Хелпикс

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Tana French 15 страница



«Rosalind» cominciai. Quello proprio non riuscivo a sopportarlo. «Stiamo facendo del nostro meglio e non ci arrenderemo. Ma ti devi preparare alla possibilità che potrebbe volerci del tempo. »

Scosse la testa. «Lo troverà » si limitò a ripetere.

Lasciai perdere. «Mi hai detto che c'era una cosa che volevi chiedermi. Di che si tratta? »

«Sì. » Inspirò profondamente. «Che cosa è successo a mia sorella, detective Ryan? Esattamente? »

I suoi occhi erano grandi e risoluti, e non ero sicuro di come affrontare l'argomento: se glielo avessi detto, sarebbe crollata, ne sarebbe uscita distrutta, si sarebbe messa a urlare? I giardini erano pieni di impiegati che chiacchieravano durante la pausa pranzo. «Penso che dovrebbero essere i tuoi genitori a dirtelo» risposi.

«Ho diciotto anni, sa. Non ha bisogno del loro permesso per parlare con me. »

«Non importa. »

Rosalind si morse il labbro inferiore. «L'ho chiesto. Lui… loro… loro mi hanno detto di stare zitta. »

Qualcosa mi sfrecciò dentro: rabbia, allarme, pietà, non ne sono certo. «Rosalind» cominciai, con molto tatto, «a casa è tutto a posto? »

Sollevò di scatto la testa, la bocca dischiusa a formare una piccola O. «Sì » rispose con voce bassa e incerta. «Certamente. »

«Ne sei sicura? »

«Lei è molto gentile» disse con voce tremante. «È così buono con me. È … è tutto a posto. »

«Ti sentiresti più a tuo agio a parlarne con la mia collega? »

«No» si affrettò a replicare, con quello che mi parve un tono di disapprovazione nella voce. «Volevo parlare con lei perché …» Si rigirò la tazza in grembo. «Mi pareva che a lei interessasse, detective Ryan. Di Katy intendo. Alla sua collega no, ma lei… lei è diverso. »

«Ma certo che interessa anche a lei» le spiegai. Avrei voluto metterle un braccio intorno alle spalle per rassicurarla, o una mano sulle sue, o qualcosa del genere, ma non sono mai stato un granché in quelle cose.

«Oh, lo so, lo so. Ma la sua collega…» Mi fece un sorrisino di autocritica. «Credo che mi spaventi un po'. È così aggressiva. »

«La mia collega? » chiesi, sorpreso. «Il detective Maddox? » Cassie è sempre stata quella con la reputazione della più brava con le famiglie. Sono io quello che si irrigidisce e che non sa cosa dire. Cassie sembra sapere sempre qual è la cosa giusta da dire e il modo più gentile per farlo. Alcune famiglie le mandano ancora biglietti di Natale pieni di gratitudine.

Rosalind fece con le mani un piccolo gesto d'impotenza. «Oh, detective Ryan, non intendevo in senso cattivo. Essere aggressivi è una cosa positiva, specialmente nel vostro lavoro, no? E io probabilmente sono troppo sensibile. È stato il modo con cui si è rivolta ai miei genitori: so che doveva fare tutte quelle domande, ma è stato il modo in cui le ha fatte, così freddo… Jessica era veramente turbata. E la sua collega mi sorrideva come se fosse tutto… la morte di Katy non è stato un gioco, detective Ryan. »

«Per niente» le dissi. Stavo ripercorrendo mentalmente il momento di quel terribile incontro nel soggiorno dei Devlin per cercare di capire cosa diavolo avesse fatto Cassie per sconvolgere così la ragazza. L'unica cosa che mi venne in mente fu che Cassie aveva rivolto un sorriso incoraggiante a Rosalind quando l'aveva fatta sedere sul divano; a posteriori, immagino che potesse essere stato un po' inappropriato, ma non abbastanza da causare quel tipo di reazione. Lo shock e il dolore spesso fanno reagire le persone in modo strano e illogico, eppure, tanto nervosismo non faceva che rafforzare il mio sospetto che in quella casa ci fosse qualcosa che non andava. «Mi dispiace se abbiamo dato l'impressione…»

«No, no, non lei… lei è stato fantastico. E so che il detective Maddox non voleva essere così … così dura. Davvero. La maggior parte delle persone aggressive cerca solo di essere forte, non è vero? Non vogliono apparire insicuri, o dare la sensazione di dipendere da qualcun altro, o cose del genere. Non sono davvero crudeli, dentro. »

«No» confermai, «probabilmente no. » Mi era difficile pensare a Cassie come a una persona dipendente, e d'altro canto il suo modo di fare non mi era mai parso aggressivo. Ma poi, improvvisamente turbato, mi resi conto che non sapevo come Cassie potesse apparire agli occhi degli altri. Era come cercare di capire se tua sorella è carina. Non potevo essere obiettivo su di lei, non più di quanto potessi esserlo su me stesso.

«L'ho offesa? » Rosalind mi guardò nervosamente, giocando con un ricciolo dei suoi capelli. «L'ho offesa. Mi dispiace, mi dispiace, parlo sempre a sproposito. Apro questa sciocca bocca e viene fuori di tutto, non imparo mai…»

«No» la fermai, «va tutto bene. Non sono per niente offeso. »

«Invece sì, si vede. » Si strinse ancora di più nella pashmina e liberò i capelli che erano finiti sotto. Il suo volto teso si stava chiudendo a qualsiasi forma di comunicazione.

Sapevo che se l'avessi persa adesso probabilmente non avrei avuto un'altra possibilità. «Davvero» insistetti, «non sono offeso, per niente. Stavo solo pensando a quello che hai detto. È molto acuto. »

Giocava con le frange della pashmina e non mi guardava negli occhi. «Ma non è la sua ragazza? »

«Il detective Maddox? No, no, no» mi affrettai a negare. «Niente del genere. »

«Ma dal modo in cui lei… pensavo…» Si mise una mano sulla bocca. «Oh, ecco, l'hai fatto di nuovo! Basta, Rosalind! »

Risi. Non riuscii a evitarlo. Ce la stavamo mettendo tutta entrambi. «Avanti» dissi. «Un bel respiro e ricominciamo da capo. »

Lentamente, si rilassò sulla panchina. «Grazie, detective Ryan. Ma, per favore… cosa è successo esattamente a Katy? Continuo a immaginare… Devo sapere cosa è successo realmente. Non posso sopportare di non saperlo. »

Cosa avrei potuto rispondere a quella richiesta? Così glielo dissi. Non svenne, non le venne una crisi isterica e non scoppiò nemmeno in lacrime. Mi ascoltò in silenzio, fissandomi con quei suoi occhi del colore dei jeans sbiaditi e dalle iridi cerchiate di nero. Quando ebbi finito, si portò le dita alle labbra e guardò verso il sole, verso il profilo accuratamente disegnato delle siepi, verso gli impiegati con i loro contenitori di plastica e le chiacchiere vuote. Le diedi un colpetto sulla spalla in modo maldestro. Al tatto sentii che la pashmina era di stoffa da poco, un materiale pungente e sintetico, ma fu il suo coraggio infantile e patetico a toccarmi il cuore. Avrei voluto dirle qualcosa di saggio e profondo su quanto poco potesse competere il dolore di chi ci lascia con l'agonia di chi rimane; qualcosa che lei avesse potuto ricordare quando si fosse trovata sola, senza riuscire a dormire, e a capire, nella sua stanza. Ma non riuscii a trovare le parole adatte.

«Mi dispiace tanto» le dissi, soltanto.

«Allora non è stata violentata? »

C'era una nota piatta e vuota nella sua voce. «Bevi il caffè » le dissi. Mi tornò in mente una cosa che ci insegnarono durante l'addestramento: le bevande calde fanno bene quando si è sotto shock.

«No, no…» Scosse la mano con fare distratto. «Me lo dica. Non è stata violentata? »

«Non precisamente, no. Ed era già morta, sai? Non ha sentito nulla. »

«Non ha sofferto molto? »

«Praticamente niente. Ha perso i sensi quasi subito. »

D'un tratto, Rosalind piegò la testa sulla tazza di caffè e vidi che le tremavano le labbra. «Mi sento malissimo per quello che è successo, detective Ryan. Sento che avrei dovuto proteggerla di più. »

«Non sapevi. »

«Ma avrei dovuto. Avrei dovuto essere là, non a divertirmi con le mie cugine. Sono una sorella terribile, vero? »

«Non sei responsabile della morte di Katy» ripetei con tono sicuro. «A me pare che tu sia stata un'ottima sorella. Non c'è niente che avresti potuto fare. »

«Ma…» Si fermò, scuotendo la testa.

«Ma cosa? »

«Oh… avrei dovuto saperlo, ecco. Non importa. » Un sorriso incerto si fece strada in mezzo alla trama dei capelli. «Grazie per avermelo detto. »

«È il mio turno ora» dissi. «Posso chiederti un paio di cose? »

Sembrava preoccupata, ma respirò profondamente e annuì.

«Tuo padre ha detto che Katy non era ancora interessata ai ragazzi» cominciai. «È vero? »

La sua bocca si aprì, poi si richiuse. «Non lo so» rispose a voce bassa.

«Rosalind, lo so che non è facile per te. Ma se è così, dobbiamo saperlo. »

«Katy era mia sorella, detective Ryan. Non voglio… sparlare di lei. »

«Lo so» le dissi, in tono gentile. «Lo so. Ma la cosa migliore che puoi fare ora per lei è rivelarmi qualunque cosa possa aiutarmi a trovare chi l'ha uccisa. »

Alla fine fece un piccolo e tremulo sospiro. «Sì » rispose. «Le piacevano i ragazzi. Non so chi precisamente, ma ho sentito lei e le sue amiche che si prendevano in giro… sui ragazzi, sa, e su chi avevano baciato…»

Il pensiero di una dodicenne che baciava un ragazzo mi sorprese, ma mi ricordai di quelle ragazzine sveglie, sconcertanti. Forse Peter, Jamie e io eravamo un po' ritardati. «Ne sei sicura? Tuo padre sembrava abbastanza categorico. »

«Mio padre…» Si formò una piccola ruga tra le sopracciglia di Rosalind. «Mio padre adorava Katy. E lei… certe volte se ne approfittava. Non gli diceva la verità. Questo mi rendeva molto triste. »

«Okay» dissi, «okay. Capisco. Hai fatto la cosa giusta a dirmelo. » Annuì con un cenno. «Devo chiederti un'altra cosa. A maggio sei scappata di casa, vero? »

Si accigliò. «Non sono proprio scappata, detective Ryan. Non sono una bambina. Ho trascorso un weekend con un'amica. »

«Con chi? »

«Karen Daly. Glielo può chiedere, se vuole. Le do il suo numero. »

«Non ce n'è bisogno» le dissi ambiguamente. Avevamo già parlato con Karen, una ragazza timida e pallida, certamente non il tipo di amica che mi sarei aspettato da Rosalind. Aveva confermato che Rosalind era stata con lei tutto il weekend. Io però ho un buon fiuto per i sotterfugi ed ero piuttosto certo che ci fosse qualcosa che Karen non mi avesse detto. «Tua cugina pensa che tu abbia trascorso il weekend con un ragazzo. »

La bocca di Rosalind ebbe una piccola smorfia di disgusto. «Valerie pensa solo a quello. So che molte ragazze fanno cose del genere, ma io non sono come loro. »

«No, non lo sei. Ma i tuoi genitori non sapevano dov'eri? »

«No. Non lo sapevano. »

«E perché? »

«Perché non mi andava di dirglielo» rispose, tagliente. Poi sollevò lo sguardo verso di me, sospirò e il suo viso si ammorbidì. «Oh, detective, non sente mai che… che ha bisogno di andare via? Da tutto? Che è tutto troppo? »

«Sì » risposi, «certo. Quindi il weekend fuori casa non era perché era successo qualcosa di brutto in casa? Ci hanno detto che avevi litigato con tuo padre…»

Rosalind si rannuvolò, distolse lo sguardo. Attesi. Dopo un momento, scosse la testa. «No. Io… niente del genere. »

I miei allarmi stavano suonando di nuovo, ma Rosalind si era irrigidita e io non volevo insistere, non ancora. Ora mi chiedo se avrei dovuto farlo, anche se credo che, alla lunga, non avrebbe fatto molta differenza.

«So che è un momento duro per te» ripresi, «ma non scappare di nuovo, okay? Se ti sembra di non farcela, o se hai voglia di parlare, chiama il servizio di Sostegno Psicologico, oppure me, hai il mio numero di cellulare, no? Farò tutto quello che posso per aiutarti. »

Rosalind annuì. «Grazie, detective Ryan. Me lo ricorderò. » Ma il suo viso era chiuso, poco animato, ed ebbi la sensazione che, in qualche modo, dovevo averla delusa.

 

In ufficio, Cassie stava fotocopiando delle dichiarazioni. «Chi era? »

«Rosalind Devlin. »

«Ah» commentò. «Cosa ti ha detto? »

Per una strana ragione, non mi andava di fornirle i dettagli. «Niente di particolare. Solo che, nonostante quello che ne pensa Jonathan, Katy era interessata ai ragazzi. Rosalind non conosce i nomi e quindi dovremo parlare di nuovo con le amiche di Katy e vedere se ci possono dire di più. Ha anche detto che Katy diceva bugie. In realtà, la maggior parte dei bambini lo fa. »

«Nient'altro? »

«Non molto. »

Cassie si girò dalla fotocopiatrice con un foglio in mano e mi lanciò una lunga occhiata che non riuscii a decifrare. Poi mi disse: «Almeno con te parla. Cerca di restare in contatto, potrebbe aprirsi di più con il tempo».

«Le ho chiesto se c'era qualcosa che non andava in casa» proseguii, in tono un po' colpevole. «Ha risposto di no, ma non le credo. »

«Mmm» mormorò Cassie, e si rimise a fare fotocopie.

 

Quando però parlammo di nuovo con Christina, Marianne e Beth, nessuna di loro cambiò versione: Katy non aveva avuto ragazzi e nessuna cotta in particolare. «La prendevamo in giro, a volte» disse Beth, «ma non sul serio, sa? Scherzavamo. » Era una bambina dall'aria allegra, con i capelli rossi, che stava già iniziando a sviluppare le prime curve e, quando le si riempirono gli occhi di lacrime, ne parve sconcertata, come se piangere fosse ancora una cosa sconosciuta. Cercò nella manica del golf ed estrasse un fazzoletto malconcio.

«Potrebbe non avercelo detto, però » intervenne Marianne. Era la più silenziosa del gruppo, una graziosa e pallida bambina che si perdeva nei suoi eccentrici abiti da preadolescente. «Katy è … era molto riservata su certe cose. Come la prima volta che ha fatto l'audizione per la scuola di danza. Non l'abbiamo saputo fino a quando non fu accettata, ve lo ricordate? »

«Be', ca… spiterina, non è la stessa cosa» disse Christina, ma anche lei aveva pianto e gran parte dell'autorità che poteva avere la sua voce era smorzata dal naso tappato. «Non possiamo non avere notato che avesse un ragazzo. »

Gli agenti di supporto avrebbero interrogato nuovamente tutti i ragazzi del quartiere e i compagni di classe di Katy, ovviamente, tanto per essere sicuri. Intuivo però che, in qualche modo, era esattamente quello che mi ero aspettato. Quel caso era come il gioco delle tre carte e mi faceva andare fuori di testa: sapevo che il premio era lì da qualche parte, proprio sotto i miei occhi, ma il gioco era truccato e il tipo che manovrava le carte troppo veloce per me; ogni volta che ne giravo una, certo che fosse quella giusta, constatavo con amarezza che era quella sbagliata.

 

Sophie mi chiamò mentre ce ne stavamo andando da Knocknaree per dirmi che erano arrivati i risultati degli esami di laboratorio. Era in strada anche lei perché sentivo che la voce andava e veniva con il sobbalzare del cellulare e sentivo anche il picchiettare veloce e deciso delle sue scarpe.

«Ho i risultati sulla piccola Devlin» disse. «Il laboratorio ha un arretrato di sei settimane, e sai come sono, ma ho fatto in modo che dessero la precedenza a questo caso. Ho quasi dovuto andare a letto con il responsabile per convincerlo. »

Sentii aumentare il battito cardiaco. «Che Dio ti benedica, Sophie» le dissi. «Ti siamo di nuovo debitori. » Cassie, alla guida, mi lanciò un'occhiata. «I risultati» le bisbigliai.

«L'esame tossicologico è negativo. Non era drogata, né ubriaca, e non prendeva nessuna medicina. Era coperta di tracce, per la maggior parte esterne: terra, polline… le solite cose. Ma c'è una cosa positiva: tutto, compreso ciò che abbiamo rinvenuto sui vestiti e mischiato al sangue, è compatibile con la composizione del terreno intorno a Knocknaree. Quindi stiamo parlando di cose che non le si sono attaccate addosso nel luogo dove è stata lasciata. Dal laboratorio fanno sapere che c'è una pianta molto rara in quel bosco che non cresce in nessun altro posto qui vicino, e l'esperto si è tutto gasato per la faccenda. Dice che il polline non si sposta per più di un chilometro, un chilometro e mezzo, quindi è probabile che sia sempre stata a Knocknaree. »

«Questo combacia con quello che abbiamo» la incalzai. «Arriva alla parte positiva. »

Sophie sbuffò. «Era questa. Le impronte sono un vicolo cieco: metà corrispondono a quelle degli archeologi e le altre sono troppo poco chiare per esserci d'aiuto. Praticamente tutte le fibre sono compatibili con ciò che abbiamo prelevato in casa. Alcune non sono state identificate, ma niente di particolare. Un capello sulla maglietta corrisponde a quello dell'idiota che l'ha trovata, due, uno sui pantaloni e uno su una calza, a quelli della madre, che probabilmente è quella che si occupa del bucato, quindi questo non ci aiuta. »

«Niente DNA? O impronte digitali, o altro? »

«Ah! » fece Sophie. Stava mangiando qualcosa di croccante, popcorn o, più probabilmente, patatine: lei vive quasi solo di cibo spazzatura. «Alcuni parziali ematici, ma sono venuti via da un guanto di gomma, chi l'avrebbe mai detto, eh? Quindi nessun tessuto epiteliale. Niente sperma o saliva e niente sangue tranne quello della bambina. »

«Fantastico» commentai, con il morale a terra. Ci ero cascato di nuovo, avevo sperato e ora mi sentivo fregato, uno stupido.

«A eccezione di quella piccola vecchia macchia che aveva trovato Helen. Hanno preso il gruppo sanguigno: è A positivo. Quello della vittima è 0 negativo. »

Si bloccò per masticare un po' di patatine, mentre il mio stomaco eseguiva un complicato movimento. «Che c'è? » mi chiese, visto che non dicevo nulla. «È quello che volevi sentire, no? Come nel vecchio caso. »

«Sì » assentii. Sentivo che Cassie stava ascoltando. Le voltai le spalle. «È fantastico. Grazie, Sophie. »

«Abbiamo mandato i tamponi e quelle scarpe per un test del DNA» continuò Sophie, «ma fossi in te non ci conterei troppo. Scommetto che si è degradato, che è marcio. Chi è il genio che tiene prove ematiche in una cantina? »

 

Come per un tacito accordo, Cassie stava seguendo il vecchio caso mentre io mi concentravo sui Devlin. McCabe era morto diversi anni prima, di attacco cardiaco, così andò a trovare Kiernan. Era in pensione e viveva a Laytown, un piccolo paese di pendolari lungo la costa. Aveva superato i settanta, con un viso rubizzo e cordiale e il fisico di un giocatore di rugby fuori forma, ma portò Cassie a fare una lunga passeggiata sulla spiaggia deserta dove, tra grida di chiurli e gabbiani, le disse quello che ricordava del caso di Knocknaree. Sembrava felice, riferì Cassie quella sera, mentre lei accendeva il fuoco, io spalmavo senape su un pane tipo ciabatta e Sam versava il vino. Si era messo a lavorare il legno – c'era segatura sui suoi morbidi pantaloni consumati – e la moglie gli aveva avvolto una sciarpa intorno al collo e lo aveva baciato su una guancia quando era uscito.

Ricordava il caso, però: ne ricordava ogni singolo dettaglio. In tutta la breve e disorganizzata storia dell'Irlanda come nazione, erano scomparsi, e non erano mai stati ritrovati, meno di una mezza dozzina di bambini, e Kiernan non era mai riuscito a dimenticare che due di loro erano stati affidati alle sue mani. La ricerca era stata massiccia (Cassie ci disse che lo aveva sentito un po' sulla difensiva, come se quella fosse stata una conversazione che gli era frullata molte volte nella testa), erano stati impiegati cani, elicotteri, sommozzatori; poliziotti e volontari avevano passato al setaccio migliaia di ettari di bosco e collina e campi in ogni direzione, iniziando all'alba di ogni mattina per settimane e continuando fino al tramonto di quella tarda estate. Avevano seguito piste a Belfast, a Kerry e anche a Birmingham, e per tutto il tempo Kiernan aveva avvertito la fastidiosa e insistente sensazione che stavano andando nella direzione sbagliata, che la risposta era sempre rimasta davanti a loro.

«Qual è la sua teoria? » chiese Sam.

Infilai l'ultima bistecca nei sandwich e distribuii i piatti. «Dopo» rispose Cassie. «Prima mangiati il tuo sandwich. Quante volte capita che Ryan faccia qualcosa di decente? »

«Stai parlando a due uomini di talento» le dissi. «Riusciamo a mangiare e ad ascoltare nello stesso tempo. » Ovvio che sarebbe stato meglio per me ascoltare quella storia in privato, ma quando Cassie era tornata da Laytown era già troppo tardi per quello. Il pensiero mi aveva già tolto l'appetito e quindi la cosa in sé non avrebbe fatto molta differenza. Fra l'altro, parlavamo sempre del caso durante la cena e quel giorno non avrebbe rappresentato l'eccezione, se non potevo evitarlo. Sam pare sempre soavemente inconsapevole dei sottintesi e delle correnti emotive che si agitano sotto la superficie, ma a volte mi chiedo se in realtà non colga molto più di quanto non dia a vedere.

«Sono sbalordita» disse Cassie. «D'accordo. » I suoi occhi mi cercarono per un istante. Io distolsi i miei. «La teoria di Kiernan è che non abbiano mai lasciato Knocknaree. Non so se lo ricordate, ma c'era un terzo bambino…» Si sporse da un lato per dare un'occhiata al taccuino aperto sul bracciolo del divano. «Adam Ryan. Era con gli altri due quel pomeriggio e lo trovarono nel bosco, un paio d'ore dopo l'inizio delle ricerche: nessuna ferita, ma aveva sangue sulle scarpe, era sotto shock e non ricordava niente. Kiernan immaginò che, qualunque cosa fosse accaduta, doveva essere successa nel bosco o molto vicino, altrimenti come avrebbe fatto Adam a tornare indietro? Pensò che qualcuno, qualcuno del posto, li avesse osservati per un po', li avesse avvicinati nel bosco, portandoseli magari a casa, e li avesse poi aggrediti. Forse senza l'intenzione di ucciderli. Forse li aveva molestati e qualcosa era andato storto. A un certo punto, durante l'aggressione, Adam era scappato nel bosco, il che probabilmente significa che anche loro erano nel bosco, o in una delle case nei dintorni, o in una delle fattorie lì vicino… altrimenti se ne sarebbe tornato a casa, giusto? Kiernan pensa che il tipo sia stato preso dal panico e abbia ucciso gli altri due bambini, nascondendone magari i corpi in casa sua fino a quando non ha avuto la possibilità di gettarli nel fiume, o di seppellirli nel proprio giardino o, più probabilmente, basandosi sul fatto che non ci sono state denunce di scavi inspiegabili nelle settimane seguenti, nel fitto del bosco. »

Addentai il mio sandwich. Il sapore pungente della carne al sangue mi fece quasi vomitare. Lo mandai giù a forza, senza masticarlo, con un sorso di vino.

«Dov'è il giovane Adam, adesso? » chiese Sam.

Cassie si strinse nelle spalle. «Dubito che riuscirebbe a dirci qualcosa. Kiernan e McCabe andarono a trovarlo per anni senza ottenerne alcuna informazione utile. Alla fine si arresero, ipotizzando che lo shock avesse cancellato per sempre ogni ricordo dell'accaduto. La famiglia si trasferì lontano da qui. A Knocknaree le voci dicono che emigrarono in Canada. » Il che era tutto vero, più o meno. Era più difficile e nello stesso tempo ridicolo di quanto mi fossi aspettato. Sembravamo spie, comunicavamo cercando di non far capire nulla a Sam, con un codice artificioso, inventato al momento.

«Devono aver dato fuori di matto» disse Sam. «Un testimone oculare e non…» Scosse la testa e addentò il sandwich.

«Sì, Kiernan dice che fu davvero frustrante» confermò Cassie, «ma il bambino faceva del suo meglio. Partecipò anche a una ricostruzione, con due ragazzini del posto. Speravano che ricordasse quello che avevano fatto lui e i suoi amici quel pomeriggio, ma Adam si immobilizzò non appena mise piede nel bosco. » Lo stomaco mi si rivoltò. Questo non me lo ricordavo. Rimisi giù il panino e avvertii l'improvviso e irresistibile desiderio di una sigaretta.

«Povera piccola anima» mormorò Sam.

«Anche McCabe la pensava così? » chiesi.

«No. » Cassie si leccò la senape dal pollice. «McCabe pensava che si trattasse di un assassino di passaggio, qualcuno che era lì solo per qualche giorno, forse uno che veniva dall'Inghilterra, magari per lavoro. Non riuscirono a trovare un solo sospettato. Interrogarono quasi mille persone, condussero centinaia di interviste, eliminarono tutti i pervertiti e i tipi strani conosciuti nella zona sud di Dublino, controllarono i movimenti di tutti gli uomini del posto minuto per minuto… sapete come funziona: quasi sempre trovi un sospettato, anche se non hai abbastanza prove per incriminarlo. Be', non trovarono nessuno. Ogni volta che avevano una pista finivano in un vicolo cieco. »

«Mi suona familiare» dissi cupamente.

«Kiernan pensa che qualcuno abbia fornito un finto alibi al nostro uomo perché non entrasse nei loro radar, ma McCabe riteneva che non lo avessero trovato perché non era di lì. La sua teoria era che i bambini, giocando in riva al fiume, lo avessero seguito fino al punto in cui esce dal bosco, dall'altra parte. È una lunga camminata, ma lo avevano già fatto prima. C'è una stradina secondaria che passa proprio accanto a quel tratto di fiume. McCabe era convinto che qualcuno fosse passato in auto su quella strada, avesse visto i bambini e li avesse trascinati, o attirati, nella sua macchina. Adam aveva lottato, era scappato ed era corso nel bosco, e il tipo se ne era andato, chissà dove, con gli altri due. Aveva parlato con l'Interpol e con la polizia britannica, ma non era approdato a nulla di utile. »

«Allora sia Kiernan sia McCabe pensavano che i bambini fossero stati uccisi» osservai.

«McCabe non ne sembrava del tutto certo. Pensava che ci fosse la possibilità che qualcuno li avesse rapiti, magari un malato di mente, un disperato che voleva avere dei bambini, o forse… Be', all'inizio pensavano tutti e due che potessero essere semplicemente scappati. Ma dove sarebbero potuti andare due dodicenni senza soldi? Li avrebbero trovati in pochi giorni. »

«Katy non è stata uccisa da un killer di passaggio» intervenne Sam. «Le ha dato appuntamento, ha dovuto tenerla da qualche parte durante il giorno…»

«In realtà » dissi, impressionato dal tono piacevole e tranquillo della mia stessa voce, «non riesco a percepire neanche il vecchio caso come un rapimento fatto da un killer di passaggio. Per quello che ricordo, le scarpe al bambino furono rimesse solo quando il sangue aveva iniziato a coagularsi. In altre parole, il rapitore trascorse un po' di tempo con tutti e tre i bambini, in zona, prima che uno se ne andasse. Questo mi spinge a puntare il dito su uno del luogo. »

«Knocknaree è un posto piccolo» obiettò Sam. «Quante probabilità ci sono che ci vivano ben due assassini? »

Cassie mise in equilibrio il piatto sulle gambe incrociate, unì le mani dietro al collo e si inarcò per alleviare l'indolenzimento. Aveva ombre scure sotto gli occhi e capii all'improvviso che il pomeriggio con Kiernan l'aveva colpita duramente e che la sua riluttanza a raccontare la storia poteva non essere dovuta solo a me. Quando si tratteneva dal dire qualcosa una smorfia le alterava impercettibilmente le labbra. Mi chiesi che cosa non ci stava dicendo di quanto aveva saputo da Kiernan.

«Esaminarono anche gli alberi, sapete? » disse. «Dopo alcune settimane, un agente di supporto piuttosto sveglio si ricordò del vecchio caso di un bambino che si era arrampicato su un albero cavo ed era caduto all'interno del tronco. Era stato ritrovato solo quarant'anni dopo. Kiernan e McCabe fecero verificare ogni albero, controllarono con le torce in ogni buco…»

La sua voce si spense e restammo in silenzio. Sam mangiò con placido apprezzamento e senza fretta il suo sandwich, appoggiò il piatto e sospirò soddisfatto. Anche Cassie alla fine si scosse e allungò una mano nella mia direzione. Le passai il suo pacchetto di sigarette. «Kiernan se lo sogna ancora, sapete» disse piano, pescandone una. «Non più come una volta, ha detto, solo ogni tanto e da quando è andato in pensione. Sogna che sta cercando i due bambini nel bosco, di notte, li chiama e qualcuno salta fuori dai cespugli e gli salta addosso. Lui sa che è la persona che li ha presi, vede il suo viso, " proprio come vedo te", mi ha detto, ma quando si sveglia non riesce a ricordarlo. »

Il fuoco nel caminetto scoppiettava allegramente. Con la coda dell'occhio mi parve di cogliere qualcosa che da lì balzava verso la stanza e mi girai di scatto. Una cosa piccola, nera e con gli artigli, magari un uccellino finito giù per il camino? Ma non c'era niente. Quando mi rigirai, Sam mi stava guardando con i suoi occhi grigi e calmi, amichevoli. Si limitò a sorridere e a sporgersi sul tavolo per riempirmi il bicchiere.



  

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