Хелпикс

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Tana French 7 страница



 

«" Non starò più male" » ripeté Cassie, in auto. «E così è stato. »

«Volontà, come ha detto Simone? »

«Forse. » Ma non sembrava convinta.

«O magari stava male apposta» suggerii. «Vomito e diarrea sono abbastanza facili da indurre. Magari cercava di attirare l'attenzione e una volta entrata alla scuola di balletto non ne aveva più bisogno. Riceveva tutta l'attenzione che voleva anche senza stare male, articoli di giornale, raccolta fondi e così via. » Ho sempre pensato che ci fosse qualcosa di mitico e meraviglioso nell'idea di avere un gemello identico, ma capivo che nella realtà poteva condurre a molta concorrenza nella ricerca di attenzioni, e avere una sorella maggiore come Rosalind di certo non sarebbe d'aiuto. «Ho bisogno di una sigaretta. »

«Sindrome di Mü nchhausen? » propose Cassie allungando una mano dietro per cercare le sigarette nella tasca della mia giacca. Io fumo Marlboro rosse. Cassie non è fedele a una sola marca ma in genere compra Lucky Strike Lights, che io considero sigarette da femmina. Ne accese due e me ne passò una. «Riusciamo a recuperare anche le cartelle cliniche delle due sorelle? »

«Rischioso» dissi. «Sono vive, quindi vale la riservatezza. Ma se ottenessimo il consenso dei genitori…» Fu Cassie questa volta a scuotere il capo. «Perché, a cosa stai pensando? »

Abbassò il vetro del finestrino di qualche centimetro e il vento le scompigliò la frangia. «Non so… la gemella, Jessica… il fatto che sembri spaesata come un uccellino caduto dal nido potrebbe avere a che fare con lo stress della sparizione di Katy, ma è comunque magrissima. Anche sotto quella maglia enorme si vedeva che era almeno la metà di Katy, e la stessa Katy non era un gigante. E l'altra sorella… c'è qualcosa di poco chiaro anche in lei. »

«Rosalind? »

Forse per un che di strano nel tono della mia voce, Cassie mi lanciò un'occhiata di sghembo. «Ti piace. »

«Sì, direi di sì » ammisi, sulla difensiva senza sapere perché. «Sembra una brava ragazza. È molto protettiva con Jessica. Perché, a te no? »

«E questo cosa c'entra? » fece lei con freddezza e, mi parve, un po' ingiustamente. «A prescindere da chi l'apprezza, si veste in modo strano, mette troppo trucco…»

«È ben curata, quindi cosa c'è di sbagliato? »

«Senti, Ryan, fa' un favore a entrambi e cresci. Sai esattamente cosa intendo. Sorride quando non deve e, lo avrai notato certamente anche tu, non portava il reggiseno. » L'avevo notato ma non mi ero reso conto che l'avesse fatto anche Cassie, e la cosa mi irritò. «Magari è una brava ragazza sul serio, ma c'è qualcosa che mi puzza. »

Non aggiunsi altro. Cassie gettò quello che restava della sigaretta fuori dal finestrino, si infilò le mani nelle tasche e sprofondò nel sedile come un'adolescente imbronciata. Accesi le luci di posizione e aumentai la velocità. Ero scocciato e sapevo che anche lei lo era con me, ma non sapevo bene come fosse successo.

Il cellulare di Cassie squillò. «Oh, santo cielo…» sbottò lei, guardando lo schermo. «Buonasera, signore… Pronto? … Pronto? … Signore? … Maledetti cellulari. » E riattaccò.

«Cattiva ricezione? » dissi freddamente.

«La fottuta ricezione andava benissimo» rispose lei. «Voleva solo sapere quando saremmo rientrati e perché ci mettevamo tanto… e non avevo voglia di parlargli. »

Di solito riesco a tenere il broncio più a lungo di Cassie, lei non ha un livello di attenzione sufficiente per quel tipo di cose, ma non ce la feci a trattenermi e mi misi a ridere. Dopo un istante, scoppiò a ridere anche Cassie.

«Ascolta» disse, «non volevo fare la stronza con Rosalind. Sono preoccupata. »

«Stai pensando a un abuso sessuale? » In qualche remota parte della mia mente, quel pensiero si era affacciato, ma mi aveva disturbato a tal punto che lo avevo rimosso. Una sorella eccessivamente sexy, una molto sottopeso e una assassinata, dopo varie e misteriose malattie. Ripensai alla testa di Rosalind piegata su quella di Jessica e provai un improvviso quanto insolito impeto di protezione. «Il padre abusa di loro. La strategia di Katy per gestire la cosa è stare male, per odio contro se stessa o per ridurre le occasioni di abuso. Quando l'accettano alla scuola, decide che deve stare bene e che il ciclo deve arrestarsi; magari affronta il padre, minaccia di rivelare tutto. Così lui la uccide. »

«Ci può stare» ammise Cassie. Stava guardando gli alberi che le scorrevano accanto, lungo il bordo della superstrada, e le vedevo solo la nuca. «Ma, per esempio, ci può stare anche la madre se salta fuori che Cooper si è sbagliato sulla violenza sessuale. Sindrome di Mü nchhausen per procura. Sembrava proprio incarnare il ruolo della vittima, l'hai notato? »

L'avevo notato. A volte, il dolore e lo strazio rendono anonimi con la stessa efficacia di una maschera da tragedia greca, altre volte riducono la gente all'essenziale. E questo è il vero e gelido motivo per cui, naturalmente, cerchiamo di essere noi a informare le famiglie della perdita che hanno subito, piuttosto che lasciare il compito agli agenti in divisa: non per mostrare quanto siamo sensibili, ma per vedere come reagiscono. Avevamo portato così tante cattive notizie da saper riconoscere le variazioni. La maggior parte delle persone rimane scioccata e frastornata, sta in piedi a fatica, senza alcuna idea di cosa fare con ciò che si ritrova per le mani; la tragedia è un territorio nuovo che deve affrontare senza una guida, che deve imparare a elaborare e a gestire passo intontito dopo passo intontito. Margaret Devlin non era rimasta sorpresa. Era anzi sembrata quasi rassegnata, come se dolore e strazio fossero la caratteristica del suo stato.

«Quindi essenzialmente lo stesso modello» dissi. «Fa star male una o tutte le sue figlie e quando Katy, accettata alla scuola di balletto, cerca di uscire dallo schema la madre la uccide. »

«Potrebbe anche spiegare perché Rosalind si veste come una quarantenne» aggiunse Cassie. «Cerca di essere un'adulta per sfuggire alla madre. »

Squillò il mio, di cellulare. «Oh, che palle! » esclamammo all'unisono.

 

Rifeci la scenetta della cattiva ricezione e passammo il resto del tempo in auto a redigere una lista di possibili linee di indagine. O'Kelly ama gli elenchi; un buon elenco avrebbe potuto distrarlo dalla sfuriata che ci avrebbe sicuramente riservato per non averlo richiamato.

Noi lavoriamo praticamente al Castello di Dublino e, nonostante tutte le connotazioni coloniali, questo è uno degli elementi che mi gratificano di più del mio lavoro. All'interno, gli uffici sono stati amorevolmente sistemati così da essere come qualsiasi altro ufficio aziendale del Paese: cubicoli, luci fluorescenti epilettiche, moquette che rilascia scariche elettrostatiche e pareti dai colori istituzionali, direttamente da sogni orwelliani al formaggio. Ma l'esterno degli edifici è protetto dalla sovrintendenza e quindi è ancora intatto: oro, mattoni rossi decorati e marmo, con merlature e torrette e sculture corrose di santi nei punti più imprevedibili. D'inverno, nelle sere nebbiose, percorrere gli spazi acciottolati è come attraversare Dickens: tenui lampioni dorati che lanciano ombre con strane angolature, campane che suonano nelle vicine cattedrali, passi che echeggiano nell'oscurità. Cassie dice che ci si può quasi fingere tanti ispettori Abberline al lavoro sugli omicidi di Jack lo Squartatore. Una sera del mese di dicembre, sotto una luna piena che illuminava tutto, si mise a fare la ruota nel cortile centrale.

La finestra dell'ufficio di O'Kelly era illuminata ma, per il resto, l'edificio era al buio. Erano le sette passate e se ne erano andati tutti a casa. Ci intrufolammo il più silenziosamente possibile. Cassie andò in punta di piedi in ufficio per il controllo al computer su Mark e i Devlin e io scesi nel seminterrato dove conserviamo i fascicoli dei vecchi casi. Cantina per il vino in passato, quei burloni della squadra Design aziendale non ci sono ancora arrivati perciò è ancora tutta pietra e colonne e campate con archi bassi. Cassie e io ci siamo ripromessi che un giorno ci porteremo un paio di candele, nonostante ci sia la luce elettrica e in aperta sfida con le normative di sicurezza antincendio, e passeremo la sera a cercare passaggi segreti.

La scatola di cartone (Rowan G., Savage P., 14/8/84) era esattamente dove l'avevo lasciata più di due anni prima; dubito che qualcuno l'avesse toccata da allora. Estrassi il fascicolo e lo sfogliai fino alla dichiarazione rilasciata dalla madre di Jamie alla sezione Persone scomparse e, grazie a Dio, c'era: capelli biondi, occhi nocciola, maglietta rossa, pantaloncini di jeans tagliati, scarpe da ginnastica bianche, mollette per capelli rosse decorate con fragoline.

Mi infilai l'incartamento sotto la giacca, in caso mi fossi imbattuto in O'Kelly. Non c'era motivo per cui non avrei dovuto avercelo, soprattutto ora che il collegamento con il caso Devlin era conclamato, ma per una qualche ragione mi sentivo colpevole, clandestino, come se mi stessi dando alla latitanza con un manufatto tabù. Risalii in ufficio. Cassie era al computer ma aveva lasciato le luci spente perché O'Kelly non le notasse,

«Mark è pulito» disse. «E anche Margaret Devlin. Jonathan ha avuto una condanna, lo scorso febbraio. »

«Pornografia infantile? »

«Cristo, Ryan, hai proprio una mente melodrammatica. No, disturbo delle quiete pubblica: stava protestando contro l'autostrada e ha superato lo sbarramento della polizia. Il giudice gli ha affibbiato una multa da cento sacchi e venti ore di servizio alla comunità, e le ha aumentate a quaranta quando Devlin gli ha fatto notare che, per quello che lo riguardava, era stato arrestato proprio mentre rendeva un servizio alla comunità. »

Non era lì che avevo visto il nome di Devlin perché, come ho già detto, avevo solo una vaga idea dell'esistenza di una controversia sull'autostrada. Ma spiegava perché Jonathan Devlin non avesse denunciato le telefonate anonime alla polizia: non ci vedeva come alleati, soprattutto non in relazione a ciò che aveva a che fare con l'autostrada. «La molletta per capelli è nella dichiarazione in archivio» annunciai.

«Ben fatto» disse Cassie, con appena un accenno di domanda nella voce. Stava spegnendo il computer e si voltò per guardarmi. «Sei contento? »

«Non ne sono certo» risposi. Ovviamente, mi faceva piacere sapere che non stavo perdendo la testa e non stavo immaginando cose. A quel punto, però, mi chiedevo se effettivamente me l'ero ricordato o se l'avevo solo visto nel fascicolo, e quale delle due possibilità mi piacesse meno, e, infine, se non avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa su tutta quella dannata faccenda.

Cassie aspettava. Nella penombra della sera, i suoi occhi apparivano grandi, opachi, speculativi. Sapevo che mi stava dando la possibilità di dire: " Vaffanculo la molletta, dimentichiamoci di averla trovata". Anche ora, per quanto possa sembrare inutile, la tentazione di chiedermi cosa sarebbe successo se l'avessi fatto c'è.

Ma era tardi, la giornata era stata lunga e volevo andare a casa; essere trattato con i guanti di velluto (anche da Cassie; a qualcun altro avrei staccato la testa a morsi) mi ha sempre infastidito. Sorvolare su quella linea di indagine sembrava richiedere uno sforzo maggiore che lasciare che facesse il suo corso. «Chiami Sophie per il sangue? » chiesi. Nella stanza male illuminata, sembrava accettabile ammettere almeno quella debolezza.

«Certo» rispose lei. «Più tardi, però, va bene? Andiamo a parlare con O'Kelly prima che gli venga un aneurisma. Mi ha mandato un SMS mentre eri nel seminterrato. Non pensavo che lo sapesse fare, e tu? »

 

Chiamai l'interno di O'Kelly, lo informai che eravamo tornati e lui rispose: «Con calma, eh? Eccheccazzo! Cosa avete fatto, vi siete fermati per una sveltina? » e ci intimò di precipitarci nel suo ufficio.

Da lui c'è solo una sedia, a parte quella su cui sta seduto, una di quelle cose ergonomiche in finta pelle. Il sottinteso è che non gli devi occupare troppo tempo o troppo spazio. Sedetti io sulla sedia e Cassie si appollaiò su un tavolo dietro di me. O'Kelly le lanciò un'occhiata irritata.

«Diamoci una mossa» esordì. «Devo essere da un'altra parte alle otto. » Sua moglie lo aveva lasciato l'anno prima e da allora il tam‑ tam delle chiacchiere aveva riportato tutta una serie di goffi tentativi di creare delle relazioni, incluso un fiasco spettacolare legato a un appuntamento al buio con una donna che si era rivelata una ex prostituta che lui stesso aveva arrestato quando era alla Buoncostume.

«Katharine Devlin, anni dodici» cominciai.

«L'identificazione è certa, allora? »

«Al novantanove per cento» dissi. «Quando avranno finito di richiuderla, all'obitorio, faremo venire uno dei genitori per il riconoscimento ufficiale, ma Katy Devlin aveva una gemella identica e la sopravvissuta è uguale alla nostra vittima. »

«Piste? Sospetti? » scattò. Si era messo una cravatta quasi bella, era pronto per il suo appuntamento e si era rovesciato addosso fin troppa acqua di colonia; non riuscivo a capire quale, ma sembrava una di quelle costose. «Domani mi tocca la stramaledetta conferenza stampa. Ditemi che avete qualcosa. »

«L'hanno colpita alla testa e soffocata, forse stuprata» lo accontentò Cassie. L'illuminazione al neon le faceva sembrare grigia tutta la parte sotto gli occhi. Aveva un aspetto troppo stanco e troppo giovane per pronunciare quelle parole con tanta calma. «Non avremo nulla di definitivo fino al referto dell'autopsia, domattina. »

«Fino a domani, cazzo? » berciò O'Kelly. «Dite a quella merda di Cooper di dare la priorità a questo caso. »

«Già fatto, signore» disse Cassie. «Doveva essere in tribunale oggi pomeriggio. Ha detto che domattina è quanto più presto possa fare. » (Cooper e O'Kelly si odiano. Ciò che Cooper aveva detto in realtà era stato: «Spiegate gentilmente al signor O'Kelly che i suoi casi non sono gli unici al mondo». ) «Abbiamo individuato quattro filoni di indagine e…»

«Ottimo, perfetto» la interruppe O'Kelly, prendendo un pezzo di carta e rovistando per una penna.

«Primo, la famiglia» continuò Cassie. «Conosce le statistiche, signore: la maggior parte dei bambini assassinati sono stati uccisi dai loro genitori. »

«E in questa famiglia c'è qualcosa di strano, signore» aggiunsi. Era la mia linea, quella che dovevamo far passare nel caso in cui avessimo avuto bisogno di un po' di margine d'azione nell'indagare sui Devlin. Se fosse stata Cassie a dirlo, O'Kelly si sarebbe lanciato in una lunga, noiosa e sprezzante filippica sull'intuito femminile. Ormai eravamo diventati bravi a trattare con lui. Il nostro contrappunto è stato limato fino alla scioltezza di un'armonia dei Beach Boys; percepiamo esattamente quando invertire i ruoli di uomo di punta e di spalla, di poliziotto buono e di poliziotto cattivo, quando il mio freddo distacco deve equilibrare con una nota di austerità la brillante disinvoltura di Cassie. «Non metterei la mano sul fuoco, ma c'è qualcosa che non va in quella casa. »

«Mai ignorare un'intuizione» disse O'Kelly. «Pericoloso. » Cassie, che faceva oscillare una gamba, allungò l'oscillazione e mi assestò un colpetto alla schiena.

«Secondo» proseguì poi, «dovremo controllare la possibilità che c'entri qualche setta. »

«Oddio, Maddox. Cos'è? " Cosmopolitan" ha pubblicato un articolo sul satanismo, questo mese? » Il disprezzo di O'Kelly per i cliché è così travolgente da avere quasi uno stile proprio. Lo trovo divertente, irritante o mediamente consolatorio, in base all'umore, ma almeno ci facilita enormemente le cose quando dobbiamo preparare una sceneggiatura in anticipo.

«Anch'io penso che siano stupidaggini, signore» mi intromisi, «ma ci ritroviamo con una ragazzina assassinata su un altare sacrificale. I giornalisti hanno già cominciato a fare domande. Dovremo escludere la possibilità. » Ovviamente è difficile provare che qualcosa non esiste e dirlo senza solide basi fa la felicità dei teorici della cospirazione, quindi applichiamo una tattica diversa. Avremmo impiegato un certo numero di ore a trovare gli aspetti che non corrispondevano al modus operandi putativo di un ipotetico gruppo (nessuno spargimento di sangue, nessun abito sacrificale, niente simboli occulti e bla bla bla ) e poi O'Kelly, che per fortuna non ha assolutamente il senso dell'assurdo, avrebbe spiegato la faccenda davanti alle telecamere.

«È una perdita di tempo» disse O'Kelly. «Ma sì, sì, fatelo. Parlate con la sezione Crimini sessuali, parlate con il prete della parrocchia, con chi vi pare, basta che la togliate dalle scatole. Terzo punto? »

«Terzo» riprese Cassie, «è un crimine sessuale fatto e finito, un pedofilo la uccide perché non parli o perché ucciderla fa parte del gioco. Se questa fosse la direzione, dovremo dare un'occhiata anche ai due bambini spariti a Knocknaree nel 1984. Stessa età, stesso posto e proprio accanto al corpo della nostra vittima abbiamo trovato del sangue vecchio, che il laboratorio sta confrontando con i campioni dell'84, e una molletta per capelli che corrisponde alla descrizione di quella che portava la bambina scomparsa allora. Non possiamo escludere il collegamento. » E questa era decisamente la linea di Cassie. Come ho già detto, sono piuttosto bravo come bugiardo ma sentirle dire quelle parole mi fece aumentare in modo irritante il battito cardiaco. E per certi versi O'Kelly è molto più sensibile di quanto non finga di essere.

«Cosa? Un serial killer sessuale? Dopo vent'anni? E come fate a sapere di questa molletta? »

«Ce l'ha detto lei di prendere dimestichezza con i casi irrisolti, signore» disse Cassie, con fare virtuoso. Era vero, l'aveva detto lui, magari dopo averlo sentito a un seminario, o guardando CSI, ma ci diceva sempre un sacco di cose, e comunque nessuno aveva mai tempo di farlo. «Può essere stato all'estero, nel frattempo, o in prigione, oppure uccide solo quando è sotto forte stress…»

«Siamo tutti sotto un forte stress» disse O'Kelly. «Un serial killer. Proprio quello di cui abbiamo bisogno. E poi, cos'altro? »

«Quarto, la faccenda potrebbe farsi rischiosa, signore» continuò Cassie. «Jonathan Devlin, il padre, è a capo della campagna " Spostiamo l'autostrada", a Knocknaree. A quanto pare, questo ha rotto i coglioni a qualcuno. Dice di avere ricevuto tre telefonate anonime negli ultimi due mesi, con minacce alla sua famiglia se non si fosse fatto da parte. Dobbiamo scoprire chi ha grossi interessi nell'autostrada che deve attraversare Knocknaree. »

«Il che significa rompere le palle alle società immobiliari e ai consigli comunali» disse O'Kelly. «Cristo. »

«Avremo bisogno di tutti gli agenti di supporto possibili, signore» rincarai, «e di qualcun altro della Omicidi. »

«Ne avrete bisogno eccome. Prendete Costello. Lasciategli un biglietto, arriva sempre presto la mattina. »

«Veramente, signore» provai, «vorrei O'Neill. » Non ho nulla contro Costello, ma decisamente non ce lo volevo su quel caso. A parte il fatto che era un tipo cupo di carattere, e quel caso era già abbastanza deprimente anche senza di lui, era anche un ostinato e avrebbe passato al setaccio il fascicolo del vecchio caso per poi cominciare a cercare Adam Ryan.

«Non metto tre pivelli su un caso ad alto profilo. Voi due ci siete solo perché passate le pause a navigare in rete a cercare porno, o cos'altro facevate, invece di prendere una boccata d'aria fresca come gli altri. »

«O'Neill non è un pivello, signore. È alla Omicidi da sette anni. »

«E lo sappiamo tutti perché » disse O'Kelly, con cattiveria. Sam era arrivato alla squadra a ventisette anni; suo zio è un politico di medio livello, Redmond O'Neill, che di tanto in tanto fa il viceministro della Giustizia o dell'Ambiente o quello che è. Sam ci convive bene: che dipenda dalla sua natura o da una strategia, è placido, gioviale, affidabile, la spalla preferita da tutti e questo smonta la maggior parte dei commenti negativi. Ogni tanto si becca lo stesso qualche battuta stronzetta, ma di solito sono riflessive, come quella di O'Kelly, e non maliziose.

«È proprio per questo che abbiamo bisogno di lui, signore» affondai. «Se dobbiamo cacciare il naso negli affari del consiglio comunale e compagnia bella senza sollevare troppa polvere, abbiamo bisogno di qualcuno che abbia contatti in quel giro. »

O'Kelly diede un'occhiata all'orologio, accennò a darsi una pettinata, poi ci ripensò. Mancavano venti minuti alle otto. Cassie incrociò nuovamente le gambe e si accomodò meglio sul tavolo. «Immagino che ci siano i pro e i contro» disse. «Magari dovremmo discuterne…»

«Va bene, va bene, prendetevi O'Neill» concesse O'Kelly, irritato. «Basta che andiate avanti con il vostro lavoro e lui non faccia incazzare nessuno. Voglio un rapporto sulla mia scrivania tutte le mattine. » Si alzò e cominciò a riordinare dei fogli in tante pile. Potevamo andare.

Così dal nulla, provai un'improvvisa e dolce ondata di gioia, trascinante e distillata come la scossa che immagino sentano gli eroinomani quando la dose arriva in vena. Fu per la mia collega che si issava sulle mani e con una mossa fluida scendeva dal tavolo, fu per il movimento esperto della mia mano che chiudeva il blocco degli appunti, fu per il sovrintendente che si contorceva per infilarsi la giacca del completo e di nascosto si guardava le spalle per controllare se c'era forfora, fu per l'ufficio illuminato e la pila sbilenca di fascicoli segnati con l'evidenziatore che giaceva in un angolo, e per la sera che grattava contro la finestra. Fu per il fatto di rendermi conto, ancora una volta, che era tutto vero e che era la mia vita. Forse anche Katy Devlin, se ci fosse arrivata, si sarebbe sentita così per le vesciche ai piedi, per l'odore pungente di sudore e di cera per pavimenti nelle sale dove si esercitava a danzare, per la campanella mattutina della colazione che echeggiava nei corridoi. Forse anche lei, come me, avrebbe amato i minimi dettagli e le scomodità più delle meraviglie, perché quelle sono le cose che provano che appartieni.

Ricordo quei momenti perché, se devo essere sincero, mi capitano di rado. Non sono bravo a notare che sono felice se non quando ci ripenso. Il mio dono, o difetto fatale, è per la nostalgia. Il mio palato è calibrato sull'agrodolce, sull'evanescente e sulla bellezza perduta. Qualche volta sono stato accusato di pretendere la perfezione, di respingere i desideri del cuore non appena mi avvicino quel tanto che basta a fargli perdere quella loro patina misteriosa, ma la verità è meno semplice. So molto bene che la perfezione è fatta di mondanità futili e sfrangiate. Immagino che di me si potrebbe dire che la mia vera debolezza risieda in una specie di lungimiranza: di solito è solo a una certa distanza, e decisamente troppo tardi, che scorgo il disegno.

 

 

Nessuno di noi aveva voglia di una pinta. Cassie chiamò Sophie al cellulare e le disse della molletta per capelli, che l'aveva riconosciuta grazie al suo enciclopedico archivio mentale dei casi irrisolti (ebbi però l'impressione che Sophie non se la bevesse e che, oltretutto, le importasse poco), poi lei tornò a casa sua a scrivere il rapporto per O'Kelly e io a casa mia con il vecchio fascicolo.

Condivido un appartamento a Monkstown con una donna inqualificabile di nome Heather. Heather è una dipendente statale con una vocetta da bambina che la fa sembrare sempre sull'orlo delle lacrime. Inizialmente mi era piaciuta; adesso mi innervosisce. Ho scelto quella casa perché mi attirava l'idea di vivere vicino al mare, l'affitto era, incredibile per Dublino, affrontabile e lei mi piaceva (bassina, costituzione minuta, grandi occhi azzurri, capelli lunghi fino al sedere) tanto che nutrivo fantasie hollywoodiane di una meravigliosa relazione che sarebbe nata con nostro reciproco stupore. Resto lì per inerzia e perché, una volta scoperta l'intera gamma delle sue nevrosi, avevo cominciato a risparmiare per un appartamento mio: il suo, anche dopo esserci resi conto che Harry e Sally non si sarebbero mai materializzati e anche dopo avermi aumentato l'affitto, era l'unico nella zona metropolitana di Dublino che mi avrebbe permesso di continuare a mettere da parte un po' di soldi.

Aprii la porta, gridai " ciao" e mi tuffai in camera mia. Heather mi batté sul tempo: apparve sulla soglia della cucina a una velocità pazzesca e gorgheggiò: «Ciao, Rob, com'è andata la giornata? ». A volte ho l'immagine mentale di lei seduta in cucina, ora dopo ora, che ripiega con cura meticolosa l'orlo della tovaglia, pronta a schizzare dalla sedia e a saltarmi addosso non appena sente la chiave nella serratura, ma è un'immagine troppo inquietante da sopportare.

«Bene» risposi, tenendo il linguaggio corporeo puntato verso la mia stanza e aprendo la serratura (l'avevo installata qualche mese dopo essermi trasferito, teoricamente per impedire che qualche ipotetico ladro d'appartamento avesse accesso a documenti della polizia). «Come stai? »

«Oh, tutto bene» disse Heather, stringendosi nella vestaglia grigia di varie misure più grande, cimelio di un ex fidanzato. Pensava che se ne fosse andato perché aveva delle questioni irrisolte, che fosse un immaturo e che sarebbe tornato non appena si fosse reso conto che non avrebbe mai più trovato una donna come lei. Lui invece riteneva che Heather fosse " fuori come un balcone". Il tono da martire apriva la strada a due opzioni: avrei potuto dire " fantastico" e andarmene in camera mia e chiudere la porta, nel qual caso Heather avrebbe messo il broncio e avrebbe sbattuto pentole e mi avrebbe ignorato per giorni per manifestare il suo disappunto per la mia mancanza di considerazione, oppure avrei potuto dire " stai bene? " nel qual caso avrei dovuto sorbirmi, per tutta l'ora seguente, il resoconto particolareggiato degli oltraggi perpetrati dal suo capo o della sinusite o di qualsiasi altra cosa che in quel momento la facesse sentire abbattuta.

Fortunatamente ho un Piano C, anche se lo tengo in caldo per le situazioni di emergenza. «Sei sicura? » dissi. «C'è un'influenza orribile che gira al lavoro e penso di essermela beccata. Spero di non passartela. »

«Oh, mio Dio» guaì Heather, con la voce che le era salita di un'altra ottava e gli occhi che le erano diventati ancora più grandi. «Rob, piccolo, non voglio essere scortese, ma forse è meglio se ti sto lontano. Me le prendo così facilmente, queste raffreddature. »

«Capisco» risposi, rassicurante, e Heather sparì nuovamente in cucina, presumibilmente per aggiungere una dose da cavallo di vitamina C ed echinacea alla sua dieta bilanciata in maniera certosina. Entrai in camera mia e richiusi la porta.

Mi versai da bere – ho una bottiglia di vodka e una di tonic dietro alcuni libri per evitare intime " bevutine" conviviali con Heather – e aprii il vecchio fascicolo sulla scrivania. La stanza che occupo non aiuta la concentrazione. L'intero palazzo è stato costruito con l'economia di così tante nuove costruzioni di Dublino, soffitti di trenta centimetri più bassi, facciata piatta color fango, un obbrobrio assolutamente poco originale. Le stanze da letto sono così piccole da essere un insulto, progettate apposta per sbatterti in faccia che non ti puoi permettere di fare lo schizzinoso. Questo pidocchioso disprezzo per gli inquilini ha implicazioni pratiche ed estetiche: la società immobiliare non ha intravisto la necessità di sprecare materiale isolante, quindi ogni singolo passo al piano di sopra o qualsiasi selezione musicale a quello di sotto riecheggiano in tutto l'appartamento. So molto più di quanto non desideri dei gusti sessuali della coppia della porta a fianco. Quattro anni sono bastati a farmici abituare, più o meno, ma continuo a trovare offensivo questo luogo.

L'inchiostro delle varie dichiarazioni era stinto e a chiazze, quasi illeggibile in alcuni punti, e sentii della polvere sottile che mi si posava sulle labbra. I due detective che avevano condotto le indagini erano ormai già in pensione, ma mi annotai i loro nomi, Kiernan e McCabe, nel caso in cui qualcuno di noi, più facilmente Cassie, avesse avuto bisogno di parlare con loro.



  

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