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Tana French 17 страница



Cassie rise, ma la sua risata aveva un suono rabbioso.

«Le tue Tre Grandi esercitavano fin dall'inizio un certo controllo sul Consiglio di Contea» dissi.

«Così pare. »

«Hai parlato con i componenti del Consiglio? »

«Certo, per quello che è servito. Sono stati molto educati e così via, ma senza dire nulla, in realtà. Avrebbero potuto continuare ad andare avanti per ore senza darmi una sola risposta chiara. » Guardai di lato e notai lo sguardo vagamente divertito di Cassie: Sam, che aveva vissuto con un politico, avrebbe dovuto esserci abituato. «Hanno detto che le decisioni sulla riqualificazione erano… attese…» Girò le pagine del taccuino. «" Le nostre decisioni sono state in ogni circostanza mirate a favorire gli interessi della comunità intera in base alle informazioni di cui disponevamo in quel momento, e non sono state influenzate da alcun tipo di favoritismo. " Non è parte di una lettera o roba del genere. Il tizio con cui ho parlato mi ha veramente detto queste cose. Proprio mentre era con me. » Cassie fece il gesto di infilarsi un dito in gola.

«Quanti soldi servono per comprarsi i favori del Consiglio di Contea? » domandai.

Sam si strinse nelle spalle. «Per tutte quelle delibere, in un lasso di tempo così lungo, deve essere stata una bella montagna di soldi. Le Tre Grandi ne avevano investiti parecchi su quel terreno, in un modo o nell'altro. L'idea di spostare l'autostrada non poteva essergli gradita. »

«Quanto danno procurerebbe loro? »

Indicò due righe tratteggiate che tagliavano l'angolo a nordovest della mappa. «Secondo i periti che ho consultato, questo è il percorso alternativo più logico. È quello richiesto da " Spostiamo l'autostrada". Sono oltre tre chilometri di distanza, tra i sei e i sette in alcuni punti. Il terreno a nord del tracciato originale non ne sarebbe troppo colpito, e sarebbe ancora abbastanza accessibile, ma questi tipi hanno anche molto terreno a sud, e qui il valore scenderebbe in picchiata. Ho parlato con un paio di agenti immobiliari fingendo di essere interessato all'acquisto. Hanno confermato tutti che il terreno industriale accanto all'autostrada valeva il doppio di quello industriale, lontano appena cinque chilometri. Non ho fatto i conti al centesimo, ma la differenza potrebbe ammontare a diversi milioni. »

«Questo potrebbe certamente spingere qualcuno a fare qualche telefonata minatoria» disse piano Cassie.

«Potrebbe spingere perfino qualcuno» aggiunsi, «a spendere qualche soldo in più per assoldare un killer. »

Restammo in silenzio per un po'. Fuori la pioggerellina stava iniziando a diradarsi. Un timido raggio di sole illuminava la mappa e raggiungeva un tratto di fiume, disegnato con piccoli segni a penna e ombreggiato di rosso. Dall'altra parte della stanza, l'agente addetto al telefono delle informazioni alla polizia stava cercando di liberarsi di una persona che non lo lasciava letteralmente parlare. Alla fine Cassie domandò: «Ma perché Katy? Perché non colpire Jonathan? »

«Forse sarebbe stato troppo ovvio» ipotizzai. «Se avessero ucciso Jonathan, avremmo cercato subito tra i nemici che si era fatto per la campagna. Con Katy, potevano farlo sembrare un crimine a sfondo sessuale, così la nostra attenzione sarebbe stata sviata dalla faccenda dell'autostrada e Jonathan avrebbe ricevuto comunque il messaggio. »

«Ma se non riesco a trovare chi c'è dietro a queste tre società » intervenne Sam, «sono a un punto morto. Gli agricoltori non conoscono nessuno, il Consiglio di Contea sostiene di non sapere i nomi. Ho visto un paio di atti di compravendita e di domande ma erano firmati da avvocati, e questi sostengono di non potermi rivelare i nomi dei loro assistiti senza il permesso degli stessi. »

«Cristo. »

«E i giornalisti? » chiese Cassie all'improvviso.

Sam scosse la testa. «I giornalisti, cosa? »

«Hai detto che c'erano articoli sull'autostrada già nel 1994. Devono esserci dei giornalisti che hanno seguito la storia e dovrebbero avere un'idea di chi ha comprato il terreno, anche se non possono pubblicarlo. Siamo in Irlanda, non c'è niente di segreto. Ci sono solo cose di cui la gente non parla. »

«Cassie» disse Sam, illuminato in volto, «sei fantastica. Ti sei guadagnata una birra. »

«Invece di offrirmi una birra, non è che leggeresti i rapporti porta‑ a‑ porta al posto mio? O'Gorman struttura le frasi come George Bush. Il più delle volte non capisco di cosa parli. »

«Senti, Sam» dissi io, «se viene fuori qualcosa, saremo noi due a offrirti birra per un bel po'. » Sam si spostò verso la sua parte del tavolo e mentre passava assestò una pacca sulla spalla di Cassie. Si mise a esaminare una cartella di ritagli di giornale come un segugio alle prese con un odore nuovo, mentre io e Cassie tornavamo ai nostri rapporti.

Lasciammo la mappa attaccata al muro. Mi dava sui nervi, per motivi che neanche io riuscivo a comprendere. Penso che fosse per la sua perfezione, per i dettagli accuratamente rappresentati: foglioline arricciate nel bosco, piccole pietre bitorzolute sul muro del torrione. Forse nel mio subconscio pensavo che un giorno l'avrei guardata e vi avrei visto due faccine che ridevano e che si nascondevano fra gli alberi tratteggiati a china. In una delle macchie gialle, Cassie aggiunse la figura di un operatore immobiliare elegantemente vestito, con corna e piccole zanne acuminate. Disegna come un bambino di otto anni, ma mi spaventavo ogni volta che vedevo con la coda dell'occhio quella dannata cosa che mi guardava.

 

Per la prima volta cominciai a fare un tentativo serio di ricordare veramente cos'era successo in quel bosco. Mi affacciavo esitante sul limitare dei miei ricordi, a malapena ammettendo con me stesso quello che stavo facendo, come un bambino che si stacca una crosta ma ha paura di guardare. Facevo lunghe passeggiate – soprattutto nelle prime ore del mattino, quando non stavo da Cassie e non mi riusciva di dormire – vagabondando per ore in città come in trance, ascoltando i rumori della mia mente e ritrovandomi a fissare, stordito e sbattendo le palpebre, la trasandata insegna al neon di uno sconosciuto centro commerciale, o gli eleganti frontoni di qualche casa georgiana nella parte più chic di Dun Laoghaire, senza avere idea di come ci fossi arrivato.

Però funzionò, almeno fino a un certo punto. Libera, la mente rilasciava fiumi di immagini come diapositive che scorrevano a velocità doppia, e gradatamente imparai il trucco di allungarmi, mentre mi volavano accanto, per trattenerle e osservarle dispiegarsi tra le mie mani. I nostri genitori che ci portavano in città per comprare i vestiti per la prima comunione; Peter e io, eleganti nei nostri abiti scuri, piegati a metà da crudeli risate quando Jamie, dopo una lunga battaglia a bassa voce con sua madre, era uscita dal camerino delle donne con una bomboniera addosso e uno sguardo di ribrezzo sul viso; Mick il Matto, lo svitato locale, che indossava cappotti e guanti senza dita tutto l'anno e sussurrava fra sé e sé interminabili sequele di amare imprecazioni; Peter che ci diceva che Mick era pazzo perché da giovane aveva fatto delle cose sporche con una ragazza e lei stava per avere un bambino, così si era impiccata nel bosco e le era diventata la faccia nera. Un giorno Mick aveva iniziato a urlare fuori dal negozio di Lowry. I poliziotti lo avevano portato via con la loro auto e noi non lo avevamo più visto. Il mio banco a scuola, un vecchio e nodoso pezzo di legno con un obsoleto buco in alto per l'inchiostro, lucido per l'usura e coperto da anni di disegnini: una mazza da hurling, un cuore con delle iniziali scarabocchiate sopra, " Des Pearse è stato qui, 12/10/67". Niente di speciale, lo so, niente che ci aiutasse con il caso. Si trattava di immagini a malapena degne di essere menzionate. Ma ero abituato a dare per scontato che i primi dodici anni della mia vita fossero svaniti per sempre e il minimo ricordo aveva quindi un che di magico e potente, era un frammento della stele di Rosetta con un unico, intrigante carattere.

A volte riuscivo a ricordare qualcosa che, se non era utile, poteva essere considerato rilevante. Megadeth e Sandra, seduti sotto un albero… Avevamo capito, piano piano, un po' con la sensazione di ricevere un insulto, che non eravamo gli unici a reclamare il bosco come territorio che ci apparteneva per gestirci le nostre faccende. C'era una radura, in mezzo al bosco, non lontano dal vecchio castello: le prime campanule primaverili, spade di rami flessibili che lasciavano lunghe scie rosse sulle braccia, un folto cespuglio che a fine estate era pieno di more. A volte, quando non avevamo nient'altro da fare, andavamo a spiare i motociclisti. Ricordai un episodio, ma con l'impressione che facesse parte di qualcosa di abituale, di qualcosa che avevamo già fatto.

Una calda giornata d'estate, il sole sul collo e un sapore di Fanta ancora in bocca. La ragazza di nome Sandra era sdraiata nella radura dove l'erba era appiattita, Megadeth era quasi sopra di lei. Aveva la camicetta giù dalle spalle così che si vedevano le bretelle del reggiseno nero di pizzo. Aveva le mani fra i capelli di Megadeth e si baciavano con le bocche aperte. «Bleah, ti prendi i germi così » mi sussurrò all'orecchio Jamie.

Mi schiacciai ancora di più a terra, con l'erba che mi lasciava i segni sulla pancia dove la maglietta si era arrotolata. Respiravamo con la bocca per fare meno rumore.

Peter imitò il suono di un lungo bacio, ma piano, perché loro non sentissero. Per soffocare le nostre risate a crepapelle, ci mettemmo la mano sulla bocca, intimandoci l'un l'altro di stare zitti. Occhiali da Sole e la ragazza alta con i cinque orecchini erano dall'altra parte della radura. Anthrax restava quasi sempre al limitare del bosco, a scalciare il muro, a fumare e a lanciare sassi contro le lattine di birra. Peter prese un sassolino e, ridendo, lo fece rotolare nell'erba fino a pochi centimetri dalla spalla di Sandra. Megadeth, che respirava rumorosamente, non sollevò nemmeno lo sguardo. Rimanemmo con i visi schiacciati nell'erba fino a quando non ci passò la crisi di ridarella.

Poi Sandra girò la testa e guardò diritto verso di me, tra gli steli d'erba lunga e la cicoria. Megadeth la stava baciando sul collo e lei non si muoveva. Da qualche parte, accanto alla mia mano, una cavalletta saltellava nell'erba. Sostenni quello sguardo, con il cuore che batteva lento e pesante contro il terreno.

«Andiamo» mi sussurrò Peter con un tono d'urgenza nella voce. «Andiamo, Adam. » Mi sentii tirare per le caviglie e, dopo qualche contorsione, graffiandomi le gambe contro gli arbusti, ritornai sotto l'ombra degli alberi. Sandra mi stava ancora guardando.

 

Mi balzarono alla mente altri ricordi, alcuni tuttora difficili da affrontare. Ricordai, ad esempio, che scendevo le scale della nostra casa senza toccarle. Ricordo anche ora, in ogni dettaglio: la trama piena di nervature della carta da parati con i suoi bouquet di rose sbiadite, il modo in cui la luce del sole entrava dalla porta del bagno, scendeva giù per le scale, faceva brillare il pulviscolo e risaltare il marrone scuro della vernice della ringhiera; ricordo i movimenti abili e abituali della mia mano con cui mi spingevo sulla balaustra per librarmi serenamente al piano di sotto, i piedi che nuotavano a qualche centimetro dalla moquette.

Ricordai noi tre che trovavamo un giardino segreto, da qualche parte nel cuore del bosco, dietro un muro nascosto o una via d'accesso. Alberi da frutta inselvatichiti, meli, ciliegi, peri. Fontane di marmo in rovina, rivoli d'acqua che scorrevano ancora in percorsi nella pietra ricoperti di muschio. Grandi statue a ogni angolo, in alto coperte di edera, in basso soffocate dalle erbacce, braccia e teste mozzate sparse nell'erba lunga e nel cerfoglio selvatico. La luce grigia dell'alba, il rumore dei nostri passi, la rugiada sulle gambe nude, la mano di Jamie, piccola e rosea, sulle pieghe di un abito di pietra, il suo viso rivolto verso l'alto per guardare in quegli occhi vuoti. Il silenzio infinito. Ero consapevole del fatto che se quel giardino fosse esistito sarebbe stato trovato dagli archeologi che avevano condotto le prime esplorazioni, le statue ora sarebbero al Museo nazionale e Mark avrebbe fatto del suo meglio per descrivercele. Ma il problema era che io, quel giardino, me lo ricordavo ugualmente.

 

I ragazzi della sezione Reati informatici mi chiamarono una mattina presto: avevano finito di setacciare il computer del nostro ultimo candidato per la parte dell'Ombra con la Tuta Sportiva e confermarono che in effetti era on‑ line quando Katy era morta. Aggiunsero, con una certa dose di soddisfazione professionale che, anche se il povero bastardo divideva casa e computer con i genitori e la moglie, e‑ mail e post ai forum di discussione mostravano che i membri della famiglia cadevano in errori di spelling e di punteggiatura che erano caratteristici di ognuno; i post scritti mentre Katy stava morendo corrispondevano perfettamente a quelli del sospettato.

«Porco cane» imprecai riattaccando e prendendomi il viso fra le mani. Avevamo già il video della security del tipo del treno notturno che, al Supermac, intingeva le patatine nella salsa barbecue con la concentrazione glaciale dell'ubriaco che più ubriaco non si può. In fondo, una parte di me se lo aspettava, ma mi sentivo sfasato: niente sonno, poco caffè, un fastidioso mal di testa, ed era decisamente ancora troppo mattina per scoprire che la mia unica pista era svanita.

«Cosa c'è? » chiese Cassie sollevando lo sguardo dalle carte sparpagliate sulla sua scrivania.

«L'alibi del tipo con la Kawasaki è stato confermato. Se quello che Jessica ha visto è il nostro uomo, non è uno di Knocknaree, e non ho idea di dove andare a cercarlo. Sono di nuovo al punto di partenza. »

Cassie appoggiò le sue carte e si sfregò gli occhi. «Rob, quello che cerchiamo noi è uno del posto. Tutto ci porta in quella direzione. »

«E allora chi cazzo è Ombra con la Tuta? Se ha un alibi per l'omicidio e ha parlato con Katy anche solo una volta, perché non ce lo viene a dire? »

«Ipotizzando che esista veramente» disse Cassie, guardandomi di traverso.

Fui attraversato da uno scatto d'ira spropositato, quasi incontrollabile. «Scusa, Maddox, ma di cosa cazzo stai parlando? Stai dicendo che Jessica si è inventata tutto, così, solo per farci una risata? Le hai a malapena viste, quelle ragazze. Hai una minima idea di come siano distrutte? »

«Sto solo dicendo» rispose freddamente Cassie, con le sopracciglia inarcate, «che ci sono le circostanze per cui le ragazze potrebbero ritenere di avere un buon motivo per inventarsi una storia simile. »

Mezzo secondo prima di perdere completamente il controllo, afferrai il concetto. «Merda» sbottai. «I genitori. »

«Alleluia. Segni di vita intelligente. »

«Scusa» dissi. «Scusami per averti aggredito, Cass. I genitori… merda. Se Jessica pensa che sia stato uno dei suoi genitori e si è inventata tutta questa cosa…»

«Jessica? Pensi che potrebbe inventarsi una storia come questa? Parla a malapena. »

«Okay, allora Rosalind. Si inventa l'Ombra con la Tuta Sportiva per spostare l'attenzione dai genitori e insegna la storiella a Jessica. Quello che ci ha detto Damien è solo una coincidenza. Ma se lo ha fatto veramente, Cass… se ha davvero inventato tutta questa storia, deve sapere qualcosa di decisivo, cazzo. Lei o Jessica devono aver visto o sentito qualcosa. »

«Quel martedì …» Cassie si bloccò, ma il pensiero passò comunque fra di noi, troppo gotico e orribile per dargli voce. Quel martedì, il corpo di Katy doveva essere rimasto da qualche parte.

«Devo parlare con Rosalind» dissi e mi lanciai sul telefono.

«Rob, non rincorrerla. La farai allontanare. Lascia che sia lei a venire da te. »

Aveva ragione. Puoi picchiarli, i bambini, stuprarli, abusarne in migliaia di modi: non tradiranno mai i genitori chiedendo aiuto. Se Rosalind stava coprendo Jonathan o Margaret, o entrambi, le sarebbe crollato il mondo addosso se avesse detto la verità. Quel momento doveva arrivare con i suoi tempi. Se avessi provato a forzarla, l'avrei persa. Riagganciai la cornetta.

Ma Rosalind non chiamò. Dopo un giorno o due non riuscii più a dominarmi e la chiamai io sul cellulare: per diverse ragioni, alcune più articolate e problematiche di altre, non volli farlo sulla linea fissa. Non mi rispose. Lasciai dei messaggi, ma non richiamò.

 

Un grigio e squallido pomeriggio, io e Cassie andammo a Knocknaree per vedere se i Savage o Alicia Rowan avevano qualcosa di nuovo da dirci. Era il giorno dopo che avevamo parlato con Carl dei pazzi che popolavano Internet e pativamo tutti e due i postumi di una brutta sbornia. Non ci dicemmo granché in macchina. Cassie guidava, io guardavo fuori dal finestrino le foglie mosse da un vento traditore che arrivava a folate. Spruzzi di una pioggerella sottile bagnavano il parabrezza. Nessuno di noi era certo del fatto che io dovessi andare dove stavamo andando.

All'ultimo momento, quando avevamo già svoltato nella mia vecchia via e Cassie stava parcheggiando l'auto, decisi di rinunciare. Non volevo più andare a casa di Peter, e non perché la strada mi avesse all'improvviso sommerso di ricordi o roba del genere. Anzi, era esattamente il contrario. Vedevo quella strada come qualsiasi altra del quartiere, e proprio questo mi faceva sentire sbilanciato e in una posizione di svantaggio, come se Knocknaree mi avesse di nuovo battuto uno a zero. Avevo trascorso una quantità di tempo incredibile a casa di Peter e per un qualche oscuro motivo sentivo che la sua famiglia avrebbe potuto riconoscermi più facilmente se non fossi stato io a riconoscere loro per primo.

Dall'auto, osservai Cassie avvicinarsi alla porta di Peter e suonare il campanello. Una figura spettrale la fece accomodare. Poi scesi e mi avviai lungo la strada verso la mia vecchia casa. L'indirizzo, 11 di Knocknaree Way, Knocknaree, Contea di Dublino, mi tornò in mente nel modo automatico in cui si recita una cosa imparata a memoria.

Era più piccola di quanto ricordassi, più stretta. Il giardino era un quadrato minuscolo, non era più quello immenso e pieno di verde che avevo in mente. Era stata riverniciata non molto tempo prima di un allegro giallo con rifiniture bianche. Vicino al muro, alti cespugli di rose rosse e bianche stavano perdendo gli ultimi petali. Mi chiesi se fosse stato mio padre a piantarle. Rivolsi lo sguardo verso la finestra della mia camera e in quel momento il meccanismo si sbloccò: ora la sentivo casa mia, ci ero vissuto. Nelle mattine di scuola, ero corso fuori da quella porta con la cartella piena di libri, mi ero affacciato da quella finestra per chiamare Peter e Jamie, avevo imparato a camminare in quel giardino, ero andato in bicicletta su e giù proprio in quella strada, fino al momento in cui avevamo scavalcato il muro ed eravamo corsi nel bosco.

Nel vialetto, c'era una piccola Polo color argento, pulitissima, e un bambino biondo, di tre o quattro anni, stava pedalando attorno alla macchina seduto in un camion dei pompieri di plastica, imitando il suono della sirena. Quando arrivai al cancello, si fermò e mi rivolse una lunga occhiata solenne.

«Ciao» dissi.

«Va' via» mi apostrofò lui, dopo un po', in tono deciso.

Non seppi cosa rispondergli, ma per fortuna non ce ne fu bisogno: la porta d'ingresso si aprì e la madre del bambino, una donna sulla trentina, anche lei bionda, di un carino standard, accorse nel vialetto e posò una mano protettiva sulla sua testa. «Desidera? » mi chiese.

«Detective Robert Ryan» mi presentai, cercando il distintivo nella tasca. «Stiamo indagando sulla morte di Katharine Devlin. »

Prese il documento e lo osservò attentamente. «Non so come potrei aiutarla» rispose, restituendomelo. «Abbiamo già parlato con gli altri detective. Non abbiamo visto niente. I Devlin li conosciamo appena. »

I suoi occhi erano ancora diffidenti. Il bambino cominciava a dare segni d'inquietudine, imitava il rumore del motore e muoveva il volante, ma lei lo teneva fermo con la mano sulla spalla. Della musica, credo Vivaldi, proveniva debolmente dalla porta aperta, e per un momento arrivai davvero molto vicino a chiederle: " Ci sono alcune cose che desidererei controllare. Le dispiace se entro un momento? ". Però mi dissi che Cassie si sarebbe preoccupata se fosse uscita dalla casa dei Savage e non mi avesse visto. «Stiamo semplicemente riverificando tutto» conclusi. «Grazie per il suo tempo. »

La donna rimase a guardarmi mentre mi allontanavo. Quando risalii in auto, la vidi raccogliere il camion dei pompieri, metterselo sotto un braccio e, con il bambino sotto l'altro, riportarli entrambi in casa.

 

Rimasi seduto a lungo in auto, a osservare la strada e a pensare che sarei riuscito ad affrontare molto meglio il tutto se i postumi della sbornia non fossero più stati tali. Alla fine, la porta della casa di Peter si aprì e sentii delle voci: qualcuno stava accompagnando Cassie lungo il vialetto. Girai di scatto la testa facendo finta di guardare dall'altra parte, perso nei miei pensieri, fino a che non sentii la porta richiudersi.

«Niente di nuovo» disse Cassie, affacciandosi nel riquadro del finestrino della macchina. «Peter non aveva mai detto di aver paura di qualcuno, o che qualcuno l'avesse infastidito. Era un bambino intelligente, sapeva che non doveva seguire gli sconosciuti, forse era solo un po' troppo sicuro di sé e questo avrebbe potuto metterlo nei guai. Non hanno sospetti su nessuno ma si sono domandati se non si sia trattato allora della stessa persona che ha ucciso Katy adesso. Ci sono rimasti piuttosto male. »

«Come tutti noi» dissi.

«Ma sembra che se la cavino. » Non ero riuscito a chiederlo io stesso, ma era quello che volevo sapere. «Il padre non è stato contento di dover tirare fuori tutto di nuovo, ma la madre è stata gentilissima. Tara, la sorella di Peter, vive ancora in casa. Mi ha chiesto di te. »

«Di me? » chiesi, con un piccolo e irrazionale guizzo di panico allo stomaco.

«Voleva sapere se avevo idea di come stavi. Le ho detto che i poliziotti avevano perso le tue tracce, ma che per quanto ne sapevamo stavi bene. » Sorrise maliziosamente. «Penso che tu le piacessi, all'epoca. »

Tara: un anno o due meno di noi, tutta gomiti e occhi, il tipo di bambina che cercava sempre qualcosa da andare a spifferare alla madre. Grazie al cielo, non ero entrato. «Forse dovrei andare a parlarle, dopotutto» scherzai. «È carina? »

«Proprio il tuo tipo: una bella ragazza ben piantata, con i fianchi che sembrano fatti apposta per avere tanti bambini. Fa il vigile urbano. »

«E che altro poteva fare? » dissi. Cominciavo a sentirmi meglio. «Le chiederò di mettersi l'uniforme al nostro primo appuntamento. »

«Un modo per avere tante informazioni. Okay, passiamo ad Alicia Rowan. » Cassie si raddrizzò e controllò il taccuino per il numero civico. «Vuoi venire? »

Mi ci volle poco per decidere. Non avevamo trascorso molto tempo da Jamie, per quanto mi riusciva di ricordare. Quando eravamo in casa, era quasi sempre da Peter: da lui c'era baccano e allegria, c'erano fratelli, sorelle e animali, c'era sua madre che preparava biscotti allo zenzero e c'era il televisore comprato a rate per guardare i cartoni animati. «Certo» acconsentii. «Perché no? »

 

Fu Alicia Rowan ad aprirci la porta. Era ancora bella, anche se in un modo sbiadito e nostalgico – ossatura delicata, guance scavate, tanti capelli biondi e grandi occhi blu tormentati – da star del cinema dimenticata alla quale lo scorrere del tempo ha donato fascino. Vidi la piccola scintilla esausta della speranza e della paura ravvivarsi nei suoi occhi quando Cassie ci presentò e svanire nel sentire pronunciare il nome di Katy Devlin.

«Sì » disse, «sì, certo, quella povera bambina… Pensano… pensate che abbia qualcosa a che fare con…? Entrate, prego, venite pure. »

Non appena mettemmo piede in casa capii che era stata una cattiva idea. Fu l'odore stesso, di sandalo e camomilla, che arrivò direttamente al mio subconscio a far riemergere moltissimi ricordi. Il pane a merenda. Il dipinto di una donna nuda, sul pianerottolo, davanti al quale ci lasciavamo andare a gomitate e risatine. Nascondersi in un armadio, con le braccia attorno alle ginocchia e gonne di cotone trasparente che mi solleticavano la faccia come fumo, " quarantanove, cinquanta! " da qualche parte nell'ingresso.

Ci portò in salotto (un copridivano fatto a mano, un Buddha sorridente di giada color fumo sul tavolino; mi venne in mente il meticoloso arredamento classe medio‑ bassa dei Devlin e mi chiesi che cosa ne avesse fatto la Knocknaree degli anni Ottanta di Alicia Rowan) e Cassie partì con la tiritera di rito. Sul caminetto c'era (ovvio che ci fosse, strano che non ci avessi pensato) un'enorme fotografia incorniciata di Jamie seduta sul muretto che strizzava gli occhi per il sole e rideva, il bosco nero e verde alle sue spalle. Ai lati, altre piccole fotografie, anch'esse in cornice, e una era di tre ragazzini che si tenevano vicini, l'uno col braccio al collo dell'altro, delle coroncine di carta in testa, forse per un Natale o un compleanno… " Avrei dovuto farmi crescere la barba" pensai, in preda al panico, guardando da un'altra parte. " Cassie avrebbe dovuto darmi il tempo di…"

«Nel nostro fascicolo» disse Cassie, «il rapporto iniziale dice che lei chiamò la polizia dicendo che sua figlia e i suoi amici erano scappati. C'era un motivo che le avesse fatto pensare che fossero fuggiti, piuttosto che, diciamo, si fossero persi o avessero avuto un incidente? »

«Be', sì. Vede… Oh, Dio, …» Alicia Rowan si passò le mani fra i capelli. Erano mani lunghe, che parevano prive di ossa. «Volevo mandare Jamie in collegio e lei non ci voleva andare. Mi fa sembrare incredibilmente egoista… e forse lo ero. Ma avevo davvero i miei motivi. »

«Signora Rowan» disse Cassie, in tono gentile, «non siamo qui per giudicarla. »

«Oh, no, lo so, lo so. Ma ognuno giudica se stesso, no? E voi dovreste… Oh, dovrei raccontarvi tutta la storia perché poteste capire. »

«Ci farebbe piacere sentirla. Qualunque cosa potrebbe esserci d'aiuto. »

Alicia annuì, senza molta speranza. Doveva aver sentito quelle parole così tante volte, negli anni. «Sì, sì, certo, capisco. »

Inspirò profondamente ed espirò, con gli occhi chiusi, forse contava fino a dieci. «Bene…» cominciò. «Avevo solo diciassette anni quando ebbi Jamie, sapete. Suo padre era un amico dei miei genitori, era molto molto sposato, e io molto molto innamorata di lui. Una relazione sembrava una cosa così sofisticata e audace… stanze di motel, storie inventate… e poi non credevo nel matrimonio. La trovavo una forma di oppressione fuori moda. »

Il padre di Jamie, George O'Donovan, avvocato di Dublino, era nel fascicolo, ma trenta e passa anni dopo Alicia lo stava ancora coprendo. «Poi però scoprì di essere incinta» la spronò Cassie.

«Sì. Lui ne fu sconvolto. I miei genitori vennero a sapere tutta la storia, e naturalmente anche loro ne furono sconvolti. Dicevano tutti che dovevo dare il bambino in adozione, ma io non volevo. Mi impuntai. Dissi che avrei tenuto la bambina e che l'avrei cresciuta da sola. Immagino che lo ritenessi un punto a favore per i diritti delle donne, una ribellione contro il patriarcato. Ero molto giovane. »

Era stata fortunata. Per molto meno, nell'Irlanda del 1972 le donne venivano rinchiuse a vita nei manicomi o nelle famigerate lavanderie di Santa Magdalen. «Fu una scelta molto coraggiosa» disse Cassie.

«Oh, grazie, detective. Sa, pensavo di essere una persona molto forte, allora. Ma mi chiedo se sia stata la decisione giusta. Sapete, se avessi dato Jamie in adozione…» Le si affievolì la voce.

«Si sono riavvicinati, alla fine? » chiese Cassie. «La sua famiglia e il padre di Jamie? »

Alicia sospirò. «Be', no. In realtà, no. Alla fine dissero che avrei potuto tenere la bambina se fossimo rimaste entrambe fuori dalle loro vite. Avevo screditato la nostra famiglia e, ovviamente, il padre di Jamie non voleva che sua moglie lo scoprisse. » Non c'era rabbia nella sua voce, solo sconcerto, un triste sconcerto. «I miei genitori mi comprarono questa casa, carina e lontana. Io sono originaria di Dublino, di Howth, e mi davano un po' di soldi ogni tanto. E ogni tanto mandavo una lettera al padre di Jamie per dirgli come stava e anche delle fotografie. Ero sicura che prima o poi sarebbe venuto e avrebbe voluto cominciare a vederla. E, chissà, forse sarebbe anche successo. Non lo so. »



  

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