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Tana French 2 страница



Non era vestita come un detective della Omicidi. Impari per osmosi non appena ti dai un'occhiata in giro: ci si attende da te un aspetto professionale, da persona istruita, con abiti costosi ma discreti e appena un tocco di originalità. Restituiamo ai contribuenti quello che hanno pagato sotto forma di cliché consolatori. Di solito facciamo gli acquisti in quel negozio chic e caro che è Brown Thomas, durante le svendite, e a volte accade di arrivare al lavoro con completi identici, il che è piuttosto imbarazzante. Fino ad allora il più eccentrico della squadra era stato quell'idiota di Quigley, che parlava come Daffy Duck con un accento del Donegal e portava sotto l'abito magliette con slogan tipo PAZZO BASTARDO, perché pensava di essere un temerario. Quando alla fine si rese conto che nessuno di noi ne era sconvolto, né tanto meno interessato, fece venire mammina in città perché lo portasse a fare shopping da BT.

Il primo giorno inserii Cassie in quella stessa categoria. Portava pantaloni multitasche, un maglione di lana color vinaccia con le maniche che le scendevano ben oltre i polsi e un paio di scarpe da ginnastica decrepite: decisi che era solo una posa, del tipo: " Senti un po', sono troppo figa per le tue convenzioni". La scintilla di ostilità che mi accese dentro non fece altro che aumentare il suo fascino. Una parte di me è incredibilmente attratta dalle donne che mi innervosiscono.

Nel corso delle due settimane successive non feci molto caso a lei, tranne che nella maniera generica con cui noti qualsiasi donna dall'aspetto decente quando sei circondato da soli uomini. Tom Costello, il nostro brizzolato veterano, le mostrava un po' come funzionavano le cose e io lavoravo al caso di un barbone pestato a morte in un vicolo. Qualcosa del sapore avvilente e inesorabile della sua vita era sopravvissuto al suo decesso; si trattava di uno di quei casi senza speranza fin dall'inizio: nessuna pista, nessuno che avesse visto o sentito nulla. Chiunque l'avesse ucciso era stato probabilmente così ubriaco o strafatto da non ricordarsi nemmeno di averlo accoppato. Così, la scintilla da novellino entusiasta che brillava in me cominciava a offuscarsi un po'. Inoltre, stavo lavorando con Quigley e la cosa non funzionava. La sua idea di humour consisteva nel ripetere lunghe parti di Wallace & Gromit e poi buttarci su una risata alla Woody Woodpecker per dimostrare quanto fossero divertenti. Avevo il sospetto di essere finito con lui non perché fosse carino con il pischello fresco fresco ma perché nessuno ci voleva stare. Non avevo né il tempo né l'energia di conoscere Cassie. A volte mi chiedo per quanto saremmo andati avanti così. Anche in una squadra piccola ci sono sempre persone con le quali non vai mai oltre i sorrisi e qualche cenno d'assenso scambiato lungo i corridoi, semplicemente perché le vostre strade non si incrociano mai con le loro.

Noi diventammo amici grazie al suo scooter, una Vespa color crema del 1981 in condizioni penose che, nonostante il prestigio del marchio, mi ricordava un bastardino con una goccia di border collie nel suo pedigree. Io la chiamo Golf Cart per infastidire Cassie. Lei chiama Veicolo di compensazione la mia vecchia e malandata Land Rover bianca, con tanto di commento compassionevole per le mie ex fidanzate, Ecomobile quando è in preda alla vena bolscevica. Il Golf Cart suddetto scelse una tremenda giornata di pioggia di settembre, sferzata dal vento, per decidere di non volerne più sapere di partire, proprio fuori dall'ufficio. Io stavo uscendo dal parcheggio e vidi questa ragazzetta fradicia, con una giacca impermeabile rossa che sembrava proprio Kenny, quello di South Park. Se ne stava ferma di fianco alla Vespa altrettanto fradicia e sbraitava dietro un autobus che l'aveva lavata da capo a piedi. Accostai e abbassai il finestrino per chiederle: «Bisogno di una mano? ».

Lei mi squadrò e rispose gridando: «Cosa te lo fa pensare? ». Poi, prendendomi totalmente alla sprovvista, scoppiò a ridere.

Per circa cinque minuti, mentre cercavo di far ripartire la Vespa, mi innamorai di lei. La giacca impermeabile, di varie misure troppo grande, la faceva sembrare una bimba di otto anni, con tanto di stivali da pioggia con le coccinelle sopra e due enormi occhi nocciola, ciglia bagnate e il musetto di un gattino che spuntavano dal cappuccio rosso. Avrei voluto asciugarla dolcemente con un bel telo di morbida spugna, davanti a un camino acceso. Ma poi disse: «Senti, lascia stare, bisogna saperselo lavorare, 'sto coso» e io, inarcando un sopracciglio, ripetei: «'Sto coso? Contegno, ragazza! ».

Me ne pentii subito. Non sono mai stato un granché con le battute e, non si sa mai, poteva essere una femminista sfegatata che mi avrebbe tenuto una lezione sotto la pioggia su Amelia Earhart. Invece mi rivolse un'occhiata di traverso, poi batté le mani bagnate e disse con voce bassa e suadente, alla Marilyn: «Ohhh, ho sempre sognato un cavaliere con l'armatura scintillante che venisse a salvarmi, povera piccola! Solo che nei miei sogni era anche bello».

Quello che stavo vedendo si trasformò in un istante, come attraverso un caleidoscopio sbattuto di qua e di là. Smisi di innamorarmi di lei e da quel momento cominciò a piacermi immensamente. Guardai la sua giacca impermeabile e dissi: «Oh, mio Dio, stanno per ammazzare Kenny». Poi caricai il Golf Cart sul retro della Land Rover e la portai a casa.

 

Aveva un " mini", l'espressione che i padroni di casa usano per indicare un monolocale con posto per ospitare un amico per la notte, all'ultimo piano di una casa georgiana semidiroccata a Sandymount. La strada era tranquilla, l'ampia finestra a ghigliottina dava sui tetti e verso la spiaggia. C'erano una libreria di legno carica di vecchi tascabili, un malconcio divano vittoriano rivestito con una stoffa di una tonalità turchese acceso, un grande futon con un piumino patchwork. Nessun ornamento o poster, una manciata di conchiglie, sassi e castagne sul davanzale della finestra.

Non ricordo nulla di specifico di quella serata e neppure lei, a quanto dice, ricorda qualcosa di speciale. Non ho dimenticato alcune delle cose di cui parlammo, ho qualche immagine chiarissima in mente, ma di quanto effettivamente ci dicemmo niente di niente. La cosa mi colpisce ed è strana, e a seconda dell'umore le attribuisco un che di magico. Collego la serata a quegli stati di alienazione di cui nei secoli sono stati accusati fate, streghe ed extraterrestri, e dai quali nessuno ritorna immutato. Ma quelle sacche perdute e liminali di tempo sono generalmente solitarie, e l'idea di condividerne una mi fa pensare a gemelli, a mani che brancolano in uno spazio dove c'è assenza di gravità e di parole.

So di essere rimasto per cena, una cena quasi da studenti, pasta e salsa direttamente dal barattolo, whisky caldo in tazze di porcellana. Mi ricordo che Cassie aprì un enorme armadio che occupava gran parte di una parete per tirarne fuori una salvietta così che potessi asciugarmi i capelli. Qualcuno, forse lei, aveva inserito dei ripiani nell'armadio. Erano posizionati ad altezze inarrivabili, stipati degli oggetti più disparati: non riuscii a vedere bene, ma c'erano casseruole dallo smalto sbreccato, blocchi per appunti dalla copertina marmorizzata, morbidi maglioni dai colori sgargianti, mucchi scomposti di carta scribacchiata. Era qualcosa di simile allo sfondo di quelle illustrazioni con dettagli impossibili e infinitesimali delle casette delle fiabe.

Mi ricordo di aver chiesto alla fine: «Allora, come ci sei finita nella squadra? ». Avevamo parlato di come si stesse ambientando e pensai di averla buttata lì con sufficiente noncuranza, ma lei mi rivolse un sorrisetto birichino, come se stessimo giocando a dama e mi avesse beccato mentre cercavo di distrarla da una mossa maldestra.

«Per essere una ragazza, intendi? »

«A dire il vero, intendevo per essere così giovane» aggiustai il tiro, anche se naturalmente stavo pensando a entrambi gli aspetti.

«Ieri Costello mi ha chiamata " figliolo" » aggiunse Cassie. «" Buon lavoro, figliolo. " Poi si è agitato e ha cominciato a balbettare. Penso avesse paura che lo denunciassi. »

«Forse era un complimento, a modo suo» dissi.

«E io l'ho presa così, infatti. In realtà è proprio tenero. » Si infilò una sigaretta in bocca e protese una mano. Le lanciai il mio accendino.

«Qualcuno mi ha detto che lavoravi sotto copertura come prostituta e ti sei imbattuta in uno dei capoccia» buttai lì, ma Cassie si limitò a rilanciarmi l'accendino e a rivolgermi un ampio sorriso.

«Quigley, giusto? Mi ha detto che tu invece eri una talpa dei servizi segreti di Sua Maestà. »

«Cosa? » Mi sentivo offeso e caddi dritto dritto nella mia stessa trappola. «Quigley è un idiota. »

«Ma dai! » fece lei e cominciò a ridere. Un istante dopo, ridevo anch'io. La faccenda della talpa mi infastidiva. Se mai qualcuno ci avesse creduto, non mi avrebbero più rivolto la parola. Essere preso per un inglese è una cosa che mi fa imbestialire all'ennesima potenza, ma in un certo qual senso mi piaceva l'idea di immaginarmi come un James Bond.

«Sono di Dublino» specificai. «L'accento l'ho preso in collegio, in Inghilterra. E quel bovaro lobotomizzato lo sa benissimo. » Era vero: nel corso delle prime settimane nella squadra mi aveva letteralmente tormentato su cosa ci facesse uno sbarbato inglese nella polizia irlandese, come un bambino che riesce a passare ore e ore a punzecchiarti un braccio e a ripetere ciclicamente " Perché? Perché? Perché? ", tant'è che alla fine avevo infranto la mia regola sulla privacy e gli avevo spiegato il motivo dell'accento. Forse avrei dovuto essere più discreto.

«Com'è lavorare con lui? » chiese Cassie.

«Diciamo che piano piano mi farà diventare matto» risposi.

Qualcosa, e non so cosa, si fece strada nella mente di Cassie. Lei stragiura che a quel punto stavamo bevendo caffè e sostiene che sono solo io a credere che fosse whisky caldo perché quell'inverno ne bevemmo spessissimo, ma io lo so per certo, ricordo le punte dei chiodi di garofano sulla lingua, il vapore inebriante. Comunque, qualcosa la spinse ad appoggiarsi di fianco, passarsi la tazza da una mano all'altra, e a tirarsi su la maglia fino ad appena sotto il seno. Ne rimasi così sconcertato che ci misi un po' a capire cosa mi stava mostrando: una lunga cicatrice, ancora rossa, spessa e con i segni dei punti di sutura che sembravano zampette di ragno. Formava una curva attorno a una costola. «Mi hanno accoltellata» spiegò.

Era così ovvio che mi imbarazzava il fatto che nessuno ci avesse pensato. Un detective ferito in servizio ha la possibilità di scegliere a quale sezione essere assegnato. Immagino avessimo ignorato quell'eventualità perché di solito un accoltellamento avrebbe mandato in tilt il tam‑ tam della polizia. E invece non ne avevamo sentito parlare.

«Cristo» commentai. «Ma com'è successo? »

«Ero infiltrata all'università di Dublino» iniziò Cassie. Questo spiegava sia i vestiti sia che non fossimo a conoscenza di quell'informazione; sui poliziotti che lavorano sotto copertura c'è la massima segretezza. «È così che sono diventata detective tanto in fretta. Al campus c'era un giro di droga e alla Narcotici volevano scoprire chi c'era dietro, avevano bisogno di una persona che potesse passare per una studentessa. Ufficialmente, ero iscritta a un corso postlaurea in psicologia; prima dell'Accademia di polizia mi sono fatta qualche anno di psicologia al Trinity, quindi la materia la conoscevo… e l'aspetto della studentessa ce l'ho. »

Era vero. Il suo volto aveva una purezza che non ho mai visto in nessun altro. La pelle era senza pori come quella di un bambino e i tratti, la bocca grande, gli zigomi alti e arrotondati, il naso regolare, le sopracciglia dall'ampia curvatura facevano sembrare le altre persone confuse e indistinte. Da quello che potevo giudicare, non si truccava mai, tranne che per un po' di burrocacao leggermente rosso che profumava di cannella e che la faceva sembrare ancora più giovane. Pochi l'avrebbero considerata bella, ma i miei gusti sono sempre stati orientati verso i prototipi e non i prodotti in serie. Mi piaceva molto di più guardare lei che una qualsiasi delle bionde prosperose e clonate che le riviste costantemente mi inducono a desiderare, insultando così la mia intelligenza.

«E la copertura ti è saltata? »

«No» rispose, indignata. «Ho scoperto chi era lo spacciatore principale, un ragazzo ricco ma decerebrato di Blackrock, che naturalmente studiava economia e business. Per mesi mi sono impegnata per diventargli amica, ridevo alle sue battute di merda, gli rileggevo le tesine. Poi gli proposi di occuparmi io dello smercio con le ragazze, sarebbero state meno nervose a comprare droga da un'altra donna, no? L'idea gli piacque, tutto filava a meraviglia e ogni tanto buttavo lì che forse sarebbe stato più facile se avessi incontrato direttamente il suo fornitore invece di ricevere la roba tramite lui. Solo che proprio in quel periodo l'amico cominciò a farsi un po' troppo del suo stesso speed; era maggio e aveva gli esami. Divenne paranoico, decise che stavo cercando di fregargli il giro, così mi rifilò una coltellata. » Bevve un sorso dalla tazza. «Non dirlo a Quigley però. L'operazione è ancora in corso, quindi non dovrei nemmeno parlarne. Lascia che il povero stronzo si goda le sue illusioni. »

Rimasi molto colpito dalla faccenda, e non solo per la coltellata. Dopotutto, mi dissi, non aveva fatto qualcosa di particolarmente coraggioso o intelligente, semplicemente non era riuscita a scansarsi in tempo. Ero colpito anche dal pensiero di un lavoro oscuro, adrenalinico come quello sotto copertura, e dalla totale noncuranza con la quale lei aveva raccontato la storia. Poiché avevo lavorato sodo a perfezionare un atteggiamento di disinvolta indifferenza, so riconoscere l'indifferenza vera quando la vedo.

«Cristo» commentai di nuovo. «Immagino che si sia beccato un trattamento di prima classe quando l'hanno portato dentro. » Non ho mai picchiato un sospettato, non credo ce ne sia bisogno, basta che creda che potresti farlo, ma ci sono colleghi che lo fanno e a chi accoltella un poliziotto è probabile che spuntino dei lividi durante il tragitto verso la stazione di polizia.

Sollevò un sopracciglio e mi guardò divertita. «Certo che no. Avrebbe mandato in fumo tutta l'operazione. Hanno bisogno di lui per arrivare al suo fornitore e hanno ricominciato con un altro agente infiltrato. »

«Ma tu non vuoi che lo arrestino? » ribattei, frustrato dalla sua calma e dalla mia strisciante ingenuità. «Ti ha accoltellato! »

Cassie scrollò le spalle. «Dopotutto, se ci pensi bene, da un certo punto di vista ha ragione lui: stavo facendo finta di essere sua amica per fotterlo. E lui era uno spacciatore drogato. Si è comportato di conseguenza. »

Dopo di che la mia memoria torna a farsi nebulosa. So che, deciso a mia volta a fare colpo su di lei, e non essendo mai stato accoltellato o coinvolto in una sparatoria o roba del genere, le raccontai la storia lunga, sconnessa e quasi tutta vera di un tipo che aveva minacciato di buttarsi dal tetto di un condominio con il figlio piccolo quando ancora stavo alla Violenza domestica. Credo sinceramente di essere stato un po' alticcio: altro motivo per cui sono così certo che stessimo bevendo whisky caldo. Ricordo una infiammata conversazione su Wilfred Owen, credo, Cassie in ginocchio sul divano che gesticola, la sua sigaretta che si consuma, non fumata e dimenticata nel posacenere. Ci prendevamo in giro, in maniera brillante ma guardinghi come bambini timidi che si incontrano la prima volta, l'uno a controllare segretamente la reazione dell'altro per essere certi entrambi di non aver superato qualche confine o aver ferito dei sentimenti. Davanti al caminetto e con i Cowboy Junkies in sottofondo, Cassie che canticchiava piano, con un tono dolce e rauco.

«La droga che ti passava il tuo amico spacciatore» chiesi, più tardi, «la vendevi davvero agli studenti? »

Cassie si alzò per mettere il bollitore sul fuoco. «Qualche volta» rispose.

«E la cosa non ti faceva star male? »

«Tutto del fatto di essere sotto copertura mi faceva star male» rispose. «Tutto. »

 

Quando la mattina dopo arrivammo al lavoro eravamo amici. Fu proprio così semplice: piantammo i semi senza pensarci e ci risvegliammo con la nostra pianta di fagiolo che era spuntata. Durante la pausa incrociai lo sguardo di Cassie e mimai una sigaretta, così uscimmo e ci sedemmo a gambe incrociate alle estremità opposte di una panchina, come due reggilibro. Alla fine del turno mi aspettò, inveendo al cielo per la mia lungaggine: «È come uscire con Paris Hilton. Non dimenticarti la matita per le labbra, tesoro, mica vogliamo che l'autista debba tornare indietro apposta. » Propose " una pinta" mentre scendevamo le scale. Non riesco a spiegare l'alchimia che aveva tramutato una serata nell'equivalente di anni trascorsi insieme serenamente; l'unico motivo che riesco a trovare è che forse avevamo riconosciuto, in modo così certo da non lasciar spazio nemmeno alla sorpresa, di condividere la stessa moneta.

Non appena ebbe finito il training con Costello, facemmo squadra io e lei. O'Kelly cercò di metterci i bastoni tra le ruote, non gli piaceva l'idea di due pivelli che lavoravano insieme e, inoltre, doveva anche trovare qualcuno per Quigley. Ma per una fortuna sfacciata più che per affinate capacità investigative, avevo trovato un tipo che si vantava di aver ucciso il barbone, quindi ero entrato nella manica di O'Kelly e ne approfittai. Ci avvisò che ci avrebbe affidato solo i casi più semplici e le situazioni disperate, «niente che necessiti di vero lavoro da detective». Annuimmo docilmente e lo ringraziammo di nuovo, ben consapevoli che gli assassini non sono così attenti da far sì che i casi complessi si presentino secondo una precisa rotazione. Cassie spostò la sua roba sulla scrivania di fianco alla mia, Costello finì con Quigley e come un labrador martirizzato ci rivolse sguardi di rimprovero per settimane intere.

 

Nei due anni successivi ci guadagnammo, credo, una buona reputazione nell'ambito della squadra. Portammo in ufficio il sospettato per l'aggressione nel vicolo, un drogato di nome Wayne, e lo interrogammo per sei ore finché non confessò, anche se, cancellando dal nastro tutte le ripetizioni di " Ma vaffanculo", dubito che resterebbero più di quaranta minuti. «Wayne…» dissi a Cassie, mentre gli prendevamo una Sprite e dallo specchio unidirezionale lo osservavamo schiacciarsi i brufoli. «Perché i suoi genitori non gli hanno tatuato in fronte alla nascita " Nessuno nella mia famiglia ha mai finito la scuola superiore"? » Wayne aveva picchiato a morte il barbone, conosciuto col nome di Eddie Barba, perché quel poveretto gli aveva rubato una coperta. Dopo aver firmato la confessione, volle sapere se poteva riavere la sua coperta; lo consegnammo agli agenti in divisa e gli dicemmo che ci avrebbero pensato loro, quindi andammo a casa di Cassie con una bottiglia di champagne e restammo alzati a parlare fino alle sei del mattino per poi arrivare tardi al lavoro, imbarazzati e ancora con la ridarella.

Attraversammo la prevedibile fase in cui Quigley e altri continuavano a chiedermi se me la scopavo e, in caso affermativo, se era una aperta a nuove esperienze, e quando finalmente riuscirono a capire che non era così, passarono un altro po' di tempo a insinuare che forse era lesbica: ho sempre considerato Cassie una donna molto femminile, ma capivo come, per un certo tipo di mentalità, il suo taglio di capelli, l'assenza di trucco e i pantaloni di velluto da ragazzo potessero far supporre tendenze saffiche. Cassie alla fine si scocciò e sistemò la faccenda presentandosi alla festa di Natale con un abito da sera nero senza spalline e un giocatore di rugby di una bellezza un po' rude di nome Gerry. In realtà si trattava di un suo secondo cugino felicemente sposato, ma era molto protettivo nei suoi confronti e non fece obiezioni all'idea di trascorrere una serata a fingere di guardarla con adorazione, se questo fosse servito ad agevolarle la carriera.

Dopo, le chiacchiere finirono e tutti ci lasciarono più o meno in pace, il che ci andava benissimo. Contrariamente alle apparenze, Cassie non è una persona particolarmente socievole, non più di quanto lo sia io; è vivace e rapida nelle battute e chiacchiera con chiunque, ma quando poteva scegliere preferiva la mia compagnia a quella di un folto gruppo. Dormii un sacco di volte sul suo divano. La nostra percentuale di soluzione di casi era buona e stava aumentando; O'Kelly smise di minacciare di dividerci tutte le volte che compilavamo le scartoffie in ritardo. Andammo in tribunale a vedere Wayne – c'eravamo ormai affezionati a lui, il nostro primo caso risolto – che veniva condannato a dieci anni per omicidio colposo («Ma vaffanculo»). Sam O'Neill disegnò con perizia una caricatura di noi due come fossimo Mulder e Scully (ce l'ho ancora da qualche parte) e Cassie l'appiccicò di fianco al computer, vicino a un adesivo di quelli da attaccare alle auto che diceva " Piedipiatti cattivo! Niente ciambellina! ".

A posteriori, credo che Cassie sia arrivata sulla scena proprio al momento giusto per me. La mia visione di outsider della Omicidi, una visione abbagliante e irresistibile, non aveva incluso elementi come Quigley, o i pettegolezzi, o gli interminabili ripetitivi interrogatori di drogati con un vocabolario di sei parole e accenti da trapano del dentista in bocca. Mi ero immaginato un'esistenza tirata all'estremo, tutte le cose piccole e insignificanti disintegrate in un ritmo così veloce da fare scintille, mentre la realtà mi aveva lasciato disorientato e deluso, come un bambino che, dopo aver aperto il suo luccicante regalo di Natale, ci trova un paio di calzettoni di lana. Se non fosse stato per Cassie, credo che sarei potuto finire come quel detective della serie Law & Order, quello che ha l'ulcera e che pensa che tutto sia una cospirazione governativa.

 

Il caso Devlin ci venne affidato un mercoledì mattina d'agosto. Secondo i miei appunti erano le 11. 48, quindi tutti gli altri si stavano prendendo un caffè e Cassie e io stavamo giocando a Worms sul mio computer.

«Ahh» esplose Cassie, mentre spediva uno dei suoi vermi a dare una bella botta al mio con una mazza da baseball per poi sbatterlo giù da una roccia. Il mio verme, Groundsweeper Willy, mi gridò: " Aaahhh, razza di imbranato! " mentre scivolava nell'oceano.

«Te l'ho lasciato fare» le dissi.

«Come no, tesoro» convenne con ironia Cassie. «Nessun vero uomo potrebbe essere battuto da una ragazzina. Lo sa anche il verme: solo una checca, senza testosterone, con le palle grandi come uva passa può …»

«Per fortuna sono abbastanza sereno sulla mia mascolinità e non mi sento neppure lontanamente intimorito da…»

«Sst» fece Cassie, girandomi la faccia verso il monitor. «Fa' il bravo bambino. Zitto, fai il bravo e gioca col tuo vermicello. Lo sa il cielo che non ci giocherà più nessuno. »

«Credo che mi farò trasferire in un posto tranquillo e sano come il reparto d'assalto delle teste di cuoio» commentai.

«Loro hanno bisogno di tempi di reazione rapidi, tesoro» fece lei. «Se ti ci vuole mezz'ora per decidere cosa fare con un verme immaginario, di certo non vorranno che ti occupi di ostaggi. »

A quel punto O'Kelly irruppe nella stanza e chiese: «Dove sono finiti gli altri? ». Cassie pigiò in tutta fretta Alt+Tab. Uno dei suoi vermi si chiamava O'Puzzelly, e lo mandava regolarmente a finire in situazioni disperate, per vederlo saltare in aria per colpa di una pecora esplosiva.

«Pausa» dissi.

«Un gruppetto di archeologi ha trovato dei resti umani. Chi va? »

«Lo prendiamo noi» si offrì Cassie, togliendo il piede dalla mia sedia così da poterlo reinfilare sotto la sua scrivania.

«Perché noi? » chiesi. «Non può occuparsene il medico legale? »

Per legge, gli archeologi sono obbligati a chiamare la polizia se trovano resti umani a profondità inferiori ai due metri e settanta. Questo nel caso in cui a qualche genio venga l'idea di tenere nascosto un omicidio seppellendo il cadavere in un cimitero del XVI secolo con la speranza che venga datato all'epoca medievale. Devono aver pensato che chiunque riesca a scavare oltre i tre metri di profondità senza essere scoperto meriti un po' di margine per l'impegno profuso. Agenti in divisa e medici legali vengono chiamati con una certa regolarità, quando subsidenza ed erosione portano in superficie uno scheletro, ma di solito si tratta di una formalità perché è relativamente semplice distinguere resti antichi da resti moderni. I detective entrano in scena solo in circostanze eccezionali, in genere quando una torbiera ha preservato carne e ossa così bene che il corpo ha ancora l'assordante immediatezza del cadavere fresco.

«Non questa volta» si affrettò a dire O'Kelly. «Sono recenti. Una donna giovane, sembra un omicidio. Sono stati gli agenti in divisa a chiedere il nostro intervento. Sono a Knocknaree, non lontano, quindi non c'è bisogno che restiate fuori città. »

Qualcosa di strano accadde al mio respiro. Cassie smise di buttare oggetti nella sua cartella e sentii il suo sguardo saettare su di me per una frazione di secondo. «Signore, mi dispiace, non ce la facciamo a prendere un altro omicidio proprio ora. Siamo nel bel mezzo del caso McLoughlin e…»

«La cosa non ti ha preoccupato, Maddox, quando pensavi si trattasse solo di un pomeriggio in giro» la interruppe O'Kelly. A lui Cassie non piace per tutta una serie di prevedibilissime ragioni: perché è una donna, per come si veste, per la sua età e per la sua storia quasi eroica. E la prevedibilità infastidisce Cassie molto di più del fatto di non essere apprezzata. «Se avevate tempo per una scampagnata, avete tempo anche per un'indagine seria. Quelli della Scientifica sono già quasi sul posto» concluse O'Kelly, e uscì.

«Oh, merda» commentò Cassie. «Oh, merda, quel segaiolo. Ryan, mi dispiace. Proprio non pensavo…»

«È tutto a posto, Cass» tagliai corto. Uno degli aspetti che preferisco in Cassie è che sa quando starsene zitta e lasciarti in pace. Toccava a lei guidare, ma fece il giro, prese posto sul sedile del passeggero e, una volta seduta, estrasse dalla sua cartella il porta‑ CD e me lo passò. Chi guida ha diritto di scegliere la colonna sonora, solo che io tendo a dimenticare di portare i CD. Presi la prima cosa che mi sembrava avere un bel basso potente e alzai il volume al massimo.

Non ero più stato a Knocknaree da quell'estate. Ero andato anch'io in collegio alcune settimane dopo la data prevista per la partenza di Jamie. Il mio però era nel Wiltshire, in Inghilterra, quanto di più lontano i miei genitori potessero permettersi, e quando tornai a casa per Natale stavamo a Leixlip, dall'altra parte di Dublino. Arrivati alla superstrada, Cassie dovette tirare fuori la cartina per trovare l'uscita giusta e per seguire le indicazioni lungo stradine secondarie piene di buche e con erba e cespugli ai lati che graffiavano i finestrini.

Ovviamente, ho sempre sperato di poter ricordare cosa era successo in quel bosco. I pochi che sanno della faccenda di Knocknaree suggeriscono immancabilmente, prima o poi, di provare con la regressione ipnotica, ma per qualche motivo trovo l'idea di cattivo gusto. Sono profondamente sospettoso nei confronti della regressione ipnotica, del reiki, dell'aromaterapia e di qualsiasi cosa abbia anche un minimo aggancio con la New Age, e non per le pratiche in sé, che per quanto posso vedere da una distanza di sicurezza potrebbero anche essere utili, ma per le persone che girano in quegli ambienti, che sembrano sempre quelle del tipo che ti inchiodano in un angolo alle feste e ti spiegano come hanno scoperto di essere dei sopravvissuti e che per questo meritano di essere felici. Temo che potrei uscire dall'ipnosi con quella patina zuccherosa di illuminazione compiaciuta di un diciassettenne che ha appena scoperto Kerouac e comincia a fare proseliti nei pub.

 

Il sito di Knocknaree era un vasto campo sul leggero pendio di una collina. Era stato spogliato completamente fino alla nuda terra, messo sottosopra e picchettato da indecifrabili quanto intenzionali scarabocchi archeologici (trincee, formicai giganti, baracche in lamiera, frammenti sparsi di mura grezze, labirinti) che lo rendevano surreale come un paesaggio postnucleare. Da un lato era delimitato da una folta schiera di alberi, lungo l'altro correva un muro, sovrastato da ordinati timpani, che si estendeva dagli alberi alla strada. Verso la cima del pendio, nei pressi del muro, alcuni tecnici erano ammassati intorno a qualcosa che era delimitato dal nastro delle scene del crimine, azzurro e bianco. Probabilmente li conoscevo tutti, ma il contesto li trasformava, con le loro tute bianche, le mani inguantate e i loro sofisticati strumenti senza nome, in qualcosa di sinistro e magari collegato alla CIA. I pochi elementi identificabili avevano un aspetto solido e rassicurante da libro illustrato: un basso cottage dipinto di bianco proprio in fondo alla strada, un cane da pastore bianco e nero disteso davanti, con le zampe che gli si contraevano di tanto in tanto; una torre di pietra coperta di edera che s'increspava come acqua nella brezza. Un tremolio di luce sovrastava la fetta scura di fiume che attraversava un angolo del campo.



  

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