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Tana French 19 страница



Dietro di lei, Sam rideva a sopracciglia inarcate e Cassie faceva la mia imitazione del cucciolo con gli occhioni e la lingua penzoloni, ma non mi interessava. Era passato molto tempo dall'ultima volta che ero stato con una donna e desideravo ardentemente andare a casa con quella ragazza, ridere con lei magari in un appartamento di studenti con poster d'arte alle pareti, arrotolarmi quei capelli così appariscenti attorno alle dita e lasciare che la mente si perdesse nel nulla, giacere nel suo letto tutta la notte e il giorno seguente, tranquillo e al sicuro, senza pensare a nessuna delle nostre beghe investigative. Misi una mano sulla spalla di Anna per spostarla dalla traiettoria di un tipo che girava con quattro pinte piuttosto sbilanciate e contemporaneamente mostrai il dito medio a quei due invidiosi.

La gente ci spingeva sempre più vicini. Avevamo esaurito l'argomento dei nostri rispettivi studi – confesso che avrei voluto saperne un po' di più su Bram Stoker – e ci eravamo messi a parlare delle isole Aran (di lei e di alcune amiche, l'estate precedente; delle bellezze della natura; della gioia di poter scappare dalla vita urbana con tutta la sua superficialità; che, una volta, all'alba, era certa di aver visto il Tí r na nÓ g, il più popolare " altromondo" irlandese, all'orizzonte) e aveva cominciato a toccarmi il polso per enfatizzare i suoi punti di vista, quando uno dei suoi amici si staccò dal suo chiassoso gruppo e venne a piazzarsi dietro di lei.

«Tutto bene, Anna? » chiese, minaccioso, mettendole un braccio intorno alla vita e lanciandomi lo sguardo infuriato del toro.

Fuori dal campo visivo dell'animale, Anna rovesciò gli occhi al cielo con un sorrisino cospiratorio. «Va tutto bene, Cillian» rispose. Non penso fosse il suo ragazzo e, a ogni modo, non si comportava come una già impegnata, ma, evidentemente, lui non era dello stesso avviso. Era un tipo robusto, belloccio, e sicuramente stava bevendo da parecchio perché non vedeva l'ora di regolare la faccenda fuori.

Per un momento ci pensai davvero. " Hai sentito cosa ha detto la signorina, amico, tornatene dai tuoi compari…" Guardai verso Sam e Cassie: avevano smesso di osservarmi e stavano conversando fitto fitto, le teste vicine per sentire meglio in quel bailamme, e Sam stava illustrando qualcosa sul tavolo con il dito. All'improvviso, mi sentii mortalmente stanco di me stesso, del mio alter ego professionale e, di conseguenza, di Anna e di qualunque gioco stesse giocando con me e con quel Cillian. «Devo tornare dalla mia ragazza» le dissi, «scusami ancora per averti rovesciato il bicchiere» e mi allontanai dalla O di sorpresa che si era formata sulla sua bocca e dalla bellicosa espressione di Cillian.

Passai brevemente il braccio attorno alle spalle di Cassie mentre mi sedevo e lei mi lanciò uno sguardo sospettoso. «Ti è andata male? » chiese Sam.

«No» rispose Cassie al posto mio. «Scommetto che ha cambiato idea e le ha detto che ha la ragazza. Ed ecco il motivo per cui adesso è così sdolcinato. La prossima volta che lo fai, Ryan, baciò Sam così a lungo da stenderlo e lascio che i compari della tua amichetta te le suonino per averla presa in giro così. »

«Fantastico» fu l'allegro commento di Sam. «Mi piace questo gioco. »

 

All'ora di chiusura, Cassie e io tornammo al suo appartamento. Sam era andato a casa, era venerdì e non dovevamo alzarci presto il mattino dopo. Non sembrava esserci ragione per non restare ancora alzati a bere, a cambiare musica di tanto in tanto e lasciare che il fuoco lentamente si riducesse a un invisibile bagliore.

«Sai» disse pigramente Cassie mentre pescava dal suo bicchiere un pezzo di ghiaccio da masticare, «quello che abbiamo dimenticato è che i bambini pensano in modo diverso. »

«A cosa ti stai riferendo? » Stavamo parlando di Shakespeare, di qualcosa che aveva a che fare con le fate in Sogno di una notte di mezza estate, e la mia mente era rimasta lì. Immaginando che stesse per tirare fuori una qualche analogia da tarda notte fra il modo di pensare dei bambini e quella della gente adulta nel XVI secolo, mi stavo già apprestando alla risposta.

«Ci stiamo chiedendo come ha fatto a portarla sul luogo del delitto… no, smettila e ascolta. » Le stavo spingendo la gamba con il piede, lamentandomi: «Zitta, sono fuori servizio, non ti sento…». Ero confuso per la vodka, l'ora tarda e avevo deciso che quel caso frustrante, ingarbugliato e intrattabile mi aveva stancato. Volevo parlare ancora un po' di Shakespeare o magari giocare a carte. «Quando avevo undici anni un tipo provò a molestarmi. »

Smisi di scalciare e sollevai la testa per guardarla. «Cosa? » chiesi, forse con troppa sollecitudine. Eccola, finalmente, pensai, la stanza segreta di Cassie, e stavo per esserci invitato.

Mi guardò, divertita. «No, non mi fece nulla. Non fu niente di che. »

«Ah» dissi, scioccamente e appena un po' seccato. «Allora cosa accadde? »

«A scuola da me c'era la mania delle biglie: tutti giocavano a biglie, sempre, durante il pranzo, dopo la scuola. Si portavano in giro in un sacchetto di plastica e più ne avevi meglio era. Così un giorno che ero rimasta in punizione dopo la scuola…»

«Tu? Sono strabiliato» dissi. Mi girai su un fianco e recuperai il bicchiere. Non ero certo di dove sarebbe andata a parare con quella storia.

«Vaffanculo, solo perché tu eri il Signorino Perfettino. Comunque, stavo andando via, e uno del personale, non un insegnante… un custode o forse un bidello o roba del genere, uscì da un piccolo capanno e mi chiese: " Vuoi delle biglie? Io ne ho alcune bellissime, se vieni qui te ne regalo un po'". Era un vecchio, avrà avuto sessant'anni, con i capelli bianchi e dei baffi enormi. Così mi affacciai alla porta del capanno e dopo un po' entrai. »

«Dio, Cass. Che scemetta» la sgridai benevolmente. Bevvi un altro sorso, appoggiai il bicchiere e le presi i piedi sulle mie gambe per massaggiarglieli.

«No, te l'ho detto, non accadde niente. Mi venne dietro e mi mise le mani sotto le braccia, come se volesse sollevarmi, solo che poi cominciò a trafficare con i bottoni della mia camicetta. Gli chiesi: " Cosa sta facendo? " e lui: " Le biglie le tengo sullo scaffale là in alto. Ti tiro su così riesci a prenderle". Sapevo che c'era qualcosa di sbagliato, anche se non avevo idea di cosa fosse. Mi liberai e dissi: " Non le voglio, le biglie" e filai a casa di corsa. »

«Sei stata fortunata» commentai. Aveva i piedi magri e arcuati, riuscivo a sentirne i tendini anche attraverso i calzettoni morbidi che portava in casa, le piccole ossa che si muovevano sotto le mie dita. Me la immaginai a undici anni, tutta ginocchia e unghie mangiucchiate e occhi marroni seri seri.

«Sì, è vero. Dio solo sa cosa sarebbe potuto accadere. »

«Lo dicesti a qualcuno? » chiesi, ma solo perché volevo sapere di più di quella storia, essere il depositario di una qualche rivelazione, di un qualche terribile e vergognoso segreto.

«No. Mi sembrava troppo sgradevole, e comunque non sapevo neanche cosa raccontare. È questo il punto: non avevo proprio pensato che potesse avere a che fare col sesso. Sapevo del sesso, le mie amiche e io ne parlavamo in continuazione, sapevo che c'era qualcosa di sbagliato, sapevo che lui aveva cercato di sbottonarmi la camicetta, ma non feci mai due più due. Anni dopo, sui diciott'anni, qualcosa me lo ricordò perché vidi dei bambini giocare a biglie, o roba del genere. E all'improvviso capii: quell'uomo aveva cercato di molestarmi! »

«So esattamente cosa intendi» dissi. Era vero: avevo avuto la stessa sensazione archimedea a posteriori, non molto tempo prima, ma non ricordavo quando o forse era troppo difficile filtrare la cosa attraverso la vodka.

«I bambini non collegano le cose come fanno gli adulti» riprese Cassie. «Dammi i piedi che te li massaggio io. »

«Io non lo farei. Non senti le ondate di puzza dai calzini? »

«Dio, sei disgustoso. Non li cambi mai? »

«Solo quando rimangono attaccati al muro. Secondo la migliore tradizione degli scapoloni. »

«Non è una tradizione. È un'evoluzione al contrario. »

«Accomodati allora» le dissi, scoprendomi i piedi e allungandoli verso di lei.

«No. Trovati una ragazza. »

«Cosa? Cosa stai blaterando adesso? »

«Alle fidanzate non frega se hai le calze che puzzano di gorgonzola. Alle amiche sì. » Ciononostante, si diede una scrollatine alle mani in modo veloce e professionale e mi prese il piede. «Inoltre, romperesti anche un po' meno le palle se avessi una vita un po' più movimentata. »

«Senti chi parla» dissi, rendendomi conto mentre lo dicevo che non avevo idea di quanto movimento ci fosse nella vita di Cassie. Sapevo che c'era stato un quasi fidanzato prima che la conoscessi, un avvocato di nome Aidan, ma era scomparso dalla scena più o meno quando lei era entrata alla Narcotici. È difficile che i rapporti sopravvivano ai lavori sotto copertura. Ovviamente, se avesse avuto un ragazzo da allora lo avrei saputo, e mi piace pensare che avrei saputo anche se fosse uscita con qualcuno, con tutto quello che la cosa implica, ma a parte questo non avevo nessun'altra idea. Avevo sempre pensato che fosse perché non c'era niente da sapere, ma all'improvviso non ne ero più così certo. Lanciai uno sguardo incoraggiante a Cassie, ma lei, con il più enigmatico dei suoi sorrisi, continuò a massaggiarmi il tallone.

«L'altra cosa» riprese, «è il motivo per cui entrai là dentro. » Cassie ha una mente che sembra uno svincolo stradale a quadrifoglio: gira in varie direzioni e poi, per un qualche escheriano tipo di rifiuto della dimensione, ripiomba vertiginosamente al punto centrale. «Non fu solo per le biglie. Col suo accento così stretto, delle Midland, penso, mi sembrò che avesse detto: " Vuoi delle meraviglie? ". Insomma, sapevo che non era così, sapevo che aveva detto " biglie", ma una parte di me pensava che fosse uno di quei misteriosi vecchietti delle storie e che nel capanno avrei trovato scaffali e scaffali pieni di sfere magiche e pozioni e antiche pergamene e piccoli draghi chiusi in gabbie. Sapevo che era solo una baracca e che lui era solo un custode, ma nello stesso tempo pensavo anche che quella potesse essere la mia occasione per diventare uno di quei bambini che entrano nell'armadio e si ritrovano in un altro mondo, e non sopportavo l'idea di dover trascorrere il resto della vita con il dubbio di essermelo perso. »

 

Come faccio a spiegarvi com'era il rapporto fra me e Cassie? Dovrei portarvici, accompagnarvi per ogni sentiero della nostra segreta geografia condivisa. Il truismo ritiene impossibile una vera amicizia tra un uomo e una donna eterosessuali, impossibile che siano amici platonici. Noi invece sfidavamo l'impossibile, mettevamo giù i nostri cinque assi e scappavamo via facendoci beffe degli altri. Lei era la cugina con la quale trascorrevi l'estate, come nei libri, alla quale insegnavi a nuotare in un lago pieno di moscerini e le infilavi i girini nel costume, con la quale facevi le prove dei primi baci su una collina ricoperta di erica e con la quale ne ridevi anni dopo, con uno spinello clandestino in mano, nel solaio strapieno della nonna. Mi dipingeva le unghie color oro e mi sfidava a lasciarle così per andare al lavoro. Dicevo a Quigley che, secondo lei, lo stadio di Croke Park sarebbe diventato un centro commerciale, e la guardavo mentre cercava di decifrare i suoi farfuglii indignati. Tagliò la confezione del tappetino nuovo per il mouse e mi attaccò alla schiena la parte che diceva TOCCAMI – SENTI LA DIFFERENZA: me la tenni lì mezza giornata prima di accorgermene. Uscivamo dalla sua finestra e scendevamo per la scala antincendio fino al tetto aggettante del piano di sotto per starcene lì a bere cocktail improvvisati, a cantare canzoni di Tom Waits e a guardare le stelle che ruotavano sulle nostre teste.

No. Queste sono storie alle quali mi piace pensare, sono piccole monete brillanti e non senza valore. Ma, soprattutto, ogni giorno e qualunque cosa facessimo, era la mia collega. Non so spiegarvi cosa questa parola, perfino ora, mi faccia sentire, cosa significhi. Potrei raccontarvi di quando andavamo di stanza in stanza, con la pistola spianata davanti a noi, tenuta con entrambe le mani, in case silenziose dove ci era stato segnalato un sospetto armato, di quando aspettavamo dietro a ogni porta, o delle lunghe notti di sorveglianza, seduti in macchine scure a bere caffè nero da un thermos o a tentare di giocare a carte alla luce dei lampioni. Una volta inseguimmo a cento all'ora due ladri d'auto nel loro territorio, una zona abbandonata piena di graffiti e con aree adibite a discariche. Spingevo sull'acceleratore senza guardare il tachimetro. L'auto che inseguivamo andò a schiantarsi contro un muro e l'autista, un quindicenne, ci morì tra le braccia mentre cercavamo di tranquillizzarlo promettendogli la mamma e l'ambulanza. In un condominio che avrebbe stravolto la vostra immagine di umanità se l'aveste visto, un tossicomane mi minacciò con una siringa. Non era nemmeno lui che stavamo cercando ma suo fratello, e il nostro diverbio stava incanalandosi lungo le linee di una conversazione normale quando lui mosse la mano troppo in fretta e all'improvviso mi ritrovai con un ago puntato alla gola. Mentre me ne stavo lì immobile e sudato, pregando che a nessuno di noi venisse da starnutire, Cassie si sedette a gambe incrociate sulla moquette maleodorante, offrì una sigaretta al tizio e gli parlò per un'ora e venti minuti, durante i quali il nostro interlocutore ci richiese, nell'ordine, i portafogli, un'auto, una dose, una Sprite e di essere lasciato solo. Cassie gli parlò in modo così concreto e con un interesse così sincero che alla fine lui lasciò cadere la siringa e scivolò lungo il muro per sedersi accanto a lei. Stava per cominciare a raccontarle la storia della sua vita quando, recuperato il controllo, riuscii a mettergli le manette.

Le ragazze che sogno sono quelle gentili, quelle che guardano dalla finestra con un'aria un po' malinconica o che cantano vecchie e dolci canzoni al piano, con i lunghi capelli che ondeggiano, tenere come un melo in fiore. Una ragazza che scende in guerra con te e che ti copre le spalle è una cosa diversa, una cosa che ti fa tremare. Pensate alla prima volta in cui siete stati a letto con qualcuno, o alla prima volta che vi siete innamorati: a quell'esplosione accecante che vi ha lasciati elettrici fino alla punta delle dita, iniziati e trasformati. Ebbene, vi dico che non è nulla, assolutamente nulla, in confronto a ciò che si instaura quando, ogni giorno, l'uno mette semplicemente la propria vita nelle mani dell'altro.

 

 

La domenica di quel weekend pranzai con i miei. Ci vado, di tanto in tanto, anche se non so bene perché. Non siamo molto uniti, il meglio che riusciamo a fare è mantenere uno stato di reciproca e amichevole cortesia, come persone che si incontrano durante una vacanza e non sanno come concludere la conoscenza. A volte porto Cassie con me. I miei genitori la adorano. Lei scherza con mio padre sul giardinaggio e, spesso, quando aiuta mia madre in cucina, la sento ridere, felice come una bambina. I miei genitori fanno continue allusioni speranzose su quanto ci vedono uniti, ma noi le ignoriamo allegramente.

«Dov'è, oggi, Cassie? » mi chiese mia madre, dopo pranzo. Aveva cucinato la pasta con il formaggio. Pensa sempre che sia la mia pietanza preferita, e magari lo è pure stata in un certo momento della mia vita. La prepara come timida espressione di solidarietà, quando qualcosa sui giornali le fa capire che un mio caso non sta andando bene. Persino l'odore di quel piatto mi rende claustrofobico e mi fa venire l'orticaria. Eravamo in cucina, io stavo lavando i piatti e lei li asciugava. Mio padre era in salotto, stava guardando un film di Colombo alla TV. Avevamo acceso la luce anche se era solo metà pomeriggio.

«Penso che sia andata dai suoi zii» risposi. In realtà, forse in quel momento Cassie era sdraiata sul divano a leggere e mangiare gelato dalla vaschetta. Non avevamo avuto molto tempo per noi nelle ultime due settimane, e lei a volte sente il bisogno di una certa dose di solitudine, proprio come me. Ma se le avessi detto che Cassie stava trascorrendo la domenica da sola mia madre ne sarebbe rimasta turbata.

«Le attenzioni degli zii le faranno sicuramente bene. Dovete essere a pezzi, voi due. »

«Sì, siamo abbastanza stanchi» concordai.

«Tutto quel viavai da Knocknaree. »

I miei genitori e io non parliamo mai del mio lavoro, tranne che in termini molto generici, e non nominiamo mai Knocknaree. Sollevai di scatto la testa, ma mia madre stava osservando un piatto in controluce alla ricerca di aloni di bagnato.

«È un viaggio lungo, è vero» commentai.

«Ho letto sul giornale» continuò mia madre, «che la polizia ha parlato di nuovo con le famiglie di Peter e Jamie. Ci siete andati tu e Cassie? »

«Non dai Savage. Però ho parlato con la signora Rowan, sì. Questo ti sembra pulito? »

«Va benissimo. » Mi prese il piatto da forno dalle mani. «Come sta Alicia? »

Qualcosa nella sua voce mi fece sollevare di nuovo lo sguardo, sorpreso. Vide che la stavo osservando e, scostandosi i capelli dalla guancia con il dorso del polso, arrossì. «Ah, eravamo buone amiche. Alicia era… be', possiamo dire che era come una piccola sorella per me. Poi ci siamo perse di vista. Mi stavo solo chiedendo se sta bene, tutto qui. »

Fui assalito da un'improvvisa ondata di panico: se avessi saputo che Alicia Rowan e mia madre erano buone amiche, non mi sarei mai avvicinato a quella casa. «Penso che stia bene» risposi. «Date le circostanze, voglio dire. Tiene ancora la camera di Jamie come lei l'ha lasciata. »

Mia madre fece schioccare la lingua con tristezza. Lavammo e asciugammo piatti per un po', in silenzio. Si udivano soltanto il rumore delle posate e la voce di Peter Falk che interrogava qualcuno, nella stanza accanto. Fuori dalla finestra, un paio di gazze atterrarono sull'erba e cominciarono a battibeccare fra di loro con suoni rauchi.

«Quando sono due portano gioia» osservò mia madre, riferendosi alla famosa filastrocca secondo la quale una gazza porta sfortuna e due sono di buon auspicio. Sospirò. «Non me lo sono mai perdonato… di aver perso i contatti con Alicia. Lei non aveva nessun altro. Era una ragazza così dolce e innocente. Sperava ancora che il padre di Jamie avrebbe lasciato la moglie, dopo tutto quel tempo, e che sarebbero stati una famiglia… Si è mai sposata? »

«No, ma non mi è sembrata infelice. Davvero. Insegna yoga. » L'acqua nel lavello era diventata tiepida e unticcia. Presi il bollitore e aggiunsi altra acqua calda.

«È uno dei motivi per cui ci siamo trasferiti, sai? » disse mia madre. Mi voltava le spalle e stava dividendo le posate nel cassetto. «Non riuscivo a guardarli in faccia, Alicia, Angela e Joseph. Io avevo riavuto mio figlio sano e salvo e loro stavano attraversando l'inferno… Non volevo neppure uscire di casa per non rischiare di incontrarli. Ti sembrerà sciocco, ma mi sentivo colpevole. Pensavo che mi odiassero per averti riavuto tutto intero. Non so come potessero evitarlo. »

Quella rivelazione mi colse di sorpresa. Tutti i bambini sono egocentrici, e io non avevo mai pensato che ci fossimo trasferiti a beneficio di qualcun altro e non esclusivamente mio. «Non l'avevo mai considerata da questo punto di vista» ammisi. «Bel moccioso egoista. »

«Tu eri un piccolo tesoro» mi disse mia madre, inaspettatamente. «Il bambino più affettuoso del mondo. Quando tornavi a casa da scuola o dai giochi, mi davi sempre un abbraccio grande grande e un bacio. Lo facevi anche da più grandicello e mi chiedevi: " Ti sono mancato, mamma? ". E mi portavi sempre qualcosa: un sassolino dalla forma strana, un fiore… Li conservo ancora quasi tutti. »

«Io? » Ora ero felice di non aver portato Cassie. Immaginavo la luce maliziosa che si sarebbe accesa nei suoi occhi se fosse stata lì a sentire.

«Sì, tu. Per questo ero così preoccupata quando non riuscivamo a trovarti, quel giorno. » All'improvviso, mi strinse un braccio, quasi con violenza. Anche dopo tutti quegli anni, sentivo la tensione nella sua voce. «Ero in preda al panico. Tutti dicevano: " Saranno sicuramente solo scappati di casa, i bambini lo fanno, li troveremo subito", ma io rispondevo: " No. Non Adam". Eri un bambino dolce, buono. Sapevo che non ci avresti mai fatto una cosa del genere. »

Nel sentire pronunciare quel nome dalla sua voce ebbi un brivido, fulmineo, primordiale. «Penso che tu stia esagerando» obiettai. «Non ricordo di essere stato un bambino particolarmente angelico. »

Mia madre sorrise e guardò fuori dalla finestra della cucina. Quello sguardo perduto sul suo volto e il fatto che ricordasse cose che io non riuscivo a ricordare mi innervosirono. «Ah, non angelico. Premuroso. Stavi crescendo in fretta quell'anno. Avevi fatto in modo che Peter e Jamie la smettessero di tormentare quel povero bambino… come si chiamava? Quello con gli occhiali e con quella madre terribile che metteva a posto i fiori in chiesa…»

«Willy Little? Non fui io, fu Peter. Io sarei stato felice di tormentarlo fino alla fine dei tempi. »

«No, fosti tu» mi contraddisse con sicurezza mia madre. «Voi tre avevate fatto qualcosa che lo aveva fatto piangere e la cosa ti aveva scosso così tanto che decidesti che dovevate lasciarlo stare, quel povero bambino. Eri preoccupato che Peter e Jamie non avrebbero capito. Non te lo ricordi? »

«No» risposi, ed era proprio questo che mi dava più fastidio di tutta quella disagevole conversazione. Avrei dovuto preferire la sua versione della vicenda visto che, dopotutto, mi dipingeva in una luce migliore, ma non era così. Era ovviamente possibile che fosse stata lei, nel suo subconscio, a farmi diventare un eroe, o che vi avessi contribuito mentendole all'epoca. Nelle ultime settimane però ero arrivato a considerare i miei ricordi come piccoli tesori da scoprire e da tener cari, e mi sconvolgeva profondamente pensare che potessero brillare come oro falso, che fossero ingannevoli e molto lontani da ciò che sembravano. «Se non ci sono altri piatti da lavare, forse dovrei andare a parlare un po' con papà. »

«Gli farà piacere. Vai pure, posso finire io qui. Portati un paio di Guinness. Sono nel frigo. »

«Grazie per il pranzo» le dissi. «È stato squisito. »

«Adam» cominciò all'improvviso mia madre, quando feci per uscire dalla cucina, e un'altra pugnalata, rapida e insidiosa, mi colpì al costato e… Oh, Dio, come avrei voluto essere quel bambino dolce per un altro momento, come avrei voluto girarmi e affondare il viso nel suo caldo petto, e raccontarle fra i singhiozzi cosa avevano significato per me quelle ultime settimane. Pensai alla faccia che avrebbe fatto e mi morsi un labbro per trattenere un'insana risata.

«Volevo solo dirti» riprese timidamente, strizzando lo strofinaccio che aveva in mano, «che abbiamo fatto del nostro meglio per te, dopo. A volte mi assale il timore che abbiamo sbagliato tutto… ma avevamo paura che chiunque… sai… chiunque fosse tornato indietro e… stavamo solo cercando di fare del nostro meglio per te. »

«Lo so mamma» la rassicurai, «va tutto bene. » E con la sensazione di averla scampata per un pelo, mi rifugiai in salotto a guardare Colombo con mio padre.

 

«Come va il lavoro? » mi chiese, durante una pausa pubblicitaria. Frugò di fianco al cuscino per trovare il telecomando e abbassò il volume.

«Bene» gli risposi. Sullo schermo, un bambino sul water conversava animatamente con un cartone animato verde e con le zanne, immerso in una scia di miasmi.

«Sei un bravo ragazzo» disse mio padre, fissando la TV come se ne fosse incantato. Bevve un sorso dalla sua lattina di Guinness. «Sei sempre stato un bravo ragazzo. »

«Grazie. » Evidentemente, i miei se le erano dette prima quelle cose, in preparazione di quel pomeriggio, ma non riuscivo a capire cosa potessero implicare.

«E il lavoro ti va bene. »

«Sì, bene. »

«Ottimo, allora» concluse mio padre, e alzò di nuovo il volume.

 

Tornai al mio appartamento verso le otto. Andai in cucina e mi preparai un panino con il prosciutto, aggiungendovi un po' del formaggio a basso contenuto di grassi di Heather: avevo dimenticato di fare la spesa. La Guinness mi aveva lasciato gonfio e a disagio. Non sono un bevitore di birra, ma mio padre si preoccupa se bevo altro: per lui i superalcolici sono segno di alcolismo, o di incipiente omosessualità. Avevo la strana idea che mangiare qualcosa avrebbe assorbito la birra e mi avrebbe fatto stare meglio. Heather era in salotto. I suoi pomeriggi di domenica erano dedicati a una cosa che lei chiamava " Tempo per Me" e che comprendeva la visione di DVD di Sex and the City, un'ampia gamma di attrezzi misteriosi e un gran trambusto fra il bagno e il salotto con una luce di risoluta determinazione negli occhi.

Mi arrivò un SMS di Cassie: " Mi dai un passaggio in tribunale domani? Vestito buono + Golf Cart + tempo schifoso = look orrendo".

«Oh, merda» imprecai a voce alta. Il caso Kavanagh, un'anziana donna massacrata a Limerick durante una rapina, un anno prima. Cassie e io dovevamo testimoniare al mattino presto il giorno dopo. L'avvocato era venuto ad avvisarci, ce lo eravamo ricordati a vicenda venerdì eppure ero riuscito a dimenticarmene lo stesso.

«Cosa c'è? » trillò Heather, entusiasta, accorrendo dal salotto alla prospettiva di una conversazione. Misi via il suo formaggio e richiusi il frigo, pur sapendo che non sarebbe servito a molto: Heather sa al millesimo quanto le avanza di qualunque cosa. Una volta mi aveva tenuto il broncio fino a quando non le avevo comprato un nuovo panetto di costoso sapone organico perché ero rientrato ubriaco e mi ero lavato le mani con il suo. «Stai bene? » Era in vestaglia, con quella che sembrava una pellicola per alimenti intorno alla testa e un misto di profumi chimico‑ floreali addosso che faceva venire il mal di testa.

«Sì, bene» le dissi. Premetti RISPONDI e iniziai a scrivere a Cassie: " Perché, di solito, invece? Ci vediamo verso le 8. 30". «Avevo solo dimenticato che domani devo andare in tribunale. »

«Aaahh» fece Heather, sbarrando gli occhi. Si era dipinte le unghie color rosa pallido e le sventolava per asciugarle. «Potrei aiutarti a prepararti. Chessò, rivedere gli appunti con te, o roba del genere. »

«No, grazie. » In realtà non li avevo neanche, gli appunti, erano da qualche parte in ufficio. Mi chiesi se dovessi andare a prenderli, poi mi dissi che probabilmente avevo ancora troppo alcol in circolo.

«Oh… Okay, va bene. » Heather si soffiò sulle unghie e guardò il mio sandwich. «Oh, sei andato a fare la spesa? Tocca a te andare a comprare la candeggina per il bagno, sai? »

«Ci vado domani» le assicurai prendendo telefono e sandwich e dirigendomi in camera mia.

«Oh, be', immagino che possa aspettare fino a domani. Quello è il mio formaggio? »

 

Riuscii a liberarmi di Heather, anche se con difficoltà, e a mangiarmi il sandwich, che, ovviamente, non eliminò gli effetti della Guinness. Poi, seguendo la stessa logica, mi versai una vodka e tonic e mi sdraiai sul letto per ripassare mentalmente il caso Kavanagh.

Non riuscivo a concentrarmi. Particolari secondari mi rimbalzavano nella testa, vividi e inutili: la luce rossa tremolante della statua del Sacro Cuore nel salotto buio dell'aggredita, le frangette lunghe e rade dei due giovanissimi assassini, il terribile foro con il sangue rappreso nella testa della vittima, la carta da parati a fiori macchiata di umidità del B & B dove io e Cassie ci eravamo fermati. Ma nessun fatto importante: come avevamo rintracciato i colpevoli o se avessero confessato, o cosa avessero rubato, o perfino i loro nomi (" Shane Waters" mi rimbalzò in testa e io mi ci aggrappai con una fuggevole sensazione di trionfo, fino a quando non capii di cosa si trattava). Mi alzai e camminai per la stanza, misi la faccia fuori dalla finestra per respirare un po' di aria pulita, ma più cercavo di concentrarmi, meno riuscivo a ricordare. Dopo un po' non fui nemmeno più sicuro se il nome della vittima fosse Philomena o Fionnuala, quando appena un paio d'ore prima non avrei avuto bisogno nemmeno di pensarci (Philomena Mary Bridget).

Ero frastornato. Non mi era mai successo niente del genere. Penso di poter dire, senza vantarmi e per ironia della sorte, che ho sempre avuto una memoria molto buona, quel tipo di memoria a pappagallo che può assorbire e rigurgitare grandi quantità di informazioni senza molto sforzo e senza il bisogno di comprenderle. Era così che avevo superato gli esami di maturità ed era anche quello il motivo per cui non mi ero preoccupato più di tanto quando mi ero accorto di non avere con me gli appunti: mi era già successo in passato, una volta o due, di essermi dimenticato di rivederli, e non se ne era mai accorto nessuno.



  

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