fermati! »

Lo avevamo fatto molte altre volte. È la nostra ultima spiaggia, quando sappiamo che un sospetto è colpevole, abbiamo bisogno della confessione e lui non vuole parlare. Dopo lo slancio iniziale e la mossa di afferrarmi il braccio da parte di Cassie, lentamente mi rilasso e, senza smettere di lanciare occhiate torve al sospettato, mi scrollo via di dosso le mani di Cassie, faccio qualche torsione per sgranchirmi spalle e collo e crollo di nuovo a sedere scompostamente sulla sedia, le dita che tamburellano nervosamente il piano del tavolo. A quel punto subentra Cassie che, facendo finta di tenermi d'occhio per accertarsi che non mi faccia prendere da qualche altro attacco di ferocia, riprende l'interrogatorio. Qualche minuto dopo ha un sobbalzo, controlla il cellulare e dice: " Merda, devo rispondere. Ryan… ma stai calmo, capito? Okay? Ricorda quello che è accaduto l'ultima volta". E ci lascia soli. Funziona sempre. Di solito non devo neppure alzarmi dalla sedia. Quante volte l'abbiamo fatto… dieci, dodici? L'avevamo perfezionato con la stessa cura degli stuntman del cinema.

Solo che questa volta era tutto vero e mi faceva arrabbiare il fatto che Cassie non lo capisse. Cercai di liberare il braccio, ma lei era più forte di quanto non mi fossi aspettato, i suoi polsi sembravano d'acciaio. Sentii una cucitura che partiva da qualche parte, nella mia manica. Ci strattonammo un po' in quella goffa situazione. «Lasciami andare…»

«Rob, no…»

La sua voce mi giunse attutita e priva di significato nell'immenso ruggito che avevo in testa. Vedevo solo Jonathan, sopracciglia abbassate e mento protratto come un boxeur, in un angolo, a pochi metri di distanza. Spinsi il braccio in avanti con tutta la forza che avevo in corpo e sentii che Cassie mancava la presa a terra con un piede, ma inciampai nella sedia e prima di poterle dare un calcio e buttarla da una parte per raggiungere Jonathan Cassie aveva ripreso l'equilibrio, mi aveva preso l'altro braccio e me lo stava torcendo dietro la schiena. Il tutto con un'unica, rapida mossa. Mi mancò il fiato.

«Che cazzo stai facendo? » mi sibilò in un orecchio, furibonda. «Non sa niente di niente. »

Le parole mi colpirono come una secchiata d'acqua fredda in faccia. Ma anche se si sbagliava, sapevo che non c'era nulla che potessi fare, proprio nulla, e rimasi senza respiro, impotente. Mi sentivo come se mi avessero disossato.

Cassie avvertì che la tensione in me si stava allentando. Mi spinse di lato e fece un passo indietro repentino, con le mani ancora tese e pronte. Ci fissammo come nemici, da una parte all'altra della stanza, entrambi col fiatone.

C'era qualcosa di scuro che le si stava allargando sul labbro inferiore e dopo un istante mi resi conto che era sangue. Per un orribile momento, come se fossi stato in caduta libera, pensai di averla colpita. Scoprii dopo che non ero stato io: quando mi ero staccato, per il contraccolpo si era data una manata sulla bocca e si era tagliata il labbro contro gli incisivi. Non che la cosa facesse molta differenza, ma quella visione mi fece tornare in me. «Cassie…» cominciai.

Lei mi ignorò. «Signor Devlin» disse freddamente, come se non fosse successo nulla. C'era solo un accenno di tremore nella sua voce. Jonathan – mi ero completamente dimenticato di lui – avanzò lentamente dall'angolo senza togliermi gli occhi di dosso. «Per il momento la lasciamo andare senza formalizzare alcuna accusa. Ma le consiglierei di restare dove possiamo trovarla e di non tentare di contattare la vittima dello stupro. Chiaro? »

«Certo» rispose Devlin, dopo un istante. «Bene. » Rimise in piedi la sedia con uno strattone, prese l'impermeabile che si era attorcigliato allo schienale e se lo rimise con scatti rapidi e arrabbiati. Sulla porta, si voltò e mi rivolse uno sguardo duro. Pensai per un momento che mi avrebbe detto qualcosa, che avrebbe minacciato di denunciarmi. O che, dopotutto, mi gettasse un qualche inquietante brandello di informazione… Ma cambiò idea e se ne andò, scuotendo la testa disgustato. Cassie lo seguì fuori e si richiuse la porta alle spalle, sbattendola con un tonfo.

Mi lasciai cadere su una sedia e mi presi il viso tra le mani. Non avevo mai fatto nulla del genere prima di allora. Odio profondamente la violenza fisica, è sempre stato così. Il solo pensiero mi fa venire i brividi. Anche quando facevo il prefect, probabilmente con più potere e meno responsabilità di un qualsiasi adulto al di fuori dei dittatori di qualche piccolo paese sudamericano, non ho mai bacchettato nessuno. Ma un minuto prima ero stato sul punto di azzuffarmi con Cassie come un bulletto ubriaco in una rissa da bar, di battermi con Jonathan Devlin nella stanza degli interrogatori trascinato dal desiderio incontenibile di prenderlo a ginocchiate nello stomaco e sfondargli la faccia fino a renderla una poltiglia sanguinolenta. E avevo fatto male a Cassie. Mi chiesi con lucido distacco se non stessi perdendo il senno.

Alcuni minuti dopo, Cassie rientrò, chiuse la porta e ci si appoggiò, con le mani infilate nelle tasche dei jeans. Il labbro aveva smesso di sanguinarle.

«Cassie» dissi, passandomi le mani sulla faccia. «Mi dispiace veramente. Stai bene? »

«Che cazzo ti ha preso? » Aveva una macchia di fuoco sugli zigomi.

«Pensavo che sapesse qualcosa. Ne ero certo. » Mi tremavano così tanto le mani che sembravano quelle di un attorucolo incapace di simulare uno shock. Le strinsi per fermarle.

«Rob» disse, lei, calma, «non ce la puoi fare a reggere. » Non risposi. Dopo un bel po', sentii la porta chiudersi alle sue spalle.

 

 

Quella sera mi ubriacai più di quanto non avessi fatto negli ultimi quindici anni. Passai metà della nottata seduto sul pavimento del bagno, a fissare il wc con lo sguardo vitreo e la speranza di riuscire a vomitare e chiuderla lì. I bordi del mio campo visivo ondeggiavano in maniera nauseante a ogni palpito del cuore e le ombre negli angoli guizzavano, pulsavano e si contorcevano in forme appuntite, piccole e striscianti, che sparivano al battito di ciglia successivo. Alla fine, quando mi resi conto che, pur non dando segni di migliorare, la nausea forse non sarebbe peggiorata, barcollai verso la mia stanza e mi buttai sul letto vestito. Caddi in un sonno profondo.

Feci dei sogni inquietanti, segnati da ostacoli e intoppi. Qualcosa che si dibatteva e ululava in una sacca di tela, una risata e un accendino che si avvicinavano. Vetro infranto sul pavimento della cucina e la madre di qualcuno che singhiozzava. Ero di un nuovo un pivello in una sperduta contea di confine e Jonathan Devlin e Cathal Mills si nascondevano sulle colline con fucili e un cane da caccia. Conducevano un'esistenza burrascosa e noi dovevamo prenderli, io e altri due detective della Omicidi, alti e freddi come statue di cera. Gli stivali affondavano nel fango viscoso che ti tirava giù. Mi svegliavo e mi riaddormentavo, in lotta con le coperte, le lenzuola attorcigliate e impregnate di sudore.

Mi svegliai la mattina dopo con un'immagine in mente, chiara e assoluta, sbattuta lì davanti come un'insegna al neon. Niente a che vedere con Peter o Jamie o Katy: Emmett, Tom Emmett, uno dei due detective della Omicidi venuto brevemente a Ballysperdutochissadove quando ero lì in addestramento. Emmett era alto e magrissimo, sempre vestito bene ma con sobrietà (adesso che ci penso, forse fu da lui che mi feci la mia prima e immutabile convinzione di come dovevano abbigliarsi i detective della Omicidi), con un viso che sembrava appena uscito da un vecchio film di cowboy, segnato e levigato come un pezzo di legno rimasto per molto tempo all'aria aperta. Era ancora nella squadra quando ci entrai io, mentre ora è in pensione, e sembrava un tipo simpatico anche se non riuscii mai a superare la soggezione iniziale che provai nei suoi confronti. Ogni volta che mi parlava, rimanevo paralizzato come uno studentello sotto interrogazione.

Un pomeriggio me ne stavo rintanato nel parcheggio di Ballysperdutochissadove, a fumare e a cercare di non farmi notare troppo mentre origliavo la loro conversazione. L'altro detective aveva fatto una domanda che mi era sfuggita ed Emmett aveva scosso la testa brevemente. «Se non è lui, allora abbiamo fatto solo stronzate» aveva detto, aspirando un'ultima boccata rude dalla sigaretta prima di spegnerla sotto il tacco di un'elegante scarpa. «Dovremo tornare. Ricominciare dall'inizio e capire cosa è andato storto. » Poi erano rientrati nella stazione, fianco a fianco, con le spalle curve e taciturni nelle loro discrete giacche scure.

Non c'è niente come l'alcol per scatenare i più acuti rimorsi: sapevo di avere incasinato le cose fino in fondo, in ogni modo possibile e immaginabile. Ma non aveva molta importanza, perché la soluzione ora era improvvisamente chiara in maniera sconcertante. Sentivo che quanto era accaduto, dall'incubo Kavanagh all'orribile interrogatorio di Jonathan, alle notti insonni e ai piccoli tradimenti della mente, tutto era stato mandato da un dio gentile e saggio per condurmi fino a quel momento. Avevo evitato il bosco di Knocknaree come la peste, penso che avrei interrogato tutta l'Irlanda e mi sarei scervellato fino a farmi esplodere la testa prima di metterci piede, ma ero stato bastonato fino a non avere più difese contro l'unica cosa che era di un'ovvietà accecante: ero la sola persona che, al di là di ogni dubbio, era depositaria di almeno alcune delle risposte, e se c'era qualcosa che avrebbe potuto farle riemergere quel qualcosa era il bosco… " Ricominciare dall'inizio. "

Lo so che suona semplicistico, ma non so neppure come iniziare a descrivervi cosa significò, per me, quella lampadina da mille watt che mi si accendeva nella testa, quel faro che mi diceva che dopotutto non mi ero perso in un territorio sconosciuto: sapevo esattamente dove andare. Quasi scoppiai a ridere, seduto sul letto con la luce del primo mattino che filtrava tra le tende. Sarei dovuto essere in preda alla madre di tutti i doposbornia, invece mi sentivo come se avessi dormito per una settimana. Scoppiavo di energie come un ventenne. Mi feci la doccia, mi rasai e rivolsi un allegro " buongiorno" a Heather, tanto che, colta alla sprovvista, parve anche un po' sospettosa. Poi andai in città in auto, intonando l'ultima, orribile hit del momento che mandava la radio.

Trovai parcheggio a Stephen's Green e pensai che fosse un buon segno. È quasi impossibile, a quell'ora del mattino, e lungo la strada per l'ufficio acquistai alcune cose. In una piccola libreria nei pressi di Grafton Street trovai una bellissima copia di Cime tempestose, pagine spesse con i margini marrone, rilegata con un lussuoso tessuto rosso stampato in oro " da Ellis Bell", come recitava il frontespizio. Poi andai da Brown Thomas e comprai una maneggevole anche se complicata macchinetta per fare il cappuccino. Cassie andava matta per il caffè con la schiuma. Avevo pensato di regalargliela a Natale ma, non so bene per quale motivo, non l'avevo fatto. Andai a piedi in ufficio senza preoccuparmi di spostare l'auto. Mi sarebbe costata un occhio della testa di tassametro, ma era una di quelle allegre giornate di sole che ti spingono alla stravaganza.

Cassie era già alla sua scrivania con una pila di documenti davanti. Sam e gli altri agenti, per mia fortuna, non si vedevano in giro. «Buongiorno» disse, con una fredda occhiata di avvertimento.

«Ecco qua» esordii e le depositai le due buste davanti al naso.

«Cos'è? » chiese, sospettosa.

«Quello» risposi, e indicai l'aggeggio per il caffè, «è il tuo regale di Natale in ritardo. E questa è un'offerta di scuse. Sono veramente dispiaciuto, Cass, e non solo per ieri, ma per come sono stato in queste ultime settimane. Mi sono comportato da vero stronzo e hai tutto il diritto di essere furiosa con me. Ma ti prometto solennemente che non sarà più così. D'ora in poi sarò un essere umano normale. »

«Sarebbe una novità » commentò Cassie, e il peso che avevo sul cuore sparì. Aprì il libro – adora Emily Brontë – e fece scorrere le dita sul frontespizio.

«Sono perdonato? Mi metto in ginocchio se vuoi, dico sul serio. »

«Mi piacerebbe proprio» rispose Cassie, «ma qualcuno potrebbe vederti e le chiacchiere di corridoio farebbero nascere un casino infernale. Ryan, sei un cretino. Hai rovinato il mio broncio perfetto. »

«Non ce l'avresti fatta a mantenerlo comunque» la presi in giro, ma ero incredibilmente sollevato. «Per l'ora di pranzo ti sarebbe passata. »

«Non esagerare. Vieni qui, avanti. » Allungò un braccio, io mi piegai e l'abbracciai rapidamente. «Grazie. »

«Prego, non c'è di che» dissi. «E, sul serio, niente più atteggiamenti odiosi. »

Cassie mi osservò mentre mi toglievo la giacca. «Senti» riprese, «non è che sei stato solo un rompicazzo tremendo. Mi hai fatto preoccupare. Se non vuoi più avere a che fare con… no, ascolta… potresti far cambio con Sam, seguire la pista Andrews e lasciare che si occupi lui della famiglia. Dal punto in cui è arrivato chiunque potrebbe continuare la sua indagine. Non abbiamo bisogno di suo zio o cose del genere. Sam non farà domande, lo conosci. Non c'è ragione che tu ci perda la testa su questa faccenda. »

«Cass, sto bene, in pace con me stesso e con Dio» risposi. «Ieri è stata una specie di sveglia per me. Giuro su tutto ciò che ti viene in mente che ho capito come affrontare questo caso. »

«Rob, ricordi che mi avevi detto di prenderti a calci se avessi cominciato a fare lo strambo? Be', lo sto facendo. Metaforicamente, per il momento. »

«Senti, dammi altri sette giorni. Se per la fine della prossima settimana penserai ancora che non riesco a gestire la cosa, farò cambio con Sam. Okay? »

«Okay» concesse, anche se non sembrava ancora convinta. Ero talmente d buonumore che quell'inatteso slancio protettivo, che di norma mi avrebbe fatto saltare la mosca al naso, mi parve commovente. Forse perché sapevo che non era più necessario. Le strinsi una spalla con un gesto goffo e mi diressi alla mia scrivania.

«A dire il vero» continuò Cassie mentre mi sedevo, «tutta questa faccenda di Sandra Scully dimostra che il proverbio " non tutto il male vien per nuocere" ha un suo fondamento di verità. Non vedevamo l'ora di mettere le mani sulle cartelle mediche di Rosalind e di Jessica, no? Be', abbiamo Katy che mostra segni di abuso fisico, Jessica presenta sintomi psicologici e ora Jonathan ammette lo stupro. Credo che abbiamo materiale circostanziale a sufficienza per ottenerle. »

«Maddox» le dissi, «sei un genio. » Quello era l'aspetto che mi aveva impensierito di più: che avessi fatto la figura dell'idiota lanciando la squadra in una specie di inutile caccia alle oche. A quanto pareva, non era stata poi così inutile. «Ma credevo tu pensassi che Devlin non fosse il nostro uomo. »

Cassie scrollò le spalle. «Non esattamente. Nasconde qualcosa, magari solo l'abuso… sì, insomma, non per minimizzare, ma hai capito cosa intendo. Oppure vuole coprire Margaret, o… non sono sicura quanto te che sia colpevole, ma mi piacerebbe vedere cosa c'è in quelle cartelle, tutto qui. »

«Anch'io non ne sono certo. »

Inarcò un sopracciglio. «Ne sembravi piuttosto sicuro, ieri. »

«A proposito» dissi, cambiando argomento, un po' a disagio, «sai se mi ha denunciato? Non ho le palle per controllare. »

«Visto che ti sei scusato così carinamente, ignorerò il tuo meraviglioso tentativo di incastrarlo. A me non ha detto nulla e comunque lo sapresti se l'avesse fatto: sentirebbero strillare O'Kelly fino a Knocknaree. Per lo stesso motivo, immagino che neppure Cathal Mills abbia denunciato me per avergli detto che ha un pisellino piccolo piccolo. »

«Non lo farà. Te lo vedi seduto alla scrivania di un qualche sergente a spiegare che hai insinuato che ha il cazzetto moscio? Ma con Devlin la faccenda è diversa. È già abbastanza fuori di testa di suo…»

«Non sparlare di Jonathan Devlin» intervenne Sam, irrompendo nella sala operativa. Era tutto rosso in viso e sovreccitato, con il colletto storto e una ciocca di capelli che gli ricadeva sugli occhi. «Giuro che, se non pensassi che potrebbe prenderla male, lo bacerei. »

«Sareste proprio una bella coppia» dissi, abbassando la penna. «Cosa ha fatto? » Cassie ruotò sulla sedia, un sorriso stampato sul volto.

Sam prese la sua sedia con un gesto teatrale, ci si lasciò cadere e sollevò i piedi sul tavolo, come gli investigatori privati nei vecchi film. Se avesse avuto anche il cappello l'avrebbe lanciato per la stanza. «Ha " solo" riconosciuto Andrews nel confronto vocale. A Andrews e al suo avvocato è quasi venuto un attacco di bile e anche Devlin non è che sia stato proprio contento di sentirmi… che diavolo gli avete detto? Ma alla fine lo hanno fatto tutti. Ho chiamato Devlin… ho pensato fosse il modo migliore; sapete com'è … tutti sembriamo un po' diversi al telefono. Poi ho fatto dire a Andrews e a un gruppetto dei ragazzi alcune frasi delle telefonate anonime: " Carina la ragazzina" e " Non hai idea della cosa in cui ti sei immischiato". »

Scostò la ciocca di capelli. Rideva e aveva l'espressione gioiosa e trionfante di un bambino. «Andrews borbottava, strascicava le parole e via così per rendere diversa la voce, ma Jonathan, il mio eroe, l'ha beccato in cinque secondi netti, senza batter ciglio. Mi ha urlato nelle orecchie al telefono, voleva sapere chi fosse e Andrews e il suo legale… ah, dimenticavo, il vostro uomo, Devlin, l'avevo in vivavoce così che potessero sentirlo anche loro, non volevo discussioni, dopo… se ne stavano lì con delle facce… come se avessero preso un tremendo calcio nel culo. È stato grandioso. »

«Oh, bravo» commentò Cassie, e si sporse sul tavolo per dargli un cinque. Con un sorriso grosso così, Sam si girò poi dalla mia parte e mimò il gesto anche con me.

«A essere onesti, sono proprio soddisfatto di me. Siamo ancora lontani dal poterlo incriminare per omicidio, ma qualche accusa di molestie sarà sufficiente a tenerlo qui per ulteriori interrogatori e consentirci di vedere dove possiamo arrivare. »

«L'hai trattenuto? » gli chiesi.

Sam scosse la testa. «Non gli ho detto nulla dopo il confronto, mi sono limitato a ringraziarlo e a comunicargli che ci saremmo fatti vivi. Voglio lasciarlo a bollire nel suo brodo per un po'. »

«Oh, questo è disonesto, O'Neill» dissi in tono serio. «Non me lo sarei mai aspettato da te. » Era divertente prendere in giro Sam. Non ci cadeva sempre, ma quando succedeva si accalorava e cominciava a balbettare.

Mi fulminò con lo sguardo. «E, inoltre, voglio vedere se c'è la possibilità di mettergli il telefono sotto controllo per qualche giorno. Se è il nostro uomo, sono pronto a scommettere che non l'ha fatto da solo. Il suo alibi tiene e comunque non è il tipo da rovinarsi il vestito nuovo con il lavoro sporco. Ricorrerebbe a qualcun altro. Il riconoscimento della sua voce magari lo fa andare nel panico tanto che chiama l'uomo che ha assunto. O si lascia sfuggire qualcosa, lo stupido. »

«Ripassa tutti i suoi tabulati telefonici» gli ricordai. «Vedi con chi ha parlato il mese scorso. »

«Ci sta lavorando O'Gorman» disse Sam compiaciuto. «Voglio dare a Andrews una settimana o due e vedere se emerge qualcosa, poi lo riprendiamo e…» Parve improvvisamente riluttante a proseguire, come colto tra vergogna e malizia. «Ricordate che Devlin disse che l'uomo al telefono sembrava un po' legato? E ieri ci chiedevamo se Andrews non fosse un po' alticcio? Credo che il nostro amico abbia qualche problema d'alcol. Mi chiedo come sarebbe messo se andassimo a trovarlo, che so… alle otto o alle nove di sera. Potrebbe… potrebbe parlare con più facilità e non chiamare subito l'avvocato. So che non è bene approfittare delle debolezze altrui, però …»

«Rob ha proprio ragione» disse Cassie, scuotendo la testa. «Hai una vena di crudeltà. »

Sam sgranò gli occhi per lo sgomento. Ma fu solo per un istante, poi capì l'antifona. «Ma vi potesse venire…» fece allegramente e ruotò sulla sedia con i piedi in aria.

 

Quella sera eravamo tutti un po' sopra le righe, emozionati come bambini che si ritrovano inaspettatamente con un giorno di vacanza dalla scuola. Lasciandoci nella più assoluta incredulità, Sam era riuscito a mandare O'Kelly dal giudice per fargli emettere il mandato per porre sotto controllo il telefono di Andrews per due settimane. Di solito, un provvedimento del genere lo si ottiene solo in presenza di grossi quantitativi di esplosivo, ma l'Operazione Vestale occupava ancora le prime pagine dei giornali un giorno sì e un giorno no: " Nessuna nuova pista per l'omicidio di Katy (a pagina 5: 'Tuo figlio è al sicuro? ')". E l'alto livello di drammaticità ci conferiva maggior potere contrattuale. Sam era fuori di sé dalla gioia: «Ragazzi, me lo sento che il bastardo ci nasconde qualcosa, ci scommetterei dei soldi. Basterà qualche pinta in più, una di queste sere, e… centro! Lo becchiamo». Aveva portato del vino, un gradevolissimo bianco, per festeggiare. La confortante notizia mi faceva sentire più leggero. Avevo fame come non mi capitava più da settimane. Preparai un'enorme frittata tipo tortilla spagnola, cercai di farla ruotare come una crè pe e quasi mi finì nel lavandino. Cassie svolazzava per casa a piedi nudi e con un paio di jeans estivi tagliati, ora affettando una baguette di pane, ora alzando il volume dei Dixie Chicks, massacrando in ogni caso la mia coordinazione occhio‑ mano ai fornelli. «E qualcuno ha anche avuto il coraggio di mettere un'arma in mano a questo tipo; questione di tempo e comincerà a mostrarla in giro per far colpo sulle ragazze, col rischio di spararsi a una gamba…»

Dopo cena giocammo a una versione improvvisata di Cranium. Eravamo solo in tre e mi mancano le parole per descrivere le sceneggiate di Sam, dopo quattro bicchieri di vino, che cercava di mimare qualcosa quando era il suo turno. Le lunghe tende bianche si gonfiavano e sfioccavano alla brezza che entrava dalla finestra a ghigliottina aperta e una falce di luna se ne stava lì nel cielo del crepuscolo. Non ricordavo l'ultima volta che avevo trascorso una serata come quella, felice e spensierata, senza le piccole sfumature grigie che contornano ogni conversazione.

Quando Sam se ne andò, Cassie volle insegnarmi a ballare lo swing. Dopo cena, ci eravamo bevuti un quasi cappuccino per inaugurare la macchinetta nuova e nessuno di noi aveva la benché minima voglia di andare a dormire. Dal lettore CD proveniva un vecchio brano, e Cassie mi prese le mani e mi fece alzare dal divano. «Come diavolo fai a sapere ballare lo swing? » chiesi.

«I miei zii pensavano che i bambini dovessero far un sacco di corsi. So anche disegnare al carboncino e suonare il piano. »

«Tutto insieme? Io so suonare il triangolo. E ho due piedi sinistri. »

«Non m'interessa, voglio ballare. »

L'appartamento era troppo piccolo. «Avanti» mi esortò Cassie, «togliti le scarpe. » Prese il telecomando, aumentò il volume a undici e uscimmo dalla finestra. Per la scala di sicurezza in ferro battuto, con gli strati di vernice che venivano via al tocco della mano, scendemmo sul tetto aggettante del piano di sotto.

Io non sono un gran ballerino, ma lei mi insegnò le mosse di base, senza stancarsi di ripeterle e schivando con destrezza i miei passi maldestri, così che, d'un tratto, cominciai a muovermi autonomamente e ci ritrovammo a ballare seguendo il ritmo sincopato ed elegante della musica e spingendoci pericolosamente ai bordi del tetto. Sentivo le mani di Cassie nelle mie, forti come quelle di una ginnasta e tuttavia flessibili. «Anche tu sai ballare! » gridò senza fiato, per coprire la musica e con gli occhi che le brillavano.

«Cosa? » gridai e inciampai. Risate che si srotolarono come stelle filanti nei giardini bui, di sotto.

Una finestra si aprì di colpo, più in basso, e una voce dall'accento anglo‑ irlandese sbraitò: «Se non abbassate chiamo la polizia! ».

«Siamo noi la polizia! » rispose Cassie a pieni polmoni. Le tappai la bocca con un mano e scoppiammo in una risata esplosiva, non più trattenuta, finché, dopo un confuso silenzio, la finestra si richiuse con un gran fracasso. Cassie corse su per le scale, ci rimase attaccata con una mano e, continuando a ridacchiare, con l'altra puntò il telecomando attraverso la finestra, cambiò CD selezionando i notturni di Chopin, e abbassò il volume.

Ci distendemmo l'uno di fianco all'altra su quel tetto, con le mani dietro la testa, i gomiti che si sfioravano. Mi girava ancora un po' la testa per avere ballato e bevuto, ma piacevolmente. Il venticello era tiepido sul mio volto e, anche con le luci della città, si vedevano le costellazioni: l'Orsa maggiore, la cintura di Orione. Il pino in fondo al giardino stormiva come il mare, incessantemente. Per un istante mi parve che l'universo si fosse capovolto e che stessimo planando in un vasto bacile nero pieno di stelle. E seppi, al di là di ogni dubbio, che sarebbe andato tutto bene.

 

Mi tenni il bosco per il sabato sera, coccolandomi il pensiero come un bambino alle prese con un enorme uovo di Pasqua con una misteriosissima sorpresa dentro. Sam era a Galway per il weekend, al battesimo di una nipotina: ha una di quelle famiglie molto estese che organizzano riunioni e incontri praticamente tutte le settimane. C'era sempre qualcuno che veniva battezzato, o che si sposava, o che veniva sepolto. Cassie sarebbe uscita con un'amica e Heather avrebbe partecipato a uno speed‑ date in un hotel da qualche parte. Nessuno si sarebbe accorto della mia assenza.



  

© helpiks.su При использовании или копировании материалов прямая ссылка на сайт обязательна.