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Tana French 10 страница«Quali prove della Scientifica? » chiese Mark con scetticismo. Cassie gli rivolse un sorrisetto furbo ed estrasse da una tasca la sigaretta arrotolata, ordinatamente chiusa in un sacchetto di plastica. Gliela sventolò davanti. «DNA. Hai lasciato i mozziconi nel luogo dove hai bivaccato. » «Cristo» disse Mark, fissando il sacchetto. Sembrava che stesse decidendo se infuriarsi oppure no. «Faccio solo il mio lavoro» disse allegramente Cassie, rimettendosi il sacchetto in tasca. «Cristo» ripeté lui. Si mordicchiava le labbra, ma non riusciva a nascondere del tutto il sorrisetto che gli deformava appena un angolo della bocca. «E ci sono cascato in pieno. Sei una tipa incredibile, porco cane, lo sei sul serio. » «Allora, avanti, raccontami, hai dormito nel bosco…» Silenzio. Alla fine Mark si mosse, lanciò un'occhiata all'orologio appeso al muro e sospirò. «Va bene, ci ho passato qualche notte. » Feci il giro del tavolo, mi sedetti e aprii il blocco degli appunti. «Lunedì o martedì? O entrambi? » «Solo lunedì. » «A che ora sei arrivato? » «Intorno alle dieci e mezzo. Ho acceso un falò e quando si è spento mi sono messo a dormire, verso le due. » «Lo fai in tutti i siti? » chiese Cassie. «O solo a Knocknaree? » «Solo a Knocknaree. » «Perché? » Mark si guardò le dita, le tamburellò lentamente sul tavolo. Cassie e io aspettavamo. «Sapete cosa significa Knocknaree? » disse alla fine. «Collina del re. Non siamo certi di quando il nome abbia avuto origine, ma siamo abbastanza sicuri che si tratti di un riferimento precristiano, non politico. Non vi sono evidenze di sepolture reali o di insediamenti abitativi, ma abbiamo trovato dappertutto manufatti religiosi dell'Età del Bronzo: la pietra d'altare, figurine votive, una coppa d'oro per offerte, resti di sacrifici animali e forse anche umani. Quella collina è stata un sito religioso importantissimo. » «Chi adoravano? » Si strinse nelle spalle e aumentò il ritmo del tamburellamento. Avrei voluto sbattere la mano sulla sua e tenergliela ferma. «Quindi facevi la guardia» disse tranquillamente Cassie. Se ne stava rilassata sulla sua sedia, ma i lineamenti del suo volto erano attenti e in allerta, puntati su di lui. Mark spostò la testa, pareva a disagio. «Più o meno. » «Il vino che hai versato» proseguì Cassie. Lui sollevò bruscamente lo sguardo, poi lo distolse. «Una libagione? » «Se la vogliamo definire così. » «Vediamo se ho capito bene» dissi. «Hai deciso di dormire a pochi metri da dove è stata assassinata la ragazza e noi dovremmo credere che eri lì per motivi religiosi. » D'un tratto si infiammò, si lanciò in avanti e puntò un dito contro di me, rapido e selvatico come un gatto della giungla. Ebbi un sussulto prima che potessi controllarmi. «Senti, detective, adesso tu mi ascolti. Io non credo alla Chiesa, mi segui? A nessuna Chiesa. La religione esiste per tenere la gente al proprio posto e per versare l'obolo. Quando sono diventato maggiorenne ho fatto cancellare il mio nome dal registro ecclesiastico. E non credo neanche ad alcun governo. Sono come la Chiesa, tutti quanti. Parole diverse, stesso obiettivo: tenere il piede sul collo dei poveri e sostenere i ricchi. Le uniche cose in cui credo sono là fuori, allo scavo. » Aveva gli occhi ridotti a una fessura, incandescenti, adatti a stare dietro un fucile in cima a una barricata senza più speranze. «C'è più da adorare in quel sito che in qualsiasi fottutissima chiesa del mondo. È un sacrilegio che stiano per costruirci un'autostrada. Se stessero per abbattere l'Abbazia di Westminster per costruirci un parcheggio, criticheresti la gente che vi montasse la guardia? Allora non rifilarmi la lezioncina se faccio la stessa cosa. » Mi fissò finché non sbattei le palpebre, poi si schiacciò contro lo schienale e incrociò le braccia. «Immagino di poter interpretare la cosa come una negazione da parte tua di alcun coinvolgimento nell'omicidio» dissi freddamente, una volta certo di avere ripreso il controllo della voce. Per un qualche motivo, quella tirata mi aveva colpito più di quanto non volessi ammettere. Mark sollevò gli occhi al soffitto. «Mark» intervenne Cassie. «So esattamente cosa intendi. Io provo la stessa cosa per il mio lavoro. » Verde in volto, lui le rivolse un'occhiata lunga e dura, senza muovere un muscolo. Alla fine però annuì. «Ma devi capire anche il punto di vista del detective Ryan: un sacco di gente non capirà quello che provi. Per loro sembrerà solo una cosa molto, molto sospetta. Dobbiamo poterti escludere dall'indagine. » «Se volete che mi sottoponga alla macchina della verità, lo farò. Ma martedì sera non ero là. Ci sono andato lunedì. Ma che c'entra con tutto il resto? » Provai nuovamente quella sensazione di sprofondare. A meno che non fosse molto più bravo di quanto fossi disposto a concedergli, dava per scontato che Katy fosse morta martedì sera, la sera prima del ritrovamento del corpo. «Okay, puoi provare allora dove ti trovavi? E sii preciso… diciamo dall'ora in cui hai finito il lavoro, martedì, fino a quando sei tornato al sito, mercoledì mattina? » Mark respirò a denti stretti, si torturò una vescica e d'un tratto mi resi conto che sembrava imbarazzato; lo faceva apparire molto più giovane. «Sì, posso provarlo. Sono tornato alla casa, mi sono fatto una doccia, ho cenato con i ragazzi, abbiamo giocato a carte e ci siamo bevuti qualche lattina in giardino. Potete chiederlo a loro. » «E poi? » dissi. «A che ora siete andati a dormire? » «La maggior parte sono rientrati intorno all'una. » «E c'è qualcuno che può confermare i tuoi movimenti dopo quell'ora? Condividi la stanza con qualcuno? » «No. Ho una stanza tutta per me, sono l'assistente del direttore del sito. Sono rimasto alzato un altro po', in giardino, a parlare con Mel. Sono rimasto con lei fino all'ora di colazione. » Stava facendo del suo meglio per apparire indifferente, ma tutta quell'arrogante padronanza di sé era svanita; ora sembrava suscettibile e impacciato come un ragazzino di quindici anni. Mi sarei messo a ridere. Non osavo guardare Cassie. «Tutta la notte? » domandai con malizia. «S…s…sì. » «In giardino? Non era un po'… freschetto? » «Siamo rientrati verso le tre e siamo rimasti nella mia stanza fino alle otto. Quando ci siamo alzati. » «Bene, bene, bene» commentai soavemente. «La maggior parte degli alibi non sono neanche lontanamente così piacevoli. » Mi lanciò un'occhiata velenosa. «Torniamo a lunedì notte» disse Cassie. «Mentre eri nel bosco, hai visto o sentito nulla di strano? » «No. Ma è molto buio, buio come può esserlo in campagna, non come in città. Non c'è illuminazione pubblica o nulla del genere. E potrei non averli sentiti, ci sono un sacco di rumori. » Buio e rumori del bosco: ebbi nuovamente un brivido che mi scese lungo la schiena. «Non necessariamente nel bosco» sottolineò Cassie. «Allo scavo, o magari lungo la strada… C'era qualcuno, diciamo intorno alle undici e mezzo? » «Un momento» fece d'un tratto Mark, quasi con riluttanza. «Al sito… c'era qualcuno. » Né Cassie né io ci muovemmo. Tra noi era scoccata una scintilla d'allarme. Eravamo stati quasi pronti a mollare Mark, controllarne l'alibi, inserirlo in una lista con un punto interrogativo e lasciarlo tornare alla sua piccozza, almeno per il momento – nei primi, febbrili giorni di un'indagine non c'è tempo da perdere su ciò che è anche solo poco meno che cruciale – e ora aveva di nuovo tutta la nostra attenzione. «Potresti fornirci una descrizione? » chiesi. Mi squadrò con disgusto. «Certo, somigliava tanto a una torcia. Ho detto che era buio. » «Mark» lo rimproverò Cassie. «E se cominciassi dall'inizio? » «C'era qualcuno con una torcia che attraversava il sito, dall'abitato verso la strada. È tutto. Ho visto solo il raggio di luce. » «A che ora? » «Non ho guardato l'orologio. L'una? Forse un po' prima…» «Pensa bene. Potresti dirci qualcosa… qualsiasi cosa, magari l'altezza, in base all'angolazione del fascio di luce? » Mark rifletté. «No. Sembrava abbastanza bassa, vicino al terreno, ma il buio altera il senso delle prospettive. Si muoveva lentamente, ma come avrebbe fatto chiunque; l'avete visto il sito, è tutto pieno di buche e pezzi di muro. » «Una torcia grande o piccola? » «Il fascio era piccolo, non molto intenso. Non era uno di quei torrioni col manico. Una torcia piccola. » «Quando l'hai vista la prima volta» chiese Cassie, «era su, verso il muro della zona residenziale, dalla parte opposta della strada? » «Sì, più o meno. Ho pensato che venisse dal cancello posteriore, o che forse avesse scavalcato il muro. » Il cancello posteriore della zona residenziale era in fondo alla strada dei Devlin, a solo tre case di distanza. Poteva aver visto Jonathan o Margaret, rallentati da un corpo e alla ricerca di un luogo dove lasciarlo; oppure Katy che scivolava furtiva nell'oscurità per incontrare qualcuno, armata solo di una piccola torcia e di una chiave di casa che non avrebbero potuto riportarla indietro, al sicuro. «Ed è andato alla strada. » Mark si strinse nelle spalle. «Ha tagliato di là, percorrendo il sito in diagonale, ma non ho visto dov'è arrivato. Gli alberi mi impedivano di vedere. » «Credi che, chiunque fosse, abbia notato il fuoco che avevi acceso? » «E come faccio a saperlo? » «D'accordo, Mark» disse Cassie, «questo è importante. Hai visto un'auto passare intorno a quell'ora? O magari ce n'era una ferma sulla strada? » Mark si prese un po' di tempo. «No» rispose alla fine e con sicurezza. «È passata una coppia appena sono arrivato, ma nulla dopo le undici. Vanno a letto presto da quelle parti. Tutte le luci si spengono prima di mezzanotte. » Se stava dicendo la verità, allora ci aveva appena fatto un grosso favore. Sia il luogo dell'uccisione sia la scena secondaria, ovunque il corpo di Katy fosse stato nascosto nella giornata di martedì, si trovavano quasi certamente a una distanza raggiungibile a piedi dalla zona residenziale, molto probabilmente proprio lì, e la nostra cerchia dei sospetti non includeva più la gran parte della popolazione irlandese. «Sei certo che te ne saresti accorto se fosse passata un'auto? » domandai. «La torcia l'ho notata, no? » «Ma te la sei ricordata solo ora» ribattei. Arricciò le labbra. «La mia memoria funziona alla perfezione, grazie mille. Non pensavo fosse importante. È stato lunedì sera, no? Non ci ho prestato molta attenzione. Ho pensato fosse qualcuno che tornava da casa di amici, o magari un ragazzino che andava a incontrarsi con un compagno. A volte ci vanno, di sera, al sito. Non era un mio problema, comunque. Non mi ha dato fastidio. » A quel punto Bernadette, l'impiegata amministrativa della squadra, bussò alla porta della stanza. Quando aprii, disse con disapprovazione: «Detective Ryan, c'è una telefonata per lei. Ho detto alla persona che non potevo disturbarla, ma ha detto che era importante». Bernadette è alla Omicidi da qualcosa come ventiquattro anni, tutta la sua vita lavorativa. Ha una faccia da marsupiale petulante, cinque completi da ufficio, uno per ogni giorno della settimana (il che è utile se sei troppo stanco per ricordare che giorno è ), e tutti pensiamo che sia segretamente e senza speranza innamorata di O'Kelly. Gira una gigantesca scommessa per tutta la squadra su quando si metteranno finalmente insieme. «Vai pure» disse Cassie. «Posso finire io, qui… Mark, abbiamo solo bisogno di raccogliere la tua testimonianza. Poi ti diamo un passaggio per riportarti al lavoro. » «Prendo l'autobus. » «No che non lo prendi» mi intromisi. «Dobbiamo verificare il tuo alibi con Mel e non sarebbe una gran verifica se tu avessi la possibilità di parlarle prima. » «Ma porca puttana» scattò Mark, rimettendosi rumorosamente a sedere. «Non mi sto inventando niente. Chiedete a chi volete. Lo sapevano tutti nel gruppo, prima ancora che ci alzassimo. » «Non preoccuparti, lo faremo» dissi allegramente, lasciandolo nelle mani di Cassie.
Tornai alla sala operativa e attesi che Bernadette mi passasse la telefonata, cosa che fece mettendoci tutto il suo tempo per farmi capire che non era compito suo venire a cercarmi. «Ryan» risposi. «Detective Ryan? » Sembrava senza fiato, senza fiato e titubante, ma riconobbi la voce all'istante. «Sono Rosalind. Rosalind Devlin. » «Rosalind» ripetei, aprendo di scatto il bloc‑ notes e pescando una penna. «Come stai? » «Oh, io sto bene. » Risatina fragile. «A dire il vero, non proprio. Non sto bene, sono sconvolta. Ma credo che siamo ancora sotto shock, che la cosa non l'abbiamo ancora colta fino in fondo. Non si pensa mai che un evento del genere possa accadere a noi, vero? » «No» concordai, comprensivo. «So come devi sentirti. Cosa posso fare per aiutarti? » «Mi chiedevo… pensa che potrei fare un salto da lei per parlarle, un giorno? Solo se non è troppo disturbo. C'è una cosa che devo chiederle. » In sottofondo udii il rumore di un'auto che passava. Rosalind era fuori, da qualche parte, al cellulare o in una cabina. «Ma certo. Oggi pomeriggio? » «No» si affrettò a rispondere. «No… non oggi. Vede, torneranno a minuti, sono andati solo a… a vedere…» La voce le si spense. «Che ne dice di domani? Nel pomeriggio? » «Quando vuoi» dissi. «Ti lascio il numero del mio cellulare, va bene? Così puoi chiamarmi ogni volta che ne hai bisogno. Fammi uno squillo domani e ci vediamo. » Rosalind se lo scrisse, ripetendo i numeri a bassa voce. «Ora devo andare» disse in tutta fretta. «Grazie, detective Ryan. Grazie di cuore» e prima che potessi salutarla riattaccò.
Andai a dare un'occhiata alla saletta degli interrogatori: Mark stava scrivendo e Cassie era riuscita a farlo ridere. Battei le dita sul vetro. La testa di Mark scattò, Cassie mi lanciò un sorrisino e annuì impercettibilmente: a quanto pareva se la stavano cavando bene senza di me. Come potete immaginare, la cosa non mi dispiaceva affatto. Sophie era in attesa del campione di sangue che le avevamo promesso; lasciai a Cassie un messaggio su un post‑ it, " Torno alle 5", lo attaccai alla porta della saletta e scesi nell'interrato. Le procedure per la catalogazione delle prove nei primi anni Ottanta, soprattutto quelle dei casi insoluti, non erano precisissime. La scatola di Peter e Jamie era su uno scaffale in alto e non l'avevo mai tirata giù prima di allora, ma quando feci per estrarre il fascicolo principale che si trovava in cima percepii del movimento all'interno e capii che la scatola doveva contenere altre cose, sicuramente le prove che Kiernan, McCabe e il loro team avevano raccolto. Il caso comprendeva altre quattro scatole che recavano etichette scritte con una calligrafia da bambino: 2) Questionnari, 3) Questionnari, 4) Dichiarazioni, 5) Piste. L'ortografia non era il lato forte di Kiernan o McCabe. Tirai giù la prima scatola e atomi di pulviscolo scesero a cascata, rilucendo al riflesso dell'unica, spoglia lampadina. Conteneva diversi sacchetti di plastica con le prove. Erano incrostati di polvere e gli oggetti all'interno avevano un aspetto irreale, seppiato, di macerie da disastro naturale, o di manufatti misteriosi ritrovati in una sala sigillata da secoli. Li estrassi con cura, uno per uno, soffiai via la polvere e li misi in fila sui lastroni del pavimento. C'era poco per essere stato un caso così rilevante. L'orologio di un bambino, un bicchiere di vetro da bibita, un gioco Donkey Kong di un arancio spento, tutti ricoperti di quella che sembrava polvere per rilevare le impronte. Foglie secche, pezzetti di corteccia… Un paio di calzini da ginnastica bianchi macchiati di una sostanza marrone scuro, con riquadri dove il rasoio aveva ritagliato campioni per sottoporli ai test; una maglietta bianca sudicia; dei calzoncini di tela blu sbiaditi, con gli orli che cominciavano a sfilacciarsi e, infine, le scarpe da ginnastica con i classici segni dell'usura e l'interno rigido, nero e deformato. Erano del tipo imbottito, ma il sangue era riuscito a passare all'interno: le tomaie presentavano minuscole macchie scure che partivano dalle cuciture e sulla parte superiore c'erano schizzi di colore marroncino più sbiadito dove il sangue era penetrato meno. Mi ero preparato bene alla cosa. Avevo in parte previsto che vedere le prove avrebbe potuto scatenare una drammatica ondata di ricordi. Non mi ero aspettato di finire in posizione fetale sul pavimento dell'interrato, ma c'era un motivo per cui avevo scelto un momento in cui era improbabile che scendesse qualcuno a cercarmi. Nella realtà delle cose, però, mi rendevo conto, con un acuto senso di delusione, che nulla di quel materiale aveva il benché minimo aspetto familiare, tranne, è vero, il Donkey Kong di Peter, che forse era lì solo per rilevarvi le impronte e confrontarle con altre e che diede vita a una fiammata di ricordi, breve quanto inutile: io e Peter seduti sulla moquette illuminata dal sole, con un pulsante ciascuno, concentrati e sgomitanti, Jamie in piedi alle nostre spalle che gridava istruzioni eccitate. Si trattò però di un'esperienza così intensa che mi parve quasi di sentire le acute segnalazioni acustiche del gioco. I vestiti, anche se li sapevo miei, non fecero trillare alcun campanello; sembrava inconcepibile che mi fossi effettivamente alzato una mattina e li avessi indossati. Riuscivo a coglierne solo le emozioni collegate: quanto era piccola la maglietta, il Topolino disegnato con la biro sulla punta di una delle scarpe. Dodici anni, all'epoca, erano sembrati incredibilmente tanti. Presi il sacchetto con la maglietta e lo girai tra pollice e indice. Avevo letto degli squarci sulla schiena ma non li avevo mai visti e in qualche modo li trovai ancora più scioccanti di quelle terribili scarpe. Avevano un che di innaturale, quelle linee parallele perfette, quegli archi precisi e poco profondi; un'impossibilità aspra e implacabile. " Rami? " pensai, scrutandoli come se stessi fissando il vuoto. Ero saltato da un albero o mi ero accovacciato in un cespuglio e la maglietta era rimasta impigliata in quattro rami contemporaneamente? Sentii un pizzicore alla schiena, tra le scapole. D'un tratto e senza che potessi oppormici desiderai essere da qualche altra parte. Il soffitto basso premeva in maniera claustrofobica e l'aria polverosa era diventata irrespirabile, il silenzio oppressivo. L'unica cosa che di tanto in tanto percepivo erano le inquietanti vibrazioni che il passaggio degli autobus produceva sulle pareti. Praticamente ributtai tutta la roba nella scatola, la issai sullo scaffale (i contenitori a destra e a sinistra si erano allargati e per un istante ebbi paura che la scatola non entrasse più ) e afferrai le scarpe, che avevo lasciato sul pavimento, per consegnarle a Sophie. Fu solo in quel momento che mi colpì, lì nel freddo interrato, tra quei casi semidimenticati e gli impercettibili scricchiolii delle buste di plastica che riprendevano la loro forma nelle scatole, l'immensità di ciò che avevo messo in moto. A causa di tutto quello che avevo in mente, non ero riuscito a pensare alla faccenda in maniera completa. Il vecchio caso sembrava una cosa talmente privata da farmi dimenticare che avrebbe potuto avere implicazioni anche nel mondo esterno. Ma stavo portando quelle scarpe nella sala operativa (cosa diavolo andavo pensando? ), le avrei messe in una busta imbottita e avrei detto a uno degli agenti di portarle a Sophie. Sarebbe successo comunque, prima o poi, perché i casi dei bambini scomparsi non sono mai chiusi. Questione di tempo e qualcuno avrebbe deciso di sottoporre le vecchie prove alle nuove tecnologie. Ma se il laboratorio fosse riuscito a ricavare il DNA dalle scarpe e, in particolare, se fossero riusciti a compararlo col sangue trovato sulla pietra sacrificale, allora non si sarebbe più trattato di una pista secondaria nel caso Devlin, di un'ipotesi campata per aria tra noi e Sophie: il vecchio caso sarebbe esploso nuovamente, sarebbe stato di nuovo un caso aperto. Tutti, da O'Kelly in su, avrebbero fatto il diavolo a quattro perché fossero applicate le nuove tecnologie a quelle prove: la Garda non molla mai, nessun caso irrisolto viene archiviato, l'opinione pubblica può stare certa che dietro le quinte ci muoviamo, silenziosi ma implacabili. I media sarebbero piombati come falchi sulla possibilità che ci fosse un serial killer di bambini tra noi. E avremmo dovuto fare quello che era necessario: prelevare campioni di DNA dei genitori di Peter e della madre di Jamie e… oh, mio Dio… di Adam Ryan. Osservai le scarpe ed ebbi l'improvvisa immagine mentale di un'auto: i freni non reggono e lo scivolamento giù per una collina ha inizio, dapprima piano, senza danni, quasi comico, poi sempre più veloce, finché non trasforma l'auto in una palla da demolizione, impietosa e incurante.
Riaccompagnammo Mark al sito e lo lasciammo a rimuginare foscamente sui sedili posteriori dell'auto mentre io parlavo con Mel nella baracca dei reperti (dovemmo buttare fuori un tipo dall'aria sbigottita chiamato Ronan, che stava disegnando dei frammenti di vasellame e che chiaramente concluse che Mark e Mel stavano per essere arrestati per omicidio) e Cassie scambiava quattro chiacchiere con i loro coinquilini. Mel, quando le chiesi come aveva trascorso la serata di martedì, diventò rossa come un peperone e non riuscì a sostenere il mio sguardo, ma disse che lei e Mark avevano parlato in giardino fino a tardi, che alla fine si erano baciati e che avevano passato il resto della notte nella stanza di lui. Mark se n'era andato solo una volta, per una visitina al bagno, e non si era assentato per più di due minuti. «Ci siamo trovati bene insieme fin dall'inizio e gli altri ci hanno sempre presi in giro per questo. Ma immagino che fosse scritto nelle carte. » Anche lei confermò che Mark di tanto in tanto passava la notte fuori casa e che le aveva detto di aver dormito nel bosco di Knocknaree. «Non so però se gli altri ne sono al corrente. È riservato su questa cosa. » «Non la trovi un po' strana? » Si strinse nelle spalle e si massaggiò la nuca. «È un tipo intenso. È una delle cose che mi piacciono di lui. » Cielo, era così giovane. Frenai l'impulso improvviso di darle un colpetto affettuoso su una spalla e di ricordarle di usare protezioni. Gli altri coinquilini raccontarono a Cassie che Mark e Mel si erano fermati da soli, in giardino, martedì sera, che erano usciti dalla stanza di lui insieme la mattina dopo e che tutti avevano passato le prime ore della giornata, cioè fino a quando non era stato scoperto il corpo di Katy, a prenderli pesantemente in giro per la faccenda. Confermarono anche loro che ogni tanto Mark restava fuori, ma non sapevano dove andava. La loro versione di " tipo intenso" variava da " un po' strano" a " vero schiavista". Trovammo qualcosa da mettere sotto i denti per Cassie (altri sandwich plasticosi presi dal negozio di Lowry) e pranzammo seduti sul muro della zona residenziale. Mark stava organizzando gli archeologi per qualche altra attività, facendo ampi gesti e scatti combattivi come un vigile urbano intento a dirigere il traffico. Sentivo Sean che si lamentava a voce alta di qualcosa e tutti gli altri che gli gridavano di chiudere la bocca, di piantarla di fare il lavativo e di mettersi sotto. «Lo giuro su Dio, Macker, se la trovo tra la tua roba te la infilo su per il culo così a fondo che…» «Ooh, Sean ha la sindrome premestruale…» «Hai controllato su per il tuo, di culo? » «Magari i poliziotti l'hanno portata via, Sean, stai tranquillo, su. » «Vai a lavorare, Sean» gridò Mark. «Non lavoro senza la mia cazzo di cazzuola! » «Fattene prestare una. » «Qui ne cresce una» strillò qualcuno. Una cazzuola passò velocemente di mano in mano, la lama che mandava riflessi. Sean la prese e si mise al lavoro, ma continuò a brontolare. «Se avessi dodici anni» mi chiese Cassie, «cosa ti spingerebbe a venire qui fuori nel bel mezzo della notte? » Ripensai al debole cerchio di luce che palpitava come un fuoco fatuo tra radici di alberi tagliati e resti di antichi muri; l'osservatore silenzioso nel bosco. «L'abbiamo fatto un paio di volte» dissi. «Di trascorrere la notte nella nostra casetta sull'albero. Il bosco era molto più esteso allora, fin su verso la strada. » Sacchi a pelo su assi di legno ruvido, torce accese tenute vicino alle pagine dei fumetti, sobbalzi a ogni fruscio, occhi dorati e selvaggi a pochi alberi di distanza, noi tutti a urlare, Jamie che lanciava un mandarino, la cosa che balzava via con uno schianto di foglie… Cassie mi lanciò un'occhiata da sopra la confezione di succo di frutta. «Sì, ma eri con i tuoi amici. Cosa ti farebbe uscire da solo? » «Incontrare qualcuno… una sfida… magari per recuperare qualcosa di importante che ho dimenticato qui. Parliamo con le sue amiche, vediamo se aveva detto loro qualcosa. » «Non è stata un'occasione casuale» disse Cassie. Gli archeologi avevano rimesso gli Scissor Sisters e lei dondolava un piede, senza accorgersene, a ritmo. «Anche se non si tratta dei genitori. Il nostro non è uscito per prendersi la prima bambina indifesa che ha trovato. Era tutto molto ben pianificato. Non era solo alla ricerca di un bambino da ammazzare; stava cercando proprio Katy. » «E conosceva il posto piuttosto bene» aggiunsi, «se è riuscito a trovare la pietra sacrificale al buio, trasportando anche un corpo. Sembra sempre più uno di qui. » Sotto il sole, il bosco era gaio e scintillante, con il canto degli uccelli, le foglie smosse dalla brezza, Robin Hood e i suoi allegri compari. E dietro di me, avvertibile, la presenza innocua di file e file di abitazioni identiche. " Posto maledetto" fui lì lì per dire, ma mi trattenni.
Finiti i sandwich, andammo a trovare la zia Vera e le cugine. Faceva caldo, era ancora pomeriggio, ma il quartiere aveva un che di vuoto, strano e misterioso, da nave fantasma. Le finestre erano chiuse, sigillate, e non c'era un solo bambino fuori a giocare. Erano tutti in casa, confusi e irrequieti, ma al sicuro sotto gli occhi dei loro genitori, e cercavano di origliare i bisbigli degli adulti, di scoprire cosa stesse succedendo. I Foley erano una banda poco simpatica. La quindicenne si sistemò su una poltrona, a braccia incrociate e busto eretto come una mammina, e ci rivolse uno sguardo scialbo, annoiato e arrogante; la ragazzina di dieci anni sembrava il maialino di un cartone animato e masticava gomma con la bocca aperta, dimenando il sedere sul divano e di tanto in tanto mostrando la gomma sulla lingua per poi risucchiarla in bocca. Quanto al minore, era uno di quei bambini piccoli che ti sconcertano perché sembrano adulti bonsai. Aveva una faccia compassata e tozza con il naso a becco e mi fissava dal grembo di Vera, arricciando le labbra e ritraendo il mento con disapprovazione nelle pieghe del collo. Ero orribilmente certo che se avesse detto qualcosa lo avrebbe fatto con la voce profonda e rauca di uno che fuma quaranta sigarette al giorno. La casa puzzava di cavolo, forse quello rimasto dal pranzo. Non riuscivo a capire come Rosalind e Jessica potessero decidere di passarci del tempo, e il fatto che in effetti lo facessero era una cosa che mi preoccupava. Con l'eccezione del bambino piccolo, tutti raccontarono la stessa storia. Rosalind e Jessica, e a volte Katy, passavano la notte lì di tanto in tanto. «Mi piacerebbe averle più spesso, naturalmente» disse Vera, tormentando ansiosamente l'angolo di una copertina del divano, «ma proprio non posso, non con i miei nervi, capite. » Meno spesso, Valerie e Sharon restavano dai Devlin. Nessuno sapeva esattamente di chi fosse stata l'idea di dormire da uno o dall'altro, anche se Vera pensava vagamente che poteva essere stata un'idea di Margaret. Il lunedì sera Rosalind e Jessica erano arrivate intorno alle otto e mezzo, avevano guardato la televisione e avevano giocato con il piccolo, anche se non riuscivo proprio a immaginare come; si era mosso a malapena per tutto il tempo che eravamo rimasti lì. Doveva essere stato come giocare con una grossa patata. Poi erano andate a dormire, intorno alle undici, dividendosi un letto da campeggio nella stanza di Valerie e di Sharon.
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