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Capitolo 3

Vocabolario

scartare - забраковать

estorcere informazioni – выпытывать информацию

fiutare - чуять

innocuo - безвредный

volumi d’arte – тома книг по искусству

in effetti - действительно

opulenza – роскошь, огромное богатство

frugare – шарить, рыться

inginocchiarsi – становиться на колени

calzascarpe – рожок для обуви

un mazzo di carte – колода карт

astuccio – футляр, ящичек

stemma - герб

unicorno rampante – единорог, вставший на дыбы

scherma (фехтование)

sciabola – сабля

armi taglienti – холодное оружие

en garde (fr) – к бою!! (в фехтовании)

parata – парирование, отражение удара

fendente – рубящий удар

oggetti di cancelleria (канцелярские принадлежности)

carta – бумага

busta – конверт

francobollo – марка

fermaglietto – канцелярская скрепка

mozziconi di matita – огрызки карандашей

elastico – ластик

apparenza e abbigliamento dei principi

astuto – хитрый, коварный

aguzzo - острый

color paglia – цвета соломы

giustacuore - камзол

armatura a scaglie – чешуйчатые доспехи

smaltato - эмалированные

in modo spavaldo - залихвацки

piuma - перья

pugnale - кинжал

bluastro - синеватый

giubba - куртка

gambale – ножные латы

fermaglio - пряжка

colletto del mantello – воротник плаща

foderato – на подкладке

incutere - внушать

cupo - мрачный

una mente sconfinata – ум без границ

fienile - сеновал

spaventapasseri - пугало

sauro – гнедой (конь)

poderoso - могучий

mascella - челюсть

massiccia - массивная

minuto – тонкий, мелкий

in sella – в седле

irradiare - излучать

ridacchiare - усмехнуться

fanciulla - девочка

carnagione di madreperla – кожа цвета жемчуга

giada - нефрит

color lavanda - лавандовый

aria triste – грустный вид

rubino - рубин

zaffiro - сапфир

smeraldo - изумруд

La mattina dopo lei non c'era, e non mi aveva lasciato detto nulla. La cameriera mi servì la colazione in cucina e se ne andò a sbrigare le sue faccende. Avevo scartato l'idea di estorcere informazioni alla donna, perché non sapeva nulla o comunque non avrebbe voluto dirmi le cose che m'interessavano, e senza dubbio avrebbe riferito a Flora il mio tentativo. Quindi, poiché sembrava che avessi la casa tutta per me, decisi di tornare in biblioteca, per vedere cosa avrei potuto scoprire. E poi, le bibliote­che mi piacciono. Mi dà un senso di comodità e di sicu­rezza avere intorno pareti di parole belle e sagge. Mi sento sempre meglio, quando vedo che c'è qualcosa che può servire a tener lontane le ombre.

Donner, o Blitzen, o uno dei loro fratelli, arrivò da qualche parte e mi seguì per il corridoio, camminando a zampe rigide e fiutando i miei passi. Cercai di fare amici­zia con lui, ma era come cercare di scambiare convenevoli con l'agente della stradale che ti ha fatto segno di fer­marti. Guardai in alcune delle altre stanze, mentre pas­savo: ed erano semplicemente stanze dall'aria innocua.

Entrai nella biblioteca, e l'Africa era ancora rivolta verso di me. Mi chiusi la porta alle spalle per tener fuori i cani, e feci il giro della stanza, leggendo i titoli dei volumi sugli scaffali.

C'era una quantità di libri di storia. Anzi, sembravano dominare la raccolta. C'erano anche molti volumi d'arte, grandi e costosi, e ne sfogliai alcuni. In effetti, penso molto meglio quando sto pensando a qualcosa d'altro.

Mi chiesi quale poteva essere la fonte dell'evidente ricchezza di Flora. Se eravamo fratello e sorella, questo significava che forse anch'io godevo di una certa opulen­za? Pensai alla mia posizione economica e sociale, alla mia professione, alle mie origini. Avevo l'impressione di non essermi mai troppo preoccupato del danaro, e di averne sempre avuto abbastanza per sentirmi soddisfatto. Avevo anch'io una casa grande come quella? Non riuscivo a ricordarlo.

Che cosa facevo?

Sedetti alla scrivania di Flora e frugai nella mia men­te, alla ricerca di qualche conoscenza nascosta. È molto difficile esaminare se stesso in quel modo, come un estra­neo. Forse era per questo che non riuscivo a scoprire proprio nulla. Quel che è tuo è tuo, e fa parte di te, e sembra essere lì dentro. Ecco tutto.

Un dottore? Mi venne in mente mentre stavo guardan­do alcuni disegni anatomici di Leonardo da Vinci. Quasi per un riflesso istintivo, nella mia mente, avevo incomin­ciato a seguire le fasi di varie operazioni chirurgiche. E allora mi resi conto che avevo operato esseri umani, in passato.

Ma non si trattava di questo. Sebbene sapessi di pos­sedere una conoscenza medica, capivo che faceva parte di qualcosa di diverso. Sapevo, chissà come, di non essere un chirurgo praticante. E che cosa, allora? Che altro c'era?

Qualcosa attirò il mio sguardo.

Lì, seduto alla scrivania, potevo vedere bene la parete di fronte, alla quale, tra varie altre cose, era appesa un'antica sciabola da cavalleggero: non vi avevo fatto caso, la prima volta che ero entrato nella stanza. Mi alzai e andai a staccarla dal sostegno.

Mentalmente, disapprovai le condizioni in cui era ri­dotta. Avrei avuto bisogno di uno straccio oliato e di una mola, per farla ritornare come avrebbe dovuto essere. Me ne intendevo di armi antiche, soprattutto di armi taglien­ti.

Sentivo la sciabola leggera e utile nella mia mano: sapevo maneggiarla. Provai un en garde. Provai qualche parata e qualche fendente. Sì, sapevo usarla.

Ma che cosa significava? Mi guardai intorno, alla ri­cerca di altre cose che stimolassero la mia memoria.

Non mi venne in mente null'altro, perciò rimisi l'arma al suo posto e ritornai a sedermi alla scrivania. E decisi di ispezionarla.

Cominciai dal cassetto centrale e poi proseguii a sini­stra e a destra, un cassetto dopo l'altro.

Oggetti di cancelleria, carta, buste, francobolli, fermaglietti, mozziconi di matita, elastici... tutta la solita roba.

Avevo estratto comunque ogni cassetto, e me lo mette­vo sulle ginocchia, mentre ne esaminavo il contenuto. Non era soltanto un'idea. Faceva parte della preparazione che avevo ricevuto un tempo, e che mi diceva di ispezio­nare scrupolosamente anche i lati e le parti inferiori.

Ci fu qualcosa che per poco non mi sfuggì, ma attirò la mia attenzione all'ultimo momento: il fondo del cassetto inferiore destro non era alto come quello degli altri cas­setti.

Indicava senza dubbio qualcosa; e quando mi inginoc­chiai e guardai nello spazio vuoto, vidi una specie di scatoletta fissata alla parte superiore.

Era un cassettino, nascosto sul fondo: ed era chiuso a chiave.

Impiegai circa un minuto, tentando e ritentando con fermaglietti, spille di sicurezza, e infine con un calzascar­pe metallico che avevo visto in un altro cassetto. Il cal­zascarpe diede il risultato voluto.

Il cassetto conteneva un mazzo di carte da gioco.

E sull'astuccio c'era uno stemma che mi fece irrigidire di colpo, mentre il sudore mi imperlava all'improvviso la fronte e il mio respiro si faceva convulso.

Era un unicorno rampante in campo verde, rivolto verso destra.

E io conoscevo quella cosa e mi faceva male pensare che non potevo darle un nome.

Aprii l'astuccio ed estrassi le carte. Erano tarocchi, con i bastoni, i denari, le coppe e le spade. Ma i Trionfi erano molto diversi.

Rimisi a posto tutti i cassetti, avendo cura di non richiudere il più piccolo, prima di proseguire la mia ispezione.

Sembravano quasi al naturale, quei Trionfi: pronti a uscire da quelle superfici lucide. Le carte mi sembrarono molto fredde, sotto le dita; e mi faceva piacere maneg­giarle. All'improvviso, seppi che una volta anch'io avevo posseduto un mazzo come quello.

Cominciai a disporle sulla cartelletta di carta assor­bente, davanti a me.

L'uno mostrava un ometto dall'aria astuta, con il naso aguzzo e la bocca ridente, e un ciuffo di capelli color paglia. Indossava una sorta di costume rinascimentale, arancione, rosso e marrone. Portava lunghe calze aderenti e un giustacuore ricamato. E io lo conoscevo. Il suo nome era Random.

Poi c'era il volto passivo di Julian, con i lunghi capelli scuri e lisci, gli occhi azzurri senza passione e senza compassione. Era coperto da un'armatura bianca a sca­glie: non era argentea o metallica. Sembrava smaltata. Tuttavia sapevo che era tremendamente solida e resisten­te, nonostante il suo aspetto decorativo e festivo. Quello era l'uomo che io avevo battuto al suo gioco preferito, e lui mi aveva gettato addosso un bicchiere di vino. Lo conoscevo e l'odiavo.

Poi c'era il volto olivastro di Caine, con gli occhi scuri; era vestito di raso nero e verde e portava un cappello scuro, a tre punte, piazzato in modo spavaldo, con una lunga piuma verde che scendeva sul dorso. Stava di profi­lo, con un braccio piegato, e le punte delle scarpe erano rialzate; alla cintura aveva un pugnale costellato di sme­raldi. C'era ambivalenza nel mio cuore.

Poi c'era Eric. Bellissimo secondo ogni criterio, aveva i capelli così scuri che sembravano quasi bluastri. La barba si arricciava intorno alla bocca che sorrideva sempre: era vestito semplicemente, con una giubba e gambali di pelle, un mantello senza ornamenti, alti stivali neri, e portava una cintura rossa, con una lunga sciabola argentea e con un fermaglio di rubini. L'alto colletto del mantello, che gli incorniciava la testa, era foderato di rosso, come i bordi delle maniche. Le mani, con i pollici agganciati nella cintura, erano terribilmente forti. Sul fianco destro portava infilato un paio di guanti neri. Era lui, ne ero certo, che aveva cercato di uccidermi il giorno in cui per poco non ero morto davvero. Lo studiai: mi incuteva un certo timore.

Poi c'era Benedict, alto e cupo, magro: magro di corpo e di viso, ma con una mente sconfinata. Era vestito d'arancione e di giallo e di marrone e mi ricordava fienili e zucche e spaventapasseri e la Leggenda della Grotta del Sonno. Aveva un mento lungo e forte, occhi castani e capelli bruni che non si arricciavano mai. Stava accanto a un cavallo sauro, e si appoggiava a una lancia cui era attorta una ghirlanda di fiori. Rideva di rado. Mi piaceva.

Mi soffermai quando scoprii la carta successiva: il cuore mi diede un balzo, urtò contro lo sterno, come se cercasse di uscirmi dal petto.

Ero io.

Conoscevo il me stesso cui facevo la barba, e quello era l'individuo dietro lo specchio. Occhi verdi, capelli neri, vestito di nero e d'argento, sì. Avevo indosso un mantello, che sembrava leggermente agitato dal vento. Portavo stivali neri, come Eric, e anch'io avevo un'arma, ma più pesante e meno lunga della sua. Calzavo i guanti, che erano d'argento, a scaglie. Il fermaglio sul collo aveva la forma di una rosa d'argento.

Io, Corwin.

E dalla carta successiva mi guardò un uomo grande e grosso, poderoso. Mi somigliava parecchio, ma aveva la mascella più massiccia, e sapevo che era più alto e forte di me, sebbene fosse anche più lento. La sua forza era leggendaria. Indossava una veste azzurra e grigia tratte­nuta in vita da un'alta cintura nera, e rideva. Al collo, appeso ad una corda, c'era un argenteo corno da caccia. Aveva una barbetta corta e i baffi sottili. Nella destra reggeva una coppa di vino. Provai un repentino senso d'affetto per lui. Poi ricordai il suo nome. Era Gé rard.

Poi veniva un uomo dalla barba color fuoco e corona­to di fiamma, tutto abbigliato di rosso e d'arancio, e teneva una spada nella destra e un bicchiere di vino nella sinistra, e il diavolo danzava nei suoi occhi, azzurri come quelli di Flora e di Eric. Il mento era minuto, ma la barba lo nascondeva. La spada era intarsiata di filigrana d'oro. Portava due enormi anelli alla mano destra e uno alla sinistra: rispettivamente uno smeraldo, un rubino e uno zaffiro. Quello, lo sapevo, era Bleys.

Poi c'era qualcuno che somigliava sia a me che a Bleys. I miei lineamenti, sebbene più minuti, e i miei occhi, i capelli di Bleys, e niente barba. Portava un abito da cavaliere, di color verde, ed era in sella a un cavallo bianco, rivolto verso la parte destra della carta. Irradiava forza e debolezza, curiosità e abbandono. Io lo approva­vo e lo disapprovavo; mi piaceva e mi ispirava repulsione. Sapevo che il suo nome era Brand. Lo seppi appena posai lo sguardo su di lui.

Anzi, mi rendevo conto di conoscerli tutti molto bene; li ricordavo tutti, con i loro punti di forza, le loro debo­lezze, le loro vittorie, le loro sconfitte.

Perché erano i miei fratelli.

Accesi una sigaretta che avevo preso dall'astuccio sulla scrivania di Flora; mi appoggiai alla spalliera della sedia e ripensai alle cose che avevo ricordato.

Erano i miei fratelli, quegli otto uomini strani, vestiti di strani costumi. E sapevo che era giusto, se vestivano come volevano, come era giusto che io portassi il nero e l'argento. Poi ridacchiai, quando mi accorsi di quel che portavo indosso, di quello che avevo acquistato nel negozio d'abbigliamento nella cittadina dove mi ero fermato dopo aver lasciato Greenwood.

Avevo calzoni neri, e tutte e tre le camicie che avevo comprato erano di un colore grigiastro, argenteo. E anche la mia giacca era nera.

Ritornai a esaminare le carte: e c'era Flora, in un abito lungo verde come il mare, come l'avevo ricordata la sera prima; e poi c'era una fanciulla dai capelli neri, lunghissimi, con gli stessi occhi azzurri. Era vestita tutta di nero, con una cintura d'argento alla vita. Gli occhi mi si riempirono di lacrime: e non sapevo perché. Si chiama­va Deirdre. Poi c'era Fiona, con i capelli del colore di quelli di Bleys e di Brand, i miei occhi, una carnagione di madreperla. La odiai nell'istante in cui girai la carta. Poi c'era Llewella, i cui capelli s'intonavano agli occhi color giada: vestiva di grigio e di verde cangiante, con una cintura color lavanda, e aveva l'aria triste. Inspiegabilmente, sapevo che non era come tutti noi. Ma anche lei era mia sorella.

ü Traduci in italiano:

Массивная челюсть, кожа цвета жемчуга, мощный, внушать отвращение

ü Traduci in russo

Incutere timore, armi taglienti, in modo spavaldo, aria triste, fermaglietto, lineamenti minuti, una mente sconfinata

ü Spiega le espressioni, trovale nel testo e usale nelle tue frasi: una mente sconfinata, innocuo, ambivalenza.

ü Discuti le domande:

a. Che mestiere faceva Corvin? Che conoscenze aveva? Come l’ha capito? Cosa potrebbero significare tutte queste conoscenze?

b. Che posizione sociale aveva questa famiglia? Come hai capito?

c. Finalmente Corvin ha trovato “la sua famiglia”. Dove e come?

d. Che sentimenti e atteggiamenti aveva verso i suoi parenti. Per aiutarti a ripondere alla domanda riempisci la tabella (metti la crocetta nella colonna giusta)

nomi + - ambivalenza
Random      
Giulian      
Caine      
Eric      
Benedict      
Gerard      
Bleis      
Flora      
Brand      
Deidre      
Fiona      
Llevella      

ü Rifletti quando e perché Corvin ha sentito questo:

a. Mentalmente disapprovai le condizioni in cui era ridotta.

b. Mio respiro si faceva convulso

c. Il cuore mi diede un balzo, urtò contro lo sterno

d. Gli occhi mi riempirono di lacrime e non sapevo perché.

ü Trova la descrizione giusta di ciascuno dei membri della famiglia e fai delle frasi

nomi apparenza altre informazioni
Benedict gli occhi verdi, capelli rossi cupo, magro, una mente sconfinata
Eric i capelli lunghi rossi e gli occhi verdi bellissima, ipocrita e furba
Corvin gli occhi e i capelli di color giada vestito di nero e argento
Caine i capelli bruni e occhi castani l’aria triste, molto diversa dagli altri
Deidre i capelli scuri, lisci e lunghi, gli occhi azzurri l’aria astuta, un costume rinascimentale
Fiona una barba corta e i baffi sottili la carnagione di madreperla
Bleis i capelli d’oro, gli occhi azzurri furbo e odioso, l’intrigante principale della storia
Brand gli occhi verdi, i capelli verdi una fanciulla dolce e buona
Llevella il naso aguzzo, i capelli di color paglia né passione, né compassione, l’autocontrollo totale
Gerard barba di color fiamma e fuoco, gli occhi azzurri irradiava forza e debolezza, curiosità e abbandono
Giulian i capelli quasi bluastri, gli occhi azzurri sembrava pirata
Flora gli occhi scuri, la carnagione olivastra il diavolo danzava nei suoi occhi
Random i capelli neri lunghissimi, gli occhi azzurri massiccio e poderoso

ü Aggiungi l’informazione nuova sui personaggi nel tuo schema.

Vocabolario:

provare un terribile senso di distacco e di lontananza – испытывать чувство оторванности и отчуждённости

rattristarsi – наводить тоску

lambiccarsi il cervello –  ломать себе голову

sconvolgere – взволновать

far scaturire associazioni – вызывать ассоциации

essere carico di qc – содержать в себе (быть нагруженным)

toponimo – топоним (название места)

fantasticheria – причуда, выдумка, фантазия

insinuarsi –   проникать, просачиваться

maniglia – ручка

svelto – бойкий

essere (rimanere)  senza fiato – выдохнуться обессилеть

ronzio – шум, гул

turbare – беспокоить, волновать

essere ricco di risorse – находчивый

ricavare di qc (ricavarne) – заполучить (выгоду, деньги)

asso – туз

fante – валет

indurre – уговаривать

puntare su qc – ставить на что-либо

afferare – хватать

mettere un bastone tra le ruote – вставлять палки в колёса

finezza – тонкость

imbattersi – попасть во что-то (вляпаться, в переносном смысле J)

sottintenso – намёк, подтекст

scostarsi – отходить, отодвигаться

escluso dalla corsa – вышел из гонки

attrito - трение

Provavo un terribile senso di distacco e di lontananza da tutti quanti. Eppure, in qualche modo, sembravano fisicamente vicini.

Le carte erano così fredde, sotto le mie dita, che le posai di nuovo, sebbene provassi una certa riluttanza nel doverle lasciare.

Non ce n'erano altre. Tutto il resto era rappresentato dalle carte minori. Eppure io sapevo, inspiegabilmente, che in qualche modo... ah, in qualche modo!... ne manca­vano diverse.

E neppure se ne fosse andato della mia vita, avrei saputo dire che cosa rappresentavano i Trionfi mancanti.

Quel pensiero mi rattristò stranamente: ripresi la si­garetta e riflettei.

Perché tanti ricordi erano riaffluiti mentre io guarda­vo le carte... perché erano riaffluiti senza portare con sé il loro contesto? Adesso ne sapevo più di prima, per quanto riguardava i nomi e i volti. Ma quello era più o meno tutto.

Non riuscivo a comprendere il significato del fatto che fossimo tutti effigiati in quel modo sulle carte. Provavo il desiderio fortissimo di possederne un mazzo anch'io. Tuttavia, se avessi preso quello di Flora, sapevo che si sarebbe subito accorta della sparizione, e io mi sarei trovato nei guai. Perciò le rimisi nel cassetto piccolo dietro il cassetto grande, e tornai a rinchiuderle. E poi, Dio, come mi lambiccai il cervello! Ma non servì a nulla.

Fino a quando ricordai una parola magica.

Ambra.

Quella parola mi aveva sconvolto la sera precedente. Mi aveva sconvolto tanto che avevo smesso di pensarci, da quel momento. Ma adesso le ronzavo intorno. Adesso la rigiravo nella mente ed esaminavo tutte le associazioni che vi faceva scaturire.

Quella parola era carica di una fortissima nostalgia, di un immenso desiderio. Racchiudeva in sé un senso di bellezza dimenticata, di realizzazioni immani e di una potenza terribile, quasi assoluta. In qualche modo, quella parola apparteneva al mio vocabolario. In qualche modo, io ne ero parte, ed essa era parte di me. Era un toponimo. Lo sapevo. Era il nome di un luogo che avevo conosciuto un tempo. Tuttavia, non mi giungeva alcuna immagine: soltanto emozioni.

Non so per quanto tempo rimasi lì seduto. Il tempo si era distaccato dalle mie fantasticherie.

Poi mi accorsi che, al centro dei miei pensieri, si insinuava un bussare leggero alla porta. Poi la maniglia girò lentamente, e la cameriera, che si chiamava Cannella, entrò per chiedermi se volevo pranzare.

Mi parve una buona idea: perciò la segui in cucina, e mangiai mezzo pollo, bevendo un litro di latte.

Poi mi portai in biblioteca una caffettiera, evitando i cani nell'entrare. Ero arrivato alla seconda tazza, quando squillò il telefono.

Avrei voluto rispondere, ma pensai che dovevano es­serci estensioni in altre parte della casa, e che probabil­mente avrebbe risposto Cannella.

Mi sbagliavo. L'apparecchio continuò a squillare.

Alla fine non seppi più resistere.

«Pronto, » dissi, «qui è casa Flaumel. »

«Posso parlare con la signora Flaumel, per favore? »

Era una voce d'uomo, svelta e leggermente nervosa. Sembrava senza fiato, e le sue parole erano mascherate e circondate dal lieve ronzio e dalle voci fantasma che indicano una chiamata da grande distanza.

«Mi dispiace, » risposi. «Al momento non è qui. Posso riferirle qualcosa o dirle di richiamarla? »

«Con chi sto parlando? » chiese lui.

Esitai, poi dissi:

«Mi chiamo Corwin. »

«Mio Dio! » esclamò lui. Seguì un lungo silenzio.

Cominciai a pensare che avesse riattaccato. Chiesi: «Pronto? »

«Pronto? » proprio nel momento in cui lui riprendeva a parlare.

«È ancora viva? » domandò.

«Certo che è ancora viva! Con chi diavolo sto parlan­do? »

«Non hai riconosciuto la voce, Corwin? Sono Random. Ascolta, sono in California, e sono nei guai. Ho chiamato per chiedere rifugio a Flora. Tu stai lì con lei? »

«Temporaneamente, » dissi.

«Capisco. Mi darai la tua protezione, Corwin? » Una pausa, poi: «Ti prego. »

«Tutto quello che posso, » dissi io. «Ma non posso impegnare Flora senza consultarla. »

«Mi proteggerai contro di lei? »

«Sì. »

«Allora mi basti tu, uomo. Tenterò di raggiungere subito New York. Arriverò per una strada complicata, quindi non so quanto tempo potrò impiegare. Se posso evitare le ombre sbagliate, ti vedrò al mio arrivo. Augu­rami buona fortuna. »

«Buona fortuna, » dissi.

Vi fu uno scatto, e mi trovai ad ascoltare un ronzio lontano, e voci di fantasmi.

Dunque il piccolo, spavaldo Random era nei guai? Avevo l'impressione che la cosa non dovesse turbarmi particolarmente. Ma adesso lui era una delle chiavi del mio passato, e probabilmente anche del mio futuro. Quin­di avrei cercato di aiutarlo in tutti i modi possibili, fino a quando avessi saputo da lui tutto ciò che volevo. Sapevo che non c'era molto amore fraterno, tra noi due. Ma sapevo, da una parte, che lui non era uno sciocco: era ricco di risorse, acuto, stranamente sentimentale per le cose più assurde; e dall'altra parte, la sua parola non valeva il fiato con cui la pronunciava, e probabilmente avrebbe venduto il mio cadavere a una facoltà di medici­na di sua scelta, se avesse potuto ricavarne abbastanza. Lo ricordavo benissimo, con una sfumatura d'affetto, for­se per le poche occasioni piacevoli che, mi sembrava, avevamo vissuto insieme. Ma fidarmi di lui? Mai. Decisi che non avrei parlato a Flora del suo arrivo fino all'ulti­mo momento. Avrei potuto utilizzarlo come asso o alme­no come fante nella manica.

Aggiunsi un poco di caffè bollente a quello che era rimasto nella tazza e lo sorbii lentamente.

Da chi stava fuggendo?

Non da Eric, sicuramente, altrimenti non avrebbe chiamato quella casa. Poi pensai che mi aveva chiesto se Flora era morta, solo perché io ero presente. Era davvero alleata così strettamente al fratello che sapevo di odiare, al punto che in famiglia tutti sapevano che avrei ucciso anche lei, se ne avessi avuta l'occasione? Mi sembrava strano: però lui mi aveva fatto quella domanda.

E in che cosa erano alleati? Qual era la causa di quella tensione, di quell'opposizione? Perché Random fuggiva?

Ambra.

Quella era la risposta.

Ambra. In qualche modo, la chiave di tutto stava in Ambra, e lo sapevo. Il segreto dell'intero enigma stava in Ambra, in qualche evento che si era compiuto in quel luogo, e piuttosto di recente, avrei detto. Avrei dovuto star pronto. Avrei dovuto fingere di sapere cose che non sapevo mentre, poco a poco, estraevo la verità da coloro che la conoscevano. Ero sicuro di riuscirvi. C'era abba­stanza sfiducia, in circolazione, per indurre tutti alla cautela. E avrei puntato su quello. Avrei saputo ciò che mi occorreva e avrei preso ciò che volevo, e avrei ricorda­to quelli che mi avevano aiutato e avrei calpestato gli altri. Perché quella, lo sapevo, era le legge secondo la quale viveva la nostra famiglia, e io ero un vero figlio di mio padre...

Il mal di testa mi riprese all'improvviso, così forte da spaccarmi il cranio.

Qualcosa sul conto di mio padre... sapevo, intuivo, sentivo che era stato quello a scatenarlo. Ma non sapevo con certezza perché o come.

Dopo un po', il mal di testa si placò e mi addormentai, lì sulla sedia. Dopo un tempo ancora più lungo, la porta si aprì e Flora entrò. Fuori era di nuovo notte.

Lei indossava una camicetta di seta verde ed una lunga gonna di lana grigia. Portava scarpe da passeggio e calze pesanti. Aveva i capelli raccolti all'indietro e sem­brava pallida. Al collo le pendeva ancora il fischietto ultrasonico.

«Buonasera, » dissi alzandomi.

Ma lei non rispose. Attraversò la stanza, andò al bar, si versò un bicchiere di Jack Daniels e lo buttò giù, come un uomo. Poi se ne versò un altro e se lo portò alla poltrona.

Io accesi una sigaretta e gliela porsi.

Mi ringraziò con un cenno del capo, poi disse:

«La Strada per Ambra... è difficile. »

«Perché? »

Mi guardò sconcertata.

«Quand'è stato l'ultima volta che hai provato? »

Scrollai le spalle.

«Non ricordo. »

«Era così, allora, » disse lei. «Mi chiedevo solo fino a qual punto era opera tua. »

Non risposi, perché non sapevo di che cosa stava parlando. Ma poi ricordai che c'era un sistema più facile della Strada, per giungere al luogo chiamato Ambra. Evi­dentemente, lei non lo conosceva.

«Ti manca qualche Trionfo, » dissi poi, all'improvviso, con una voce che era quasi la mia.

Lei balzò in piedi, rovesciandosi sul dorso della mano metà del liquore.

«Rendimeli! » gridò lei, afferrando il fischietto.

Mi mossi e l'afferrai per le spalle.

«Non li ho io, » dissi. «Stavo solo facendo un'osserva­zione. »

Flora si rilassò un poco, poi cominciò a piangere, e io la spinsi di nuovo sulla poltrona, gentilmente.

«Pensavo volessi dire che avevi preso quelli rimasti­mi, » disse. «E non che ti limitassi a fare un commento ma­ligno e ovvio. »

Non mi scusai. Non mi sembrava giusto.

«Sei arrivata lontano? »

«Per niente. » Poi lei rise e mi guardò con una luce nuova negli occhi.

«Adesso capisco che cos'hai fatto, Corwin, » disse, e io accesi una sigaretta per non essere obbligato a risponde­re.

«Alcune di quelle cose erano tue, non è vero? Mi hai bloccato la strada per Ambra prima di venire qui, no? Sapevi che sarei andata da Eric. Ma adesso non posso. Dovrò aspettare che sia lui a venire da me. Molto abile. Vuoi attirarlo qui, non è vero? Ma invierà un messaggero. Non verrà di persona.

C'era uno strano tono d'ammirazione nella voce di quella donna che ammetteva di aver appena cercato di vendermi al mio nemico, e che lo avrebbe fatto ancora, se ne avesse avuto la possibilità... mentre parlava di qualco­sa che credeva avessi fatto per metterle un bastone tra le ruote. Come si poteva essere così dichiaratamente ma­chiavellici in presenza di una vittima predestinata? La risposta echeggiò immediatamente dalle profondità del mio pensiero: è la consuetudine della nostra gente. Non siamo obligati a mostrarci sottili gli uni con gli altri. Tuttavia, pensavo che le mancasse la finezza di una auten­tica professionista.

«Mi ritieni stupido, Flora? » chiesi. «Pensi che io sia venuto qui solo per attendere che tu mi consegnassi ad Eric? In qualunque cosa ti sia imbattuta, te lo sei merita­to. »

«Sta bene, io non gioco nella tua squadra! Ma anche tu sei in esilio: e questo dimostra che non sei stato poi così furbo! »

In qualche modo, le sue parole bruciavano: e sapevo che erano ingiuste.

«No, non lo sono! »

Flora rise di nuovo.

«Sapevo che mi avresti risposto in questo modo, » disse. «Sta bene, allora tu cammini di proposito nelle Ombre. Sei pazzo. »

Scrollai le spalle.

Lei chiese: «Che cosa vuoi? Qual è la vera ragione per cui sei venuto qui? »

«Ero curioso di vedere che cosa stavi combinando, » dissi io. «Ecco tutto. Non puoi tenermi qui, se non voglio. Neppure Eric potrebbe. Forse volevo soltanto venirti a trovare. Forse, invecchiando, sono diventato sentimentale. In ogni caso, adesso resterò un po' più a lungo, e poi probabilmente me ne andrò davvero. Se tu non fossi stata così svelta a capire quel che potevi guadagnare grazie a me, forse avresti ricavato molto di più, mia signora. Mi hai chiesto di ricordarmi di te, un giorno, se fosse accadu­ta una certa cosa...

Trascorsero parecchi secondi perché il sottinteso delle mie parole andasse a segno.

Poi lei disse:

«Hai intenzione di tentare! Hai veramente intenzione di tentare! »

«Hai maledettamente ragione: ho intenzione di tenta­re, » dissi io, sapendo che l'avrei fatto davvero... di qua­lunque cosa si trattasse. «E puoi dirlo a Eric, se ci tieni: ma ricordati che io potrei farcela. Tieni presente che, se ce la facessi, potrebbe tornarti utile essermi amica. »

Avrei desiderato sapere di cosa stavo parlando: ma avevo carpito un numero sufficiente di termini e percepi­vo la loro importanza, quindi potevo usarli in modo appropriato, anche senza sapere che cosa significassero in realtà. Ma li sentivo esatti, così esatti...

All'improvviso, lei mi baciò.

«Non glielo dirò. Davvero, non glielo dirò, Corwin! Sono convinta che tu possa riuscire. Bleys sarà difficile, ma Gé rard probabilmente ti aiuterà, e forse anche Benedict. Allora Caine passerà dalla tua parte, quando avrà visto quello che succede... »

«I miei piani so farli da solo, » dissi io.

Poi lei si scostò, riempì due bicchieri di vino e me ne porse uno.

«Al futuro, » disse.

«Io bevo sempre al futuro. »

Bevemmo.

Poi Flora mi riempì di nuovo il bicchiere e mi scrutò.

«Doveva essere Eric, Bleys, o tu, » disse. «Voi siete gli unici che avete coraggio e cervello. Ma tu sei rimasto lontano per tanto tempo che ti avevo considerato ormai escluso dalla corsa. »

«Si vedrà; non si può mai sapere. »

Sorseggiai il vino e mi augurai che lei se ne stesse zitta, almeno per un minuto. Mi sembrava che lei si affannasse troppo scopertamente a stare da tutte le parti. C'era qualcosa che mi turbava, e volevo pensarci.

Quanti anni avevo?

Quell'interrogativo, lo sapevo, costituiva in parte la risposta al terribile senso di lontananza e di alienazione che provavo nei confronti di tutte le persone raffigurate sulle carte da gioco. Ero più vecchio di quanto sembravo. (Sulla trentina, mi era parso quando mi ero guardato nello specchio... ma adesso sapevo che era così perché le Ombre mentivano. ) Ero molto, molto più vecchio, ed era passato moltissimo tempo dall'ultima volta che avevo visto i miei fratelli e le mie sorelle, tutti insieme e in buo­na armonia, tutti coesistenti fianco a fianco come sulle car­te, senza tensioni e senza attriti.

Sentimmo suonare il campanello, e Cannella che an­dava ad aprire la porta.

«Questo deve essere nostro fratello Random, » dissi, e sapevo di aver ragione. «È sotto la mia protezione. »

Flora spalancò gli occhi, poi sorrise, come se apprez­zasse una mossa astuta da parte mia.

Naturalmente io non avevo fatto nulla, ma mi piaceva lasciarglielo credere.

Mi faceva sentire più sicuro.

ü Trova le parole nel testo che significano il seguente:

1. Impedire a qc di fare qc

2. Sentirsi lontano da qc

3. Non può partecipare in gara

4. Riflettere molto

5. Quello che si indende ma non si dice direttamente

6. Una carta da gioco con un punto nel mezzo

7. Agitare, mettere in agitazione

8. Un uomo che sa arrangiarsi in ogni situazione

9. Approfittare, ricevere il denaro

ü Sinonimi: turbare, spostarsi, essere pieno di qc, sottigliezza, accenno.

ü Inserite le preposizioni corrette negli spazi vuoti:

1. Provavo un terribile senso __ distacco e __ lontananza ___ tutti quanti.

2. La parola “Ambra” era carica __ una fortissima nostalgia e di un immenso desiderio.

3. Random sembrava ____ fiato. Le sue parole erano circondate __ lieve ronzio.

4. Non era uno sciocco per niente, al contrario, era ricco __ risorse.

5. La sua parola non valeva un fiato __ cui lò a pronunciava.

6. L’ho fatto apposto __ metterle un bastone __ le ruote.

ü Spiegate cosa si intendeva in queste frasi:

1. ... Mentre parlava di qc che credeva avessi fatto per metterle un bastne tra le ruote.

2. È la consuetudine della nostra gente. Non siamo obbligati a mostrarci sottili gli uni con gli altri. Tuttavia, pensavo che le mancasse la finezza di un’autentica professionista.

3. Quella parola era carica di una fortissima nostalgia e di un immenso desiderio.

ü Traduci in italiano:

1. Я чувствовал себя далёким и отчуждённым от всех этих людей.

2. Мне взгрустнулось от этой мысли: я взял сигарету и стал размышлять.

3. Это слово меня взволновало в прошлый вечер.

4. Это слово содержало в себе сильнейшую ностальгию.

5. О, Боже как же тогда я ломал себе голову!

6.  Это был голос мужчины, бодрый и слегка нервный. Казалось, он задыхался, на фоне его слов слышался лёгкий шум и призрачные голоса.

7. Я знал, что он не был дураком: он был находчивым, проницательным, странно сентиментальным по поводу самых абсурдных вещей; но с другой стороны, его слово не стоило и выдоха, с которым он его произносил, и мог продать мой труп факультету медицины, если ему хорошо бы заплатили.

 

ü Traduci in russo:

1. Come si poteva essere così dichiaramente macchiavellici in presenza di una vittima predestinata?

2. C’era uno strano tono d’ammirazione nella voce di quella donna che ammettteva di aver appena cercato di vendermi al mio nemico, e che lo avrebbe fatto ancora, se ne avesse avuto la possibilità ... mentre parlava di qc che credeva avessi fatto per mettere un bastone tra le ruote.

3. Tuttavia pensavo, che le mancasse la finezza di una autentica professionista.

4. Pensi che io sia venuto qui solo per attendere che tu mi consegnassi ad Eric? In qualunque cosa ti sia impattuta, te lo sei meritato.

5. Trascorsero parecchi secondi perché il sottinteso delle mie parole andasse a segno.

6. Ero molto, molto più vecchio, ed era passato moltissimo tempo dall’ultima volta che avevo visto i miei fratelli e le mie sorelle, tutti insieme e in buona armonia, tutti coesistenti fianco a fianco come sulle carte, senza tensioni e senza attriti

ü Trova le frasi nel testo con si impersonale e si passivante e scrivile

ü Commenta i nuovi toponimi: Ambra, California, le Ombre

ü Domande:

1. Cosa sentiva Corvin mentre guardava tutte le carte?

2. Quali associazioni faceva scaturire la parola “Ambra”?

3. Ha riconosciuto questo luogo? Aveva in mente qualche sua immagine?

4. Chi ha chiamato Flora? Cosa ha risposto Corwin?

5. Dove sembrava di trovarsi Random? Come l’ha capito Corwin?

6. Chi era Random? Cosa voleva da Flora? Che cosa ha chiesto a Corvin di Flora? Cosa ha pensato Corwin di questa domanda?

7.   Ha detto a Flora che Random doveva venire? Perché?

8. Che intenzione aveva Corwin? Sapeva che cosa significasse questa intenzione?

9. Quanti anni aveva Corwin? Quanti anni sembrava di avere?

10. Come ha reagito Flora quando ha saputo che stava per arrivare il loro fratello Random?

ü D’accordo o meno (e perché? )

1. Random si è veramente imbattuto nei guai.

2. Molto tempo fa la famiglia di Corwin era unita e tutti i membri vivevano in armonia.

3. Ambra era la città natale della famiglia.

4. Random era una persona strana anche nella famiglia.

ü Fate 2 dialoghi:

1) Corwin: chiedi a Random cosa gli è successo e perché è nei guai. Cerca di non rivelargli la tua amnesia.

Random: Sei molto astuto. Stai combinando qualcosa, qualche macchinazione. Parla con Corwin e cerca di convincerlo.

2) Flora e Eric: Siete molto ipocriti. Non volete perdere la vostra posizione nella famiglia. Volete stare sempre da parte di chi è il più forte. Parlate di Corwin e insieme pensate cosa potete fare.

ü Parlate di Random, del suo carattere e apparenza che emozioni vi provoca cosa ne pensate. Che ne pensate, perché si chiama Random? Cosa significa questa parola? (oralmente)

ü Fai cinque domande a Random.

ü Aggiungi le nuove informazioni nelle tue tabelle

ü Fai il sommario di questo capitolo

Da ridere e rilassare (questa parte è solo per voi, non va stampata):

Le carte:



  

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