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Tana French 6 страницаLa prima volta che andai in collegio, raccontai ai miei compagni che avevo un fratello gemello. Mio padre era un discreto fotografo dilettante e un sabato di quell'estate, dopo che ci aveva visti tentare una nuova acrobazia con la bici di Peter, cioè andare a tutta velocità sul muretto del giardino che ci arrivava al ginocchio e prendere il volo alla fine, ce lo fece fare e rifare all'infinito, per mezzo pomeriggio, mentre lui se ne stava accovacciato nell'erba a cambiare obiettivi, finché non ebbe usato un intero rullino in bianco e nero e non ebbe ottenuto lo scatto desiderato: siamo a mezz'aria; io guido e Peter è sul manubrio con le braccia spalancate, entrambi abbiamo gli occhi ermeticamente chiusi, le bocche sono spalancate come caverne (le alte e stridule grida dei ragazzi) e i capelli al vento sono aureole fiammeggianti. Sono praticamente certo che subito dopo lo scatto precipitammo rotolando sul prato e che mia madre se la prese con mio padre per averci incoraggiato. Non c'è terreno nel fotogramma, cosicché sembra che stiamo volando, in assenza di gravità, contro lo sfondo del cielo. Incollai la foto a un cartoncino, lo appoggiai sull'armadietto di fianco al letto, dove avevamo il permesso di tenere due foto di famiglia, e raccontai agli altri ragazzi storie molto particolareggiate, alcune vere, altre immaginarie e, ne sono certo, assolutamente non plausibili, di avventure che io e il mio gemello avevamo affrontato durante le vacanze. Lui era in un'altra scuola, dicevo, in Irlanda; i nostri genitori avevano letto che era più sano se i gemelli venivano separati. E stava imparando ad andare a cavallo. Quando tornai per il secondo anno capii che era solo questione di tempo e la storia del gemello mi avrebbe messo nei guai, guai seri e imbarazzanti: qualche compagno che avesse incontrato i miei genitori ai Giochi della Gioventù avrebbe chiesto cinguettante perché non fosse venuto anche Peter. Così lasciai la foto a casa, infilata in una fessura del materasso come fosse un segreto sporco, e smisi di citare mio fratello nella speranza che tutti si dimenticassero che ce l'avevo. Un ragazzino di nome Full, versione ridotta di Quigley che quando diventammo un po' più grandicelli era quello che se ne veniva sempre fuori con una tortura nuova per i gay, percepì il mio disagio e si attaccò all'argomento, così che alla fine dovetti raccontargli che il mio gemello era stato sbalzato da cavallo quell'estate ed era morto per la caduta. Passai gran parte di quell'anno nel terrore che la chiacchiera sul fratello morto di Ryan giungesse alle orecchie degli insegnanti e, tramite loro, ai miei genitori. Ora, naturalmente, sono quasi certo che la cosa si verificò e che gli insegnanti, già informati della saga di Knocknaree, decisero di essere sensibili e comprensivi (rabbrividisco ancora al solo pensarci) e lasciarono scemare la chiacchiera su quella morte. Penso di averla scampata per un pelo: un po' più avanti negli anni Ottanta mi avrebbero con ogni probabilità spedito da uno strizzacervelli per bambini e obbligato a condividere i miei sentimenti con pupazzetti per le dita. Tuttavia mi dispiaceva essermi dovuto liberare del mio gemello. Era stato confortante sapere che Peter era vivo e a cavallo, da qualche parte, in una ventina di altre menti come la mia. Se nella foto ci fosse stata anche Jamie, probabilmente avrei tirato fuori che ero uno di tre gemelli e sarebbe stato molto più difficile trovare una via d'uscita.
Quando tornammo al sito, i giornalisti erano arrivati. Rifilai loro l'imbonimento standard preliminare (è la parte che mi tocca, sulla base che io, più di Cassie, ho l'aspetto dell'adulto responsabile): cadavere di ragazzina, nome da non rivelare fino a quando i parenti non ne saranno stati informati, stiamo trattando la faccenda come morte sospetta, chiunque ritenga di avere delle informazioni utili è pregato di contattarci… no comment no comment no comment. «È opera di una setta satanica? » chiese un donnone in pantaloni di acetato che le donavano poco. L'avevamo già conosciuta; lavorava per uno di quei tabloid con la tendenza ai titoli con giochi di parole e un'ortografia alternativa. «Non ci sono assolutamente prove che lo indichino» risposi, un po' altezzoso. In realtà non ci sono mai. I culti satanici omicidi sono come lo yeti per i detective: nessuno ne ha mai visto uno e non c'è dimostrazione che esistano, ma basta un'impronta un po' più grossa e indistinta e i media si trasformano in un branco schiumante e rabbioso, così dobbiamo comportarci come se, almeno in parte, prendessimo seriamente in considerazione l'idea. «Ma è stata trovata su un altare che i Druidi usavano per i sacrifici umani, no? » insistette la donna. «No comment» risposi. Mi era appena venuto in mente: la lastra di pietra con la scanalatura lungo il bordo mi ricordava il tavolo dell'autopsia con i canaletti per far defluire il sangue. M'ero così dannato nel tentativo di ricondurre quella pietra al 1984 quando invece si trattava di ricordi più recenti, di qualche mese prima soltanto. Cristo. Alla fine i giornalisti mollarono la presa e cominciarono ad andarsene. Cassie era rimasta seduta sui gradini della baracca dei reperti, mescolandosi con il panorama e tenendo le cose sott'occhio. Quando vide la cicciona puntare su Mark, che era uscito dalla mensa e si dirigeva verso il container della toilette, si alzò e si incamminò verso di loro, facendo in modo che Mark la scorgesse. Vidi che si scambiavano uno sguardo, alle spalle della giornalista, e che Cassie scuoteva la testa, divertita, lasciandoli poi agli affari loro. «Che problema c'era? » chiesi, mentre cercavo la chiave della baracca. «Le sta tenendo una lezione sul sito» rispose Cassie, dandosi manate ai pantaloni per togliersi la polvere, e sorrise. «Ogni volta che lei cerca di chiedergli qualcosa sul cadavere, lui le dice " un attimo" e va avanti con la pantomima sul governo che sta per distruggere la scoperta più importante dai tempi di Newgrange, oppure inizia a parlarle di insediamenti vichinghi. Mi piacerebbe un mondo stare qui a godermi la scena; credo che la signora potrebbe aver trovato finalmente pane per i suoi denti. »
Tutti gli altri archeologi non ebbero granché da aggiungere, tranne lo Scultore, che in realtà si chiamava Sean e riteneva che dovessimo prendere in considerazione la possibilità del coinvolgimento di un vampiro. Divenne molto più serio quando gli mostrammo la foto identificativa, ma sebbene anche lui, come gli altri, avesse visto Katy, o forse Jessica, bazzicare al sito a volte con altri ragazzini della loro età, altre con una ragazza più grande che corrispondeva alla descrizione di Rosalind, nessuno aveva notato qualche personaggio strano che la osservasse o cose del genere. In realtà, nessuno di loro aveva visto nulla di sinistro, «tranne qualche politico che si presenta per farsi scattare una foto davanti al suo patrimonio storico prima di mandarlo a puttane. Volete qualche descrizione? » aggiunse Mark. Nessuno ricordava nemmeno l'Ombra in Tuta Sportiva, il che rafforzava il mio sospetto che fosse stato o un tipo assolutamente normale che abitava nella zona residenziale ed era andato a farsi una passeggiata oppure l'amico immaginario di Damien. In tutte le indagini c'è gente così, gente che finisce per farti sprecare montagne di tempo perché ha l'impulso di rivelarti cose che crede tu voglia sentirti dire. Gli archeologi di Dublino, e cioè Damien, Sean e qualche altro, erano tutti a casa propria il lunedì e il martedì notte; il resto era nella casa che avevano affittato, a quattro‑ cinque chilometri dallo scavo; Hunt, che naturalmente si rivelò molto lucido su tutto ciò che riguardava l'archeologia, era rimasto a casa, a Lucan, con la moglie. Confermò la teoria della giornalista grassa secondo la quale la pietra su cui era stata gettata Katy era un altare sacrificale dell'Età del Bronzo. «Non siamo certi che si trattasse di sacrifici umani o animali, naturalmente, anche se… ehm… la forma indicherebbe che potrebbero essere stati umani. Le dimensioni sarebbero quelle giuste. Un manufatto molto raro. Significa che questa collina era un luogo di profonda importanza religiosa nell'Età del Bronzo, capite? Che peccato… questa strada. » «Avete trovato altre strutture religiose druidiche? » chiesi. Se quel luogo si fosse rivelato una Newgrange Due, ci sarebbero voluti mesi prima di poter districare il caso dalla frenesia mediatica new age che si sarebbe scatenata. Hunt mi rivolse uno sguardo ferito. «Assenza di evidenza non è evidenza di assenza» mi disse con tono di rimprovero. Fu l'ultimo a essere interrogato. Mentre stavamo mettendo via la nostra roba, il tecnico giovane del laboratorio bussò debolmente alla porta e mise la testa dentro. «Ehm» cominciò. «Salve. Sophie mi manda a dirvi che per oggi abbiamo finito e che c'è un'altra cosa che forse dovreste vedere. » Avevano raccolto gli indicatori e lasciato la pietra al suo destino, di nuovo in mezzo al campo, cosicché l'intero sito ora sembrava deserto; i giornalisti se n'erano andati da un pezzo e gli archeologi erano tornati tutti a casa, tranne Hunt, che in quel momento stava salendo su un'infangata Ford Fiesta rossa. Poi, fuori dall'agglomerato di baracche, scorsi qualcosa di bianco tra gli alberi. La routine collaudata e senza scossoni dei colloqui era servita se non altro a stabilizzare il mio umore (Cassie chiama questi colloqui preliminari di esplorazione " fase del niente" del caso: nessuno ha visto " niente", nessuno ha sentito " niente", nessuno ha fatto " niente" ), ciononostante sentii qualcosa che mi saettava lungo la spina dorsale mentre mettevamo piede nel bosco; non paura quanto piuttosto una scossa d'allarme, come quando qualcuno ti sveglia chiamandoti per nome o quando un pipistrello grida a un tono troppo elevato per poterlo sentire. Il sottobosco era spesso e morbido d'anni di foglie cadute che affondavano sotto il peso dei miei piedi, e gli alberi erano cresciuti abbastanza da filtrare la luce e trasformarla in un riverbero verde e incessante. Sophie e Helen ci stavano aspettando in una piccola radura, un centinaio di metri all'interno. «Ho lasciato tutto così com'è perché poteste dare un'occhiata» spiegò Sophie, «ma voglio raccogliere tutta questa merda in un sacchetto prima che cominci a fare buio. Non voglio montare l'impianto di illuminazione. » Qualcuno aveva usato la radura per campeggiarci. Una zona delle dimensioni di un sacco a pelo era stata liberata dai rami più appuntiti e lo strato di foglie appariva ben pressato; a qualche metro di distanza, in un ampio cerchio di terra nuda, c'erano i resti di un fuoco da campo. Cassie emise un fischio. «È il punto dove è avvenuta l'uccisione? » domandai, senza troppa speranza. Se così fosse stato, Sophie sarebbe venuta a interrompere i nostri colloqui. «Ma figuriamoci» rispose. «Abbiamo condotto una ricerca minuziosa: nessun segno di lotta e non una sola goccia di sangue. Si è rovesciato qualcosa vicino al falò ma il test è risultato negativo e dall'odore sono praticamente certa che sia vino rosso. » «Allora è un campeggiatore d'alto bordo» commentai, inarcando le sopracciglia. Mi ero immaginato un barbone bucolico, ma le forze di mercato sono tali per cui " avvinazzato", in Irlanda, è un termine metaforico: l'ubriacone medio va a sidro forte o vodka da poco, non a vino. Mi chiesi se poteva trattarsi di una coppia con tendenze avventurose o nessun altro posto dove andare, ma le dimensioni dello strato di foglie schiacciate potevano accogliere a malapena una persona. «Trovato altro? » «Analizzeremo la cenere per vedere se hanno bruciato abiti intrisi di sangue o roba del genere, ma sembra proprio solo legno. Abbiamo delle impronte di scarponi, cinque mozziconi di sigaretta e questo. » Sophie mi passò un sacchetto di plastica trasparente etichettato con un pennarello. Lo alzai verso la luce verde e Cassie si avvicinò per guardare da dietro la mia spalla: un capello, lungo, biondo e ondulato. «L'abbiamo trovato vicino al fuoco» chiarì Sophie, facendo scattare col pollice il cappuccio del pennarello. «Abbiamo un'idea di quando è stato usato questo luogo? » chiese Cassie. «Sulla cenere non è piovuto. Controllerò le precipitazioni di questa zona, ma so che dove vivo io è piovuto lunedì mattina presto. » Lo ricordavo anch'io: mi ero svegliato e pioveva, di quella pioggia sottile e stizzosa che sembra intenzionata a continuare all'infinito, anche se a mezzogiorno si era già schiarito. «E sto a soli cinque chilometri. Perciò qualcuno è stato qui ieri notte o la notte prima. » «Posso vedere i mozziconi? » domandai. «Fa' pure» disse Sophie. Trovai una maschera e un paio di pinzette nella mia borsa (avremmo potuto ricavare il DNA dai mozziconi o le impronte) e mi accovacciai vicino a uno degli indicatori posizionati nei pressi del falò. Il mozzicone era di una sigaretta arrotolata, sottile e fumata fino in fondo; uno che stava molto attento a non sprecare tabacco. «Mark Hanly fuma sigarette fatte a mano» dissi mentre mi rialzavo. «E ha i capelli lunghi e biondi. » Cassie e io ci guardammo. Erano già le sei passate e O'Kelly avrebbe chiamato di lì a poco per avere un primo rapporto. Con Mark ci avremmo messo un po', anche dando per scontato che non ci fossimo persi in quel dedalo di stradine e avessimo trovato la casa degli archeologi. «Lascia stare, gli parliamo domani» risolse Cassie. «Voglio andare a trovare l'insegnante di balletto mentre rientriamo. E poi sto svenendo dalla fame. » «È come avere un cagnolino» dissi a Sophie. Helen parve scioccata. «Sì, ma col pedigree» protestò allegramente Cassie. Notai che le mie scarpe erano un disastro, proprio come aveva previsto Mark, con robaccia rossastra e marrone in ogni cucitura, ed erano anche state delle belle scarpe. Mi consolai all'idea che anche quelle del killer sarebbero state nella stessa situazione. Mentre tornavamo alla mia auto attraverso il sito mi guardai indietro, verso il bosco, e vidi nuovamente un fluttuare di bianco: Sophie, Helen e il giovane tecnico del laboratorio si muovevano tra gli alberi, silenziosi e intenti come fantasmi.
La Cameron Dance Academy era ubicata sopra una videoteca di Stillorgan. In strada, tre ragazzi con pantaloni cascanti si esercitavano con gli skateboard su un muretto basso e gridavano. L'assistente dell'insegnante, una ragazza molto carina di nome Louise, indossava una tutina nera attillata e scarpette a punta anch'esse nere, oltre a una gonna lunga fino a metà polpaccio; Cassie mi rivolse un'occhiata divertita mentre la seguivamo lungo le scale. La ragazza ci fece accomodare e ci disse che Simone Cameron stava terminando una lezione, così attendemmo sul pianerottolo. Cassie si spostò verso una bacheca di sughero appesa al muro e io mi guardai attorno. C'erano due sale, con piccole finestre rotonde sulle porte: in una, Louise stava mostrando a un gruppetto di bambini come fare la farfalla o l'uccellino o qualcosa del genere; nell'altra, una decina di ragazzine in tutù bianchi e calzamaglia rosa si muovevano in coppie con salti e giravolte, mentre in sottofondo, da un vecchio giradischi, proveniva un gracchiante Valse des Fleurs. Per quanto mi era possibile giudicare, c'erano, per usare un eufemismo, un'ampia gamma di abilità. La donna che insegnava aveva i capelli bianchi raccolti in una crocchia molto tirata, ma il corpo era snello ed essenziale come quello di una giovane atleta; era vestita come Louise e teneva in mano una bacchetta con la quale toccava le caviglie e le spalle delle ragazzine e impartiva istruzioni. «Guarda qui» fece Cassie a bassa voce. Il poster era di Katy Devlin, anche se mi ci volle un po' a riconoscerla. Indossava una camiciola di garza bianca e aveva una gamba sollevata dietro di sé a formare un arco impossibile eppure realizzato senza sforzo. Sotto la foto, la scritta a larghe lettere: MANDIAMO KATY ALLA ROYAL BALLET SCHOOL! AIUTIAMOLA A RENDERCI ORGOGLIOSI! E si fornivano i dettagli della raccolta fondi: " Saletta della parrocchia di St. Alban, 20 giugno, ore 19, serata di ballo con gli studenti della Cameron Dance Academy. Biglietti: 10 euro / 7 euro. Tutto l'incasso sarà devoluto al pagamento delle tasse di frequenza di Katy". Mi chiesi cosa ci avrebbero fatto adesso con quel denaro. Sotto il poster c'era un ritaglio di giornale, con uno scatto artistico di Katy alla barra; i suoi occhi, nello specchio, scrutavano il fotografo con una gravità intensa e senza età. La piccola ballerina di Dublino prende il volo, " The Irish Times" del 23 giugno: «" La mia famiglia mi mancherà, ma non vedo l'ora" ha dichiarato Katy. " Fin da quando avevo sei anni ho sempre voluto diventare una ballerina. Non riesco a credere che andrò veramente; a volte, quando mi sveglio, penso di aver soltanto sognato. " » Sicuramente l'articolo doveva aver sollecitato donazioni per le tasse di Katy, ecco un'altra cosa che avremmo dovuto controllare. Però non ci aveva reso un favore: anche i pedofili leggono i giornali, e si trattava di una foto che attirava gli sguardi, così il campo dei potenziali sospetti si era appena allargato fino a includere praticamente l'intero Paese. Diedi un'occhiata agli altri annunci: tutù in vendita, taglia 38‑ 40; qualcuno che viveva nella zona di Blackrock era interessato a fornire un mezzo di trasporto, andata e ritorno, per gli Intermedi? La porta della stanza si aprì e un'orda di ragazzine tutte uguali ci sommerse, chiacchierando, spingendo e gridando insieme. «Cosa posso fare per voi? » ci chiese Simone Cameron, dalla soglia. Aveva una bellissima voce, profonda come quella di un uomo ma per niente maschile, ed era più vecchia di quanto avessi pensato: la faccia era ossuta e solcata da rughe profonde che si intrecciavano. Capii che ci aveva presi per una coppia di genitori venuti a chiedere informazioni per la loro figlia e per un istante ebbi l'impulso incontrollabile di assecondarla, di chiedere costi e orari per poi andarcene, lasciandole la sua illusione e la sua studentessa modello per un altro po'. «Signora Cameron? » «Simone, ve ne prego» disse. Aveva occhi straordinari, quasi dorati, grandi e dalle palpebre pesanti. «Sono il detective Ryan, e lei è il detective Maddox» ci presentai, per la centesima volta quel giorno. «Possiamo parlarle per qualche minuto? » Ci portò nella stanza e i nostri passi risuonarono sul pavimento di legno pallido. Sistemò tre sedie in un angolo. Uno specchio occupava tutta una parete e tre sbarre correvano per tutta la sua lunghezza, posizionate a tre diverse altezze. Poiché con la coda dell'occhio mi vedevo continuamente riflesso e la mia testa sembrava muoversi a scatti, riposizionai la sedia con un'altra angolatura. Informai Simone della morte di Katy, era decisamente il mio turno. Mi ero aspettato che piangesse, credo, ma non lo fece: spostò la testa un po' all'indietro, i solchi del volto si approfondirono, ma fu tutto. «Ha visto Katy a lezione lunedì sera, vero? » chiesi. «Come le è sembrata? » Sono poche le persone che riescono a reggere il silenzio, ma Simone Cameron era particolare: attese, senza muoversi, con un braccio allungato dietro lo schienale della sedia, finché non fu pronta a parlare. Dopo un bel po', disse: «Come sempre. Forse un po' sovreccitata. Ci ha messo alcuni minuti per tranquillizzarsi e concentrarsi, ma era naturale: stava per andare alla Royal Ballet School. Si era emozionata sempre più col passare dell'estate». Voltò la testa leggermente da una parte. «Ieri sera non è venuta a lezione, ma ho pensato che fosse di nuovo malata. Se avessi chiamato i suoi genitori…» «Ieri sera era già morta» intervenne Cassie con dolcezza. «Non c'era più nulla che lei potesse fare. » «Di nuovo malata? » chiesi. «Era stata malata di recente? » Simone scosse la testa. «No, non di recente. Ma non ha una salute di ferro. » Abbassò le palpebre per un istante e gli occhi ne furono nascosti. «Aveva» si corresse, e le riaprì. «Sono l'insegnante di Katy da sei anni. Per molti di questi, forse a cominciare da quando ne aveva nove, è stata spesso malata. E anche sua sorella Jessica, ma lei aveva il raffreddore, la tosse: credo sia semplicemente cagionevole. Katy soffriva di periodi di vomito, diarrea; a volte talmente seri da richiedere ricoveri in ospedale. I medici pensavano che si trattasse di una forma di gastrite cronica. Sarebbe dovuta andare alla Royal Ballet School l'anno scorso, sapete, ma ebbe un attacco acuto alla fine dell'estate e dovettero operarla per capire cosa avesse; quando si riprese, il trimestre era già molto avanti e lei non avrebbe potuto recuperare. Dovette ripetere il provino in primavera. » «E di recente gli attacchi erano scomparsi? » chiesi. Dovevamo dare un'occhiata alle cartelle cliniche di Katy, e in fretta. Simone sorrise al ricordo; fu una piccola cosa, ma che colpiva. Distolse gli occhi. «Mi premeva che stesse sufficientemente bene per seguire il corso, i ballerini non possono permettersi di saltare troppe lezioni per problemi di salute. Quando quest'anno Katy venne nuovamente accettata, un giorno la trattenni, alla fine della lezione, e le dissi che avrebbe dovuto continuare a vedere un medico per scoprire cosa c'era che non andava. Katy stette ad ascoltarmi, poi scosse la testa e disse, in tono molto solenne, come fosse un voto: " Non starò più male". Cercai di farle capire che non era una cosa da ignorare, che la sua carriera poteva dipendere da questo, ma non volle aggiungere altro. E in effetti da allora non è più stata male. Pensai semplicemente che avesse superato la cosa; la volontà può essere molto potente e Katy ha… aveva una fortissima volontà. » L'altra lezione stava finendo; sentivo le voci dei genitori sul pianerottolo, un'altra ondata di piedini, il loro cicaleccio. «Insegnava anche a Jessica? » chiese Cassie. «Ha fatto anche lei il provino per la Royal Ballet School? » Agli inizi di un'indagine, a meno che non si abbia per le mani un sospetto ovvio, tutto ciò che si può fare è scoprire il più possibile della vita della vittima e sperare che suoni qualche campanello d'allarme. Ero certo che Cassie avesse ragione, avevamo bisogno di sapere altre cose sulla famiglia Devlin. E Simone Cameron voleva parlare. È un fenomeno in cui ci imbattiamo spesso, persone che vogliono continuare a parlare, disperatamente, perché quando smettono noi ce ne andiamo e loro restano sole con ciò che è accaduto. Noi ascoltiamo, facciamo di sì con la testa, siamo partecipi e immagazziniamo tutto ciò che dicono. «Ho insegnato a tutte e tre le sorelle, in periodi diversi» rispose Simone. «Jessica sembrava bravina da piccola e lavorava sodo; ma a mano a mano che cresceva si faceva sempre più timida, in maniera paralizzante, al punto che qualsiasi esercizio pareva uno sforzo immane da portare a termine, e così lo dissi ai suoi genitori: dissi loro che a mio parere era meglio che non avesse più dovuto affrontare tutto questo. » «E Rosalind? » chiese Cassie. «Rosalind aveva del talento, ma non si applicava e pretendeva risultati immediati; dopo qualche mese passò a un corso di violino, credo. Disse che era una scelta dei suoi genitori, ma credo che fosse lei a essere annoiata. Lo vediamo spesso nei bambini piccoli: quando non vedono subito dei risultati e quando si rendono conto del tipo di impegno che è richiesto, diventano frustrati e mollano. Francamente, nessuna delle due sarebbe mai arrivata alla Royal Ballet School. » «Ma Katy…» cambiò soggetto Cassie, sporgendosi in avanti. Simone la osservò a lungo. «Katy era… sé rieuse. » Ecco cosa dava alla sua voce quella qualità distintiva: da qualche parte, lontano, c'era un tocco di francese che dava forma alle intonazioni. «Seria» precisai. «Di più » disse Cassie. Sua madre era mezzo francese e da bambina aveva trascorso estati intere con i nonni in Provenza; dice di avere dimenticato gran parte del francese parlato ormai, ma lo capisce ancora. «Una professionista. » Simone reclinò la testa. «Esatto. Lei adorava anche il duro impegno, non solo i risultati che portava, le piaceva di per sé. Un vero talento per la danza non è comune; il temperamento per farne una carriera è ancora più raro. Trovarli entrambi riuniti insieme…» Distolse nuovamente lo sguardo. «Certe sere, quando veniva utilizzata solo una delle sale, mi chiedeva di potersi esercitare nell'altra. » Fuori, il giorno cominciava a declinare verso la sera; gli urli dei ragazzi con gli skateboard arrivavano deboli e cristallini attraverso il vetro. Pensai a Katy Devlin sola nella stanza, a osservarsi nello specchio, assorta, distaccata e seria al tempo stesso, mentre si muoveva in lente rotazioni e flessioni; un piede teso che si sollevava; i lampioni in strada che stampavano rettangoli color zafferano sul pavimento; le Gnossiennes di Satie che uscivano dal gracchiante giradischi. Simone stessa sembrava una molto sé rieuse e mi chiesi come mai fosse finita lì, sopra una videoteca di Stillorgan, con l'odore di unto che saliva dal negozio di patatine fritte a fianco, a insegnare danza a ragazzine con madri che pensavano avrebbe dato loro una buona postura o che volevano foto in tutù da incorniciare. Improvvisamente mi resi conto di cosa doveva aver significato per lei Katy Devlin. «Cosa pensavano i signori Devlin del fatto che Katy andasse alla scuola di balletto? » chiese Cassie. «La sostenevano molto» rispose Simone, senza esitazioni. «Ne fui sollevata, e anche sorpresa. Non tutti i genitori sono disposti a lasciare andare via una figlia di quell'età e molti, con buona ragione, sono contrari all'idea che le loro figlie diventino ballerine professioniste. Il signor Devlin, in particolare, era molto contento. Erano molto vicini, credo. Mi piaceva questa cosa, voglio dire che volesse ciò che era meglio per lei anche se significava lasciarla andare via. » «E sua madre? » proseguì Cassie. «Le era vicina anche lei? » Simone scrollò leggermente una spalla. «Meno, credo. La signora Devlin è … piuttosto vaga; sembra sempre stupirsi di tutte le sue figlie. Non credo sia molto intelligente. » «Ha notato qualche presenza strana qui intorno, nei mesi scorsi? » chiesi. «Qualcuno che le ha dato da pensare? » Le scuole di balletto, le piscine e i gruppi scout sono calamite per i pedofili. Se qualcuno era andato a caccia di una vittima, quello era il posto più ovvio dove avrebbe potuto individuare Katy. «Capisco cosa intende, ma no. Ci stiamo attente. Una decina di anni fa c'era un uomo che se ne stava sempre seduto su un muro sulla collina e guardava dentro la scuola con un binocolo; abbiamo sporto denuncia alla polizia, ma non hanno fatto nulla finché non tentò di convincere una delle bambine a salire in auto con lui. Da allora facciamo molta attenzione. » «C'è stato qualcuno che ha mostrato per Katy un interesse secondo lei inappropriato? » Simone ci pensò, poi scosse la testa. «Nessuno. Tutti ammiravano le sue doti di ballerina, molta gente ha contribuito alla raccolta dei fondi per le sue tasse di frequenza, ma nessuno più di altri. » «C'era qualcuno geloso del suo talento? » Simone rise e fu un suono forte e rapido attraverso il naso. «Questo non è uno stage per genitori. Vogliono che le loro figlie imparino un po' a ballare, quel tanto che basta perché siano carine; non vogliono che diventi una carriera vera e propria. Sono sicura che qualcuna delle altre bambine fosse gelosa, sì. Ma tanto da ucciderla? No. » D'un tratto, sembrava esausta. La sua elegante posa non era cambiata, ma gli occhi erano velati di fatica. «Grazie del suo tempo» dissi. «La ricontatteremo se avremo bisogno di chiederle altro. » «Ha sofferto? » chiese inaspettatamente. Non ci stava guardando. Era la prima persona a volerlo sapere. Stavo per darle la classica non risposta, che eravamo in attesa dei risultati dell'autopsia, quando Cassie intervenne: «Non ci sono prove che lo dimostrino. Non possiamo ancora esserne certi, ma pare sia stata una cosa rapida». Con un certo sforzo, Simone voltò la testa e incrociò lo sguardo di Cassie. «Grazie» le disse. Non si alzò per accompagnarci e io pensai che forse non era sicura di potercela fare. Mentre richiudevo la porta, le lanciai un'ultima occhiata attraverso la finestra rotonda: era ancora seduta, con la schiena dritta, immobile e con le mani piegate in grembo, la regina di una favola lasciata sola nella torre a piangere la sua principessa perduta, portata via da una strega.
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