Хелпикс

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Tana French 4 страница



Sapevo, naturalmente, che avrei dovuto dirlo a O'Kelly, ora che stavo lavorando a un caso che sembrava connesso a " quello", ma, a essere franchi, neppure per un secondo presi in considerazione la possibilità di farlo. Mi avrebbero estromesso. Non ti permettono di lavorare a un'indagine verso la quale può esserci un personale coinvolgimento emotivo. Forse mi avrebbero perfino interrogato di nuovo su quel giorno nel bosco, e sinceramente non riuscivo a capire come questo avrebbe potuto avvantaggiare il caso o la comunità in generale. Ho ancora ricordi molto vividi e inquietanti del primo interrogatorio: voci maschili che non nascondevano la loro frustrazione e si lagnavano anche quando erano a tiro del mio udito, mentre nella mia mente scorrevano nuvole bianche in un cielo azzurro e infinito e il vento frusciava su una vasta distesa d'erba. Nelle prime due settimane dopo quel giorno, era tutto quello che riuscivo a vedere o a sentire. Non ricordo di avere provato nulla al riguardo, all'epoca, niente di buono o di cattivo, ma, col senno di poi, il pensiero era orribile – la mente completamente vuota, sostituita da un modello di test – e, per qualche processo associativo, riaffiorava tutte le volte che i detective tornavano e ci riprovavano, faceva capolino in un angolo della mia mente e mi spaventava a tal punto che, irritato e imbronciato, non collaboravo. Ci provarono, oh, se ci provarono… all'inizio di tanto in tanto, anche durante le vacanze scolastiche, poi una volta all'anno, più o meno, ma non avevo mai nulla da dire e con la fine della scuola smisero di venire. Penso che abbiano fatto bene perché, francamente, non capisco come un'eventuale inversione di tendenza da parte mia avrebbe potuto rivelarsi utile in qualche modo.

E inoltre immagino, se proprio vogliamo essere onesti, che lusingasse sia il mio ego sia il mio senso del pittoresco l'idea di custodire quello strano e opprimente segreto in un caso del genere senza destare alcun sospetto. Forse all'epoca pensavo che fosse una di quelle cose che anche l'enigmatico cane sciolto di Central Casting avrebbe fatto.

 

Chiamai la sezione Persone scomparse e quasi subito mi fornirono una possibile identificazione. Katharine Devlin, dodici anni, un metro e quarantacinque, corporatura snella, capelli lunghi e scuri, occhi nocciola, era scomparsa dal 29 di Knocknaree Grove (questo me lo ricordavo: tutto a Knocknaree si chiamava Knocknaree Grove o Close o Place o Lane, col risultato che la posta finiva invariabilmente all'indirizzo sbagliato) alle 10. 15 del giorno prima, quando sua madre era andata per svegliarla e aveva scoperto che non c'era. Dai dodici anni in su vengono considerati abbastanza grandi per decidere da soli se concedersi una scappatina, e sembrava che anche lei lo avesse fatto volontariamente, così a Persone scomparse le avevano concesso un giorno per tornare a casa prima di avviare le ricerche. Avevano già fatto preparare il comunicato stampa da inviare ai mezzi di comunicazione per il telegiornale della sera.

Provai un senso di sollievo forse esagerato per l'avvenuta identificazione, anche se non ancora sicura al cento per cento. Ovviamente sapevo che una ragazzina, soprattutto se in buona salute, ben accudita e in un Paese piccolo come l'Irlanda, non può essere ritrovata cadavere senza che qualcuno salti fuori e la riconosca, ma c'era tutta una serie di elementi in quel caso che mi dava i brividi, e penso che una parte di me, cedendo alla superstizione, avesse creduto che la bambina sarebbe rimasta senza nome come se fosse spuntata dal nulla e che il suo DNA si sarebbe rivelato compatibile con il sangue delle mie scarpe e altre cose della serie X‑ Files. Sophie ci inviò una Polaroid del suo volto scattata da un'angolazione meno angosciante per mostrarla alla famiglia e così tornammo alle baracche di lamiera.

Come uno degli ometti degli antichi orologi svizzeri, Hunt emerse da una di esse mentre ci stavamo avvicinando. «Avete… voglio dire, è certo che sia un omicidio, vero? Quella povera bambina, è orribile. »

«Stiamo trattando la cosa come sospetta» risposi. «Quello che dobbiamo fare ora è scambiare due chiacchiere veloci con il suo gruppo. Poi vorremmo parlare anche con la persona che ha trovato il corpo; gli altri possono tornare al lavoro, ma devono stare fuori dalla zona delimitata come scena del crimine. Con loro parleremo dopo. »

«Come… c'è qualcosa che mostri… dove non devono stare? Il nastro e tutto il resto. »

«La scena del crimine è stata delimitata da un nastro» chiarii. «Basta che ne stiano fuori e andrà tutto bene. »

«Dobbiamo anche chiederle di assegnarci un luogo da usare come ufficio, qui sul sito» chiese Cassie. «Per tutto il giorno e magari anche più a lungo. Qual è secondo lei il posto migliore? »

«Usate pure la baracca dei reperti» intervenne Mark, materializzatosi da chissà dove. «Dell'ufficio vero e proprio ne abbiamo bisogno noi, e tutto il resto è una babilonia. » Non avevo mai sentito il termine usato in quel senso ma, da quello che potevamo vedere dalla porta, l'interno della baracca dalla quale era uscito Hunt era tutto una fanghiglia calpestata, banchi di lavoro curvi sotto il peso di attrezzi d'ogni genere, biciclette e corpetti gialli fosforescenti che mi ricordavano purtroppo il mio periodo in uniforme, e quindi risultava appropriato.

«Basta che ci siano un tavolo e qualche sedia e andrà benissimo» dissi io.

«Baracca dei reperti» ripeté Mark, e fece un cenno con la testa verso un'altra baracca.

«Cos'ha Damien? » chiese d'un tratto Cassie a Hunt.

Lui sbatté le palpebre, confuso, la bocca aperta, vera caricatura della sorpresa. «Damien… chi? »

«Damien del suo gruppo. Prima ci ha detto che di solito sono Mark e Damien a condurre le visite, ma Damien non era disponibile per il detective Ryan. Come mai? »

«Damien è uno dei due che hanno scoperto il corpo» spiegò Mark, mentre Hunt ci stava arrivando. «È rimasto scioccato. »

«Damien e poi? » chiese Cassie mentre scriveva.

«Donnelly» rispose allegramente Hunt, di nuovo su un terreno sicuro. «Damien Donnelly. Li firmo io gli assegni, sapete» aggiunse a mo' di spiegazione.

«Ed era con qualcuno quando ha scoperto il corpo? »

«Mel Jackson» si intromise Mark. «Melanie. »

«Andiamo a parlarci» dissi io.

Gli archeologi erano ancora a tavola nella loro mensa improvvisata. Erano in quindici o venti. Quando entrammo, voltarono simultaneamente le facce verso la porta, attenti e in sincrono come tanti uccellini. Erano tutti giovani, poco più che ventenni, e lo sembravano ancora di più a causa dell'abbigliamento grunge da studenti: pantaloni militari dimessi; pantaloncini corti, cascanti e ottimistici; magliette sbiadite di gruppi rock, tipo Nirvana e REM. Per non parlare di un'innocenza battuta dal vento e fresca di vita all'aria aperta che, sebbene fossi certo fosse solo illusoria, mi fece pensare ai kibbutz e alla serie TV Una famiglia americana. Le ragazze non erano truccate e avevano i capelli raccolti in una coda o in trecce: dovevano essere pratiche, non carine. I ragazzi non erano rasati di fresco e avevano scottature da prolungata esposizione al sole che si stavano spellando. Uno di loro, con una faccia da vero incubo notturno per il povero insegnante e un berretto di lana, si era annoiato e, con la fiamma di un accendino, aveva cominciato a sciogliere della roba su un CD rotto. Il risultato (cucchiaino piegato, monete, cellophane di pacchetto di sigarette e due patatine) era sorprendentemente piacevole, come una delle tante e meno ironiche manifestazioni di arte moderna urbana. C'era un forno a microonde macchiato di resti di cibo in un angolo, e una parte di me, piccola e inappropriata, avrebbe voluto suggerire all'artista di metterci dentro il suo CD per vedere cosa ne sarebbe stato.

Cassie e io cominciammo a parlare contemporaneamente, ma poi fui io a proseguire. Ufficialmente era lei il detective in capo, perché era stata lei a dire: «Lo prendiamo noi»; ma non abbiamo mai lavorato così e il resto della squadra era abituato a vedere " M & R" scribacchiato sulla lavagna dei casi, solo che avvertivo il bisogno impellente e ostinato di chiarire che ero in grado di gestire quel caso bene quanto lei.

«Buongiorno» esordii. La maggior parte di loro mormorò qualcosa; lo " Scultore" pronunciò con voce alta e stentorea: «Buon pomeriggio! ». Tecnicamente era corretto, ma mi chiesi su quale delle ragazze stesse cercando di fare colpo. «Sono il detective Ryan, e questo è il detective Maddox. Come già sapete, questa mattina, qui nel sito, è stato rinvenuto il corpo di una ragazzina. »

Uno dei ragazzi espirò forte l'aria, poi trattenne di nuovo il respiro. Era in un angolo, stretto tra due ragazze che sembravano proteggerlo, e stringeva nervosamente una grossa tazza fumante tra le mani; aveva i capelli corti, marroni e ricci, e una faccia dolce e onesta, con le lentiggini, da componente di una boy‑ band. Ero quasi sicuro che quello fosse Damien Donnelly; gli altri apparivano mogi mogi (tranne lo Scultore) ma non traumatizzati, lui invece, sotto le lentiggini, era pallido e stringeva la tazza con troppa forza.

«Dovremo parlare con ciascuno di voi» annunciai. «Fino ad allora, non lasciate il sito. Ci vorrà un po' prima che finiamo con tutti, quindi abbiate pazienza se vi toccherà restare più a lungo. »

«Ma siamo sospettati o qualcosa del genere? » chiese lo Scultore.

«No» risposi, «ma dobbiamo scoprire se avete informazioni di una qualche rilevanza. »

«Ahhh» fece lui, deluso, e ricadde sulla sedia. Cominciò a sciogliere un riquadro di cioccolata sul CD poi colse lo sguardo di Cassie e mise via l'accendino. Lo invidiavo: ho sempre voluto essere una di quelle persone che riescono a prendere qualsiasi cosa, e più è raccapricciante meglio è, come una gran figata di avventura.

«Un'altra cosa» aggiunsi. «È facile che tra poco arrivino i giornalisti. Non parlate con loro, dico sul serio. Dare informazioni anche apparentemente insignificanti potrebbe danneggiare l'indagine. Vi lasciamo i nostri biglietti da visita nel caso in cui vi venisse in mente qualcosa che a vostro parere dovremmo sapere. In qualsiasi momento. Domande? »

«E se ci offrono… che so… milioni? » domandò lo Scultore.

 

La baracca dei reperti era meno imponente di quanto avessi pensato. Nonostante ciò che aveva detto Mark a proposito del materiale che era stato trafugato, forse sulla scia di Indiana Jones dovevo essermi creato un'immagine mentale di coppe d'oro, scheletri e pezzi di mosaico. In realtà, quello che vi trovammo furono un paio di sedie, un'ampia scrivania ingombra di carta da disegno e una quantità indescrivibile di quelli che sembravano cocci di terraglie infilati in sacchetti di plastica e ammucchiati su scaffalature di metallo traforato tipo " fai‑ da‑ te".

«Reperti» spiegò Hunt, indicando con la mano gli scaffali. «Immagino… be', magari in un altro momento. Ci sono gettoni bellissimi e ganci per abiti. »

«Li vedremo volentieri un altro giorno, dottor Hunt» lo anticipai. «Tra una decina di minuti ci manda Damien Donnelly? »

«Damien» ripeté Hunt, e uscì. Cassie chiuse la porta alle sue spalle. Con un " Come diavolo fa a gestire un intero scavo archeologico? " cominciai a sgomberare il tavolo dai disegni: erano schizzi molto belli, realizzati a matita con un tratto leggero, e ritraevano una vecchia moneta, da varie angolature. L'oggetto reale dei disegni, piegata da un lato e incrostata di terriccio, giaceva in mezzo al tavolo all'interno di un sacchetto di plastica trasparente, di quelli per alimenti. Misi il tutto sopra uno schedario.

«Avvalendosi di gente come quel Mark» rispose Cassie. «Scommetto che è organizzatissimo. Mi dicevi, della molletta per capelli? »

Distesi gli angoli dei disegni. «Credo che Jamie Rowan ne portasse una che corrisponde alla descrizione. »

«Ah» disse. «Me lo stavo chiedendo. È nel fascicolo, lo sai o te lo ricordi e basta? »

«Che differenza fa? » Mi venne fuori con più arroganza di quanto non avessi voluto.

«Be', se c'è un legame non è che possiamo proprio tenercelo per noi» ragionò Cassie. «Per esempio, se dobbiamo chiedere a Sophie di eseguire un riscontro del sangue con i campioni dell'84 dovremo anche dirle perché. Le cose sarebbero molto più facili da spiegare se il legame fosse lì nelle carte. »

«Sono quasi certo che ci sia» tagliai corto. Il tavolo ondeggiò; Cassie trovò un foglio bianco e lo piegò più volte per stabilizzarne una delle gambe. «Farò un controllo incrociato stasera. Fino ad allora non dire niente a Sophie, okay? »

«Certo» disse Cassie. «E se non c'è, troveremo un modo. » Testò nuovamente il tavolo: meglio. «Rob, sei a tuo agio con il caso? »

Non risposi. Dalla finestra, vidi i ragazzi dell'obitorio che avvolgevano il corpo nella plastica e Sophie che, a gesti, indicava cosa fare. Non faticarono molto per sollevare la barella – sembrava quasi senza peso – e trasportarla verso il furgone in attesa. Il vento fece vibrare il vetro contro la mia faccia. Mi girai di scatto. D'un tratto, con tutta la forza che avevo dentro, avrei voluto gridare: " Chiudete quella cazzo di bocca" o " Vaffanculo questo caso, io mollo"; qualsiasi cosa, qualcosa di sconsiderato e irragionevole e drammatico. Ma Cassie se ne stava lì appoggiata al tavolo e aspettava, osservandomi con i suoi occhi marroni e fermi, e io ho sempre avuto un ottimo autocontrollo, il dono di saper sempre scegliere tra sdrammatizzazione e irrevocabile.

«Nessun problema» risposi. «Dammi un calcio se divento troppo lunatico. »

«Con piacere» disse Cassie con un largo sorriso. «Dio, però … guarda tutta questa roba… Spero che avremo la possibilità di dare un'occhiata da vicino. Quando ero piccola volevo diventare archeologa, te l'avevo mai detto? »

«Solo un milione di volte» risposi. Una o due, in realtà.

«Allora sei fortunato ad avere la memoria di un pesce rosso, no? Scavavo sempre nel giardino sul retro, ma l'unica cosa che abbia mai trovato è stata una paperetta di ceramica col becco rotto. »

«Forse sarei dovuto essere io quello a scavare sul retro» dissi. Di norma, mi sarei lasciato andare a un commento sull'occasione persa da tutti i poliziotti di diventare archeologi, ma mi sentivo ancora troppo irrequieto e disorientato per qualcuno dei nostri abituali scambi di battute. Avrei finito solo per dire cose sbagliate. «Avrei potuto avere la collezione di pezzetti di terraglie più grande del mondo. »

«Ecco, questo potrebbe essere un buon argomento per chattare on‑ line» commentò Cassie, ed estrasse il blocco.

 

Damien entrò con aria goffa. Si portava dietro una sedia di plastica e nell'altra mano stringeva ancora la tazza con il tè, lo sentivo dall'odore. «Ho portato questa…» disse e usò maldestramente la mano con la tazza per indicare la sua sedia e le due sulle quali stavamo seduti noi. «Il dottor Hunt ha detto che volevate vedermi? »

«S‑ s‑ sì » confermò Cassie. «Ti direi di trovarti da sedere, ma vedo che ci hai pensato da solo. »

Gli ci volle un momento, poi ebbe una risatina, controllando i nostri volti per capire se andava bene. Si sedette, fece per appoggiare la tazza sul tavolo poi cambiò idea, se la tenne in grembo e ci guardò con i suoi occhioni azzurri ubbidienti. Era decisamente materiale per Cassie. Aveva proprio l'aspetto di uno che è abituato a lasciare che siano le donne a prendersi cura di lui; era già abbastanza scosso ed essere interrogato da un uomo l'avrebbe sconvolto a tal punto che non ci avremmo più tirato fuori nulla di utile. Senza dare nell'occhio, tirai fuori una penna.

«Senti» cominciò con tono suadente Cassie, «so che lo shock è stato forte per te. Mettici il tempo che ci vuole e spiegaci tutto dall'inizio, per bene. Parti da quello che stavi facendo stamattina, prima di andare alla pietra. »

Damien inspirò profondamente e si passò la lingua sulle labbra. «Eravamo… ehm… stavamo lavorando al canale di scolo medievale. Mark voleva vedere se riuscivamo a seguire il percorso un po' più giù lungo il sito. Vedete, ora noi stiamo facendo le ultime cosette, perché ormai lo scavo sta per finire…»

«Quando è iniziato? » chiese Cassie.

«Direi da un paio d'anni, ma io sono qui solo da giugno. Vado all'università. »

«Anche a me sarebbe piaciuto moltissimo fare l'archeologa» gli confidò Cassie. Le assestai un colpetto al piede sotto il tavolo. " Oh, no, ancora questa storia. " Lei mise il suo sul mio. «Come sta andando lo scavo? »

Il volto di Damien si illuminò, come abbagliato di piacere, a meno che il sembrare abbagliato non fosse la sua espressione normale. «È stato incredibile, sono così felice di averlo fatto. »

«Ti invidio molto» fece Cassie. «Sai se per caso lasciano lavorare anche dei volontari, che so, per una settimana? »

«Maddox» dissi, imbronciato, «non è che possiamo discuterne dopo, dei tuoi cambiamenti di carriera? »

«Scuuusa» fece lei, roteando gli occhi verso Damien. Lui le rimandò un ghigno, e il legame si era creato. Cominciavo a provare una vaga, ingiustificata antipatia per il ragazzo. Ora capivo perfettamente perché Hunt avesse assegnato a lui il compito di guidare le visite del sito: sarebbe stato il sogno di qualsiasi PR; con quegli occhioni azzurri, timido timido, avrebbe fatto furore tra mammine e ragazzine. Solo che a me gli adorabili indifesi non sono mai piaciuti. Penso che sia la stessa reazione di Cassie davanti a quelle ragazze cresciute con la voce da bambina che si spaventano per un nonnulla e che gli uomini vogliono sempre proteggere: un mix di disgusto, cinismo e invidia. «Okay» riprese Cassie, «quindi poi sei andato alla pietra e…? »

«Dovevamo ripulirla dell'erba e del terriccio tutt'attorno» spiegò Damien. «Il resto di quella zona è stato spianato la settimana scorsa, ma gli abbiamo fatto lasciare un'area intatta attorno alla pietra perché non volevamo correre il rischio che il bulldozer la danneggiasse. Così, dopo la pausa di mezza mattina, Mark ha detto a me e a Mel di andare lassù a fare il lavoro di fino con il piccone mentre gli altri si occupavano del canale di scolo. »

«Che ora era? »

«La pausa di mezza mattina finisce alle undici e un quarto. »

«E poi? »

Damien deglutì e prese un altro sorso dalla tazza. Cassie si sporse in avanti come per incoraggiarlo e rimase in attesa.

«Noi… ehm… c'era qualcosa sulla pietra. Ho pensato che fosse una giacca o qualcosa del genere, che qualcuno se la fosse dimenticata lì. Ho detto… ehm… ho detto: " Ma quello cos'è? " e così ci siamo avvicinati e…» Abbassò lo sguardo nella tazza; le mani avevano preso a tremargli. «Era una persona. Ho pensato che forse era… non so… svenuta o una cosa così, perciò l'ho scossa per il braccio e… ehm… era strana a toccarla. Fredda e… e rigida. Allora mi sono abbassato per vedere se respirava, invece no. C'era sangue su di lei, ho visto sangue sulla faccia. Così ho capito che era morta. » Deglutì di nuovo.

«Stai andando alla grande» disse Cassie, con dolcezza. «Poi cosa avete fatto? »

«Mel ha detto: " Oh, mio Dio" o qualcosa del genere e siamo corsi via ad avvisare il dottor Hunt. Lui ci ha radunati tutti nella mensa. »

«Okay, Damien, ora ho bisogno che rifletta con attenzione» proseguì Cassie. «Hai visto nulla che ti è sembrato strano, oggi, o nel corso degli ultimi giorni? Qualcuno mai visto prima che si aggirava nella zona, qualcosa fuori posto? »

Damien spostò lo sguardo nel vuoto e dischiuse leggermente le labbra. Sorseggiò ancora il suo tè. «Forse non è il tipo di cose che intendete voi…»

«Qualsiasi cosa potrebbe esserci d'aiuto» lo rassicurò Cassie. «Anche la cosa più minuta. »

«Okay. » Damien annuì convinto. «Okay, allora. Lunedì stavo aspettando l'autobus per tornare a casa, vicino al cancello, avete presente? E ho visto questo tipo che scendeva lungo la strada e si dirigeva verso la zona residenziale. Non so neanche perché l'ho notato, forse… forse per come si è guardato in giro prima di avvicinarsi alle case, come se controllasse che nessuno lo stesse osservando o roba del genere. »

«Che ora era? » chiese Cassie.

«Qui noi finiamo alle cinque e mezzo, quindi direi le sei meno venti… E questa è l'altra cosa strana: voglio dire, non puoi andare da nessuna parte qui se non hai un'auto, tranne che al negozio e al pub, e il negozio chiude alle cinque. Così mi sono chiesto da dove venisse. »

«Che aspetto aveva? »

«Abbastanza alto, più di un metro e ottanta direi. Sulla trentina, forse… Grosso. Credo che fosse calvo. Portava una tuta da ginnastica blu scuro. »

«Te la sentiresti di lavorare con un nostro esperto per tirarne fuori un identikit? »

Damien sbatté gli occhi rapidamente, sembrava preoccupato. «Ehm… io… ehm… non l'ho visto così bene. Insomma, lui veniva dalla strada, dall'altro lato dell'entrata alla proprietà. Non è che stessi proprio guardando bene… non credo che ricorderei…»

«Va bene, va bene» disse Cassie. «Non preoccuparti, Damien. Se pensi di poterci fornire qualche altro dettaglio, fammelo sapere, okay? Nel frattempo, abbi cura di te. »

Trascrivemmo indirizzo e numero di telefono di Damien, gli consegnammo un biglietto da visita e lo rispedimmo dagli altri, con l'ordine di mandarci Melanie Jackson. Avrei voluto regalargli un lecca‑ lecca per essere stato un bambino così coraggioso, ma non sono compresi nel kit fornito dal dipartimento.

«Che ragazzo dolce» commentai, con tono evasivo, per sondare il terreno.

«Già » disse Cassie seccamente. «Se mai vorrò un cucciolotto lo terrò a mente. »

 

Mel fu molto più utile di Damien. Era alta, magrissima e scozzese, con braccia abbronzate e muscolose. Portava i capelli color sabbia raccolti in una coda disordinata e se ne stava seduta come un ragazzo, con i piedi ben piantati a terra e distanziati.

«Magari io sapete già, ma la bambina viene dalla zona residenziale» ci disse senza preamboli. «O da qualche parte qui nei dintorni, comunque. »

«Come fai a saperlo? » le chiesi.

«A volte, i ragazzini della zona vengono al sito. Durante l'estate non c'è molto da fare. Più che altro, vogliono sapere se abbiamo trovato dei tesori nascosti o degli scheletri. L'ho vista varie volte. »

«Quando è stata l'ultima? »

«Due, forse tre settimane fa. »

«Era con qualcuno? »

Mel fece spallucce. «Nessuno in particolare che mi ricordi. Solo un gruppetto di ragazzini, credo. »

Mel mi piaceva. Era scossa dalla vicenda ma si rifiutava di mostrarlo; giochicchiava con un elastico per capelli, facendogli assumere ogni tipo di forma tra le dita callose. Fece in pratica lo stesso racconto di Damien ma con molte meno moine e smancerie.

«Alla fine della pausa di mezza mattina, Mark mi ha detto di andare a ripulire con la piccozza la base della pietra cerimoniale, così da esporla completamente. Damien ha detto che sarebbe venuto anche lui. Di solito non lavoriamo da soli, è una tale noia… A metà della salita abbiamo intravisto qualcosa di bianco e blu sulla pietra. Damien ha detto: " E quello cos'è? ". E io: " Magari è la giacca di qualcuno". Quando ci siamo avvicinati un po' di più mi sono resa conto che era una ragazzina. Damien le ha scosso un braccio per vedere se respirava, ma si vedeva che era morta. Non avevo mai visto un cadavere prima, ma…» Si morsicò l'interno di una guancia, scuotendo la testa. «Sono stronzate, vero, quando dicono: " Oh, sembrava proprio che dormisse"? Si vede eccome. »

Pensiamo poco alla morte, di questi tempi, ma per tentare di esorcizzarla ci agitiamo in maniera scomposta con attività fisiche, cereali ad alto contenuto di fibre e cerotti alla nicotina. Mi vennero in mente l'arcigna determinazione vittoriana a ricordarcela sempre, le intransigenti lapidi tipo: " Ricorda, pellegrino, mentre passi, / Quello che tu sei io ero; / Ciò che sono tu sarai…". Ora la morte è fuori moda, vecchia, sgradevole. A definire la nostra era, secondo me, è la spinta in avanti: tutto costruito su misura fino a un punto di fuga da ricerche di mercato, marchi e band musicali confezionati in base a specifiche precise; siamo così abituati a vedere le cose trasformarsi in ciò che desideriamo che ci pare un oltraggio grave imbatterci nella morte, testardamente non manipolabile, solo e sempre immutabilmente se stessa. Il cadavere aveva scosso Mel Jackson molto più profondamente di quanto non sarebbe accaduto alla più protetta delle fanciulle vittoriane.

«Se il corpo si fosse trovato sulla pietra già ieri, avreste potuto non notarlo? » chiesi.

Mel sollevò lo sguardo e gli occhi erano sbarrati. «Oh, merda… volete dire che è stato lì tutto il tempo che noi…? » Poi scosse il capo. «No. Ieri pomeriggio, Mark e il dottor Hunt hanno fatto un giro completo del sito per stilare una lista delle cose da fare. L'avrebbero visto… vista. Non l'abbiamo notata subito questa mattina perché eravamo tutti giù in fondo al sito, all'estremità del canale di scolo; per come è fatto il pendio della collina, da laggiù non si riesce a vedere la parte superiore della pietra. »

Non aveva visto nessuno, niente di insolito, neppure il tipo strambo citato da Damien. «Ma non avrei potuto comunque. Io non prendo l'autobus. Quelli di noi che non sono di Dublino abitano nella casa che ci hanno affittato, a circa quattro chilometri da qui, lungo la strada. Mark e il dottor Hunt hanno l'auto e così ci riaccompagnano loro. Non passiamo davanti alla zona residenziale. »

Il " comunque" mi colpì. Suggeriva che Mel, come me, aveva dei dubbi sulla sinistra tuta da ginnastica blu scuro. Damien mi aveva dato l'impressione di essere una di quelle persone che ti direbbero qualsiasi cosa se pensassero di farti felice. Mi pentii di non avergli chiesto se il tipo portava anche i tacchi a spillo.

 

Sophie e i suoi giovani tecnici avevano finito con la pietra cerimoniale e stavano allargando i controlli avanzando in cerchio. Le dissi che Damien Donnelly aveva toccato il corpo e ci si era sporto sopra. Avremmo avuto bisogno delle sue impronte e dei capelli. «Che idiota» commentò Sophie. «Immagino che dovremmo anche essergli grati di non aver coperto il cadavere con la giacca. » Sudava all'interno della tuta di carta. Alle sue spalle, un giovane tecnico strappò nascostamente una pagina dal blocco e ricominciò da capo.

Lasciammo l'auto al sito e ci avviammo a piedi, girando attorno alla zona residenziale seguendo la strada. Conservavo ancora il ricordo, da qualche parte nei miei muscoli, di quando scavalcavo il muro: dove si trovava il punto d'appoggio per il piede, il cemento che ti grattava la rotula, il colpo all'atterraggio. Cassie volle fermarsi al negozio lungo la strada; erano già le due passate e forse non avremmo avuto un'altra occasione per pranzare. Cassie mangia come un'adolescente e odia saltare i pasti. La cosa di solito mi fa piacere – le donne che vivono di misurate porzioni di insalata mi infastidiscono – ma volevo che quella giornata passasse il più in fretta possibile.

Attesi fuori dal negozio a fumare, ma Cassie ne uscì con due sandwich nelle confezioni di plastica e me ne passò uno. «Tieni. »

«Non ho fame. »

«Mangia quel dannato sandwich, Ryan. Non ti porto in braccio a casa se mi svieni. » In realtà non sono mai svenuto in vita mia, ma tendo a dimenticarmi di mangiare finché poi non divento irritabile o vado in trance, e Cassie lo sa, anche se lo trova incomprensibile.

«Ho detto che non ho fame» ripetei con una punta di piagnucolio nella voce, ma aprii la confezione. Cassie aveva ragione, era probabile che sarebbe stata una giornata molto lunga. Ci sedemmo sul bordo del marciapiede e lei estrasse una bottiglia di Coca al limone dalla sua borsa. Il sandwich, che ufficialmente doveva essere di pollo e altro ripieno, sapeva essenzialmente di plastica, e la Coca era calda e troppo dolce. Mi venne un po' di nausea.

Non voglio dare l'impressione che la mia vita sia stata segnata da ciò che è accaduto a Knocknaree, di avere vagato per vent'anni come una figura tragica dal passato oscuro che sorride tristemente al mondo da dietro un velo dolce‑ amaro di sigarette e ricordi. Knocknaree non mi ha lasciato in eredità incubi notturni, impotenza, paura patologica degli alberi o qualsiasi altra bella cosa che, in una fiction televisiva, mi condurrebbe da un terapeuta prima, alla redenzione poi e a un rapporto più comunicativo, infine, con una moglie che, benché frustrata, mi offre tutta la sua solidarietà. A essere sinceri, potrei andare avanti per mesi senza nemmeno pensarci. Di tanto in tanto, qualche giornale pubblica un articolo su persone scomparse e loro sono lì, Peter e Jamie, che sorridono dalla copertina del supplemento domenicale, in fotografie sgranate rese premonitrici dal senno di poi e dall'uso eccessivo, tra turisti spariti, casalinghe fuggite di casa e mormoranti schiere di perduti d'Irlanda. Vedo l'articolo e noto, con fare distaccato, che mi tremano le mani e che faccio fatica a respirare, ma si tratta di un puro e semplice riflesso fisico, e comunque dura solo pochi minuti.



  

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