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Tana French 16 страница



 

Facevo fatica a addormentarmi anche quando ne avevo l'opportunità. Mi capita spesso, come ho detto, ma in quella situazione era diverso: durante quelle settimane continuavo a scoprirmi intrappolato in una zona confusa fra il sonno e la veglia, incapace dell'uno o dell'altra. " Attento! " mi urlavano all'improvviso delle voci nell'orecchio. Oppure: " Non riesco a sentirti. Cosa? Cosa? ". Sognavo di intrusi che si aggiravano furtivamente per casa, scorrevano i miei appunti di lavoro, maneggiavano le mie camicie nell'armadio. Sapevo che non potevano essere reali, ma mi ci voleva un eterno momento di panico per svegliarmi e combatterli o vederli svanire. Una volta mi ritrovai addossato alla parete accanto alla porta della camera da letto, che brancolavo selvaggiamente nel buio alla ricerca dell'interruttore della luce, le gambe a malapena in grado di sorreggermi. Mi girava la testa e udivo un gemito attutito che proveniva da qualche parte. Ci misi un bel po' a capire che si trattava della mia voce. Accesi la luce e arrancai di nuovo verso il letto, dove rimasi, troppo scosso per riaddormentarmi, fino al suono della sveglia.

In quel limbo, continuavo anche a sentire voci di bambini. Non erano quelle di Peter e Jamie: erano bambini molto lontani che cantavano filastrocche che non ricordavo di sapere. Le loro voci erano allegre, spensierate e troppo pure per essere umane, accompagnate dall'animato ritmo di un complesso battimani. Say say my playmate, come out and play with me, climb up my apple tree… See my king all dressed in red, bet you five shillings that he'll kill you dead…* A volte quei deboli ritornelli mi rimanevano in testa per tutto il giorno, ineludibile musica di sottofondo a tutto quello che facevo. Vivevo nel terrore che O'Kelly mi sentisse canticchiarli. Rosalind mi chiamò sul cellulare il giorno seguente. Ero in sala operativa, Cassie era andata a parlare con quelli della sezione Persone scomparse. Dietro di me, O'Gorman stava sbraitando perché un tizio non lo aveva trattato con il dovuto rispetto durante il porta‑ a‑ porta. Dovetti premere il telefono contro l'orecchio per sentire quello che diceva. «Detective Ryan, sono Rosalind… mi dispiace disturbarla, ma pensa di avere un po' di tempo per venire a parlare con Jessica? »

Rumori di città in sottofondo: automobili, conversazioni a voce alta, il bip frenetico di un segnale pedonale. «Certamente» risposi. «Dove siete? »

«Siamo a Dublino. Possiamo incontrarci al bar del Central Hotel fra, diciamo, dieci minuti? Jessica ha qualcosa da dirle. »

Cercai il fascicolo principale e iniziai a scorrerlo velocemente per controllare la data di nascita di Rosalind: se dovevo parlare con Jessica, avevo bisogno che fosse presente un " adulto competente". «I vostri genitori sono con voi? »

«No, io… no. Penso che Jessica si sentirebbe più a suo agio a parlare senza di loro, se per lei va bene. »

Mi si drizzarono le antenne. Avevo trovato la pagina con i dati della famiglia: Rosalind aveva diciotto anni, quindi per quanto mi riguardava era " competente". «Nessun problema» dissi. «Ci vediamo là. »

«Grazie, detective Ryan, sapevo di potere contare su di lei. Mi dispiace farle fretta, ma noi… noi dobbiamo tornare a casa prima…» Un bip e la comunicazione cessò: aveva esaurito la batteria o il credito. Lasciai un biglietto per Cassie, " Torno presto", e uscii.

 

Rosalind aveva gusto. Il bar del Central si ostinava a mantenere un'atmosfera vecchio stile: le modanature del soffitto, le ampie e comode poltrone che occupavano, e sprecavano, un sacco di spazio, gli scaffali con strani vecchi libri dalla rilegatura elegante: tutto esibiva un soddisfacente contrasto con la confusione incredibile della strada su cui si affacciava. A volte ci andavo, il sabato, bevevo un bicchierino di brandy e mi gustavo un sigaro, prima che fosse introdotto il divieto di fumare, e trascorrevo il pomeriggio a leggere l'" Almanacco dell'Agricoltore" del 1938 o poesie vittoriane di terz'ordine.

Rosalind e Jessica sedevano a un tavolo vicino alla finestra. Rosalind, con i morbidi riccioli raccolti, era vestita di bianco, con una gonna lunga e una camicetta di garza dall'aria stropicciata, intonata all'ambiente. Sembrava appena arrivata da un party in giardino dell'epoca di re Edoardo. Era china a sussurrare qualcosa all'orecchio di Jessica e con una mano, lentamente, le accarezzava i capelli.

Jessica stava seduta in poltrona con le gambe piegate sotto di sé. Mi colpì di nuovo quasi come la prima volta. Il sole che entrava dai grandi vetri la comprendeva in una colonna di luce trasformandola in un'altra, radiosa visione, una visione vivida, appassionata e perduta. La bella V formata dalle sue sopracciglia, l'inclinazione del naso, la curva piena e infantile delle labbra: l'ultima volta che avevo guardato quel viso, era spento e ricoperto di sangue, e giaceva sul tavolo di acciaio di Cooper. Ora la vedevo come una sospensione, una Euridice restituita dall'oscurità a Orfeo per un breve, prezioso momento. Con un'intensità da togliermi il fiato, avrei voluto posare una mano sulla sua testa morbida, stringerla forte a me e sentirla piccola, calda e viva; proteggerla, come se così facendo avessi potuto in qualche modo cambiare il tempo e proteggere anche Katy.

«Rosalind, Jessica» le salutai.

Quest'ultima si tirò indietro e sgranò gli occhi. L'illusione sparì. Stringeva qualcosa, una bustina di zucchero presa dal contenitore in mezzo al tavolo. Si portò l'angolo alla bocca e iniziò a succhiarlo.

Il viso di Rosalind si illuminò. «Detective Ryan! Che piacere vederla. So di averglielo chiesto con poco anticipo, ma… oh, si sieda, si sieda…» Avvicinai un'altra poltrona. «Jessica ha visto qualcosa che penso lei debba sapere. Vero, cucciola? »

Jessica si strinse nelle spalle con una strana contorsione.

«Ciao, Jessica» dissi con la voce più bassa e più calma che mi fu possibile. La mia mente stava andando in molte direzioni, contemporaneamente: se questo aveva qualcosa a che fare con i genitori allora avrei dovuto trovare un posto per le ragazze, e per Jessica sarebbe stato terribile sul banco dei testimoni. «Mi fa piacere che abbiate deciso di dirmelo. Che cosa hai visto? »

Le sue labbra si schiusero. Si dondolò un po' nella poltrona. Poi scosse la testa.

«Oh, santo cielo… immaginavo che sarebbe potuto accadere. » Rosalind sospirò. «Bene. Mi ha detto che ha visto Katy…»

«Grazie, Rosalind» la interruppi, «ma devo assolutamente sentirlo da Jessica. Una dichiarazione " per sentito dire" non è ammessa in tribunale. »

Colta alla sprovvista, Rosalind mi lanciò uno sguardo assente. Alla fine annuì. «Be'» disse, «se questo è ciò di cui ha bisogno, spero… spero soltanto…» Si chinò su Jessica e, sorridendole, cercò di attirare il suo sguardo. Le mise i capelli dietro l'orecchio. «Jessica? Piccola? Devi dire al detective Ryan quello di cui abbiamo parlato, tesoro. È importante. »

Jessica spostò la testa. «Non ricordo» sussurrò.

Il sorriso di Rosalind si spense. «Avanti, Jessica. Te lo ricordavi bene prima di venire fin qua e di distogliere il detective Ryan dal suo lavoro, no? »

Jessica scosse di nuovo la testa e mordicchiò la bustina di zucchero. Le tremava il labbro.

«Va tutto bene» dissi. Avrei voluto scuoterla. «È solo un po' nervosa. Ha passato dei momenti difficili. Vero, Jessica? »

«Entrambe abbiamo passato dei momenti difficili» precisò Rosalind, tagliente, «ma una di noi deve comportarsi da adulta e non da bambina stupida. » Jessica divenne ancora più piccola nel suo maglione già troppo grande.

«Lo so» dissi, in quello che speravo fosse un tono conciliatorio. «Lo so. Capisco quanto sia difficile…»

«No, in realtà, detective Ryan, non lo sa. » Il ginocchio accavallato di Rosalind si muoveva con rabbia. «Nessuno può capire come ci si sente. Non so perché siamo venute qui. Jessica non riesce a dirle cosa ha visto e ovviamente lei non ritiene che sia importante. Possiamo anche andarcene. »

Non potevo perderle. «Rosalind» le dissi con tono pressante, sporgendomi sul tavolo, «sto prendendo tutta questa storia molto seriamente. E vi capisco. Davvero, vi capisco. »

Rosalind rise, amara, cercando la sua borsa sotto il tavolo. «Oh, ne sono certa. Mettilo giù, Jessica. Andiamo a casa. »

«Rosalind, io capisco. Quando avevo circa l'età di Jessica, due miei amici scomparvero. So cosa state passando. »

Sollevò la testa e mi guardò.

«So che non è come perdere una sorella…»

«No, infatti. »

«… ma so come è difficile per chi rimane. Mi impegnerò a fondo perché riceviate delle risposte, okay? »

Rosalind continuò a guardarmi per un altro lungo momento. Poi lasciò cadere la borsa e rise, di sollievo, fino a rimanere senza fiato. «Oh… oh, detective Ryan! » Senza rendersene conto si era allungata sul tavolo e mi aveva preso la mano. «Lo sapevo che c'era un motivo per cui pensavo che fosse la persona giusta per questo caso! »

Non l'avevo mai vista così e quella constatazione mi faceva star bene. «Spero che tu abbia ragione» le dissi.

Le strinsi la mano, doveva essere un gesto rassicurante, ma improvvisamente lei capì quello che aveva fatto e la ritirò, imbarazzata. «Oh, non intendevo…»

«Sai cosa? » proposi. «Possiamo parlare un po', tu e io, fino a quando Jessica non si sentirà pronta a dirmi quello che ha visto. Che ne dici? »

«Jessica? Cucciola? » Rosalind le toccò il braccio e lei ebbe un sussulto. Aveva gli occhi sbarrati. «Ti va di rimanere qui un po'? »

Jessica ci pensò, guardando Rosalind in faccia. Rosalind le sorrise. Alla fine annuì.

Andai a prendere due caffè, per me e Rosalind, e una 7‑ Up che Jessica tenne con entrambe le mani, rimanendo a fissare come ipnotizzata le bollicine che salivano verso l'alto nel bicchiere mentre io e Rosalind parlavamo.

Se devo essere sincero, non mi ero aspettato di godermi la conversazione con una teenager, ma Rosalind era una ragazza particolare. Lo shock iniziale per la morte di Katy si era dissolto e per la prima volta ebbi la possibilità di vedere com'era veramente: estroversa, vivace, frizzante, incredibilmente brillante. Mi chiesi dove fossero le ragazze così quando avevo diciott'anni. Era ingenua, ma lo sapeva; faceva battute su se stessa («… è venuto direttamente da me e mi ha detto: " Dammi i soldi! " e io ero così sorpresa che gli ho risposto: " Oh, non ho molti soldi, ma le va un po' di cioccolata? ". E lui è rimasto così sorpreso che ha detto: " Grazie, cara", ha preso la cioccolata e se ne è andato…») con un tale entusiasmo e un'espressione così furba che – nonostante il contesto, la mia preoccupazione che tutta quell'ingenuità un giorno avrebbe potuta metterla in pericolo, Jessica che se ne stava lì e guardava le particelle invisibili come un gatto – risi di gusto.

«Cosa vuoi fare dopo la scuola? » le chiesi. Ero davvero curioso, non riuscivo a immaginare una ragazza così chiusa in un ufficio tutto il giorno.

Rosalind sorrise, ma un'ombra appena accennata di tristezza le attraversò il volto. «Mi piacerebbe studiare musica. Suono il violino da quando avevo nove anni e compongo un po'. Il mio insegnante dice che sono… be', dice che non dovrei avere problemi a entrare in una buona scuola. Ma…» Sospirò. «Costa molto e i miei… i miei genitori non sono proprio d'accordo. Vogliono che segua un corso di segretaria. »

Però avevano sempre sostenuto le ambizioni di Katy di entrare alla Royal Ballet School. A Violenza domestica m'erano capitati casi come quello, dove i genitori sceglievano il figlio prediletto o il capro espiatorio (Jonathan, infatti, aveva detto, il primo giorno: «Era la mia piccolina») e per gli altri fratelli e sorelle era come crescere in una famiglia diversa. Pochi di loro finivano bene.

«Troverai il modo» dissi. L'idea che facesse la segretaria era ridicola. Ma come ragionava Devlin? «Una borsa di studio o qualcosa del genere. A quanto pare sei brava. »

Abbassò la testa, con modestia. «Be', l'anno scorso l'Orchestra giovanile nazionale ha eseguito una sonata che ho scritto io. »

Ovviamente non le credetti. La bugia era chiara: un evento di quella portata, qualcuno l'avrebbe menzionato durante il porta‑ a‑ porta. Ma mi arrivò dritto al cuore, come nessuna sonata avrebbe mai potuto, perché la riconobbi come tale. " Questo è il mio fratello gemello, si chiama Peter, ha sette minuti più di me…" I bambini, e Rosalind era poco più di una bambina, non dicono bugie senza senso, a meno che la realtà non sia troppo pesante da sopportare.

Fui lì lì per lasciarmelo sfuggire. " Rosalind, so che c'è qualcosa che non va a casa, dimmi, lascia che ti aiuti…" Ma era troppo presto. Avrebbe eretto nuovamente tutte le sue difese, avrebbe distrutto quello che ero riuscito a fare. «Bene» dissi. «È proprio una gran bel risultato. »

Rise, un po' imbarazzata, e mi guardò da sotto in su.

«I suoi amici» mi chiese timidamente. «Quelli che sono spariti. Cosa è successo? »

«È una storia lunga» dissi. Mi ci ero ficcato da solo in quella situazione e non avevo idea di come uscirne. Gli occhi di Rosalind cominciavano a diventare sospettosi. Di certo non avrei iniziato a raccontare tutta la storia di Knocknaree, ma l'ultima cosa che volevo era perdere la sua fiducia dopo tutta quella fatica.

Fu Jessica, di tutte le persone, a salvarmi: si mosse un po' sulla poltrona, allungò un dito verso il braccio di Rosalind.

Rosalind sembrò non notarlo. «Jessica? » dissi.

«Oh, cosa c'è, cara? » Rosalind si sporse verso di lei. «Sei pronta a raccontare al detective Ryan di quell'uomo? »

Jessica annuì rigidamente. «Ho visto un uomo» disse, tenendo lo sguardo su Rosalind e non su di me. «Ha parlato a Katy. »

Il mio battito cardiaco cominciò ad aumentare. Se fossi stato religioso, avrei acceso candele a tutti i santi del calendario: finalmente una pista solida. «Brava, Jessica. Dove è stato? »

«Sulla strada. Quando stavamo tornando dal negozio. »

«Solo tu e Katy? »

«Sì. Possiamo andarci. »

«Non ho dubbi che sia così. Cosa ha detto? »

«Ha detto…» Jessica respirò profondamente. «Ha detto: " Sei una ballerina molto brava" e Katy ha risposto: " Grazie". Le piace quando le persone le dicono che è una brava ballerina. »

Guardò ansiosamente verso Rosalind. «Stai andando benissimo, cucciola» la incoraggiò la sorella, accarezzandole i capelli. «Continua. »

Jessica annuì. Rosalind toccò il bicchiere e, ubbidiente, Jessica bevve un sorso della 7‑ Up. «Poi» continuò, «poi ha detto: " E sei una ragazza molto carina" e Katy ha detto: " Grazie". Anche questo le piace. E poi lui ha detto… ha detto… ha detto… " Anche alla mia bambina piace ballare, ma si è rotta una gamba. Vuoi venire a vederla? Sarebbe molto contenta. " E Katy ha detto: " Non ora. Dobbiamo andare a casa". Così siamo tornate a casa. »

" Sei una ragazza carina…" Di questi tempi, pochi uomini direbbero una cosa del genere a una dodicenne. «Sai chi era l'uomo? » le chiesi. «Lo avevi mai visto prima? »

Scosse la testa.

«Che aspetto aveva? »

Silenzio, un respiro. «Grande. »

«Grande come me? Alto? »

«Sì … ehm… sì. Ma anche grande così. » Allungò le braccia in fuori e il bicchiere barcollò pericolosamente.

«Un uomo grasso? »

Jessica rise e fu un suono tagliente, nervoso. «Sì. »

«Che cosa indossava? »

«Una… una tuta. Di colore blu scuro. » Guardò Rosalind la quale annuì, incoraggiante.

" Merda" pensai. Il cuore mi batteva all'impazzata. «Come aveva i capelli? »

«Niente… non ce li aveva. »

Chiesi mentalmente scusa a Damien: evidentemente non ci aveva detto solo quello che volevamo sentire, dopotutto. «Era vecchio? Giovane? »

«Come te. »

«Quando è successo? »

Le labbra di Jessica si aprirono, si mossero senza suono. «Eh? »

«Quando avete incontrato quest'uomo, tu e Katy? Solo alcuni giorni prima che Katy andasse via? O alcune settimane? O molto tempo fa? »

Stavo cercando di essere sensibile, ma lei ebbe un sussulto. «Katy non è andata via» disse. «Katy è stata uccisa. » I suoi occhi cominciavano a perdere lucentezza. Rosalind mi lanciò uno sguardo di rimprovero.

«Sì » dissi, nel modo più gentile possibile, «è vero. Quindi è molto importante che tu provi a ricordare quando hai visto quest'uomo, così possiamo scoprire se è stato lui che l'ha uccisa. Riesci a farlo? »

La bocca di Jessica accennò ad aprirsi. I suoi occhi erano irraggiungibili, perduti.

«Mi ha detto» aggiunse piano Rosalind, sopra la sua testa, «che è successo una settimana o due prima…» Deglutì. «Non è sicura del giorno esatto. »

Annuii. «Grazie, Jessica. Sei stata molto coraggiosa. Pensi che riusciresti a riconoscere quest'uomo se lo rivedessi? »

Niente, neppure un minimo accenno. La bustina di zucchero pendeva dalle sue dita contratte. «Penso che sia meglio se ce ne andiamo» concluse Rosalind, con lo sguardo preoccupato che passava da Jessica all'orologio.

Le guardai dalla finestra mentre camminavano lungo la strada: i piccoli passi decisi di Rosalind e i movimenti delicati del suo bacino, Jessica tirata per la mano. Osservai la testa piegata e i capelli setosi di Jessica e pensai a quelle vecchie storie del gemello che sta male e l'altro, lontano, che sente lo stesso dolore. Mi chiesi se c'era stato un momento simile, durante la divertente serata di ragazze dalla zia Vera, se Jessica avesse emesso un qualche lamento che non era stato notato. Mi chiesi se tutte le risposte che volevamo fossero chiuse, cifrate in un codice misterioso, negli strani e oscuri percorsi della sua mente.

" La persona giusta per questo caso" mi aveva detto Rosalind, e le parole mi risuonavano ancora in testa mentre la guardavo andare via. Ancora oggi mi chiedo se gli eventi che seguirono dimostrarono che aveva ragione o torto e quali criteri si potrebbero adottare per distinguere la differenza.

 

* Filastrocca rimata in inglese: " Ehi, amico mio, vieni a giocare, sali sul mio melo… il mio re è vestito di rosso e scommetto cinque scellini che ti ammazzerà ". [N. d. T. ]

 

 

La settimana seguente, passai praticamente ogni momento da sveglio alla ricerca del misterioso personaggio in tuta. Sette uomini dei dintorni di Knocknaree corrispondevano alla descrizione che avevamo: alto, grosso, sulla trentina, pelato o skinhead. Uno di loro aveva un piccolo precedente che risaliva a un'adolescenza un po' movimentata: possesso di hashish e atti osceni. Mi si fermò il cuore per un attimo quando lessi " atti osceni", ma risultò che avesse semplicemente orinato in una stradina laterale proprio mentre passava un giovane e zelante poliziotto. Altri due dichiararono che forse erano passati dalla zona residenziale di ritorno dal lavoro all'ora indicata da Damien, ma non ne erano certi.

Nessuno ammise di aver parlato con Katy. Tutti, chi più chi meno, avevano un alibi per la notte della sua morte. Nessuno aveva una figlia che danzava e che aveva una gamba rotta e nessuno aveva un movente, per quanto mi riuscì di scoprire. Recuperai delle foto e le mostrai a Damien e Jessica, ma entrambi le guardarono con la stessa espressione interrogativa e confusa, e solo Damien, alla fine, disse che secondo lui nessuno di loro era quello che aveva visto, mentre Jessica indicava titubante una foto diversa ogni volta che glielo chiedevo, per poi ricadere in uno stato catatonico. Mandai anche un paio di agenti per un porta‑ a‑ porta, a chiedere a tutti se avessero avuto un ospite che somigliasse alla descrizione: nulla.

Un paio di alibi erano inconsistenti. Un tipo diceva di essere stato online fin quasi alle tre di notte, in un forum di motociclisti, a discutere della manutenzione delle Kawasaki classiche. L'altro di essere stato a un appuntamento in centro, di aver perso il treno di mezzanotte e mezzo e di aver aspettato quello delle due da Supermac. Attaccai le loro foto alla lavagna ma più le guardavo più si faceva strada in me una sensazione, una percezione che mi turbava e che stavo cominciando ad associare a quel caso: che ci fosse un'altra volontà che si scontrava con la mia a ogni svolta, qualcosa di scaltro e ostinato, dotato di ragione propria.

 

Sam era l'unico che stava ottenendo qualche risultato. Era spesso fuori, a interrogare gente: componenti del Consiglio di Contea, disse, periti, agricoltori, membri di " Spostiamo l'autostrada". Durante le nostre cene si manteneva sul vago sulla direzione che stava prendendo il suo lato dell'indagine. «Ve lo mostrerò fra qualche giorno» diceva, «quando comincerà ad assumere un senso. » Una volta, di nascosto, sbirciai i suoi appunti, mentre era in bagno. Li aveva lasciati sulla scrivania: si trattava di diagrammi e appunti stenografati con piccoli schizzi ai margini, meticolosi quanto indecifrabili.

Poi, un mattino afoso, imbronciato, piovigginoso, mentre Cassie e io stavamo nuovamente ripassando i rapporti del porta‑ a‑ porta stilati dagli agenti nel caso in cui ci fossimo persi qualcosa, lui entrò con un rotolo di cartoncino, di quello pesante che i bambini usano a scuola per fare le decorazioni di San Valentino e di Natale. «Bene» esclamò. Estrasse dalla tasca il nastro adesivo e cominciò ad attaccare il cartoncino al muro, nel nostro angolo della sala operativa. «Ecco quello che ho fatto in tutto questo tempo. »

Era una grande mappa di Knocknaree magnificamente dettagliata con case, colline, il fiume, il bosco, il torrione, tutto disegnato a penna fine e inchiostro con la precisione fluente e delicata di un illustratore di libri per bambini. Doveva averci messo ore. Cassie lanciò un fischio.

«Grazie, grazie di cuore, signore e signori» attaccò Sam con una voce profonda alla Elvis e un sorrisone stampato in volto. Lasciammo i nostri rapporti e ci avvicinammo per dare un'occhiata. Gran parte della mappa era stata divisa in blocchi irregolari, ombreggiati con pastelli dai colori diversi: verde, blu, rosso, alcuni in giallo. Ogni blocco conteneva un insieme di misteriose abbreviazioni: Sd J. Downey‑ GII 11/97; dom. riq. ag‑ ind 8/98. Lanciai a Sam un'occhiata interrogativa.

«Ora vi spiego. » Strappò con i denti un altro pezzo di nastro adesivo per attaccare l'ultimo angolo del cartoncino al muro. Cassie e io ci sedemmo sul bordo del tavolo, da dove eravamo abbastanza vicini per vedere i dettagli.

«Okay. Vedete qui? » Sam indicò due linee tratteggiate parallele che correvano, curve, attraverso la mappa passando per il bosco e gli scavi archeologici. «È dove passerà l'autostrada. Il governo ha annunciato il progetto nel marzo del 2000 e l'anno seguente ha acquistato il terreno dagli agricoltori locali, con apposito ordine di esproprio. Fin qui nulla di strano. »

«Be'» commentò Cassie, «dipende dal punto di vista. »

«Sst» la zittii. «Guarda le figure e taci. »

«Su, dai, lo sapete cosa voglio dire» disse Sam. «Niente che non ci si potrebbe aspettare. Diventa interessante quando si passa al terreno attorno all'autostrada. Anche quello era tutto terreno agricolo fino alla fine del 1995. Poi, non di colpo ma un po' alla volta, nei quattro anni successivi cominciarono a comprarlo e a riqualificarlo, facendolo cioè passare da terreno agricolo a terreno industriale e, quindi, edificabile. »

«Sono stati chiaroveggenti quelli che sapevano dove sarebbe passata l'autostrada cinque anni prima che ne fosse annunciata la costruzione» commentai.

«In realtà neanche questo è strano» obiettò Sam. «C'erano voci su un'autostrada che sarebbe arrivata a Dublino da sudovest – ho trovato articoli di giornale – con inizio dei lavori nel 1994, al momento dell'avvio della Tigre Celtica. Ho parlato con un paio di geometri e hanno detto che quello era il percorso più ovvio, a causa della topografia, degli insediamenti umani e di molte altre cose. Non ho capito tutto, ma è quanto mi hanno riferito. Non c'è ragione per cui gli operatori immobiliari non avrebbero potuto fare la stessa considerazione: magari hanno sentito le voci sull'autostrada e hanno assunto dei periti per spiegargli dove sarebbe stato meglio farla passare. »

Nessuno aprì bocca. Sam guardò prima me, poi Cassie e arrossì un po'. «Non sono un ingenuo. Sì, potrebbe sembrare strano, forse avevano ricevuto una soffiata da qualcuno del governo, ma magari no. A ogni modo, non possiamo dimostrarlo, e non penso che abbia molta importanza per il nostro caso. » Tentai di non sorridere. Sam è uno dei detective più efficienti della squadra, ma in un certo senso faceva tenerezza il modo in cui appariva soddisfatto di quello che ci aveva appena detto. «Chi ha comprato la terra? » domandò Cassie. Sam sembrò sollevato. «Diverse società. La maggior parte non esistono, non nella realtà, almeno; sono solo delle holding, di proprietà di società che sono di proprietà di altre società. È per questo che ci ho messo così tanto tempo. Volevo scoprire chi è il vero proprietario di questo dannato terreno. Finora ho rintracciato tutte le compravendite fino a ognuna di queste tre società: la Global Irish Industries, la Futura Property Consultants e la Dynamo Development. Le parti in blu sono della Global, quelle verdi della Futura e quelle rosse della Dynamo. Però è veramente difficile scoprire chi ci sia alle loro spalle. Due hanno la sede legale nella Repubblica Ceca e la Futura in Ungheria. »

«Questo sì che sembra strano» osservò Cassie. «In tutti i sensi. » «Certo» confermò Sam, «ma più probabilmente si tratta di evasione fiscale. Possiamo passare tutto al fisco, ma non vedo come ciò possa avere a che fare con il nostro caso. »

«A meno che Devlin non lo avesse scoperto e non lo stesse usando per fare pressioni su qualcuno» ipotizzai.

Cassie sembrava scettica. «Scoperto come? Ce lo avrebbe detto. »

«Non si sa mai. È un tipo strano. » «Tu pensi che siano tutti strani. Prima Mark…» «Ma sto arrivando alla parte interessante» ci interruppe Sam. Feci una boccaccia a Cassie e mi girai verso la mappa prima che potesse ricambiare. «Quindi, a marzo del 2000, quando l'autostrada viene annunciata, queste tre società possiedono tutta la terra attorno a questa sezione tranne quella di quattro agricoltori: sono le parti in giallo. Li ho rintracciati. Stanno a Louth, ora. Avevano visto come stavano andando le cose e sapevano che quegli acquirenti stavano offrendo prezzi molto buoni, molto al di sopra del prezzo corrente per il terreno agricolo. Ed era il motivo per cui tutti gli altri avevano accettato l'offerta. Ne parlarono, sono tutti amici, e decisero di tenersi la terra per scoprire cosa c'era dietro. Quando il progetto dell'autostrada fu annunciato, ovviamente capirono perché quella gente volesse il loro terreno: per adibirlo a zona industriale e residenziale, ora che la nuova arteria avrebbe reso Knocknaree più facilmente raggiungibile. Così pensarono di ottenere da soli la riqualificazione del terreno per vederne raddoppiato o triplicato il valore in un batter d'occhio. Fecero domanda al Consiglio di Contea – uno di loro ci provò per ben quattro volte – ma ricevettero sempre dei rifiuti. »

Indicò una delle zone in giallo con tante piccole note scritte a mano. Io e Cassie ci sporgemmo in avanti per leggerle: dom. riq. ag‑ ind M. Cleary: 5/2000 rif, 11/2000 rif, 6/2001 rif 1/2002 rif; sd M. Cleary‑ FPC 8/2002; dom riq ag‑ ind 10/2002.

Cassie ne prese atto con un piccolo cenno della testa e si rimise a sedere, con gli occhi ancora fissi sulla cartina. «Così l'hanno venduta» disse piano.

«Sì. Più o meno allo stesso prezzo che avevano ottenuto gli altri: buono per un terreno agricolo, ma molto meno di quanto avrebbero ricavato per un terreno industriale o residenziale. Il nostro uomo, Maurice Cleary, fu irremovibile, più che altro per testardaggine, e disse che nessun idiota in giacca e cravatta sarebbe riuscito a mandarlo via dalla sua terra, ma ricevette la visita di un tizio di una delle holding. Avrebbero costruito un'industria farmaceutica attaccata alla sua fattoria, gli spiegò, e non potevano garantire che gli scarti chimici non si sarebbero infiltrati nell'acqua e non avrebbero avvelenato il suo bestiame. La prese come una minaccia e, non so se a ragione o a torto, vendette. Non appena le Tre Grandi comprarono il terreno, ovviamente sotto vari nomi, ma tutto ci riporta a loro, fecero domanda per la riqualificazione del terreno e la ottennero. »



  

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