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Tana French 22 страница



Jonathan si accigliò, irritato. «Come? »

«I nomi delle sue figlie» spiegai. «Rosalind, Jessica, Katharine con la " a". Sono nomi da commedie di Shakespeare. Ho immaginato che alla base ci fosse una scelta ben precisa. »

Sbatté gli occhi. Per la prima volta mi guardò con un pizzico di calore e mi rivolse un mezzo sorriso, il sorriso compiaciuto ma timido del bambino che si aspetta che qualcuno noti il suo nuovo stemma da scout. «Sa, lei è la prima persona a coglierlo. Sì, li ho scelti io. » Inarcai un sopracciglio come per incoraggiarlo. «Ho attraversato una specie di fase di miglioramento personale, direi che potremmo definirla così, dopo il matrimonio… Ho cercato di orientarmi in mezzo a tutte quelle cose che uno deve sapere… Shakespeare, Milton, George Orwell… Milton non mi faceva impazzire, ma Shakespeare… È stata dura leggerlo, ma alla fine non ho lasciato indietro nulla. Scherzavo sempre con Margaret e le dicevo che se le gemelle fossero state un maschio e una femmina li avremmo chiamati Viola e Sebastian, ma secondo lei a scuola poi li avrebbero presi in giro…»

Il suo sorriso svanì. Lo sguardo volò altrove. Quello era il momento. Dovevo cogliere l'occasione. «Sono nomi bellissimi» ripresi e lui annuì distrattamente. «Ancora una cosa: le dicono nulla i nomi Cathal Mills e Shane Waters? »

«Perché? » Pensai di cogliere un guizzo di circospezione nei suoi occhi, ma potevo essermi sbagliato.

«Sono emersi nel corso delle indagini. »

Allentò istantaneamente le ciglia aggrottate e irrigidì le spalle come fosse stato un cane da combattimento. «Sono sospettati? »

«No» risposi con fermezza. Anche se lo fossero stati non glielo avrei rivelato, non solo per motivi procedurali, ma soprattutto perché Jonathan in quel momento era troppo instabile, con una tensione dentro che sembrava caricata a molla. Se era innocente, almeno della morte di Katy, allora anche un solo accenno di incertezza nella mia voce e sarebbe partito con un Uzi in mano alla volta delle loro case. «Stiamo solo seguendo tutte le piste. Mi dica di loro. »

Mi fissò per un altro secondo, poi si accasciò e si appoggiò allo schienale della poltrona. «Eravamo amici da ragazzi. Non siamo più in contatto da anni. »

«Quando vi siete conosciuti? »

«Quando le nostre famiglie si trasferirono qui. Direi intorno al 1974. Eravamo le prime tre famiglie dell'intero abitato, su in cima, il resto era ancora in costruzione. I dintorni erano tutti per noi. Giocavamo nei cantieri, dopo che i muratori se ne erano andati, come in una specie di labirinto enorme. Avremo avuto otto… nove anni. »

C'era qualcosa nella sua voce, una corrente sotterranea di nostalgia, profonda e costante, che mi fece comprendere quanto fosse solo, e non semplicemente per la morte di Katy. «E per quanto tempo siete rimasti amici? » chiesi.

«È difficile dirlo con esattezza. Cominciammo a prendere strade diverse intorno ai diciannove anni, ma per un po' ci tenemmo ancora in contatto. Perché? Cosa c'entra questo con il resto? »

«Due testimoni» cominciai, cercando di mantenere il tono di voce più inespressivo possibile, «affermano che nell'estate del 1984 lei, Cathal Mills e Shane Waters partecipaste allo stupro di una ragazza del luogo. »

Schizzò in piedi e agitò le mani strette a pugno. «Cosa… cosa cazzo c'entra con Katy? Mi sta accusando… cosa sta… cazzo! »

Gli rimandai uno sguardo pacato e lo lasciai finire. «Non posso non notare che non ha negato l'accusa» affermai.

«E non l'ho neanche ammessa, questa stronzata. Devo cercarmi un avvocato? »

Nessun avvocato al mondo gli avrebbe lasciato proferire un'altra parola. «Senta» dissi, sporgendomi in avanti e passando a un tono confidenziale e più leggero, «io sono della Omicidi, non della sezione Crimini sessuali. Mi interessa una violenza di vent'anni fa solo se…»

«Presunta violenza. »

«Come vuole, presunta violenza. Non mi interessa a meno che non abbia una ricaduta sull'omicidio. Sono qui solo per appurare questo. »

Jonathan riprese fiato per aggiungere qualcosa, e per un istante pensai che mi avrebbe ordinato di andarmene. «Se vuole restare in casa mia anche un solo secondo in più dobbiamo però chiarire una faccenda» disse. «Non ho mai alzato un dito sulle ragazze. Mai. »

«Nessuno l'ha accusata di…»

«Lei ci gira attorno fin dal primo giorno in cui è venuto qui e le insinuazioni non mi piacciono. Adoro le mie figlie. Le abbraccio per augurare loro la buonanotte. E finisce lì. Non le ho mai toccate, nessuna di loro, in modi che potrebbero definirsi scorretti. Sono stato chiaro? »

«Chiarissimo» risposi, cercando di non apparire sarcastico.

«Bene. » Annuì. Uno scatto secco e controllato. «Ora, per l'altra faccenda: non sono uno stupido, detective Ryan. Anche solo ipotizzando che io abbia fatto qualcosa che potrebbe spedirmi in prigione, perché cavolo dovrei raccontarglielo? »

Benedissi mentalmente Cassie. «Mi ascolti» mi affrettai a dire, «stiamo prendendo in considerazione la possibilità che la vittima potrebbe avere avuto qualcosa a che vedere con la morte di Katy, una sorta di vendetta per quello stupro. » Sgranò gli occhi. «È solo una possibilità remota e non abbiamo nessuna prova concreta, quindi non voglio perderci troppo tempo e, soprattutto, non voglio che lei la contatti in alcun modo. Se scoprissimo che è qualcosa di più di una possibilità, potrebbe rovinare tutto. »

«Non ci penso neanche. Come dicevo, non sono uno stupido. »

«Bene, mi fa piacere che questo punto sia chiaro. Ho bisogno della sua versione dei fatti, però. »

«E poi? Mi accuserà della violenza? »

«Non posso garantirle nulla» risposi. «Di certo non l'arresterò. Non sta a me decidere se formalizzare l'accusa oppure no, dipenderà dalla pubblica accusa e dalla vittima, ma dubito che voglia farsi avanti in qualche modo. E non le ho neppure letto i suoi diritti, quindi qualsiasi cosa dica non sarebbe ammissibile in un eventuale processo. Ho solo bisogno di sapere cos'è successo. A lei la scelta, signor Devlin. Quanto le interessa scovare l'assassino di Katy? »

Jonathan temporeggiò. Si sporse in avanti con le mani strette e mi guardò di traverso, uno sguardo lungo o sospettoso. Cercai di sostenerlo, di sembrargli degno di fiducia.

«Se solo riuscissi a farle capire» disse infine, quasi a se stesso. Con movimenti irrequieti si alzò dalla poltrona, andò alla finestra e si appoggiò al vetro. Ogni volta che guardavo dalla sua parte, il suo contorno illuminato si stagliava incombente contro i pannelli di vetro della finestra. «Ha degli amici che conosce da quando era un ragazzino? »

«No, non proprio. »

«Nessuno ti conosce come quelli con cui sei cresciuto. Potrei imbattermi in Cathal o in Shane domani, dopo tutto questo tempo, e saprebbero comunque di me più di quanto ne sappia Margaret. Eravamo molto legati, più che fratelli. Nessuno di noi aveva quella che si definirebbe una famiglia felice: Shane non ha mai conosciuto il suo vecchio, il padre di Cathal invece era un buono a nulla che non ha mai lavorato un giorno in vita sua, e i miei genitori erano entrambi alcolizzati. Non le sto dicendo queste cose per usarle come scuse, sia chiaro, sto solo cercando di farle capire come eravamo. A dieci anni facevamo cose da fratelli di sangue, le è mai capitato? Cose come tagliarsi i polsi e premerli assieme? »

«Non credo, no» risposi. Mi chiesi, fugacemente, se l'avessimo mai fatto. Sembrava proprio il nostro genere di rapporto.

«Shane aveva paura di farlo, ma Cathal riuscì a convincerlo. Cathal riuscirebbe a vendere l'acqua santa al papa. » Sorrideva un po', glielo sentivo nella voce. «Quando vedemmo I tre moschettieri alla TV, Cathal decise che quello sarebbe stato anche il nostro motto: tutti per uno, uno per tutti. Dovevamo sostenerci a vicenda, non c'era nessun altro dalla nostra parte. E aveva ragione. » Voltò la testa verso di me e mi lanciò un'occhiata valutativa. «Lei quanti anni ha… trenta‑ trentacinque? »

Annuii.

«Lei il peggio lo ha evitato. Quando finimmo la scuola erano gli inizi degli anni Ottanta. Questo paese era in ginocchio. Non c'era lavoro, da nessuna parte. Se papà non aveva un'azienda per poterti assumere, emigravi oppure vivevi del sussidio di disoccupazione. Anche avendo i soldi e i voti giusti per andare all'università, che fra parentesi noi non avevamo, significava solo posticipare la cosa di qualche anno. Non avevamo nulla da fare se non stare in giro tutto il giorno: niente a cui aspirare, niente a cui tendere; niente di niente, tranne noi tre. Non so se capisce quanto pericolosa poteva essere la situazione. »

Non ero certo della direzione che la conversazione stava prendendo, ma provai l'improvviso e sgradito guizzo di un sentimento che somigliava all'invidia. A scuola avevo sognato amicizie del genere: il legame disperato, a prova d'acciaio, dei soldati in battaglia o dei prigionieri di guerra, il mistero raggiunto solo dagli uomini in condizioni estreme.

Jonathan inspirò. «Comunque, a un certo punto Cathal cominciò a uscire con questa ragazza, Sandra. Inizialmente sembrò strano: eravamo tutti usciti con qualche ragazza ogni tanto, ma nessuno di noi aveva mai avuto una fidanzata vera. Ma lei, Sandra, era così carina… Rideva sempre e quella sua innocenza… credo sia stata il mio primo amore, fra l'altro… quando Cathal disse che le piacevo anch'io, che voleva stare anche con me, non riuscii a credere alle mie orecchie. »

«La cosa non la colpì come… un po' strana, a dir poco? »

«Non strana come potrebbe pensare lei. Lo so che adesso sembra pazzesco, ma avevamo sempre condiviso tutto. Era una nostra regola. E la cosa sembrava seguire quella linea. Più o meno nello stesso periodo, anch'io uscivo con una ragazza e anche lei, glielo giuro, andò con Cathal, non ci pensò due volte… in realtà, credo che avesse cominciato a uscire con me perché lui era già impegnato. Era molto più attraente di me. »

«E Shane sembrava non entrare nel gioco» osservai.

«Infatti. È lì che è cominciato ad andare tutto storto. Shane lo ha scoperto ed è andato fuori di testa. Credo che Sandra piacesse molto anche a lui, anche se penso che a infastidirlo maggiormente fosse il fatto di essersi sentito tradito da noi. Era sconvolto. Litigavamo praticamente tutti i giorni per quella faccenda. E andò avanti per settimane. Metà delle volte non voleva neppure parlare con noi. Io ero triste, sembrava che mi mancasse la terra sotto i piedi, lo sa come si ragiona a quell'età, ogni più piccola cosa sembra la fine del mondo…» Tacque.

«Poi cosa accadde? » lo spronai.

«Cathal cominciò a pensare che fosse stata Sandra a mettersi tra noi e che quindi doveva essere lei a riunirci. Ne era ossessionato, non parlava d'altro. Se avessimo avuto tutti la stessa ragazza, diceva, sarebbe stata suggellata per sempre la nostra amicizia, come la faccenda del giuramento di sangue tra fratelli, solo più forte. Non so più se ci credesse sul serio o se solo… non lo so. Non lo so. Lui aveva una vena strana, Cathal intendo, soprattutto per cose del genere… insomma, io avevo i miei dubbi, ma lui continuava all'infinito e Shane naturalmente gli stava dietro…»

«A nessuno di voi venne in mente di chiedere il parere di Sandra? »

Jonathan lasciò ricadere la testa contro il vetro, producendo un leggero tonfo. «Avremmo dovuto» rispose piano, dopo un po'. «Dio sa se avremmo dovuto farlo. Ma vivevamo in un mondo tutto nostro, fatto di noi tre soltanto. Nessun altro sembrava reale. Impazzivo per Sandra, ma così come impazzivo per la principessa Leila o per chiunque altra avesse colpito la nostra fantasia quella settimana, non nel modo in cui si ama davvero una donna. Non è una scusa, non ci sono scuse per ciò che abbiamo fatto. Ma è una ragione. »

«Cosa accadde? »

Si passò una mano sulla faccia. «Eravamo nel bosco» cominciò. «Noi quattro, perché io non stavo già più con Claire. Eravamo in questa radura dove andavamo ogni tanto. Non so in Inghilterra, ma quell'anno qui avemmo un'estate meravigliosa. Faceva caldo come in Grecia o quasi, mai una nuvola in cielo, luce fino alle dieci e mezzo di sera. Passavamo giornate intere fuori, nel bosco o nei dintorni. Eravamo tutti abbronzatissimi; io sembravo addirittura uno studente italiano, tranne che per quelle stupide aree più chiare intorno agli occhi per gli occhiali da sole che portavo…

«Era pomeriggio tardi. Eravamo stati alla radura tutto il giorno, a bere e a farci qualche canna. Credo fossimo tutti un po' storditi, non solo per il sidro e la roba fumata, ma per il sole e quell'atmosfera un po' folle che si crea a quell'età … avevo fatto a braccio di ferro con Shane, che una volta tanto era di un umore passabile, e l'avevo lasciato vincere. Stavamo facendo un po' di casino, ci spingevamo, lottavamo nell'erba, sa come fanno i ragazzi. Cathal e Sandra gridavano, ci prendevano in giro e poi Cathal cominciò a fare il solletico a Sandra che rideva e strillava. Si rotolarono fin sotto i nostri piedi e noi ci buttammo sopra di loro in una specie di mucchio. E d'un tratto Cathal gridò: " Ora! " …»

Attesi a lungo. «La violentaste tutti e tre? » chiesi infine.

«Solo Shane. Non che fosse meno grave. Io la tenni stretta…» Jonathan inspirò rapidamente tra i denti. «Non mi era mai capitata una cosa del genere. Credo che fossimo tutti un po' fuori controllo. Non parve una cosa reale, sa? Sembrava un incubo, o un brutto viaggio, e non finiva più. Faceva un caldo soffocante, io sudavo come un maiale e avevo la testa leggera. Mi guardavo intorno e vedevo gli alberi che si richiudevano intorno a noi, come se spuntassero rami freschi a vista d'occhio. Pensavo che ci avrebbero avvolti e inghiottiti. E i colori, poi, mi sembravano tutti sbagliati, strani, come in quei film ai quali sono stati aggiunti dopo. Il cielo era diventato tutto bianco e c'erano delle cose che schizzavano via sullo sfondo, delle piccole cose nere. Pensavo allora di dover avvertire gli altri che stava succedendo qualcosa, che c'era qualcosa che non andava… e intanto… intanto la tenevo, ma non sentivo le mani, era come se non fossero le mie. Non riuscivo a capire di chi fossero. Ero terrorizzato. Cathal era di fronte a me, dall'altra parte di Sandra, e il suo respiro sembrava il rumore più assordante al mondo, ma non lo riconoscevo, non riuscivo a ricordare chi fosse o cosa stessimo facendo. Sandra si dimenava e c'erano quei rumori… Cristo. Per un istante giuro che credetti che fossimo cacciatori e che quello era… un animale che avevamo abbattuto e che Shane stava finendo…»

«Se capisco bene» dissi freddamente – il tono della faccenda cominciava a non piacermi neanche un po' ‑, «in quel momento eravate sotto l'effetto di alcol e sostanze stupefacenti e forse anche di un colpo di calore. Oltre a dire che eravate sicuramente eccitati. Non crede che tutti questi fattori potrebbero aver avuto qualcosa a che vedere con quell'esperienza? »

Gli occhi di Jonathan si posarono per un momento su di me, poi lui scrollò le spalle in un piccolo gesto di sconfitta. «Sì, certo» rispose con pacatezza. «Forse. Glielo ripeto, non le sto raccontando tutto questo per accampare scuse. Lei me l'ha chiesto e io le ho risposto. »

Era una ricostruzione assurda, naturalmente, melodrammatica, oltre che egoista e assolutamente prevedibile: tutti i criminali che avevo interrogato erano ricorsi a una lunga e contorta storia, molto spesso migliore di questa, per dimostrare che in fin dei conti non era stata colpa loro o che, se non altro, quanto avevano commesso non era così brutto come sembrava. Ciò che mi infastidiva maggiormente era che una piccolissima parte di me ci credeva. Non ero per niente convinto dei motivi idealistici di Cathal, ma Jonathan… Innamorato più degli amici che delle donne, si era perso in una selvaggia zona grigia dei suoi diciannove anni e andava alla disperata ricerca di un qualche rito mistico che rimandasse indietro il tempo e rimettesse insieme il loro mondo privato sul punto di disintegrarsi. Non doveva essergli stato difficile vedere la cosa come un atto di amore, per quanto oscuro e distorto, e non traducibile in maniera chiara per l'aspro mondo esterno. Non che la cosa facesse qualche differenza: mi chiedevo anzi cos'altro avrebbe fatto per la sua causa.

«Non ha avuto più nessun contatto con Cathal Mills e Shane Waters? » chiesi, un po' crudelmente, mi rendevo conto.

«No» rispose piano. Diresse lo sguardo verso la finestra e rise, senza allegria. «Dopo tutto questo, eh? No. Cathal e io ci spediamo gli auguri di Natale. Li firma anche sua moglie. Sono anni invece che non sento Shane. Gli scrivevo, di tanto in tanto, ma non ha mai risposto, così ho smesso. »

«Avete cominciato ad allontanarvi non molto dopo lo stupro. »

«È stata un'evoluzione lenta, ci sono voluti anni. Ma, se analizziamo la cosa, in effetti è così, si può dire che è cominciata quel giorno, nel bosco. È stato strano, dopo… Cathal ne parlava in continuazione e Shane si innervosiva come un gatto sui carboni ardenti. Io mi sentivo in colpa da morire, non volevo neanche pensarci… ironico, vero? Doveva unirci per sempre e invece…» Scosse la testa come un cavallo infastidito da una mosca. «Ma forse le nostre strade si sarebbero separate comunque. Succede. Cathal si è trasferito, io mi sono sposato…»

«E Shane? »

«Scommetto che lo sa che Shane è in galera» rispose seccamente. Annuii. «Shane… Ascolti, se quello stupido fosse nato dieci anni dopo sarebbe stato un grande. Non dico che avrebbe ottenuto chissà che, ma avrebbe un lavoro decente e una famiglia. È una vittima degli anni Ottanta. C'è un'intera generazione là fuori che non ce l'ha fatta. Quando è arrivata la Tigre Celtica era già troppo tardi per molti di noi, eravamo troppo vecchi per ricominciare da capo. Cathal e io siamo solo stati più fortunati. Guardi me: facevo schifo in tutto tranne che in matematica, ma ho preso il massimo dei voti al diploma e così alla fine ce l'ho fatta a trovarmi un lavoro in banca. E Cathal cominciò a frequentare un giovane danaroso che aveva un computer e che gli insegnò a usarlo, così per scherzo. Alcuni anni dopo, quando tutti nel paese erano alla disperata ricerca di qualcuno che ne capisse di informatica, lui era uno dei pochi che sapesse andare oltre la semplice accensione di quelle dannate macchine. È sempre caduto in piedi, Cathal. Shane, invece, non ce l'ha fatta. Non aveva un lavoro, nessuna istruzione, nessuna prospettiva, niente famiglia. Che cosa avrebbe avuto da perdere se avesse fatto una rapina? »

Mi riusciva difficile provare anche un minimo di solidarietà per Shane Waters. «Nei minuti immediatamente successivi allo stupro» dissi, quasi contro la mia stessa volontà, «udiste qualcosa fuori dall'ordinario, come di un grosso uccello che sbattesse le ali? » Tralasciai ogni riferimento alla parte vocale. Anche in momenti come quello, c'è un limite per me invalicabile alle stranezze che sono disposto ad accettare.

Jonathan mi lanciò un'occhiata strana. «Il bosco era pieno di uccelli, volpi e chi più ne ha più ne metta. Non avrei notato nulla di particolare, non in quel momento. Non so se ho reso bene l'idea dello stato in cui ci trovavamo. Non c'ero solo io, capisce? Era come se fossimo tutti fatti d'acido. Tremavo dalla testa ai piedi, non vedevo chiaramente, tutto continuava a scivolare via. Sandra stava… Sandra rantolava, come se non riuscisse a respirare. Shane era disteso sull'erba a fissare gli alberi ed era tutto un fremito. Cathal cominciò a ridere, barcollava per la radura ululando, gli dissi che gli avrei dato un cazzotto se non avesse…» Si fermò.

«Che c'è? » chiesi, dopo un po'.

«L'avevo dimenticato» continuò lentamente. «Io non… di certo non mi piace ripensare a certe cose. Me ne ero dimenticato… Se era qualcosa, mi intenda bene, visto il nostro stato mentale, può essere stata benissimo soltanto la nostra immaginazione. »

Attesi. Alla fine sospirò e fece un movimento, come una piccola scrollata di spalle. «Be', io la ricordo così: afferrai Cathal e gli dissi di chiudere la bocca o lo avrei colpito. Lui smise di ridere e mi prese per la maglietta… sembrava un matto, tanto che per un istante pensai che ci saremmo azzuffati. Ma c'era qualcuno che continuava a ridere. E non era uno di noi. Era lontano, in mezzo agli alberi. Sandra e Shane cominciarono a urlare entrambi… forse urlai anch'io, non lo so, ma la voce che rideva si faceva sempre più forte… Cathal mi lasciò andare e gridò qualcosa a proposito di quei ragazzini, ma non sembrava proprio…»

«Ragazzini? » ripetei freddamente. Stavo combattendo contro un impulso irrefrenabile di scappare a razzo. Non era possibile che Jonathan riconoscesse in me il bambino che bighellonava in giro, con i capelli molto più chiari di adesso e un accento e un nome diversi, ma mi sentivo comunque improvvisamente nudo ed esposto.

«Ah, c'erano questi ragazzini, piccoli, sui dieci, dodici anni, che giocavano sempre nel bosco. A volte ci spiavano, buttavano cose e poi scappavano, sa come funziona. Ma non mi sembrava uno di loro. Sembrava un uomo, o un ragazzo della nostra età. Non un bambino. »

Per una frazione di secondo fui lì lì per infilarmi nell'apertura che mi aveva fatto intravedere. Il lampo di circospezione si era dissolto e i piccoli e rapidi bisbigli negli angoli erano cresciuti fino a diventare un grido silenzioso, vicino, vicino come un respiro. Ce l'avevo sulla punta della lingua: " Quei bambini non vi stavano forse spiando, quel giorno? Non avevate paura che andassero a raccontarlo in giro? Cosa faceste per fermarli? ". Ma poi il detective che era in me mi trattenne. Sapevo di avere una sola chance e che dovevo arrivarci sul mio terreno e con tutte le munizioni che riuscivo a portarmi.

Così chiesi: «Qualcuno di voi andò a vedere cosa fosse? »

Jonathan rifletté, a occhi chiusi, concentrato. «No. Come dicevo, eravamo tutti in stato di shock ed era decisamente più di quanto potessimo affrontare. Ero pietrificato, non ce l'avrei fatta a muovermi neppure volendo. Diventava sempre più forte, tanto che pensai che tutti gli abitanti sarebbero usciti per vedere cosa stava succedendo, e noi continuavamo a gridare… Alla fine smise… forse si spostò nel bosco, non so bene, e siccome Shane non la smetteva Cathal gli diede una sberla dietro la testa perché tacesse. Andammo via il più in fretta possibile. Tornai a casa, rubai un po' di roba forte da bere al mio vecchio e mi ubriacai come non mai. Non so cosa fecero gli altri. »

Con buona pace del misterioso animale selvatico di Cassie. Con ogni probabilità, c'era qualcun altro nel bosco quel giorno, qualcuno che, se aveva assistito alla violenza, quasi sicuramente aveva visto anche noi. Qualcuno che era poi di nuovo lì, una settimana o due dopo. «Ha qualche sospetto su chi potesse essere la persona che rideva? » chiesi.

«No. Ce lo domandò anche Cathal, dopo… Voleva sapere chi fosse, quanto avesse visto. Non ne ho idea. »

Mi alzai. «Grazie per il tempo che mi ha concesso, signor Devlin» conclusi. «Potrei avere bisogno di farle qualche altra domanda al riguardo più avanti, ma per il momento è tutto. »

«Aspetti» disse lui all'improvviso. «Pensa che sia stata Sandra a uccidere Katy? »

Aveva un'aria patetica, davanti alla finestra, con le mani strette a pugno nelle tasche del cardigan, ciononostante conservava un briciolo di sconsolata dignità. «No» risposi. «Non credo. Ma dobbiamo esplorare con attenzione tutte le possibilità. »

Jonathan annuì. «Immagino significhi che non avete un vero sospetto» disse. «No, lo so, lo so, non me lo può dire… se va a parlare con Sandra, le dica che mi dispiace. Abbiamo fatto una cosa orribile. So che è un po' tardi per scusarsi, avrei dovuto pensarci vent'anni fa, ma… glielo dica comunque. »

 

Quella sera andai a Mountjoy per incontrare Shane Waters. Sono certo che Cassie sarebbe venuta con me se l'avessi informata, ma era una faccenda che, per quanto possibile, volevo gestire da solo. Shane aveva una faccia da topo ed era agitato, portava baffetti rivoltanti ed era ancora pieno di brufoli. Mi ricordava Wayne il Tossico. Ricorsi a tutte le tattiche che conoscevo e promisi tutto quello che mi venne in mente, dall'immunità, al rilascio anticipato dalla condanna per rapina a mano armata, contando sul fatto che non fosse sufficientemente sveglio da sapere cosa potevo promettere e cosa no. Ma essendo uno dei miei punti deboli quello di sottovalutare il potere della stupidità, con l'inamovibile e irritante cocciutaggine di chi ha smesso da molto tempo di analizzare possibilità e ramificazioni, Shane rimase attaccato all'unica opzione che comprendeva. «Non so niente» continuò a ripetere, con una specie di anemico autocompiacimento che mi faceva venire voglia di urlare. «E non può provare il contrario. » Sandra, lo stupro, Peter e Jamie, anche Jonathan Devlin. «Non so di cosa sta parlando, amico. » Alla fine, quando mi resi conto che stavo seriamente correndo il rischio di gettargli qualcosa addosso, mollai la presa.

Sulla strada di casa inghiottii il mio orgoglio e chiamai Cassie, che non fece nemmeno finta di non avere intuito dove ero stato. Aveva trascorso la serata eliminando Sandra Scully dall'indagine. La notte in questione, Sandra aveva lavorato in un call center in città. Il suo responsabile e tutti gli altri del suo turno avevano confermato che era rimasta lì fino a poco prima delle due del mattino, quando aveva timbrato l'uscita e aveva preso il treno notturno per tornarsene a casa. Era una buona notizia – risistemava un po' le cose perché non mi piaceva l'idea di Sandra come possibile omicida – ma provai pena nell'immaginaria in un cubicolo senz'aria con luci al neon, circondata da studenti part‑ time e da attori in attesa di un provino.

Non mi dilungherò sui dettagli, ma ci impegnammo a fondo e con un'ingegnosità al limite della legalità nell'individuare il peggior momento per andare a parlare con Cathal Mills. Occupava una posizione abbastanza elevata dal nome incomprensibile in un'azienda che forniva " soluzioni aziendali di e‑ learning, software e localizzazione" (ne fui colpito perché non ritenevo possibile provare per lui più antipatia di quanta già non ne provassi). Gli piombammo tra capo e collo nel bel mezzo di un'importantissima riunione con un potenziale grosso cliente. Perfino l'edificio metteva i brividi: lunghi corridoi senza finestre e infinite rampe di scale che ti facevano perdere il senso dell'orientamento, aria tiepida miscelata con troppo poco ossigeno, un rumore basso e sordo quanto fastidioso prodotto dai computer e dal vocio controllato, enormi spazi occupati da cubicoli: una specie di labirinto per topi di uno scienziato pazzo. Cassie mi lanciò un'occhiata sconvolta mentre, al seguito di un androide, superavamo la quinta serie di porte che si aprivano solo con un badge.

Fu facile individuare Cathal nella sala riunioni: era quello al PowerPoint per le presentazioni. Era ancora un bell'uomo, alto e con le spalle larghe, gli occhi azzurri e luminosi e l'ossatura robusta… e pericolosa. Un po' di adipe, però, cominciava ad accumulargli in vita e ad appesantirgli la mascella. Ancora qualche anno e avrebbe assunto un'aria grossolana da suino. Il " nuovo cliente" erano quattro americani identici, privi di senso dell'umorismo e con addosso abiti scuri indistinguibili.

«Scusate, ragazzi» disse Cathal, rivolgendoci un aperto sorriso di avvertimento, «la sala riunioni è occupata. »

«Lo vedo bene» gli rispose Cassie. Si era abbigliata per l'occasione, con jeans strappati e una vecchia maglietta turchese con la scritta in rosso GLI YUPPY SANNO DI POLLO. «Sono il detective Maddox…»

«E io il detective Ryan» mi presentai, mostrando il distintivo. «Vorremmo farle qualche domanda. »

Il sorriso non si smosse, ma una fiammata furibonda gli attraversò lo sguardo. Capii che avevamo avuto ragione su di lui. «Non è un buon momento. »

«No? » fece Cassie, affabile, e si appoggiò con indolenza al tavolo così che l'immagine del PowerPoint svanì in qualcosa di informe che comparve sulla sua maglietta.

«No. » Cathal lanciò un'occhiata di sbieco ai suoi clienti che fissavano il vuoto con aria di disappunto o fingevano di esaminare carte.

«Mi sembra un ottimo posto per parlare» continuò lei, indicando la sala riunioni con l'aria di apprezzarla, «ma possiamo anche spostarci da noi, in sede, se lo preferisce. »



  

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