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VOCABOLARIO



 

Capitolo 2

Erano circa le otto, quando il tassi mi scaricò a un angolo scelto a caso nella città più vicina. Pagai il tassi­sta, e poi girai qua e là una ventina di minuti. Poi mi fermai in un ristorante, trovai un posto libero e presi un succo d'arancio, un paio d'uova, pane tostato, pancetta abbrustolita, e tre tazze di caffè. La pancetta era troppo grassa.

Dopo avere impiegato un'ora abbondante per fare co­lazione, mi rimisi in cammino, trovai un negozio d'abbi­gliamento e attesi fino alle nove e mezzo che aprisse.

Acquistai un paio di calzoni, tre camicie sportive, una cintura, un po' di biancheria, e un paio di scarpe che mi andavano bene. Presi anche un fazzoletto, un portafoglio e un pettinino da tasca.

Poi trovai una stazione dei pullman Greyhound e salii su una corriera, diretta a New York. Nessuno cercò d'im­pedirmelo. Sembrava che nessuno mi cercasse.

Mentre guardavo la campagna colorata dall'autunno e solleticata da venti vivaci sotto un cielo luminoso e fred­do, ripensai a tutto ciò che sapevo di me stesso e della situazione in cui mi trovavo.

A Greenwood ero stato registrato come Carl Corey da mia sorella Evelyn Flaumel. Era accaduto in seguito a un incidente d'auto avvenuto una quindicina di giorni prima, e in cui avevo subito fratture ossee che non mi davano più fastidio. Non ricordavo mia sorella Evelyn. A Greenwood avevano ricevuto istruzioni di mantenermi in stato d'incoscienza: e avevano avuto paura dell'intervento della magistratura, quando io mi ero liberato e avevo minaccia­to di fare uno scandalo. Benissimo. Qualcuno aveva paura di me, per qualche ragione. Ne avrei approfittato, per quel che valeva.

Mi sforzai di pensare all'incidente, di ricordare qual­cosa, fino a quando cominciò a dolermi la testa. Non era stato un incidente. Avevo quell'impressione, sebbene non ne sapessi il perché. Lo avrei scoperto, e qualcuno l'a­vrebbe pagata. Oh, avrebbe pagato ben caro. Una collera terribile divampava dentro di me. Chiunque cercasse di farmi del male, di servirsi di me, lo faceva a suo rischio e pericolo; e adesso l'avrebbe scontata, chiunque fosse. Provavo il desiderio fortissimo di uccidere, di annientare il responsabile, e sapevo che quella non era la prima volta in vita mia che avevo provato quell'impulso; e sapevo, anche, che in passato l'avevo seguito. Più di una volta.

Guardavo fuori dal finestrino, e guardavo cadere le foglie morte.

Quando arrivai nella Grande Città, per prima cosa andai a farmi radere e tagliare i capelli nella bottega di barbiere più vicina: poi mi cambiai la camicia e la ma­glietta, nel gabinetto, perché non posso sopportare i ca­pelli sulla schiena. La calibro 32 automatica, che apparte­neva all'Innominato di Greenwood, era nella tasca destra della giacca. Immagino che se quelli di Greenwood o mia sorella avessero voluto riagguantarmi in fretta, sarebbe tornata loro comoda una violazione della Legge Sullivan. Ma decisi di tenere l'arma. Prima avrebbero dovuto tro­varmi, e volevo una spiegazione. Pranzai in fretta, viag­giai in sotterranea e in autobus per un'ora, poi presi un tassi per andare a Westchester, all'indirizzo di Evelyn, ufficialmente mia sorella e forse rivelatrice di qualche ricordo.

Prima di arrivare, avevo già deciso l'atteggiamento che dovevo assumere.

Perciò, quando la porta della vecchia, grande casa si aprì al mio bussare, dopo un'attesa di circa trenta secon­di, sapevo ciò che avrei detto. Ci avevo pensato mentre percorrevo il lungo viale tortuoso, e le foglie scricchiola­vano sotto i miei piedi, e il vento soffiava freddo sul mio collo, entro il bavero rialzato della giacca. L'odore della lozione per capelli si mescolava al sentore muffito dell'e­dera abbarbicata ai muri di quella vecchia casa di matto­ni. Non mi ispirava un senso di familiarità. Non mi pareva di essere mai stato lì.

Avevo bussato, e avevo sentito un'eco.

Mi ero infilato le mani in tasca e avevo atteso.

Quando la porta si aprì, sorrisi e rivolsi un cenno alla cameriera dalla carnagione scura, tutta nei, e dall'accento portoricano.

«Sì? » fece lei.

«Vorrei parlare con la signora Evelyn Flaumel, per favore. »

«Chi devo annunciare, prego? »

«Suo fratello Carl. »

«Oh, entri pure, prego, » mi disse lei.

Entrai nell'atrio: il pavimento era un mosaico di pic­cole piastrelle salmone e turchese, le pareti erano di mogano, e un trogolo pieno di piante a grandi foglie verdi occupava un divisorio alla mia sinistra. Un cubo di vetro e di smalto appeso al soffitto irradiava una luce gialla.

La ragazza se ne andò, e io mi guardai intorno, alla ricerca di qualcosa di familiare.

Niente.

Attesi.

Poco dopo, la cameriera ritornò, sorrise, annuì e disse:

«Mi segua, prego. La signora la riceverà in biblioteca. »

La seguii per tre rampe di scale e lungo un corridoio, passando davanti a due porte chiuse. La terza, alla mia sinistra, era aperta, e la cameriera mi indicò di entrare. Obbedii, e mi soffermai sulla soglia.

Come tutte le biblioteche, era piena di libri. C'erano anche tre quadri, tre paesaggi tranquilli: due terrestri ed una quieta, placida marina. Il pavimento era coperto da una folta moquette verde. C'era un grande mappamondo, accanto alla scrivania, con l'Africa rivolta verso di me, e un enorme finestrone, più indietro: otto settori di vetro. Ma non era per questo che m'ero fermato.

Lessico:

ü Trovate la variante italiana: занимать, мешать, раздражать, надоедать, бессознательное состояние, извлечь выгоду, заплатить сполна, га свой страх и риск, кто бы то ни был.

ü Fate le domande con le parole dell’esercizio precedente.

ü Inventate una piccola situazione utillizzando le stesse parole.

ü I nomi propri. Cosa significano in generale e per il protagonista: New York, Greenwood, Carl, Evelyn, L’Africa J

ü Domande:

1) A che ora Carl è sceso dalla macchina?

2) Cosa ha fatto dopo?

3) Cosa ha sentito verso la persona colpevole nell’incidente?

4) Cosa di nuovo ha capito di se stesso?

5) Che cosa avete capito voi del personaggio?

ü Siete d’accordo o meno?

1) Nel passato Carl avrebbe ucciso molta gente.

2)  Carl aveva paura dei suoi nemici.

3) Carl era molto ordinato nella vita.

ü Fate una tabella in cui scrivete tutta l’informazione su di Carl che conoscete

nome età occupazione istruzione apparenza tratti di carattere perché
             

 

 

intonarsi – быть в тон, гармонировать, сочетаться

da chissà dove – Бог знает откуда

scrutare – изучать глазами, всматриваться

essere in circolazione – быть в обороте

premura, sollecitudine – забота

cane-lupo – волкодав

acciambellarsi, accovarsi – свернуться калачиком

precauzione – предосторожность

imprevedibile – непредсказуемый

Come sarebbe a dire? – что ты имеешь ввиду?

posta – ставка

tentare – намереваться, пробовать

fare lo sciocco – быть дураком

imprudente – неосмотрительный

mossa – поступок

slancio – страсть, порыв

aggredire – хвататься, набрасываться

borbottare – бормотать

scrollato – декольтированный (-ое платье)

assumere un’espressione... – принять выражение …

parola d’onore – слово чести! (клянусь! )

reprimere il sentimento – подавить чувство

montare la testa – вскружить голову

La donna dietro la scrivania aveva un abito dal collo ampio, verdazzurro, aveva i capelli lunghi e la frangetta, d'un colore che era una via di mezzo tra le nubi al tramonto e la luce di una candela in una stanza buia, e sapevo che era un colore naturale: e i suoi occhi, dietro le lenti che non ritenevo necessarie, erano azzurri come il lago Erie alle tre del pomeriggio in un sereno pomeriggio d'estate; e il colore del suo sorriso represso s'intonava ai capelli. Ma non era neppure questa la ragione per cui mi ero fermato.

La conoscevo: da chissà dove, anche se non riuscivo a ricordare.

Avanzai, conservando il mio sorriso.

«Salve, » dissi.

«Siediti, » disse lei, «prego, » Indicò una poltrona con lo schienale alto e i grandi braccioli, color arancio, inclinata proprio all'angolo esatto in cui mi piaceva oziare.

Sedetti, e lei mi scrutò.

«Lieta di vederti di nuovo in circolazione. »

«Anch'io. Come va? »

«Benissimo, grazie. Devo dire che non mi aspettavo di vederti qui. »

«Lo so, » risposi. «Ma sono qui, per ringraziarti delle tue premure e sollecitudini fraterne. » Diedi una sfumatu­re d'ironia alla frase, per studiare la sua reazione.

A questo punto entrò nella stanza un cane enorme, un cane-lupo irlandese, che si acciambellò davanti alla scri­vania. Poi ne arrivò un altro, che girò per due volte intorno al mappamondo, prima di accovacciarsi.

«Bene, » disse lei, ricambiando la mia ironia, «era il minimo che potessi fare per te. Dovresti guidare con maggior prudenza. »

«In futuro, » dissi, «prenderò maggiori precauzioni, te lo prometto. » Non sapevo a che razza di gioco stessi giocando, ma poiché lei ignorava che io non sapevo, decisi di ottenere da lei tutte le informazioni possibili. «Pensavo che avresti avuto piacere di sapere come stavo, quindi sono venuto qui, in modo che potessi vederlo. »

«Sicuro, » rispose lei. «Hai mangiato? »

«Un pranzo leggero, diverse ore fa, » dissi.

Lei suonò per chiamare la cameriera e ordinò da mangiare. Poi:

«Pensavo che avresti finito per decidere di lasciare Greenwood, » disse, «appena fossi stato in grado di farlo. Ma non pensavo che sarebbe accaduto così presto, e non immaginavo che saresti venuto qui. »

«Lo so, » dissi. «L'ho fatto proprio per questo. »

Mi offrì una sigaretta e io l'accettai, accesi la sua, poi la mia.

«Sei sempre stato imprevedibile, » mi disse lei, final­mente. «E sebbene questo ti sia stato spesso d'aiuto in passato, non ci conterei troppo se fossi in te, per questa volta. »

«Come sarebbe a dire? » domandai.

«La posta è troppo alta per un bluff, davvero, e credo che sia esattamente quello che stai tentando, venendo qui in questo modo. Un bluff. Ho sempre ammirato il tuo coraggio, Corwin, ma non fare lo sciocco. Sai come stan­no le cose. »

Corwin? Bene, registriamolo sotto «Corey».

«Forse non lo so, » dissi. «Ho dormito parecchio, ulti­mamente... ricordi? »

«Vuoi dire che non sei rimasto in contatto? »

«Non ne ho avuto la possibilità, da quando mi sono svegliato. »

Lei inclinò la testa da una parte e socchiuse gli occhi meravigliosi.

«Imprudente, » disse, «ma possibile. Appena possibile. Forse dici sul serio. Forse. Fingerò di crederti, per il momento. In questo caso, potresti aver fatto una mossa intelligente, sicura. Lasciami riflettere. »

Aspirai il fumo della sigaretta, augurandomi che dicesse qualcosa di più. Ma lei tacque, perciò decisi di approfittare dell'apparente vantaggio acquisito in quel gioco che non comprendevo contro giocatori che non conoscevo, per una posta di cui non avevo la più pallida idea.

«Il fatto che io sia qui indica qualcosa, » dissi.

«Sì, » rispose lei. «Lo so. Ma tu sei intelligente, e quindi potrebbe indicare più di una cosa. Aspetteremo e vedre­mo. »

Aspettare che cosa? Vedere che cosa?

Poi arrivarono le bistecche e una caraffa di birra, e io venni temporaneamente liberato dalla necessità di fare affermazioni generiche ed enigmatiche che le apparissero sottili o subdole. La mia era un'ottima bistecca, rosea all'interno e succosa, e strappai con i denti il pane fresco e trangugiai la birra: avevo fame e sete. Lei rise, guardan­domi, mentre tagliava la sua bistecca a pezzi minuscoli.

«Mi piace lo slancio con cui aggredisci la vita, Corwin. È una delle ragioni per cui mi dispiacerebbe vedertela abbandonare. »

«Anche a me, » borbottai.

E mentre mangiavo, pensavo a lei. La vedevo con un abito scollato, verde come il verde del mare, con la gonna ampia e lunga. C'erano musiche, danze, voci dietro di noi. Io ero vestito di nero e d'argento e... La visione svanì. Ma era un frammento autentico dei miei ricordi, lo sapevo: e tra me e me imprecai perché non potevo conoscerli inte­ramente. Che cosa aveva detto, lei nel suo abito verde, a me, vestito di nero e argento, quella notte, tra le musiche, le danze e le voci?

Versai altra birra dalla caraffa e decisi di controllare l'esattezza di quella visione.

«Ricordo una notte, » dissi, «quando tu eri tutta vestita di verde ed io portavo i miei colori. Come sembrava tutto bello... e la musica... »

Il suo volto assunse un'espressione leggermente ma­linconica.

«Sì, » disse. «Non erano quelli i giorni?... Davvero non sei più stato in contatto? »

«Parola d'onore, » dissi io, per quel che poteva valere.

«Le cose sono peggiorate parecchio, » disse lei. «E le Ombre contengono più orrori di quanto si potesse pensa­re... »

«E...? » chiesi io.

«Lui ha ancora i suoi guai, » concluse Evelyn.

«Oh. »

«Sì, » continuò lei. «E vorrà sapere da che parte stai. »

«Proprio qui, » dissi.

«Intendi dire...? »

«Per ora, » proseguii, forse troppo in fretta, perché i suoi occhi si erano spalancati. «Poiché non conosco anco­ra esattamente la situazione. » Qualunque fosse.

«Oh. »

E così finimmo le bistecche e la birra, e gettammo gli ossi ai cani.

Poi sorseggiammo il caffè, e io cominciai a sentirmi un po' fraterno, ma repressi quel sentimento. Chiesi: «E gli altri? » Poteva significare qualunque cosa, ma non mi sembrava rischioso.

Per un momento temetti che lei mi domandasse a che cosa mi riferivo. Invece si appoggiò alla spalliera della sedia, fissò il soffitto e disse:

«Come sempre, non si sono avute notizie. Forse il tuo sistema è il più saggio. Lo apprezzo anch'io. Ma come si può dimenticare... lo splendore? »

Io abbassai gli occhi, perché non ero sicuro della mia espressione.

«Non si può, » risposi. «Non si può, mai. »

Vi fu un lungo, inquietante silenzio; poi lei disse:

«Mi odii? »

«No, naturalmente, » risposi. «Come potrei... tutto con­siderato? »

La mia risposta dovette piacerle: mostrò in un sorriso i denti candidi.

«Bene: ti ringrazio, » disse. «Qualunque altra cosa tu possa essere, sei un gentiluomo. »

Mi inchinai con un sorriso malizioso.

«Mi monterai la testa. »

«Difficilmente, » disse lei. «Tutto considerato. »

E io mi sentii a disagio.

Provavo quel senso di collera, e mi chiedevo se lei sapeva contro chi avevo bisogno di sfogarmi. Sentivo che lo sapeva. Lottai contro l'impulso di chiederglielo aper­tamente, e lo dominai.

«Bene, che cosa proponi di fare? » mi chiese alla fine, e sul momento risposi: «Naturalmente, tu non ti fidi di me... »

«E come potremmo? »

Decisi di ricordare quel plurale.

ü Trova le parole con lo stesso significato

· Studiare con gli occhi, fissare lo sguardo

· Esaltare una persona con i complimenti

· Cura

· Che non si può prevedere

· Bloccare emozioni

· Intendersi di fare qc, voler fare qc

· Essere (o fare finta di essere) stupido

· Palpito

ü Trova i sinonimi di queste parole: scrutare, premura, intendersi, bloccare, slancio, azione

ü Trova i contrari di queste parole: trascuratezza, prevedibile, fare l’intelligente, prudente, apatia, liberare sentimenti

                                             

ü Deriva le parole come in esempio: premura - premuroso

prevedere, tentare, prudenza, slanciare, scrollare, esprimere, reprimere,

ü Traduci le frasi in russo:

1. «Ma sono qui, per ringraziarti delle tue premure e sollecitudini fraterne. » Diedi una sfumatu­re d'ironia alla frase, per studiare la sua reazione. Sedetti, e lei mi scrutò

2. A questo punto entrò nella stanza un cane enorme, un cane-lupo irlandese, che si acciambellò davanti alla scri­vania.

3. La posta è troppo alta per un bluff, davvero, e credo che sia esattamente quello che stai tentando, venendo qui in questo modo. Un bluff. Ho sempre ammirato il tuo coraggio, Corvin, ma non fare lo sciocco. Sai come stan­no le cose. »

4. «Sei sempre stato imprevedibile, » mi disse lei, final­mente. «E sebbene questo ti sia stato spesso d'aiuto in passato, non ci conterei troppo se fossi in te, per questa volta. »

5. «Mi piace lo slancio con cui aggredisci la vita, Corvin. È una delle ragioni per cui mi dispiacerebbe vedertela abbandonare. »

6. Poi sorseggiammo il caffè, e io cominciai a sentirmi un po' fraterno, ma repressi quel sentimento.

7. «Bene: ti ringrazio, » disse. «Qualunque altra cosa tu possa essere, sei un gentiluomo. »

Mi inchinai con un sorriso malizioso.

«Mi monterai la testa. »

«Difficilmente, » disse lei. «Tutto considerato. »

ü Traduci le frasi in italiano:

  1. Её глаза под линзами, в которых, по-моему, она не нуждалась, были голубыми, как озеро Эри в три часа пополудни ясным летним днём, и цвет губ шёл в тон к волосам.
  2. Но остановился я даже не поэтому. Бог знает откуда, но я её знал, даже если не мог вспомнить.
  3. Я сел и она стала изучать меня глазами.
  4. В будущем, сказал я, буду более осторожен.
  5. Неблагоразумно, сказала она, но возможно, всё ещё возможно. Может быть ты и всерьёз. Притворюсь, что поверила.
  6. В таком случае, наверно, ты поступил умно.
  7. Ты вскружишь мне голову.

ü Le domande:

1) Com’era Evelyn fisicamente? Era bella?

2) Era davvero sua sorella? Come l’avete capito?

3) Ha capito che lui non ricordava niente?

4) Qual era il nome vero del protagonista?

5) Corwin è riuscito a mentire Evelyn?

6) Poi Corwin ha avuto un ricordo autentico? Quando? Che ricordo era?

7) Come ha deciso a testare il suo ricordo?

8) Com’era la reazione della sorella?

9) Secondo voi che atteggiamento aveva Evelyn verso Corwin?

10) Cosa Corwin ha sentito verso lei?

11) Vi ricordate un episodio quando ha cominciato a sentirsi un po’ fraterno?

12) Che pensate del carattere della sorella?

13) Scrivi le nuove infomazioni che abbiamo saputo di Corwin.

ü D’accordo o meno

1) In questa famiglia le relazioni erano tense.

2) Questo enigmatico “lui” era il vero nemico di Corwin.

VOCABOLARIO

Da ricordare:

1) affidarsi alla sorveglianza -

2) situazione imbarazzante –

3) gente malintenzionata –

4) le tempie –

5) la nuca –

6) cavarsela –

7) prendre in giro –

8) autocontrollo –

9) benvoluto –

10) prendersi la briga –

nuovo:

11) addestrare – обучать, тренировать

12) azzardarsi – осмеливаться, рисковать

13) intermediario – посредник

14) riferire – передавать

15) sbranare – растерзать

16) infido – коварный, ненадёжный

17) esca – приманка

18) far vibrare una corda – затронуть струну (в душе)

19) far scorrere una folgore lungo la spina dorsale – (здесь) мурашки по спине забегали

20) rattristare – нагонять тоску

21) consolare -  утешать

22) sottovoce – шёпотом, вполголоса

«Bene, dunque. Per il momento, sono disposto ad affidarmi alla tua sorveglianza. Sarò lieto di restare qui, dove potrai tenermi d'occhio. »

«E poi? »

«Poi? Vedremo. »

«Abile, » disse lei. «Molto abile. E metti me in una situazione imbarazzante. » (L'avevo detto solo perché non sapevo dove andare, e il denaro del mio ricatto non sarebbe durato molto a lungo. ) «Sì, naturalmente puoi rimanere. Ma lascia che ti avverta... » E a questo punto toccò qualcosa che avevo pensato fosse una specie di pendente, fissato a una catena che portava al collo. «Questo è un fischietto ultrasonico per cani. Donner e Blitzen, qui, hanno quattro fratelli, e sono tutti addestrati a sistemare la gente malintenzionata, e tutti obbediscono al mio fischio. Quindi non azzardarti ad andare in qual­che posto dove non sei desiderato. Un sibilo o due e persino tu avrai la peggio. È stato a causa della loro razza che non ci sono più lupi in Irlanda, lo sai. »

«Lo so, » dissi: e mi accorsi che lo sapevo.

«Sì, » continuò lei. «A Eric farà piacere che tu sia mio ospite. Dovrebbe indurlo a lasciarti in pace, ed è questo che vuoi, n'est-ce pas? »

«Oui, »dissi.

Eric! Significava qualcosa! Avevo conosciuto un Eric, ed era stata molto importante quella conoscenza, in qual­che modo. Non recentemente. Ma l'Eric che avevo cono­sciuto era ancora in circolazione, e questo era importante.

Perché?

Lo odiavo, e quella era una ragione. Lo odiavo tanto da aver pensato di ucciderlo. E forse avevo addirittura tentato.

E poi, c'era qualche legame tra noi, lo sapevo.

Parentela?

Sì, ecco. A nessuno dei due faceva piacere essere... fratelli... Ricordavo, ricordavo...

Il grande, possente Eric, con la barba umida e ricciuta, e gli occhi... come quelli di Evelyn!

Fui scosso da una nuova ondata di memorie, mentre le tempie cominciavano a pulsare, e la nuca mi scottava all'improvviso.

Non lo lasciai trasparire dalla mia espressione; mi feci forza e trassi un'altra boccata dalla sigaretta, bevvi un altro sorso di birra, e compresi che Evelyn era veramente mia sorella! Ma il suo nome non era Evelyn. Non ricorda­vo quale fosse, ma non era Evelyn. Sarei stato prudente, decisi. Fino a quando non avessi ricordato, non avrei usato nessun nome, per rivolgermi a lei.

E io? E cos'era, cos'era tutto quello che stava succe­dendo intorno a me?

Eric, lo intuivo all'improvviso, aveva avuto qualcosa a che fare con il mio incidente. Avrebbe dovuto essere fatale: ma me l'ero cavata. Era stato lui, no? Sì, risponde­vano i miei sentimenti. Doveva essere stato Eric. Ed Evelyn collaborava con lui, pagando quelli di Greenwood perché mi tenessero in coma. Sempre meglio che essere morto, ma...

Mi resi conto che in un certo senso mi ero appena consegnato nelle mani di Eric, rivolgendomi ad Evelyn: e sarei stato suo prigioniero, esposto a un nuovo attacco, se fossi rimasto.

Ma lei aveva detto che, come suo ospite, Eric mi avrebbe lasciato in pace. Mi domandai se era vero. Non potevo accettare nulla di scontato, né potevo classificare le cose per il loro valore facciale. Avrei dovuto stare continuamente in guardia. Forse sarebbe stato meglio se me ne fossi andato, lasciando che la memoria ritornasse gradualmente.

Ma c'era quel terribile senso d'urgenza. Dovevo scopri­re tutta la verità al più presto possibile, ed agire non appena l'avessi conosciuta. Era come un'ossessione. Se il pericolo era il prezzo della memoria, e il rischio era il costo dell'opportunità, così fosse. Sarei rimasto.

«E ricordo, » disse Evelyn, e mi accorsi che stava parlando da un po', senza che io l'ascoltassi. Forse era dovuto al suo tono pensieroso, che non richiedeva rispo­ste... ed all'incalzare dei miei pensieri.

«E ricordo il giorno in cui battesti Julian al suo gioco preferito e lui ti buttò addosso un bicchiere di vino e ti maledisse. Ma tu prendesti il premio. E all'improvviso, lui temette di essersi spinto troppo oltre. Ma allora tu ridesti, e bevesti un bicchiere con lui. Penso che gli dispiacque quella scenata: lui di solito è così calmo, e penso che quel giorno fosse invidioso di te. Ricordi? Credo che, in una certa misura, da allora ti abbia spesso imitato. Ma io continuo ad odiarlo, e spero che cada presto. Sento che sarà così... »

Julian, Julian, Julian. Sì e no. Qualcosa a proposito di un gioco; e io avevo preso in giro un uomo, avevo infran­to il suo autocontrollo quasi leggendario. Sì, c'era un senso di familiarità; e no, non sapevo con certezza che cosa significasse.

«E Caine, come imbrogliasti lui! Ti odia ancora, lo sai... »

Dedussi che non ero molto benvoluto. Non so come, quella sensazione mi faceva piacere.

E anche Caine mi sembrava familiare. Molto.

Eric, Julian, Caine, Corwin. I nomi mi turbinavano nella testa, e in un certo senso mi era difficile tenerli racchiusi dentro di me.

«È passato tanto tempo... » dissi, quasi involontariamente: ma sembrava che fosse vero.

«Corwin, » disse lei. «Basta con le schermaglie. Tu vuoi qualcosa di più della sicurezza, lo so. E sei ancora abba­stanza forte per ricavarne qualcosa, se giochi bene la tua mano. Non posso immaginare che cosa tu abbia in mente, ma forse potremmo fare un patto con Eric. » Il plurale, evidentemente, adesso aveva un altro significato. Lei era giunta a una sorta di conclusione sulla mia importanza nel quadro di quel che stava succedendo. Vedeva la possi­bilità di guadagnare qualcosa per se stessa, questo lo capivo. Sorrisi, appena appena. «È per questo che sei venuto qui? » continuò Evelyn. «Hai una proposta per Eric, qualcosa che richiede un intermediario? »

«Può darsi, » risposi. «Dopo che ci avrò pensato ancora un po'. Mi sono ripreso da così poco tempo che ho molto da considerare. Tuttavia volevo essere nel posto migliore, dove potevo agire in fretta, se avessi deciso che i miei interessi stavano dalla parte di Eric. »

«Stai attento, » disse lei. «Tu sai che riferirò ogni parola. »

«Naturalmente, » dissi, anche se non lo sapevo affatto. «A meno che i tuoi interessi stiano dalla mia parte. »

Lei aggrottò le sopracciglie, e minuscole rughe si inci­sero sulla sua fronte.

«Non capisco bene cosa stai proponendo. »

«Per ora non propongo ancora niente, » dissi. «Mi limi­to a mostrarmi del tutto sincero e aperto con te, e ti dico che non lo so. Non sono sicuro di voler concludere un accordo con Eric. Dopotutto... » Non terminai la frase, di proposito, perché non sapevo come concluderla, sebbene sentissi che qualcosa c'era.

«Ti è stata offerta un'alternativa? » Lei si alzò di scat­to, afferrando il fischietto. «Bleys! Naturalmente! »

«Siediti, » le dissi. «E non essere ridicola. Mi sarei messo nelle tue mani con tanta calma solo per farmi sbranare dai cani perché tu pensi a Bleys? »

Si rilassò, forse vacillò addirittura, poi ritornò a seder­si.

«Forse no, » disse finalmente. «Ma so che tu sei un giocatore d'azzardo, e so che sei infido. Se sei venuto qui per liberarti di un partigiano, non prenderti neppure la briga di tentare. Io non sono tanto importante. Ormai dovresti saperlo. E poi, ho sempre pensato che avessi simpatia per me. »

«L'avevo e l'ho ancora, » dissi. «E tu non hai motivo di preoccuparti. È interessante, comunque, che tu abbia fatto il nome di Bleys. »

Un'esca, un'esca! C'erano tante cose che desideravo sapere!

«Perché? Lui ti ha abbordato? »

«Preferirei non dirlo, » risposi, augurandomi che que­sto mi fornisse un qualche appiglio: e adesso conoscevo il genere di Bleys. «Se lo avesse fatto, gli avrei risposto esattamente come risponderei ad Eric: 'Ci penserò '. »

«Bleys, » ripeté lei. E Bleys, mi dissi mentalmente, Bleys, mi sei simpatico. Ho dimenticato perché e so che vi sono ragioni per cui non dovresti esserlo... ma mi sei simpatico. E lo so.

Restammo in silenzio per qualche tempo. Mi sentivo stanco, ma non volevo lasciarlo capire. Dovevo essere forte. Sapevo che dovevo essere forte.

Le sorrisi e dissi: «Hai una bellissima biblioteca. » E lei disse: «Grazie. »

«Bleys, » ripeté dopo qualche altro istante. «Davvero pensi che abbia qualche possibilità? »

Scrollai le spalle.

«Chi lo sa? Io no di certo. Forse lui lo sa. E forse non lo sa neppure lui. »

Allora lei mi fissò, con gli occhi un po' dilatati, la bocca socchiusa.

«Tu no? » chiese. «Non hai intenzione di tentare tu stesso? »

Allora risi, con l'unico scopo di controbattere le sue emozioni.

«Non dire sciocchezze! » esclamai, quando ebbi finito di ridere. «Io? »

Ma sapevo che aveva fatto vibrare una corda dentro di me, qualcosa di profondamente sepolto che aveva rispo­sto con un energico: «Perché no? »

All'improvviso ebbi paura.

Lei, comunque, sembrava sollevata dal mio rifiuto, qualunque cosa avessi rifiutato. Mi sorrise, e indicò un mobile bar alla mia sinistra.

«Vorrei un po' d'Irish Mist, » disse.

«Anch'io, se è per questo, » risposi. Mi alzai e andai a prepararne due.

«Sai, » dissi, quando fui tornato a sedermi, «è piacevole essere di nuovo con te in questo modo, anche se sarà solo per un breve tempo. Rievoca tanti ricordi. »

E lei sorrise. Incantevole.

«Hai ragione, » commentò, sorseggiando la bevanda. «Mi sembra quasi di essere ad Ambra, con te presente. » E per poco non lasciai cadere il bicchiere.

Ambra! Quella parola aveva fatto scorrere una folgore lungo la mia spina dorsale.

Poi lei incominciò a piangere, e io mi alzai e le cinsi le spalle con un braccio, per consolarla.

«Non piangere, bambina. Ti prego, non piangere. Rat­trista anche me. » Ambra! C'era qualcosa, qualcosa di elettrico, di potente! «I bei giorni ritorneranno, » dissi, sottovoce.

«Lo credi davvero? » chiese.

«Sì, » dissi a voce alta. «Sì, lo credo! »

«Sei pazzo, » disse lei. «Forse è per questo che sei sempre stato il mio fratello preferito. Riesco quasi a credere tutto quello che dici tu, sebbene sappia che sei pazzo. »

Poi pianse ancora un poco; poi smise.

«Corwin, » disse, «se ce la farai... se per un caso assur­do e inverosimile uscito dall'Ombra ce la farai... ti ricor­derai della tua sorellina Florimel? »

«Sì, » dissi, riconoscendo il suo nome. «Sì, mi ricorderò di te. »

«Grazie. Dirò a Eric soltanto le cose essenziali, e non nominerò Bleys, e neppure i miei sospetti. »

«Grazie, Flora. »

«Ma non mi fido assolutamente di te, » aggiunse lei. «Ricorda anche questo. »

«È superfluo dirlo. »

Poi lei chiamò la cameriera perché mi mostrasse la mia stanza, e io riuscii a svestirmi, crollai sul letto, e dormii per undici ore.

ü Traduci le parole e trova il contesto in cui sono utilizzate: утешать, люди с плохими намерениями, ультразвуковой свисток, щекотливая ситуация, терять самообладание, затронуть струны в душе, нагонять тоску, вполголоса, насмехаться, посредник.

ü Discuti le domande:

1. Perché Corvin ha deciso di rimanere da Flora? Perché l’ha messa in una situazione imbarazzante rimanendo da Lei?

2. Che cosa Corvin pensava di Eric? Come l’ha ricordato? Che tipo di persona era?

3. Poi Flora ha ricordato una parola molto importante a Corvin, che parola era? Come ha reagito Corvin? Cosa ha sentito? Perché?

4. Che cosa Flora ha cominciato a sentire verso Corvin? Come si comportava alla fine? Perché?

5. Che ne pensi perché i protagonisti cambiano i nomi?

ü Fai 5 domande sul capitolo e rivolgile a Flora

ü Trova i fatti neltesto per confermare le frasi seguenti:

1) Flora è ipocrita.

2) Corvin non è molto amato in famiglia.

3) Ambra è qualcosa molto importante, è la chiave della memoria.

4) Dentro di loro, nell’animo sono una famiglia.

ü Caratterizza Flora come se tu fossi Corvin (dal punto di vista di Corvin) e vice versa caratterizza Corvin come se fossi Flora (dal punto di vista di Flora) ORALMENTE! MOLTO IMPORTANTE! NON DIMENTICATE!

ü Fai uno schema nel tuo quaderno dove pian piano aggiungerai l’informazione sui personaggi del romanzo (o puoi prendere e stampare anche questa tabella)

personaggi apparenza carattere il tuo atteggiamento relazioni con la famiglia
Corvin        
Flora        
Eric        
Giulian        
Caine        
Rà ndom        
Benedict        
Brand        
Bleis        
Fiona        
Levella        
Deidra        
Gerard        
il padre        
il nonno        

 

ü Fai il sommario degli eventi oralmente



  

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