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Tana French 3 страница



scarpe da ginnastica affondate nel terreno dell'argine, ombre a forma di foglia su una maglietta rossa, canne da pesca di rami e cordicelle, uno scappellotto ai più piccini: Zitti! O spaventerete i pesci!

Quel campo si trovava nel luogo in cui venti anni prima c'era il bosco. La striscia di alberi era quello che ne era rimasto. Ai tempi vivevo in una delle case dietro il muro.

Non me l'ero aspettato. Non guardo il telegiornale irlandese, si trasforma sempre in una macchia indistinta da mal di testa di politici tutti uguali, con gli occhi da sociopatici, che blaterano producendo un rumore bianco senza significato, come il borbottio confuso che ottieni quando ascolti un 33 giri a velocità superiore. Mi limito alle notizie dall'estero, dove la distanza semplifica le cose abbastanza da dare l'illusione che ci sia una differenza tra i vari attori. Sapevo, per una sorta di vaga osmosi, che c'era un sito archeologico da qualche parte intorno a Knocknaree e che c'era una controversia che lo riguardava: alternativi con capelli rasta che manifestavano con cartelli contro degli operatori immobiliari. Ma i dettagli non li avevo colti, così come l'esatto luogo. Proprio non me l'ero aspettato.

Parcheggiai in una piazzola dall'altra parte della strada rispetto al gruppo di baracche in lamiera, tra il furgone della Scientifica e una grossa Mercedes nera. Era quella di Cooper, il medico legale. Scendemmo dall'auto e mi fermai a controllare la pistola: pulita, carica, sicura inserita. Io indosso la fondina da spalla, qualsiasi altra posizione più in vista mi dà un senso di goffaggine, l'equivalente legale dell'esibizionismo. Cassie dice: «Vaffanculo la goffaggine, quando sei alta un metro e sessantotto, sei giovane e donna, mostrare un po' di autorità non fa male», e infatti la porta alla cintura. Spesso la differenza funziona a nostro vantaggio: la gente non sa di chi preoccuparsi maggiormente, se della ragazzetta con la pistola o del ragazzone che apparentemente non ce l'ha, e l'indecisione disorienta il malcapitato.

Cassie si appoggiò all'auto e rovistò nella cartella in cerca delle sigarette. «Vuoi? »

«No, grazie» risposi. Mi sistemai l'imbracatura, tirai le cinghie, mi assicurai che non fossero storte. Mi sentivo le dita spesse e impedite, come staccate dal corpo. Non volevo che Cassie mi facesse notare che, chiunque fosse questa ragazza e indipendentemente da quando fosse stata uccisa, era assai improbabile che l'omicida se ne stesse rintanato dietro una delle baracche e che ci fosse bisogno di tenerlo sotto tiro. Rovesciò leggermente la testa all'indietro e soffiò il fumo verso i rami sopra di noi. Era una tipica giornata estiva irlandese, incerta in modo irritante, tutta sole e nuvole che si avvicendavano in cielo, per non parlare della brezza che ti piega in due, pronta in qualsiasi momento a portarti una pioggia scrosciante o un sole rovente, o entrambi.

«Avanti» dissi. «Entriamo nel personaggio. » Cassie spense la sigaretta contro la suola della scarpa, reinfilò il mozzicone nel pacchetto e ci avviammo lungo la strada.

Un tipo di mezza età con un maglione che perdeva i pezzi indugiava nei pressi delle baracche con un'aria sperduta. Quando ci vide si rianimò.

«Signori detective» si rivolse a noi. «Dovete essere i detective, vero? Dottor Hunt… voglio dire, Ian Hunt. Sono il direttore del sito. Da dove vorreste… ecco insomma… l'ufficio o il corpo o…? Non so bene, capite. Il protocollo e cose del genere. » Era una di quelle persone che appena le vedi cominci immediatamente, e senza volerlo, a trasformare in un cartone animato: un paio d'ali, un becco e… ta‑ ta, il Professor Picchio Verde.

«Detective Maddox, e questo è il detective Ryan» fece Cassie incaricandosi delle presentazioni. «Se è possibile, dottor Hunt, magari uno dei suoi colleghi potrebbe fornire una descrizione rapida del sito al detective Ryan mentre lei mostra a me i resti? »

" Stronzetta" pensai. Mi sentivo al tempo stesso teso come una corda di violino e intontito, come se fossi in preda ai postumi di una sbornia epocale e avessi cercato di schiarirmi la testa con troppa caffeina. La luce che rimbalzava da un frammento di mica all'altro nel terreno pieno di solchi era troppo brillante, ingannevole, guizzante. Non ero dell'umore giusto per essere protetto. Ma una delle regole non dette in vigore tra me e Cassie è che, almeno in pubblico, non ci contraddiciamo. E a volte uno di noi se ne approfitta.

«Ehm… sì » acconsentì Hunt, sbattendo le palpebre dietro le lenti. Dava l'impressione di essere sempre lì lì per far cadere qualcosa, appunti scritti su blocchi di carta gialla a righe, fazzoletti sgualciti, pasticche per la gola ancora mezzo incartate, anche se in realtà non aveva nulla in mano. «Sì, naturalmente. Sono tutti… be', di solito sono Mark e Damien a fare le visite ma, vedete, Damien è … Mark! » chiamò, rivolto verso la porta aperta di una baracca di lamiera e intravidi un gruppo di persone accalcate attorno a un tavolo spoglio: giacche militari, panini e tazze fumanti, terra sul pavimento. Uno dei ragazzi lasciò andare alcune carte e cominciò a districarsi dalle sedie di plastica.

«Ho detto a tutti di restare là dentro» spiegò Hunt. «Non ero certo… le prove. Le impronte e… le fibre. »

«Ha fatto benissimo, dottor Hunt» lo rassicurò Cassie. «Cercheremo di sbrigarci con la scena del crimine per lasciarvi tornare al lavoro prima possibile. »

«Ci sono rimaste solo poche settimane» disse il ragazzo sulla porta della baracca. Era basso e asciutto, con una corporatura che sarebbe potuta sembrare quasi gracile, da bambino, se avesse avuto una felpa pesante, ma indossava una maglietta, pantaloni militari infangati e un paio di anfibi, e sotto le maniche i muscoli guizzavano, scolpiti come quelli di un peso piuma.

«Allora farai meglio a muoverti e portare in giro il mio collega» gli intimò Cassie.

«Mark» intervenne Hunt. «Mark, questo detective ha bisogno che tu gli faccia vedere il sito. Il solito, sai. »

Mark guardò Cassie per un altro istante, poi annuì, forse decidendo che aveva superato una specie di suo test privato. Spostò lo sguardo su di me. Poteva avere tra i venti e i venticinque anni, portava i capelli lunghi e chiari legati a coda di cavallo, aveva un volto da volpe e occhi verdissimi e particolarmente intensi. Gli uomini come lui, ai quali interessa solo ciò che loro stessi pensano degli altri e non viceversa, mi hanno sempre trasmesso grande insicurezza. Hanno una specie di certezza a 360 gradi che mi fa sentire un imbranato, uno smidollato, nel posto sbagliato e con addosso gli abiti sbagliati.

«Le serviranno gli stivali di gomma» mi disse, lanciando un'occhiata sarcastica alle mie scarpe. Come volevasi dimostrare. Aveva un marcato accento del nord, forse Roscommon, o magari Monaghan. «Ce ne sono nella baracca degli attrezzi. »

«Andrà benissimo così » rifiutai. Immaginavo che gli scavi archeologici implicassero trincee con qualche metro di fango, ma non avrei trascorso neanche morto la mattinata arrancando dietro quel tipo, con il vestito che mi ricadeva in maniera ridicola in stivali di gomma in cui aveva messo i piedi qualcun altro. Avrei voluto qualcosa, una tazza di tè, una sigaretta, uno dei panini spiaccicati della baracca, qualsiasi cosa che mi desse la scusa per sedermi cinque minuti a riflettere su come affrontare la cosa.

Mark inarcò un sopracciglio. «Contento lei. Di qua. »

Si incamminò tra i prefabbricati senza controllare che lo seguissi. Cassie, inaspettatamente, mi rivolse un ghigno mentre mi avviavo; non un sorriso fatuo, di solidarietà, no, un malizioso ghigno del tipo " Beccato! ", il che mi fece sentire un po' meglio. La guardai grattandomi una guancia con il dito medio.

Mark mi fece attraversare il sito per uno stretto sentiero tra misteriosi sterramenti e blocchi di pietra. Camminava come uno che pratica arti marziali o come un bracconiere, con la falcata lunga, agile ed equilibrata. «Un canale di scolo medievale» disse, indicando. Un paio di corvi si alzarono in volo da una carriola abbandonata piena di macerie, poi decisero che eravamo innocui e tornarono a piluccare nella terra. «E quello è un insediamento neolitico. Questo luogo è stato abitato più o meno ininterrottamente fin dall'Età della Pietra. E lo è ancora. Vede il cottage? Risale al XVIII secolo. Uno dei posti dove organizzarono la Ribellione del 1798. » Mi lanciò un'occhiata da sopra la spalla e io ebbi l'impulso assurdo di spiegargli il mio accento e informarlo che non solo ero irlandese, ma venivo da dietro l'angolo, proprio così. «Il tipo che ci abita ora è un discendente dell'uomo che l'ha costruito. »

Eravamo giunti alla torre di pietra al centro del sito. Si intravedevano feritoie attraverso l'edera, e una sezione del muro crollato pendeva da un lato. Aveva un che di vagamente familiare, in modo frustrante, di onirico, ma non sapevo se fosse perché era proprio così che me lo ricordavo o perché era così che avrei dovuto.

Mark estrasse un pacchetto di tabacco da una delle tante tasche dei pantaloni e cominciò ad arrotolarsi una sigaretta. Aveva del nastro adesivo bianco di carta avvolto alla base delle dita di entrambe le mani. «Il clan Walsh costruì questo torrione nel Trecento e vi aggiunse un castello nel corso dei due secoli successivi» spiegò. «Questo era il loro territorio, da quelle colline laggiù » fece un segno con la testa in direzione dell'orizzonte, verso alture ricoperte di alberi scuri, «fino a un'ansa del fiume oltre quella fattoria grigia. Erano ribelli, razziatori. Nel XVII secolo cavalcavano fino a Dublino, dritti dritti fino alla caserma degli inglesi a Rathmines, arraffavano qualche fucile, staccavano la testa ai soldati che incrociavano e poi se la davano a gambe. Ci voleva sempre un po' prima che gli inglesi fossero pronti a inseguirli, e a quel punto erano ormai già quasi qui. »

Era la persona giusta per raccontare quella storia. Pensai a cavalli impennati, alla luce delle fiaccole, a risate da brivido, al ritmo sempre più ossessivo dei tamburi da guerra. Oltre lui, vedevo Cassie, su, alla scena del crimine delimitata dal nastro, che parlava con Cooper e prendeva appunti.

«Mi spiace interromperti» dissi, «ma temo di non avere tempo per il tour completo. Ho bisogno solo di una panoramica generale del sito. »

Mark mi lanciò un'occhiata, poi leccò la cartina, sigillò la sigaretta e trovò un accendino. «D'accordo» disse, e cominciò a indicare. «Insediamento neolitico, pietra cerimoniale dell'Età del Bronzo, un deposito dell'Età del Ferro, abitazioni vichinghe, torrione del XIV secolo, castello del XVI, cottage del XVIII. » " La pietra cerimoniale dell'Età del Bronzo" era il luogo dove si trovavano Cassie e i tecnici.

«Il sito è sorvegliato, la notte? » chiesi.

Rise. «Noo. Chiudiamo a chiave la baracca dei reperti, ovviamente, e l'ufficio, ma qualsiasi cosa abbia un minimo di valore va subito alla sede centrale. E abbiamo cominciato a chiudere a chiave il capanno degli attrezzi un mese fa, o due. Sono sparite alcune cose e abbiamo scoperto che i contadini usavano i nostri tubi per irrigare i campi quando non pioveva. Tutto qua. Che senso avrebbe sorvegliarlo? Tra un mese non ci sarà più niente, tranne questo. » Assestò un colpo al muro della torre; qualcosa sgattaiolò via nell'edera sopra le nostre teste.

«E perché? » chiesi.

Lui mi fissò, mettendo nell'espressione quel genere di incredulo disgusto che di solito ti riservano solo i gatti. «Tra un mese» cominciò a spiegarmi con chiarezza «il fottuto governo spianerà il sito con il bulldozer e ci costruirà sopra una fottuta autostrada. Per grazia loro, lasceranno come fottuta aiuola il torrione spartitraffico, così che potranno avere un orgasmo raccontando quanto hanno fatto per preservare il nostro patrimonio storico. »

Mi venne in mente la faccenda dell'autostrada, una notizia del telegiornale: uno scialbo personaggio politico si scagliava contro gli archeologi che volevano dai contribuenti altri miliardi per rifare i progetti. A quel punto immagino di aver cambiato canale. «Cercheremo di non farvi perdere troppo tempo» dissi. «Il cane del cottage abbaia quando arriva qualcuno sul sito? »

Mark si strinse nelle spalle e tornò alla sua sigaretta. «Non con noi, ci conosce. Gli diamo delle cose da mangiare, gli avanzi. Potrebbe abbaiare se qualcuno si avvicinasse troppo al cottage, soprattutto di notte, ma non lo fa se quel qualcuno si tiene rasente il muro. È fuori dal suo territorio. »

«E le auto? Abbaia alle auto? »

«Alla sua ha abbaiato? È un cane da pastore, non da guardia. » Lasciò uscire tra i denti un sottile filo di fumo.

Quindi il killer poteva essere arrivato al sito da qualsiasi direzione: dalla strada, dall'abitato, anche dal fiume, in caso gli fosse piaciuto fare le cose difficili. «È tutto, per il momento» conclusi. «Grazie per il tuo tempo. Se vai ad aspettare con gli altri, tra qualche minuto verremo ad aggiornarvi sulla situazione. »

«Non metta i piedi su tutto quello che le sembra archeologico» raccomandò Mark e si avviò a lunghe falcate verso le baracche di lamiera. Io, invece, proseguii su per il pendio, verso il corpo.

La pietra cerimoniale dell'Età del Bronzo era enorme e piatta, lunga poco più di due metri per uno circa di larghezza e uno di altezza, ricavata da un unico grande blocco. Il campo che la circondava era stato spianato con i bulldozer senza tanti riguardi e non era successo molto tempo prima, a giudicare da come il terreno era molle e cedeva sotto le mie scarpe. Ma una sorta di cuscino era stato lasciato intatto intorno alla pietra, così che essa si elevava come un'isola in mezzo alla terra rivoltata. Sopra, tra le ortiche e l'erba alta, si stagliava una cosa bianca e blu.

Non era Jamie. Più o meno l'avevo capito perché, se ci fosse stato il minimo dubbio, Cassie sarebbe venuta a dirmelo, ma ne rimasi ugualmente turbato. Quella ragazza aveva i capelli lunghi e scuri e una treccia le stava di traverso sul viso. Quello fu tutto ciò che notai, lì per lì: i capelli scuri. Non mi venne neppure in mente che, se si fosse trattato del corpo di Jamie, non sarebbe stato in quelle condizioni.

Mi ero perso Cooper; stava tornando alla strada e scuoteva i piedi a ogni passo come fanno i gatti. Un tecnico stava scattando delle foto, un altro passava la polvere sulla pietra per il rilevamento delle impronte; un gruppetto di agenti locali se ne stava a gingillarsi e a chiacchierare con i ragazzi dell'obitorio, vicino alla barella. L'erba era disseminata di indicatori numerati triangolari. Cassie e Sophie Miller, accovacciate accanto alla pietra, osservavano qualcosa sul bordo. Riconobbi Sophie immediatamente: nessuna tuta avrebbe potuto nascondere la postura rigida della sua schiena. Sulla scena del crimine, Sophie è il mio tecnico preferito. È magra, tratti scuri, dal carattere schivo, ha occhi luminosi e timidi da topo di campo e il copricapo bianco la fa tanto infermierina che si piega sui letti dei soldati feriti, con i cannoneggiamenti in sottofondo, e mormora qualcosa di consolatorio o somministra un po' d'acqua da una borraccia. In realtà, è rapida, impaziente, e riesce a mettere al proprio posto tutti, dai sovrintendenti ai rappresentanti della pubblica accusa, con poche ed efficaci parole. Mi piace l'incongruenza.

«Da che parte? » chiesi ad alta voce, accennando al nastro di delimitazione. Non si cammina su una scena del crimine se i ragazzi della Scientifica non ti dicono che puoi farlo.

«Ciao, Rob» gridò Sophie, raddrizzando e abbassando la maschera. «Aspetta un attimo. »

Cassie mi raggiunse per prima. «È morta da un giorno o giù di lì » spiegò pacatamente, prima che arrivasse anche Sophie. Aveva un certo pallore intorno alla bocca. I bambini fanno questo effetto a gran parte di noi.

«Grazie, Cass» le dissi. «Ciao, Sophie. »

«Ehilà, Rob. Voi due mi dovete ancora una bevuta. » Le avevamo promesso cocktail a profusione se fosse riuscita a velocizzare i tempi di alcune analisi ematiche per noi, un paio di mesi prima. Da allora non avevamo fatto che ripetere a intervalli regolari: «Dobbiamo vederci per quella bevuta», ma non ci eravamo mai riusciti.

«Dacci una mano anche in questo caso e ci aggiungiamo anche la cena» replicai. «Cosa abbiamo? »

«Sesso femminile, bianca, tra i dieci e i tredici anni» disse Cassie. «Nessuna identificazione per ora; in tasca ha una chiave, che sembra quella di casa, ma è tutto. Le hanno fracassato il cranio, ma Cooper ha trovato emorragie petecchiali e possibili segni di legatura sul collo, quindi dovremo aspettare l'autopsia per essere certi della causa del decesso. È completamente vestita ma pare sia stata violentata. È una faccenda piuttosto strana, Rob. Cooper dice che è morta da circa trentasei ore, ma non c'è praticamente attività di insetti e non vedo proprio come gli archeologi avrebbero potuto non notarla se fosse stata lì tutto ieri. »

«Questa non è la scena primaria, vero? »

«Neanche per sogno» confermò Sophie. «Non ci sono schizzi sulla pietra, neanche sangue dalla ferita alla testa. È stata uccisa da qualche altra parte, forse tenuta nascosta un giorno e poi portata qua. »

«Trovato qualcosa? »

«A volontà » rispose. «Fin troppo. I ragazzini del luogo bazzicano da queste parti. Mozziconi di sigaretta, lattine di birra, un paio di Coca, gomme da masticare, i resti di tre spinelli. Due preservativi usati. Una volta trovato il sospetto, il laboratorio potrà cercare riscontri con tutta 'sta roba, che sarà un incubo, tra parentesi, ma a essere onesti mi sa che è il solito ciarpame da adolescenti. Ci sono impronte di piedi ovunque. Una molletta per capelli. Non credo fosse sua, era infilata nel terriccio alla base della pietra e pare che sia lì da un pezzo, ma magari controlliamo lo stesso. Non sembra quella di un'adolescente. È di quelle in plastica, con una fragolina in fondo; di solito le portano le bambine più piccole. »

il drappo biondo che si solleva

Mi parve d'essere sospinto bruscamente all'indietro e dovetti controbilanciarmi per recuperare l'equilibrio. Sentii Cassie che diceva qualcosa, in fretta, da qualche parte sull'altro lato di Sophie. «Forse non è la sua. Tutto ciò che indossa è bianco e blu, fino all'elastico per i capelli. Questa ragazzina era tutta coordinata. Ma controlleremo comunque. »

«Tutto okay? » mi chiese Sophie.

«Sto bene» risposi. «Ho solo bisogno di un po' di caffè. » Il vantaggio del fatto che adesso a Dublino si trova facilmente il doppio espresso, così alla moda, è che puoi attribuire qualsiasi stranezza dell'umore all'astinenza da caffeina. Nell'era del tè questa scusa non aveva mai funzionato, non in modo altrettanto credibile, almeno.

«Per il suo compleanno gli regalerò una flebo di caffeina» disse Cassie. Anche a lei piace Sophie. «È ancora più inutile senza la sua dose. Digli della roccia. »

«Sì, abbiamo trovato due cose interessanti» spiegò Sophie. «C'è un sasso all'incirca di queste dimensioni» unì le mani a coppa a una distanza di circa venti centimetri «e sono praticamente certa che sia una delle armi del delitto. Era nell'erba vicino al muro. Su un'estremità ci sono capelli, sangue e frammenti d'osso. »

«Ci sono impronte? » chiesi.

«No. Alcune sbavature, ma sembrano prodotte da guanti. Le parti interessanti riguardano il luogo in cui si trovava, vicino al muro. Potrebbe significare che l'ha scavalcato, provenendo dalla zona residenziale, anche se forse è quello che ci vuole far pensare. E il fatto che si sia preoccupato di lasciarlo cadere. Io lo avrei lavato e lo avrei sotterrato in giardino, invece di trasportarlo insieme al corpo. »

«Non poteva essere lì nell'erba? » domandai. «Magari ci ha fatto cadere il corpo sopra, nel tentativo di gettarlo oltre il muro. »

«Non credo» dissentì Sophie. Si spostava a piccoli passi nel tentativo di spingermi verso la pietra; voleva tornare al lavoro. Distolsi lo sguardo. I cadaveri non mi fanno venire la pelle d'oca ed ero certo di avere visto di peggio: un anno prima, un bambino piccolo che camminava appena e che il padre aveva preso a calci fin quasi a spezzarlo in due e che non era stato trovato per dieci giorni. Ma ugualmente mi sentivo strano, stordito, come se gli occhi non fossero a fuoco per accogliere quell'immagine. " Magari ho veramente bisogno di caffè " pensai. «Il sangue era sulla parte inferiore e l'erba sotto è fresca, ancora viva. No, il sasso non era lì da molto. »

«Inoltre, quando è stata portata qui, non sanguinava più » aggiunse Cassie.

«Oh, certo, altra cosa interessante» disse Sophie. «Vieni a dare un'occhiata qui. »

Mi piegai all'inevitabile e passai sotto il nastro. Gli altri tecnici sollevarono lo sguardo e si allontanarono dalla pietra per farci spazio. Erano entrambi molto giovani, poco più che tirocinanti e d'un tratto pensai a come dovevamo apparirgli: quanto più grandi, quanto distaccati, quanto molto più a nostro agio nelle piccole arti e trattative dell'età adulta. In qualche modo servì a rinsaldarmi, l'immagine di due detective della Omicidi con i volti segnati dall'esperienza che non comunicavano nulla, che camminavano fianco a fianco e si avvicinavano a quella bambina morta.

Era rannicchiata sul lato sinistro, come se si fosse addormentata sul divano cullata dai pacifici mormorii degli adulti in sottofondo. Il braccio sinistro era proteso oltre il bordo della pietra; il destro le stava adagiato sul petto, la mano piegata a formare un angolo improbabile. Indossava pantaloni multitasche blu fumo, di quelli che hanno toppe e cerniere nei posti più impensati, una maglietta bianca con una fila di fiordalisi stilizzati stampati sul davanti e scarpe da ginnastica bianche. Cassie aveva ragione, ci aveva messo impegno: la spessa treccia che le attraversava la guancia era chiusa da un fiordaliso di seta blu. Era piccola e molto magra, ma il polpaccio, che una delle gambe dei pantaloni arrotolata lasciava scoperto, appariva teso e muscoloso. Tra i dieci e i tredici anni sembrava un'ipotesi azzeccata: il seno era appena accennato, sotto la maglietta. C'era sangue rappreso sul naso, sulla bocca e sulle estremità degli incisivi. Il vento le scompigliava i capelli, soffici e ricci, non raccolti nella treccia.

Le mani erano avvolte in sacchetti di plastica trasparenti legati ai polsi. «Sembra che abbia lottato» disse Sophie. «Ha un paio di unghie rotte. Non scommetterei sul fatto di trovare del DNA sotto le altre perché sembrano molto pulite, ma dovremmo scovare fibre e qualche traccia sugli abiti. »

Per un istante fui stordito dall'impulso di lasciarla lì: allontanare le mani dei tecnici, gridare agli addetti dell'obitorio di togliersi dai piedi. Le avevamo già imposto un tributo fin troppo alto. L'unica cosa che le era rimasta era la morte e io avrei voluto lasciarle almeno quella. Avrei voluto avvolgerla in una coperta morbida, pettinarle i capelli sporchi di sangue, crearle un giaciglio di foglie e fruscii di animaletti. Lasciarla dormire, scivolare per sempre lungo il suo segreto fiume sotterraneo, mentre il respiro delle stagioni alternava soffioni e fasi lunari e fiocchi di neve sopra di lei. Ci aveva provato così intensamente a vivere…

«Ce l'ho anch'io quella maglietta» disse Cassie con voce pacata, alle mie spalle. «Penney, reparto bambini. » Gliel'avevo già vista addosso, ma sapevo che non l'avrebbe più messa. Violata, quell'innocenza era troppo grande e definitiva per permettere una qualsiasi, per quanto ironica, affinità.

«Era questo che ti volevo mostrare» disse bruscamente Sophie. Lei non ama il sentimentalismo o lo humour nero sulla scena del crimine, pensa che siano una perdita di tempo, tempo che dovrebbe essere impiegato sul dannato caso, ma il sottinteso è che le strategie per affrontare la situazione sono roba da smidollati. Indicò il bordo della pietra. «Vuoi i guanti? »

«Tanto non tocco nulla» assicurai e mi chinai verso l'erba. Da quell'angolatura riuscii a vedere che uno degli occhi della bambina era semiaperto. Una fessura, come se stesse fingendo di dormire, in attesa del momento di saltare su con le braccia spalancate e gridare: " Bu! Fregati! ". Uno scarafaggio nero lucente si arrampicava con metodo lungo l'avambraccio.

Un solco largo circa un dito era inciso intorno alla base superiore della pietra, a quattro‑ cinque centimetri dal bordo. Il tempo e gli agenti atmosferici l'avevano eroso e levigato, ma in un punto lo scalpello dell'incisore aveva staccato un pezzo di pietra dall'orlo del solco e lasciato una piccola sporgenza frastagliata. Sulla parte inferiore c'era uno sbaffo di una sostanza scura, quasi nera.

«L'ha notato Helen» spiegò Sophie. La ragazza sollevò gli occhi e mi rivolse un timido, orgoglioso sorriso. «Abbiamo passato il tampone e scoperto che si tratta di sangue. Ti farò sapere se è umano. Dubito che abbia a che vedere con il cadavere; il sangue della bambina era già coagulato quando è stata portata qui e comunque ci scommetterei che questo è vecchiotto. Potrebbe appartenere a un animale oppure provenire dal graffio di un qualche ragazzino, o chissà che, ma è comunque interessante. »

Pensai al delicato incavo in corrispondenza dell'osso del polso di Jamie, alla parte posteriore del collo di Peter, così bianca dove gli avevano tagliato i capelli. Sentivo che Cassie esitava a guardarmi. «Non vedo come potrebbe essere collegato» dissi. Mi drizzai perché stava diventando difficile rimanere in equilibrio sui calcagni senza toccare la pietra, e sentii un improvviso afflusso di sangue alla testa.

 

Prima che ce ne andassimo dal sito, salii sul piccolo crinale, più in alto rispetto al corpo della bambina, e lanciai un'occhiata a 360 gradi per imprimermi la scena nella memoria: trincee, case, campi, accessi, angoli e allineamenti. Lungo il muro della zona residenziale era stata lasciata una stretta striscia di alberi, forse per proteggere la sensibilità estetica dei residenti dal rigore del panorama archeologico. Dal ramo di uno degli alberi pendeva uno spezzone di corda di plastica blu. Era sfilacciata e corrosa e poteva lasciar supporre sinistre storie gotiche di folle pronte al linciaggio, di suicidi di mezzanotte, ma io sapevo cos'era: era ciò che restava di un'altalena fatta con un pneumatico.

Benché fossi giunto a pensare a quanto era accaduto a Knocknaree come se fosse successo a un'altra persona, a uno sconosciuto, una parte di me era rimasta lì tutto quel tempo. Mentre oziavo a Templemore o me ne stavo spaparanzato sul futon di Cassie, quel bambino incontenibile non aveva mai smesso di girare in circoli impazziti sull'altalena con il pneumatico, di scavalcare un muro all'inseguimento della lucente testa di Peter, di svanire nel bosco in un lampo di gambe abbronzate e risate.

C'era stato un periodo in cui avevo creduto, insieme alla polizia, ai media e ai miei frastornati genitori, di essere il restituito, il ragazzo riportato a casa sano e salvo dal riflusso dell'assurda marea che si era preso Peter e Jamie. Ora non più. Sotto certi aspetti, troppo oscuri e vitali per essere definiti metaforici, non ho mai lasciato quel bosco.

 

 

Non parlo mai di Knocknaree con la gente. Non vedo perché dovrei, porterebbe solo a una serie infinita di domande sui miei ricordi inesistenti o a ipotesi consolatorie e inaccurate sullo stato della mia psiche, e non ho alcun desiderio di affrontare nessuna delle due cose. I miei genitori sanno, ovviamente, e anche Cassie; poi c'è un amico dei tempi del collegio, Charlie, che fa il merchant banker a Londra e con il quale di tanto in tanto mi sento ancora, e infine c'è Gemma, una ragazza con la quale sono uscito per un periodo quando avevo diciannove anni. Passavamo un sacco di tempo assieme soprattutto a ubriacarci (era il tipo da angoscia profonda sulla quale pensavo che avrei potuto fare colpo con la mia storia). Nessun altro.

Quando andai in collegio abbandonai Adam e cominciai a farmi chiamare con il mio secondo nome. Non so se sia stata un'idea dei miei o mia, ma credo sia stata un'ottima scelta. Ci sono cinque pagine di Ryan solo nell'elenco telefonico di Dublino, ma Adam non è un nome particolarmente comune e lo scalpore fu enorme (anche in Inghilterra: scartabellavo furtivamente tutti i giornali che in teoria dovevano servire per accendere il caminetto dei prefect, gli studenti cosiddetti " anziani" che hanno l'incarico di mantenere la disciplina; strappavo tutto quello che ritenevo anche minimamente rilevante, lo memorizzavo e poi, nascosto in bagno, lo buttavo nel water e tiravo l'acqua); prima o poi qualcuno avrebbe fatto due più due. Oggi è improbabile che possano collegare il detective Rob e il suo accento inglese con il piccolo Adam Ryan di Knocknaree.



  

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