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Tana French 11 страница



Ed era da qui che forse era partito il problema: le ragazze, non poteva essere altrimenti, erano rimaste sveglie a chiacchierare e a sghignazzare per quasi tutta la notte. «Sono delle ragazze meravigliose, signori agenti, non dico il contrario, ma alle volte i giovani non capiscono quanto possono essere pesanti per noi grandi, non è vero? » Vera ridacchiò con un po' d'affanno e diede di gomito alla figlia mediana che si spostò un po' più in là sul divano. «Sono dovuta andare a dire loro non so quante volte di stare buone… non sopporto il rumore, capite. Dovevano essere le due e mezzo del mattino quando alla fine si sono decise ad andare a dormire, immaginate voi. E a quel punto i miei nervi erano in un tale stato che non sono più riuscita a riposare. Mi sono dovuta alzare a prepararmi una tazza di tè. Non ho dormito neanche un po'. La mattina dopo ero distrutta. E quando Margaret ha chiamato, siamo tutte impazzite, non è vero, ragazze? Ma non avrei mai immaginato… senza alcun dubbio, pensavo fosse solo…» Si premette una piccola mano tremante sulla bocca.

«Torniamo alla sera prima» disse Cassie rivolta alla maggiore. «Di cosa avete parlato tu e le tue cugine? »

La ragazzina, credo Valerie, roteò gli occhi e sporse il labbro per mostrare quanto fosse stupida la domanda. «Cose. »

«Avete parlato di Katy, per caso? »

«Non lo so. S…s…sì, forse sì. Rosalind diceva che era una gran cosa che andasse alla scuola di balletto. Non vedo cosa ci sia di così fantastico. »

«E i vostri zii? Avete parlato anche di loro? »

«Sì. Rosalind diceva quanto sono stronzi con lei. Non la lasciano mai fare nulla. »

Vera emise un urletto sfiatato. «Ma dai, Valerie, non dire così! Guardate, signori agenti, Margaret e Jonathan farebbero qualsiasi cosa per quelle ragazze, anche loro sono esausti…»

«Oh, sì, come no? Immagino che sia per questo che Rosalind è scappata, perché erano troppo carini con lei. »

Cassie e io fummo sul punto di balzare sulla cosa, ma Vera ci precedette. «Valerie! Cosa ti ho detto? Di queste cose non si parla. È tutto un malinteso, Rosalind è stata una sfrontata a far spaventare i suoi poveri genitori in quel modo, ma è tutto perdonato e dimenticato…»

Aspettammo che avesse finito, poi: «Perché Rosalind è scappata? » chiesi a Valerie.

Valerie fece spallucce. «Non ce la faceva più con suo padre che la comandava a bacchetta. Credo che l'abbia picchiata o qualcosa del genere. »

«Valerie! Sentite, signori agenti, non so proprio da dove le sia venuta in mente. Jonathan non alzerebbe mai un dito sulle sue figlie, assolutamente no. Rosalind è una ragazza sensibile, ha discusso con suo padre e lui non si è reso conto di quanto fosse sconvolta…»

Valerie si appoggiò allo schienale e mi fissò, un sorrisetto furbo che modificava leggermente i suoi lineamenti atteggiati a un'espressione annoiata ormai incancellabile. La figlia mediana si pulì il naso con la manica ed esaminò con interesse il risultato.

«Quando è stato? » chiese Cassie.

«Oh… non ricordo bene. Tempo fa, l'anno scorso, credo…»

«Maggio» intervenne Valerie. «Questo maggio. »

«Per quanto tempo è stata via? »

«Tre giorni. È venuta la polizia e tutto il resto. »

«E dove è stata, lo sapete? »

«È andata da qualche parte con un tipo» rispose Valerie, con un sorriso compiaciuto.

«Non è vero» scattò Vera, stridula. «Lo disse solo per spezzare il cuore a quella poveretta di sua madre, che Dio la perdoni. Stava da quella sua amica di scuola… come si chiama… Karen. Tornò dopo il fine settimana e non accadde nulla. »

«Di' quello che vuoi! » commentò Valerie, facendo di nuovo spallucce.

«Il mio tè » comandò il piccolo. Avevo ragione: aveva la voce di un fagotto.

 

Questo, con ogni probabilità, spiegava una cosa che avevo pensato di controllare: perché alla sezione Persone scomparse avessero fatto così in fretta a dare per scontato che Katy fosse solo fuggita di casa. Dodici anni sono un'età limite e di norma, prima di aspettare le ventiquattr'ore, le avrebbero concesso il beneficio del dubbio, avrebbero avviato le ricerche e immediatamente ci sarebbe stato anche il battage dei mezzi di comunicazione; ma la tendenza a fuggire serpeggia all'interno delle famiglie, i figli più piccoli prendono ispirazione dai più grandi. Quando la polizia aveva inserito i dati dei Devlin al computer, era emersa la storia della fuga di Rosalind, e probabilmente avevano ipotizzato che Katy avesse fatto la stessa cosa. Un piccolo screzio con i genitori, ed era scappata da un'amica. Anche lei, come Rosalind, sarebbe tornata non appena si fosse calmata, e non sarebbe successo altro.

Ero malignamente compiaciuto che Vera fosse rimasta sveglia tutta la notte del lunedì. Anche se era orribile da ammettere, avevo avuto dei momenti di preoccupazione sia per Jessica sia per Rosalind. Jessica non sembrava forte di suo, mentre invece appariva decisamente poco equilibrata, e il luogo comune secondo il quale la pazzia rende forti ha un fondamento di verità. Era assai improbabile che non fosse stata gelosa di tutta l'adulazione che Katy riceveva. Rosalind era ipersensibile e protettiva fino all'eccesso nei confronti di Jessica, e se il successo di Katy aveva spinto la gemella sempre più nel suo ottundimento… Anche Cassie doveva averlo pensato, ma non mi aveva detto niente e per qualche motivo la cosa mi dava sui nervi.

«Voglio sapere perché Rosalind è scappata di casa» dissi, mentre percorrevamo il vialetto dei Foley. La figlia di mezzo aveva il naso schiacciato contro la finestra del salotto e ci stava facendo delle boccacce.

«E dove è andata» aggiunse Cassie. «Le parli tu? Credo che otterresti più di me. »

«A dire il vero» ammisi con fare goffo, «era lei al telefono prima. Viene domani pomeriggio. Dice di avere una cosa di cui parlare. »

Cassie, che stava infilando il blocco nella borsa, si girò per lanciarmi una lunga occhiata che non riuscii a interpretare. Per un momento mi chiesi se non si fosse offesa perché Rosalind aveva telefonato a me e non a lei. Eravamo abituati al fatto che lei fosse la preferita delle famiglie e provai una puerile e vergognosa scintilla di trionfo: c'era qualcuno che preferiva me e basta. Il mio rapporto con Cassie ha una sfumatura da fratello e sorella che funziona bene, ma ogni tanto porta anche alla classica rivalità che c'è tra fratelli. Poi lei disse: «Perfetto, così potrai tirare fuori la faccenda della fuga come se niente fosse».

Si buttò la sacca sulle spalle e proseguimmo. Scrutava l'orizzonte – oltre i campi verdi e assolati, con il belare delle pecore che ci veniva portato debolmente dal vento – e teneva le mani in tasca. Non riuscivo a capire se era arrabbiata con me per non averla informata della telefonata di Rosalind Devlin, cosa che, a essere onesti, avrei dovuto fare. Le diedi una piccola gomitata, per vedere come buttava. Pochi passi dopo, allungò la gamba e mi assestò una pedata nel culo.

 

Trascorremmo il resto del pomeriggio nel porta‑ a‑ porta. È un'attività noiosa e ingrata. Gli agenti di supporto l'avevano già fatto, ma volevamo avere un'idea di cosa pensassero dei Devlin i loro vicini. L'opinione generale era che si trattava di una famiglia rispettabile ma che stava molto sulle sue, il che non veniva particolarmente apprezzato: in un luogo delle dimensioni e con la classe sociale di Knocknaree, qualsiasi tipo di riservatezza viene considerata una specie di insulto, a un niente dall'imperdonabile peccato di snobismo. Per Katy, invece, era diverso: il posto alla Royal Ballet School l'aveva resa l'orgoglio di Knocknaree, la causa personale da portare avanti. Anche i nuclei familiari più indigenti avevano dato qualcosa alla raccolta fondi, tutti volevano descriverci come ballava, alcune persone piansero. Molti di quelli che avevano aderito alla campagna di Jonathan Devlin contro l'autostrada ci guardarono male quando chiedemmo di lui. Alcuni si dilungarono in discorsi infiammati su come stesse cercando di arrestare il progresso e indebolire l'economia. Questi si meritarono delle stelline speciali sul mio blocco degli appunti. Quasi tutti erano dell'opinione che Jessica non fosse una cima.

Quando chiedemmo se avevano visto qualcosa di sospetto, ci parlarono dei soliti tipi strambi locali – un vecchio che urlava ai bidoni, due quattordicenni con la fama di annegare gatti nel fiume – e di irrilevanti faide ancora in corso, oltre che di cose minori che producevano rumori misteriosi la notte. Un certo numero di persone, nessuno però con informazioni utili, menzionò il vecchio caso: finché non erano saltati fuori gli scavi archeologici, l'autostrada e Katy, era stato l'unico fatto che aveva dato notorietà a Knocknaree. Mi parve di riconoscere alcuni nomi, un paio di facce. A costoro riservai il mio miglior comportamento professionale e neutro.

Dopo circa un'ora di questo pellegrinaggio, arrivammo al 27 di Knocknaree Drive e trovammo la signora Pamela Fitzgerald, ancora incredibilmente viva e vegeta. A 88 anni, magrissima e quasi piegata in due, era un vero fenomeno. Ci offrì del tè, ignorò il nostro rifiuto e ci parlò gridando dalla cucina mentre preparava un vassoio stracolmo di cose. Poi ci chiese se avevamo notizie della borsa che un giovinastro le aveva scippato in città, tre mesi prima, e quando confessammo che non l'avevamo ritrovata ce ne chiese il perché. Era strano, dopo aver letto la sua sbiadita calligrafia nel vecchio fascicolo, sentirla lamentarsi delle caviglie gonfie («Mi fanno letteralmente impazzire, ecco cosa») e rifiutarsi strenuamente di lasciarmi portare il vassoio. Era come se Tutankhamon fosse capitato al pub, una sera, e avesse cominciato a parlar male della schiuma della birra.

Era di Dublino, ci raccontò. «Ci sono nata, vissuta e pasciuta, proprio così. » Si era però trasferita lì ventisette anni prima, quando suo marito, «che riposi in pace», era andato in pensione e aveva smesso di fare il ferroviere. Da allora, Knocknaree era stato il suo microcosmo ed ero più che certo che potesse fare l'elenco di tutti quelli che erano andati e venuti e di tutti gli scandali che si erano succeduti, con l'energico, benevolo coinvolgimento di un giocatore di Sim City.

Naturalmente conosceva i Devlin e le piacevano. «Ah, sono proprio una bella famigliola. Lei è sempre stata una così brava ragazza, Margaret Kelly, mai dato da pensare a sua madre, tranne quando» e si piegò da una parte verso Cassie, abbassando la voce con fare cospiratore, «tranne quando rimase incinta. E comunque, cara, il governo e la Chiesa blaterano sempre su quanto sia scioccante la gravidanza in una ragazza molto giovane, ma per me non è sempre così male. Quel Devlin era un po' una canaglia, proprio così, ma non appena la piccolina nacque, lui cambiò da così a così. Si trovò un lavoro, una casa e organizzarono un gran bel matrimonio. Cambiò completamente. È terribile quello che invece è successo a quella povera bambina, che possa riposare in pace. »

Si fece il segno della croce e mi diede un buffetto su un braccio. «E lei arriva fin qui dall'Inghilterra per scoprire chi è stato? Non è meraviglioso? Che Dio la benedica, ragazzo mio. »

«Che vecchietta incredibile» commentai, una volta usciti. La signora Fitzgerald mi aveva tirato su il morale immensamente. «Spero di avere la stessa energia quando avrò la sua età. »

 

Staccammo poco prima delle sei e ci recammo al pub locale, Mooney's, di fianco al negozio, per guardare il telegiornale. Avevamo coperto solo un parte dell'abitato ma ci eravamo fatti un'idea dell'atmosfera generale. È poi era stata una giornata lunga; l'incontro con Cooper sembrava aver avuto luogo almeno quarantotto ore prima. Avevo l'impulso orribile, come quello che a volte si sente di mettersi a premere allarmi o di saltare da un edificio altissimo, di continuare finché non avessimo raggiunto la mia vecchia strada, di vedere se la madre di Jamie sarebbe venuta ad aprire, di scoprire com'erano ora i fratelli e le sorelle di Peter, chi viveva nella mia vecchia stanza, anche se sapevo che non sarebbe stata una buona idea.

Mooney's era il tipico pub di provincia: sedili in finta pelle che si strappava lungo le cuciture, un paio di poster pubblicitari della Guinness incorniciati e un altro che diceva " Dieci ragioni per cui una birra è meglio di una donna", tre vecchi che probabilmente erano già lì quando erano state montate le spine per distillare la birra. Avevamo scelto l'orario perfetto: mentre stavo portando il caffè al nostro tavolo, il barista alzò il volume della TV e il telegiornale ebbe inizio, introdotto da un brano di musica sintetica.

Katy era in apertura; i presentatori in studio avevano l'aria adeguatamente contrita, con le voci che vibravano accorate alla fine di ogni frase per sottolineare la tragedia. La foto dell'" Irish Times" comparve in un angolo dello schermo. «La ragazza trovata morta ieri nel controverso sito archeologico di Knocknaree è stata identificata per Katharine Devlin, di dodici anni» attaccò lo speaker. Il colore del televisore era stato selezionato male, o lui si era truccato troppo, perché aveva la faccia arancione e il bianco degli occhi era di un bagliore spaventoso. I vecchietti si svegliarono e spostarono lentamente la testa verso lo schermo, mentre si udiva il tintinnio dei bicchieri che venivano appoggiati sul bancone. «Katharine era scomparsa da casa martedì mattina presto. I gardaí hanno confermato che la morte è sospetta e hanno fatto appello a chiunque abbia qualche informazione di farsi avanti. » Alla base dello schermo apparve il numero della linea telefonica per chi voleva fornire informazioni, lettere bianche in sovrimpressione. «Orla Manahan in diretta dal luogo della tragedia. »

L'immagine passò a una bionda con i capelli congelati dalla piega e il naso prominente che, in piedi davanti alla pietra sacrificale, non sembrava fare nulla che richiedesse la presenza di qualcuno per un servizio in diretta. La gente aveva già cominciato a lasciarvi tributi: fiori avvolti nel cellophane colorato, un orsacchiotto rosa. Sullo sfondo, un pezzo del nastro per delimitare la scena del crimine lasciato lì dal team di Sophie sventolava desolato da un albero.

«Questo è il luogo dove, appena ieri mattina, il corpo della piccola Katy Devlin è stato trovato. » Era abbastanza stupefacente ma la bionda aveva la " s" blesa. «Nonostante la giovane età, Katy era ben nota nella piccola ma unita comunità di Knocknaree; si era appena aggiudicata un posto alla prestigiosa Royal Ballet School, dove avrebbe dovuto cominciare a studiare tra poche settimane. Oggi, gli abitanti della zona sono affranti per la tragica morte della bambina, che era tutto il loro orgoglio e la loro gioia. »

Una telecamera a mano inquadrò un'anziana signora con un fazzoletto fiorato sulla testa, fuori dal negozio di Lowry. «È una cosa orrenda. » Lunga pausa mentre guardava in basso e scuoteva la testa, con la bocca che bisbigliava qualcosa. Un tipo in bicicletta passò dietro di lei e guardò la telecamera con aria da allocco. «È terribile. Stiamo dicendo tutti delle preghiere per la famiglia. Chi avrebbe mai potuto voler fare del male a quella meravigliosa bambina? » Dagli anziani al bancone si levò un mormorio arrabbiato.

Di nuovo la bionda. «Questa però porrebbe non essere la prima morte violenta che ha visto Knocknaree. Migliaia di anni fa, questa pietra» la indicò con il braccio come avrebbe fatto un agente immobiliare con una cucina appena finita di montare «era un altare cerimoniale dove gli archeologi dicono che i Druidi potrebbero avere praticato sacrifici umani. Questo pomeriggio però i gardaí hanno detto che non ci sono prove che la morte di Katy sia opera di una setta religiosa. »

Stacco su O'Kelly, davanti a un imponente cartone con impresso il simbolo della Garda. Indossava una disgustosa giacca a scacchi che, alla TV, sembrava incresparsi in piccole onde. Si schiarì la voce e presentò i punti del nostro elenco; Cassie protese una mano, senza distogliere gli occhi dallo schermo, e fu così che guadagnai un biglietto da cinque.

Di nuovo il presentatore arancione. «E Knocknaree nasconde un altro mistero. Nel 1984, due bambini del luogo…» Lo schermo si riempì di quelle vecchie foto scolastiche: Peter con un largo sorriso sotto la frangetta, Jamie, che odiava farsi fotografare ma era riuscita a tirare fuori un mezzo sorriso, di quelli fatti per accontentare gli adulti.

«Ci siamo» commentai, cercando di apparire disinvolto e ironico.

Cassie sorseggiò il caffè. «Lo dirai a O'Kelly? » mi chiese.

Mi aspettavo che me lo chiedesse e conoscevo bene i motivi per cui me lo chiedeva, ma ugualmente la cosa mi sferzò. Lanciai un'occhiata ai tipi al bar, intenti a guardare lo schermo. «No» risposi. «Sarei allontanato dal caso e io invece voglio lavorarci, Cass. »

Annuì lentamente. «Lo so. Se lo scopre, però …»

Se l'avesse scoperto, con molte probabilità saremmo stati rispediti entrambi al servizio in divisa, o quantomeno saremmo stati espulsi dalla squadra. Avevo cercato di non pensarci. «Non lo scoprirà » la rassicurai. «Come potrebbe? E se dovesse succedere, diremo che tu non avevi idea. »

«Non ci crederebbe nemmeno per un secondo. E poi, comunque, non è questo il punto. »

Vecchie riprese sfuocate di un poliziotto con un pastore tedesco iperattivo che si infilavano nel bosco. Un sommozzatore che usciva dal fiume e scuoteva la testa. «Cassie» dissi, «so quello che ti sto chiedendo, ma devo farlo. Non farò scoppiare un casino. »

Vidi che sbatteva rapidamente le ciglia e mi resi conto che dovevo aver avuto un tono più disperato di quanto non avessi voluto. «Non sappiamo nemmeno se c'è un legame» aggiunsi, più pacato. «E se c'è, potrei finire per ricordare qualcosa che potrebbe essere utile alle indagini. Per favore, Cass. Stai dalla mia parte. »

Rimase in silenzio per un momento, a bere il caffè e a fissare pensierosa la TV. «C'è qualche possibilità che un giornalista particolarmente determinato possa…? »

«No» risposi subito. Come potete immaginare, ci avevo riflettuto molto. Neanche nel dossier si parlava del mio nuovo nome o della nuova scuola e quando ci eravamo trasferiti mio padre aveva dato alla polizia l'indirizzo di mia nonna. Lei è morta quando avevo circa vent'anni e la famiglia ha venduto la sua casa. «I miei genitori non sono sull'elenco e il mio numero è sotto il nome di Heather Quinn…»

«… e ora il tuo nome è Rob. Dovremmo essere a posto. »

Il " noi" e il tono pratico e tuttavia ponderato – come fosse riferito a una delle tante complicazioni che possono nascere in un'operazione di routine, dello stesso genere di un testimone riluttante o di un sospettato che si dava alla macchia – mi rianimarono. «Se dovesse andare tutto mostruosamente storto, ti assumerò per tenere a bada i paparazzi» scherzai.

«Grande! Imparerò il karate. »

Sullo schermo, le immagini di repertorio erano finite e la bionda si stava avviando al finale col botto. «… Ma per ora tutto ciò che la gente di Knocknaree può fare è attendere… e sperare. » Seguì una lunga e toccante panoramica sulla pietra sacrificale, per poi staccare sullo studio, dove il giornalista arancione passò alle ultime riguardanti un'infinita e deprimente causa legale.

 

Lasciammo la nostra roba da Cassie e andammo a fare una passeggiata sulla spiaggia. Adoro Sandymount. È già abbastanza bella nei rari pomeriggi veramente estivi, con un cielo blu da dé pliant e le ragazze in prendisole con le spalle arrossate, ma per qualche motivo la preferisco nelle tipiche giornate irlandesi, quando il vento ti sbatte in faccia gli schizzi di pioggia e tutto scolora verso mezzi toni elusivi e puritani: nuvole grigio‑ bianche, mare grigio‑ verde fino alla linea d'orizzonte, il fluire della sabbia, di un fulvo chiaro sbiadito, cosparsa di conchiglie rotte e di curve ampie e astratte di un grigio spento dove la marea arriva in maniera irregolare. Cassie indossava pantaloni di velluto verde salvia e il suo grande montgomery color ruggine. Il vento le arrossava il naso. Si percepivano il sale, le alghe, la pioggia dolce e un che di casalingo: qualcuno che cucinava salsicce nelle grandi case georgiane che si affacciavano sulla spiaggia. Una bella ragazzona in calzoncini e cappellino da baseball, forse una studentessa americana, stava facendo jogging sulla riva, davanti a noi; lungo la passeggiata, una giovanissima mamma in tuta spingeva un passeggino doppio.

«A cosa stai pensando? » domandai.

Mi riferivo al caso, ovviamente, ma Cassie era di un umore pazzerello; lei sprigiona più energia della maggior parte delle persone che conosco, ed era rimasta seduta al chiuso quasi tutto il giorno. «Ma sentitelo! Già una donna che chiede a un uomo cosa sta pensando è un crimine assoluto… lei è troppo dipendente e bisognosa e lui se la dà a gambe… ma quando è l'inverso…»

«Comportati bene» le dissi, abbassandole il cappuccio sulla faccia.

«Aiuto! Mi stanno molestando! » gridò. «Chiamate la Commissione Pari Opportunità. » La mamma col passeggino ci rivolse uno sguardo acido.

«Sei troppo agitata. Calmati o ti riporto a casa senza gelato. »

Si buttò indietro il cappuccio e si mise a correre sulla spiaggia facendo ruote e capriole, con il montgomery che le si rivoltava sulle spalle. La mia prima impressione su Cassie era azzeccata: aveva fatto ginnastica per otto anni da bambina, e a quanto pareva era anche piuttosto brava. Aveva lasciato perdere perché le gare e la ripetitività la annoiavano; quello che amava erano le movenze, la loro geometria tesa, molleggiata, rischiosa. E anche dopo quindici anni, il suo corpo le ricordava ancora tutte. Quando la ripresi era senza fiato e si stava pulendo le mani dalla sabbia.

«Meglio? » chiesi.

«Molto. Dicevi? »

«Il caso. Lavoro. Persona morta. »

«Ah, quello…» Si fece subito seria. Si sistemò il cappotto e ci rimettemmo a camminare lungo la riva, strisciando i piedi su conchiglie semisepolte. Una fila di impronte di zampe zigzagava lungo il nostro percorso: quelle di un cane grosso, allegro e giocherellone, forse un retriever.

«Mi stavo chiedendo» disse Cassie, «com'erano Peter Savage e Jamie Rowan. »

Stava guardando un traghetto, piccolo e ben definito come un giocattolo, che si muoveva lento ma determinato lungo la linea dell'orizzonte; il suo volto, offerto alla pioggerellina, era imperscrutabile. «Perché? » chiesi.

«Non lo so, così. »

Ripensai a lungo alla domanda. I miei ricordi di loro si erano assottigliati per l'usura, fino a diventare dei lucidi trasparenti e colorati che svolazzavano sulle pareti della mia mente: Jamie che si arrampicava decisa e con piede sicuro su un ramo alto, la risata di Peter che si diffondeva nel bagliore trompe‑ l'œ il del verde davanti a noi. Con un lento cambiamento di rotta erano diventati bambini di un inquietante libro di favole, miti luminosi risalenti a una civiltà perduta; era difficile credere che una volta erano stati reali e amici miei.

«In che senso? » chiesi alla fine, inutilmente. «Personalità, aspetto o cosa? »

Cassie fece spallucce. «Non so. Decidi tu. »

«Erano grandi più o meno come me» dissi. «Altezza media, immagino si possa dire. Entrambi di corporatura snella. Jamie aveva i capelli biondo platino, tagliati a caschetto, il naso schiacciato e all'insù. Peter aveva i capelli castano chiaro, con quel taglio moscio che hanno i bambini quando sono le madri a occuparsi dell'acconciatura, e gli occhi verdi. Credo che probabilmente sarebbe diventato molto bello. »

«E le loro personalità? » Cassie mi lanciò uno sguardo; il vento le appiattiva i capelli sulla testa e li rendeva lustri come la pelliccia di una foca. Ogni tanto, quando andavamo a fare delle passeggiate, mi prendeva sottobraccio, ma sapevo che questa volta non l'avrebbe fatto.

Durante il primo anno di collegio pensavo a loro costantemente. Avevo una nostalgia di casa devastante; lo so che capita a tutti i bambini, in quella situazione, ma credo che il mio strazio andasse ben oltre la norma. Era un'agonia costante e impietosa, che consumava come un mal di denti. All'inizio di ogni trimestre dovevano tirarmi fuori a forza, urlante, dall'auto e trascinarmi dentro mentre i miei genitori ripartivano. Sicuramente starete pensando che questo tipo di atteggiamento mi avesse reso un obiettivo perfetto per i bulli; be', in realtà mi lasciavano assolutamente in pace, rendendosi conto, immagino, che nulla di ciò che avrebbero potuto infliggermi mi avrebbe fatto sentire peggio. Non che la scuola fosse un inferno o roba del genere, anzi, credo che per essere un collegio non fosse neanche malaccio: una scuola non troppo grande, in campagna, con un sistema complicato di attività che i più piccoli svolgevano per gli studenti più " anziani" e una specie di ossessione per squadre e punteggi e vari altri cliché. Semplicemente, tutto ciò che volevo, più di quanto non avessi voluto qualsiasi altra cosa nella mia vita, era tornare a casa.

Ce la feci, come nella più scontata delle tradizioni dei bambini, rifugiandomi nell'immaginazione. Sedevo su sedie traballanti durante assemblee soporifere e mi immaginavo Jamie che si agitava di fianco a me, ricostruivo ogni suo più piccolo dettaglio, la forma delle rotule, il modo che aveva di inclinare la testa. La notte stavo sveglio per ore, con gli altri ragazzi che russavano o bisbigliavano intorno a me, e mi concentravo con ogni cellula del corpo fino a sapere, oltre ogni ragionevole dubbio, che una volta aperti gli occhi Peter sarebbe stato nel letto accanto al mio. Mandavo messaggi in bottiglia lungo il ruscello che attraversava i terreni della scuola: " Per Peter e Jamie. Per favore tornate, vi prego. Adam". Capite, sapevo di essere stato mandato via perché erano scomparsi e sapevo che se fossero riapparsi venendo fuori dal bosco di corsa, una sera, sporchi e pizzicati dalle ortiche, esigendo la cena, mi avrebbero dato il permesso di tornare a casa.

«Jamie era un maschiaccio» dissi. «Era molto timida con gli estranei, soprattutto gli adulti, ma dal punto di vista fisico era senza paura. Vi sareste piaciute, voi due. »

Cassie mi lanciò un mezzo sorriso, di sghembo. «Nel 1984 avevo solo dieci anni, te lo ricordi? Non mi avreste nemmeno rivolto la parola. »

Ero arrivato a pensare al 1984 come a un mondo privato, a parte; fu una specie di shock rendermi conto che anche Cassie c'era stata, e a pochi chilometri di distanza soltanto. Nel momento in cui Peter e Jamie svanivano nel nulla lei stava facendo qualcosa, magari giocava con delle amiche o andava in bici o cenava, ignara di ciò che stava accadendo e dei lunghi e complicati percorsi che l'avrebbero condotta a me e a Knocknaree. «Infatti, non l'avremmo mai fatto» dissi. «Ti avremmo detto: " Dacci i soldi del tuo pranzo, piccola citrulla". »

«Lo fai anche oggi. Va' avanti. »

«Sua madre era una specie di hippie, tutta ampie gonne struscianti e capelli lunghi. E per la merenda a scuola dava sempre a Jamie yogurt con germe di grano. »

«Ah, però! » fu il commento di Cassie. «Non immaginavo neanche che si trovasse il germe di grano negli anni Ottanta. Sempre che lo si volesse mangiare. »

«Credo fosse figlia illegittima, Jamie intendo, non sua madre. Suo padre non c'era. Alcuni bambini la prendevano in giro per questo, finché non ne picchiò uno. Dopo quella volta, chiesi a mia madre dov'era il papà di Jamie, e lei mi rispose di farmi i fatti miei. » Lo avevo chiesto anche a Jamie e lei aveva fatto spallucce e aveva risposto: «E chi se ne frega? ».

«E Peter? »

«Peter era il capo» dissi. «Da sempre, anche quando eravamo piccolissimi. Riusciva a parlare con chiunque e parlando ci toglieva sempre da qualsiasi impiccio. Non che fosse un saputello, non lo era per niente, ma era sicuro di sé e gli piaceva la gente. E poi era gentile. »

C'era un bambino nella nostra strada, Willy Little. Il nome stesso, più o meno l'equivalente di Pisellino, sarebbe bastato a causargli guai a sufficienza… mi chiedo a cosa diavolo stessero pensando i suoi genitori quando gli avevano dato quel nome. A parte questo, aveva le lenti degli occhiali spesse come fondi di bottiglia, e per problemi respiratori indossava tutto l'anno grossi maglioni fatti a mano con coniglietti sul davanti, oltre a cominciare tutte le sue frasi con: «La mia mamma dice che…». L'avevamo torturato allegramente tutta la vita, facendogli dei disegnini sui quaderni, sputandogli in testa dalla cima degli alberi, tenendo da parte le cacche del coniglio di Peter e dicendogli che erano uvette ricoperte di cioccolato, quel genere di cose… Ma l'estate dei nostri dodici anni Peter ci fece smettere. «Non è giusto» disse. «Non è colpa sua. »



  

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