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168 - ESSENZA E FORMA NELL’INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA HEGELIANA - 11.6.2008



168 - ESSENZA E FORMA NELL’INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA HEGELIANA - 11. 6. 2008

 

https: //www. youtube. com/watch? v=W6Tu4tybhdM& list=PL1816A7A6341BD5E3

 

PREAMBOLO: I titoli degli incontri seminariali non sono mai rigorosamente indicativi dell’argomento trattato, poiché il tono colloquiale delle lezioni di Stefano Garroni e la stessa natura degli incontri (una serie di seminari collettivamente autogestiti miranti alla formazione marxista di quadri comunisti) fanno sì che la sua esposizione, fatta a braccio e sovente improvvisata, non sia mai sistematica (come sarebbe stata in un intervento scritto), né circoscritta all’argomento richiamato dal titolo, ma sempre aperta ad allargarsi verso ulteriori tematiche, inizialmente non previste; spesso suggerite dagli interventi degli altri compagni che lo seguivano nei seminari.  

NOTA: fra parentesi quadre il Redattore fa delle aggiunte per rendere più semplice la comprensione degli interventi e la stessa esposizione

 

IL DOCUMENTO QUI DISCUSSO È DISPONIBILE (ESSENZA E FORMA NELL’INTRODUZIONE ALLA FENOMENOLOGIA HEGELIANA. DOC)

 

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Stefano Garroni: […] ed è vero: in quella situazione data, in quella situazione culturale questo si intende per organizzazione democratica. Non c’è un residuo che io non riesco a capire, no: capisco perfettamente che cosa si intende.

È ovvio che in un altro contesto (storico, culturale ecc. ) si può intendere un’altra cosa, anzi sicuramente si intenderà un’altra cosa, quindi il sapere assoluto significa semplicemente che entro certi confini spazio-temporali, io conosco perfettamente un certo oggetto; per esempio io conosco perfettamente il modo di produzione capitalistico, gli strumenti fondamentali etc. etc. e, quindi non c’è nulla di metafisico insomma.

Ora, io sto lavorando sul testo di Hegel e su due traduzioni e cioè la traduzione francese di Jean Hyppolite, che è un testo assolutamente classico, e la traduzione italiana di Enrico De Negri che è anch’esso un testo classico. Sia Hyppolite che De Negri sono due grossi studiosi di Hegel.

Ovviamente bisogna tener presente anche la storia dell’edizione del testo nel senso che esistono varie edizioni del testo e questa che ho qui è l’ultima che è quella criticamente più aggiornata, che ha quindi in nota le varianti etc.; ma è anche la più recente e allora è possibile che uno studioso abbia tradotto ottimamente il testo di Hegel solo che ha presente un’edizione diversa dall’attuale per cui certe cose ci sono, altre non ci sono, alcune sono più oscure, altre sono meno oscure etc.  

Nel leggere un testo è molto importante che ci si abitui ad un certo tipo di linguaggio e ad un modo di impostare le cose. Hegel, per esempio, nella Vorrede (o prefazione; vor = avanti, Rede = discorso) della Fenomenologia dello Spirito dice: “Nella Vorrede di un’opera filosofica si crede erroneamente di poterne indicare l’essenza intesa nel senso dello scopo dell’opera (quindi lo scopo che si è prefisso l’autore, il rapporto in cui quest’opera sta con altre opere contemporanee o precedenti che si sono occupate dello stesso argomento) e il risultato a cui è arrivato l’autore scrivendo quest’opera”. Insomma si crede che l’essenza di un’opera filosofica sia dato da questi elementi.

E allora che succede? Beh, succede che, quell’opera filosofica è quella certa trattazione fatta in quel certo modo, che arriva a quel certo risultato ossia è , come dire, quella cosa fatta così e così che io posso confrontare con un’altra cosa dello stesso tipo.

Facciamo conto, per esempio, che questo vicino a me sia un bicchiere e c’è un’elaborazione filosofica che si è posta lo stesso problema del bicchiere che poi, magari, è fatta in un’altra maniera; a questo punto li confronto e l’essenza dell’uno verrà messa in risalto contrapponendosi all’essenza dell’altro. Le qualità interne, intrinseche dell’opera come cosa compiuta mi danno, così, l’essenza: ma, attenzione, Hegel dice che ciò non è vero! Perché? Ma perché non si può prescindere nel capire come è fatta una cosa dal processo attraverso cui è arrivata la cosa ad assumere quella forma.

A questo proposito c’è un esempio che fa Marx, che è anche molto noto, e cioè quello in base al quale c’è un serpente che crescendo lascia cadere una certa pelle e ne assume un’altra, queste varie pelli sono tappe, forme, momenti della realtà serpente la quale realtà non è data solo dall’ultima forma, dall’ultima pelle che il serpente assume ma, al contrario, è data dal succedersi delle varie pelli e dal passaggio da una pelle all’altra. Quindi, appunto, la cosa non sta nel suo risultato, il suo risultato è nel processo attraverso cui si è arrivati; e già qui si vede un elemento fondamentale e cioè che la dottrina filosofica (ossia quella cosa là, quel bicchiere, quel serpente) è subito dissolta in un processo di svolgimento, al termine di questo processo io vedo una certa forma, una certa immagine ma questa immagine è il risultato di una serie di immagini che si sono succedute.

Allora la struttura logica della cosa e il processo genetico della cosa stessa non sono separabili.

 

Paolo Massucci: Sarebbe questa la conoscenza assoluta?

 

Stefano Garroni: Esatto.

 

Paolo Maussucci: Però se non ho capito male questa conoscenza assoluta è anche un’interpretazione?

 

Stefano Garroni: Ovviamente.

Questo è molto importante: è un’interpretazione, per cui se domani, in un altro contesto storico la ricostruzione di quella certa filosofia vien fatta direttamente sulla base di esperienze diverse, nuove informazioni etc. non ci sarà nulla di strano; la conoscenza assoluta non blocca: è costruita in questa maniera ossia congiungendo processo genetico e risultato finale per cui certamente essa non è definitiva ma si trova all’interno di una certa epoca e quindi in un certo modo di vedere le cose, un certo bagaglio di esperienze e non un altro etc.

Per cui uno può scrivere la Fenomenologia ma può anche riscriverla, uno può scrivere la Logica ma può anche riscriverla: non c’è nulla di definitivo! Quello che è importante è che il risultato finale è al termine di un processo di svolgimento.

Paolo Massucci : Solo se lo conosci sei in grado di avere questa conoscenza assoluta?

Stefano Garroni : Certo, tu puoi capire il senso, il significato di un risultato solo se ricostruisci il processo attraverso cui si è arrivati a quel risultato.

 

Maurizio Franceschini: Questo anche per sfalsare la faccenda di quello che ha torto, ha ragione, è vero o è falso?

 

Stefano Garroni: Infatti questo processostorico attraverso cui si arriva a formulare una teoria filosofica passa attraverso fasi che possono essere anche fasi oppositive; Hegel dice che il senso comune vede nell’opposizione solo l’alternativa “o falso o vero” e non capisce che, invece, si tratta di due momenti di uno stesso processo.

A questo punto a me sembra che sia chiaro perché se noi, nella società capitalistica, ci schieriamo dalla parte del proletariato noi siamo in realtà per la morte del proletariato perché il proletariato è l’altra faccia del capitale, quindi prendiamo quest’opposizione, agiamo su un momento dinamico per arrivare ad una situazione in cui non c’è né l’uno né l’altro.

 

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Stefano Garroni: In merito a quanto detto, recentemente in televisione, per attaccare la Cina, hanno detto che, mentre prima nelle comuni era tutto in comune etc. etc., oggi invece il lavoratore viene retribuito solo sulla base del suo lavoro; come è noto questa è la bandiera del socialismo “ad ognuno secondo il suo lavoro! ” ma superata questa fase si passa “ad ognuno secondo i suoi bisogni! ” (E loro non riescono a capire che hai tutta quanta la produzione e stabilisci che alcune quote della produzione vanno a fini sociali ed il resto lo dividi sulla base del lavoro effettivamente fatto da ognuno).

A questo punto il proletariato è tolto, non c’è più perché la caratteristica del proletariato è proprio quella di erogare forza-lavoro la cui destinazione poi viene stabilita da altri ossia da chi ha il potere sui mezzi di produzione e di scambio, mentre qui i due momenti sono stati riassorbiti e di conseguenza non c’è né l’uno e né l’altro.

Questo che dice Hegel è molto importante: “Il senso comune vede solo opposizioni e non vede invece il passaggio dall’uno all’altro”. Ora, su questa nozione di senso comune dobbiamo soffermarci perché è storicamente vero che Hegel prende la nozione da due fonti e cioè: 1) dallo scetticismo antico; 2) dalla filosofia illuministica ed in modo particolare dal Sistema della natura di Holbach. Il senso comune (o sapere immediato o sapere apparente) è il sapere della gente comune, è il punto di vista della gente comune.

La scienza, come conoscenza del vero, nasce in opposizione al senso comune e quindi nello sviluppo della cultura c’è questa dimensione antagonistica: la scienza che si erge contro il senso comune: c’è lo spirito critico contro il senso comune.

È chiaro che questa tematica del senso comune Marx l’affronterà con il termine “ideologia”: il punto di vista critico è quello che mette in evidenza l’inganno dell’ideologia e scopre le carte! L’origine della nozione di senso comune è illuministica (Holbach) ma con questa differenza, però, che è molto importante e cioè: per gli illuministi, accanto al senso comune (al punto di vista della gente comune), esiste una ragione naturale; il senso comune in realtà è un luogo di pregiudizi che oscurano la voce della natura e (per esempio pensate a Rousseau) il problema sarà quello di ritornare alla voce della natura che è la voce diretta di Dio e della ragione contro i pregiudizi del senso comune che sono creati dalla società: ma per Hegel le cose non stanno così! Per Hegel non c’è una voce della natura mascherata da pregiudizi, l’uomo nasce dentro un ambiente ed assume il punto di vista di quell’ambiente, assume i pregiudizi di quell’ambiente e quando si mette a far scienza deve scontrarsi contro questi pregiudizi ed arrivare al punto di vista più alto che è, appunto, quello della scienza.

Questo motivo verrà ripreso nel 68 dalla filosofia francese ed in particolar modo da filosofi come Althusser, e da Bachelard già all’inizio del Novecento: il motivo, appunto, della scienza come arma contro.

E qui venne anche il mito dei grandi demistificatori come Freud, Marx, Nietzsche i quali contro la coscienza comune mostravano che “il re era nudo”.

Quindi la versione che poi ne dette la filosofia francese fu una versione molto calda, molto romantica ecc., però qui è importante che per Hegel la scienza nasce contro…Quindi capite perfettamente che c’è subito un opposizione netta tra punto di vista di Hegel e punto di vista empiristico.

Paolo Massucci: Prima tu hai parlato del punto di vista illuministico ed adesso parli del punto di vista empiristico: come mai?

Stefano Garroni: L’illuminismo ha un rapporto molto stretto con l’empirismo!

 

Paolo Massucci: Si però per esempio già Diderot e forse Voaltaire…

 

Stefano Garroni: Hai ragione. Su Voltaire no, ma su Diderot (anche Leibniz ecc. ) hai ragione, ma questi vengono studiati all’interno della dialettica, e Diderot è un autore che Hegel cita ampiamente.

 

Paolo Massucci: Lì la scienza si oppone al senso comune?

 

Stefano Garroni: Esattamente. Proprio Diderot è un autore che piace moltissimo ad Hegel.

Se ci siamo su questo allora comprendiamo anche subito che la lotta tra senso comune e scienzanon è un mero fatto intellettuale o culturale ma è una dilacerazione interna alla società perché, appunto, sono una serie di costumi, di pregiudizi, di modi di vita, di vivere, di pensare, di comportarsi, che vengono messi in discussione dalla scienza: quindi la scienza rompe i coglioni (come romperà i coglioni il pensiero critico secondo Marx).

Ed è molto interessante che in larga parte del neopositivismo nordamericano, la scienza dovrà avere nel senso comune la sua conferma: il significato della parola mi è dato dall’uso comune della parola, mentre qui neanche per niente, perché qui c’è la contrapposizione.

 

Paolo Massucci: Quindi il secondo Wittgenstein?

 

Stefano Garroni: Ma, io penso di no: Wittgenstein è un animale difficilmente afferrabile nel senso che si, c’è quest’elemento che tu dici, infatti è un autore citatissimo dalla tradizione neopositivistica, però se lo leggi in un certo modo vedi che in realtà le cose non stanno proprio così, anche perché lui intende ‘l’uso comune’ per quello che corrisponde a forme di vita, e allora modificandosi le forme di vita si modifica l’uso comune e allora si introduce una storicità.

Ecco, discorso analogo fa Hegel a proposito della scienza: il termine scienza viene usato da Hegel in due significati diversi: 1) viene usato nel senso di sapere critico, di sapere che si contrappone al sapere comune; e 2) viene anche usato nel senso delle scienze particolari come la chimica, la fisica etc.

Pensando alle scienze particolari, Hegel dice che la loro caratteristica è l’indagine del particolare ossia esse vanno alla ricerca della penetrazione, più a fondo possibile, del particolare e così facendo non riescono mai a raggiungere il concetto della cosa perché vien fuori un sapere frantumato.

 

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Stefano Garroni: Infatti in tedesco il linguaggio è più chiaro tant’è che “scienza particolare” si traduce con Einzelwissenschaft (di cui einze = uno); quindi la scienza è proprio legata all’Uno mentre la Wissenschaft è una visione complessiva, ha come oggetto il tutto.

In sostanza, quindi, gli errori di fondo che Hegel stigmatizza sono: 1) la separazione tra risultato e percorso (o percorso storico) perché è proprio il percorso che consente di ricostruire il senso, il significato, del risultato.

Tra l’altro questo è un tema contro cui si contrapporrà il neopositivismo quando distinguerà l’approccio genetico (o psicologico) dall’approccio logico; l’approccio logico è quello che mi dice la struttura della cosa mentre l’approccio genetico (o psicologico) è quello che mi dice il processo storico che ha portato alla cosa: ma i neopositivisti distinguono questi due punti di vista mentre, al contrario, Hegel li lega uno con l’altro; 2) la tendenza a stravolgere i processi figurandoli come cose separate (per esempio la filosofia, quella filosofia, quel risultato che contrappongo all’altra filosofia, all’altro risultato) mentre, invece, la prospettiva hegeliana è quella di cogliere le relazioni: sono proprio le relazioni che consentono di afferrare il significato interno della cosa stessa.

Ora, qui c’è un fatto molto importante da sottolineare e cioè: quando noi diciamo che bisogna riuscire a ricondurre certi fenomeni politici, economici, sociali etc. alla logica di sviluppo del sistema capitalistico per poterli capire, noi diciamo che esiste una realtà, ossia il rapporto capitalistico di produzione, il quale è costruito in maniera tale da avere una certa dinamica tendenziale che crea certi risultati e riteniamo di aver spiegato quel risultato quando siamo riusciti a riportarlo alla dinamica del modo di produzione capitalistico; se qualcuno ci dicesse “c’è la disoccupazione in Italia perché in Cina fanno etc. etc. ” non sarebbe per noi una risposta, la disoccupazione in Italia me la devi spiegare spiegandomi i modi di funzionamento del sistema capitalistico italiano oppure il modo capitalistico internazionale di cui fanno parte Cina ed Italia.

Questo significa esattamente che la cosa si spiega con la cosa stessa, la cosa si spiega non facendo riferimento ad un esterno ma, al contrario, si spiega sulla base della propria logica di movimento; qui bisogna stare molto attenti in quanto questo è un concetto complicato da afferrare perché ha delle conseguenze importanti ed alcune conseguenze sono da noi subito accettate: se la cosa si spiega con la cosa stessa, il mondo si spiega con il mondo stesso, la storia si spiega con la storia stessa e non c’è bisogno di dio.

Però è anche vero che se il sistema capitalistico si spiega con le proprie leggi interne, esso è come se fosse, in qualche modo, un’isola nella storia rispetto al sistema feudale, io potrò ricostruire delle connessioni ma, in realtà, il sistema capitalistico è un salto rispetto al sistema feudale; voi capite, allora, perché quando Marx si occupa della società feudale o della società schiavistica, ossia delle forme precapitalistiche di produzione, egli in realtà non si occupa di questo ma si occupa, invece, di ritrovare nelle società precapitalistiche quegli elementi che hanno portato al capitalismo, per cui giustamente Marx non fa opera storica ma legge gli eventi passati per capire il presente: se io facessi storia dovrei spiegare quel salto, quella situazione che si è creata per cui c’è stato un salto, un momento critico grazie al quale da un mondo sono passato ad un altro e quindi un elemento di discontinuità nella storia.

 Questo fa sì che lo storicismo hegeliano sia uno storicismo molto particolare: in un certo senso, quindi, Hegel non è storicista! Lo storicista, infatti, tende a spiegare il fenomeno storico con la storia precedente mentre per Hegel questo è solo parzialmente possibile perché da un momento all’altro (dal momento feudale a quello capitalistico) c’è la produzione di un nuovo, c’è un salto, c’è una rottura.

 

Pina Micucci: Scusa Stefano, ma questo che hai detto adesso sembra quasi in contraddizione con l’osservazione del processo…

 

Stefano Garroni: L’osservazione è giustissima.

 

Pina Micucci: Perché il processo viene giustificato alla cosa del processo, invece tu dicevi che lo storico tende a spiegare quello che è accaduto con quello che è successo prima, quindi col processo? No?

 

Stefano Garroni: Certo, tu hai perfettamente ragione, solamente, appunto, pensa a Marx che ha di fronte lo scopo di spiegarti il capitale ed avendo in mente la società capitalistica si volge all’indietro e guarda le società precedenti prendendo quegli elementi che spiegano gli elementi della società capitalistica.

Allora fa una selezione; Marx quindi non spiega tout court (ossia al 100%) la cosa con il processo ma vede nella storia precedente lo svilupparsi di un processo che oggi io mi rendo conto che ha portato al capitalismo: poi mica è necessario che ci porti al capitalismo, può anche portare ad un’altra situazione.

Oggi, però, io vivo in una società capitalistica e mi chiedo: come è nata? Per rispondere a questa domanda posso, allora, rivolgermi alla storia e trovare gli elementi; questo, però, non significa che la storia è predeterminata ma significa che quello che succede in realtà succede sulla base di avvenimenti precedenti. Questo porta anche alla difficilissima tesi da accettare nihil ex nihilo (nulla nasce dal nulla): e no, il capitalismo non nasce dal feudalesimo!

Per esempio ci sono alcuni studi che mostrano come nella Cina esistessero tutti gli elementi per la formazione del capitalismo ed, invece, non si è formato.

 

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Stefano Garroni: Ma, appunto, Marx mostra nel feudalesimo gli antecedenti solo perché guarda al feudalesimo avendo già presente il capitalismo. È come se lui leggesse il libro giallo al contrario, già sa chi è l’assassino e quindi ripercorre il libro per mostrare il processo in cui mano a mano si rivela l’assassino; però non è detto che ci debba essere l’assassino o che debba essere scoperto, io ragiono partendo dalla situazione presente, guardo il passato per ricostruire quel processo che ha portato al presente: ma il presente, però, non è predeterministico.

E quindi non è neanche vero che nihil ex nihilo perché in realtà quel salto, quel cambiamento è qualcosa di nuovo, è una introduzione di novità, è una soluzione di continuità nel processo storico.

 

Maurizio Franceschini: Certo, però è come se questi elementi si sono incrociati e hanno creato la bomba atomica, cioè c’è stata la massa critica che ha fatto…

 

Stefano Garroni: C’è stata la massa critica che può creare la bomba atomica ma può anche non crearla: socialismo o barbarie vuol dire che: “Il capitalismo ha queste contraddizioni e quindi arriveremo al socialismo? ” no: può succedere che le due classi si distruggano una con l’altra!

 

Maurizio Franceschini: Che poi nella storia ci sono tanti sviluppi non è che tutti quanti percorrono la stessa strada.

 

Stefano Garroni: È evidente e infatti questo è un problema che Marx si pone quando scrive quelle pagine sull’India, la Cina e la Russia, mostrando come il percorso storico di questi due paesi non ha nulla a che fare con il percorso storico dell’Europa occidentale. Appunto, non è predeterminato il percorso.

 

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Stefano Garroni: Qui vanno, ora, introdotti questi due termini tedeschi che sono: 1) Verstand che è l’intelletto. […]

L’intelligere è quello che costruisce, mette insieme i pezzi e fa una cosa: e quindi, appunto, è quello che cosifica!; 2) Vernunft che è la ragione. La ragione scioglie, supera il rifiuto della contraddizione; questo, come sappiamo, significa appunto che Hegel non è impazzito e ritenga quindi che, per esempio, questa che ho vicino a me è contemporaneamente una tazza e una non-tazza: se è una tazza è una tazza e non è una non-tazza. Ossia il principio di identità “se A è A allora non può essere contemporaneamente e sotto lo stesso punto di vista diverso da A” e questo funziona perfettamente.

Però dal punto di vista del processo storico può succedere che, appunto, sostituendosi alle cose, le dinamiche, può succedere che quello che è posto all’ala destra in una partita di calcio, per esempio, ad un certo momento per ragioni tattiche si sposta e va a sinistra per non creare all’avversario punti di riferimento; ecco nella storia c’è questo fluire delle cose per cui tu non puoi avvicinarla con il rigore del “si si, no no e il resto è del diavolo”. Tra l’altro questa frase del “si si, no no e il resto è del diavolo” è una frase citata dall’onorevole D’Alema, è usata da Marx ed appartiene originariamente a Paolo di Tarso il quale, appunto, esprime con essa il punto di vista cristiano il quale ha la massima certezza (“si si, no no” = non ci sono dubbi) e chi ha il dubbio è il diavolo.

Ora se c’è qualcuno che come il diavolo ti mette i dubbi è proprio Hegel perché ti rovescia le cose etc.

Paolo Massucci: Kant utilizza in maniera differente il termine ragione?

Stefano Garroni: Si e no, nel senso che per Hegel la ragione, come dire, ti fa vedere il processo dinamico di svolgimento della storia, mentre per Kant, invece, la ragione è una facoltà dell’intelletto, è una facoltà dello spirito: quindi per Kant la ragione è una facoltà speculativa mentre per Hegel è la storia stessa! In entrambi i casi, però, caratteristica della ragione è la compresenza della contraddizione ossia la possibilità per la ragione di pensare la contraddizione.

Paolo Massucci: Si può dire che Kant cerca di interpretare il mondo partendo dallo studio della mente umana, dallo studio di come l’uomo usa gli strumenti della propria mente per conoscere il mondo mentre Hegel si occupa, invece, direttamente dell’oggetto che è anche oggetto storico, parte cioè dal mondo e non dalla mente umana?

Stefano Garroni: Per dirla in maniera ridicola, in un comitato centrale Diliberto disse “come ci hanno insegnato le femministe cominciamo l’analisi da noi! ” il che ovviamente è una stronzata perché bisogna che si incominci dal mondo.

Kant inizia il proprio studio con l’analisi del soggetto, delle possibilità del soggetto e su questa base va al mondo mentre Hegel, invece, parla del mondo, per Hegel non c’è un problema della conoscenza: per Hegel non ha senso chiedersi “possiamo conoscere o no? ”: noi viviamo, c’è tutta una storia millenaria, allora cerchiamo di capire come in momenti diversi abbiamo conosciuto in modo diverso, con quali strumenti ecc., ma chiedersi: “Possiamo o no conoscere? ” è ozioso, non significa nulla.

Hegel, infatti, dice: “Kant vorrebbe imparare a nuotare prima di buttarsi in acqua! ”

 

Maurizio Franceschini: Ma anche qua non ci sta la famosa disputa: “Chi ha ragione? ” Hegel o Kant?

 

Stefano Garroni: Mah, viene da pensare se ha senso porsi la domanda: “Chi ha ragione? ”

 

Paolo Massucci: Ma non è che uno ha superato l’altro nella storia del pensiero: non è che Hegel ha completamente superato Kant, e infatti sono usciti fuori i neokantiani ecc., quindi potrei chiedere come i due modi di pensare hanno influenzato il pensiero successivo, la prospettiva anche dal punto di vista del pensiero marxista per esempio.

 

Stefano Garroni: Qui torniamo ad Hegel che dice che “il risultato di una filosofia non è comprensibile se non comprendiamo anche il processo attraverso cui…”; quindi bisogna storicizzare Kant, bisogna storicizzare Hegel e così facendo comprendiamo la relazione tra Kant ed Hegel ma scopriamo, però, che la storia è anche un continuum con salti, con rotture: per cui tu ritrovi mille volte Kant in Hegel, come ritrovi in Kant anticipi su Hegel ma ritrovi, però, anche differenze radicali e quindi in questo senso non ha senso chiedersi chi ha ragione perché non esiste un punto di vista soggettivo a prescindere dalla storia.

 

Maurizio Franceschini: Che tu vuoi imparare a nuotare senza buttarti in acqua, è un po’ cattivella la frase…

 

Stefano Garroni: È cattivella, è come in politica: se ne dicevano!

Un’altra cosa molto importante da dire è che questa distinzione tra i termini Verstand (intelletto) e Vernunft (ragione) non significa che Hegel neghi l’importanza della Verstand ovvero: Hegel non nega affatto l’importanza delle scienze particolari, egli non ha in mente (non faccio a caso l’esempio) di costruire una matematica filosofica (la matematica è quella che studiano i matematici) però si chiede che cosa significano le scienze dal punto di vista filosofico; quindi se io mi metto dal punto di vista della ragione, ossia dal punto di vista della concezione della totalità , allora mi chiedo come si collocano le scienze all’interno della totalità: ma questo, si badi bene, è un altro punto di vista.

Infatti Hegel dice che “il Verstand appartiene al processo della conoscenza ma è una fase iniziale, la fase appunto in cui ancora la contraddizione è semplicemente oppositiva e non viene sciolta, superata dal movimento della storia”.

 

Maurizio Franceschini: Riferendosi alla scienza Hegel la intende come un fatto dell’intuizione?

Stefano Garroni: Assolutamente no! Nemico fondamentale di Hegel è chi parla di intuizione, di immedesimazione ossia di forme di conoscenza non razionali, non mediate, non discorsive.

 

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Stefano Garroni: Quindi nel momento in cui uno dice “Io sono illuminato da dio e conosco la verità perché dio mi illumina” ad Hegel fa fare un sacco di risate.

 

Maurizio Franceschini: Ma nella scienza ci sono certi momenti che agisce l’intuito.

 

Stefano Garroni: Quello è un altro discorso, perché nel momento in cui, per esempio, io sto leggendo un libro può venirmi in mente che un certo discorso debba essere interpretato in un certo modo; a questo punto succede che io approfondirò lo studio del libro per trovare le prove che dimostrano che questo discorso debba effettivamente essere interpretato in quel modo: l’intuizione, quindi, sarà una prima mossa che mi orienterà in un certo modo ma non presenterò mai l’intuizione come prova di… ma, al contrario, la prova la presenterò quando avrò costruito un processo razionale che giustifica la mia tesi.

Ed è molto interessante il fatto che questo è proprio il discorso che fa Freud e cioè: siamo in seduta di analisi ed io analista, sentendoti parlare, intuisco che tu hai un certo problema: se io domani devo fare una comunicazione scientifica sulla terapia che ti sto facendo non presenterò la mia intuizione ma, al contrario, presenterò gli argomenti logici che giustificano la conclusione a cui sono arrivato.

È molto importante tener presente che, in realtà, sia per Hegel che per Marx fondamentale è la distinzione tra Forschungsweise ossia modo della ricerca (Weise = modo / Forschung = ricerca) e Darstellungsweise ossia modo della spiegazione, della rappresentazione (Weise = modo / Darstellung = spiegazione, rappresentazione). Il Forschungsweise o modo della ricerca non è sottoponibile a regole: io posso appunto intuire “ma mi sa che le cose stanno così! ”. La Darstellungsweise o modo della spiegazione, deve essere costruito, invece, sulla ragione per cui la comunicazione scientifica di Freud sarà costruita, appunto, non sull’intuizione che lui ha avuto ma sarà costruita, invece, sulla giustificazione razionale di…

È molto bello il fatto che il termine tedesco Darstellung sta per esibizione, mostra, rappresentazione teatrale ed a proposito di ciò Hume diceva che la natura umana (e su questo Hegel era pienamente d’accordo) è del tutto trasparente perché è la storia dell’uomo ossia non è un mistero ma basta studiare la storia: la storia è l’esibizione dell’umanità, quindi non c’è una realtà intima dietro le apparenze che è la natura di… ma, al contrario, sta là dispiegata di fronte a noi nella storia.

 

Paolo Massucci: C’entra anche un po’ del realismo, della semplificazione dei veristi che poi hanno portato una visione di Hegel che poi non vedono tutto quello che c’è dietro?

 

Stefano Garroni: No, il problema è questo: tu prendi, per esempio, una persona comune e ragionando con lui vedi che questa persona non eleva mai il suo discorso, la sua coscienza, il suo punto di vista dal quotidiano, non riesce a guardare il quotidiano dall’alto: questa è una forma di realismo immediato. Il realismo di cui parla Hegel con la dialettica etc. è, invece, il realismo di chi dall’alto della montagna vede la scena offerta dalla storia e quindi, proprio perché sta in alto, ne vede la configurazione, ne vede il disegno, vede per esempio dove stanno i fiumi, gli alberi etc.: questo è un altro realismo, è un realismo che va più a fondo.

In definitiva, il realismo di senso comune è quello dell’uomo della strada, del politico, di quello che fa il furbo e dice “Mi lego con questo perché ho un certo vantaggio, poi lo strumentalizzo e me ne frego…! ”, invece in questo gioco vai a vedere chi è strumentalizzato insomma, e in questo modo non si fa storia, non si fa politica!

A questo proposito tempo fa ricordavo che Engels polemizzò contro la Tagesgeschichte cioè quel modo di concepire la storia come ricostruibile attraverso i giornali, attraverso gli eventi e non attraverso la penetrazione, invece, delle cause profonde: ci sono, allora, due tipi di realismo e cioè il realismo immediato (ossia americano, conservatore etc. etc. ) e quest’altro realismo meno immediato e conservatore.

 

Maurizio Franceschini: Ma tu hai citato i politici, ma il politico sull’intuizione gioca molto, perché Lenin quando dice…

 

Stefano Garroni: No, aspetta un momento, no. Non confondiamo. Io non mi permetterei mai di indicare Lenin come esempio di politico.

 

Maurizio Franceschini: Politico in senso ampio…non politicante

 

Stefano Garroni: Per esempio Hegel ritiene fondamentale l’intuizione nella storia e nella politica e fa come esempio Napoleone. Io avevo in mente non so, Diliberto, Bertinotti, questa roba qua: questi sono i politici.

 

Maurizio Franceschini: Questi sono politicanti…

 

Stefano Garroni: No, sono i politici nel senso che sono ristretti a questo punto di vista, non vedono altro. Se tu vai a dire al nostro segretario romano: “Guarda che esiste una storia del marxismo in cui esistono dei libri intitolati Terrorismo e comunismo” lui si incazza e dice: “I compagni pensano alle BR”, perché è ignorante: quello è il politico.

Ecco, il politico è uno stronzo, è un uomo d’azione, apatico…

 

Maurizio Franceschini: Ma Napoleone non è che…

 

Stefano Garroni: No, ma non è un politico: lui ha una visione del mondo: e cazzo, lui porta avanti il progetto della rivoluzione borghese nel mondo ao! Lui costruisce il mondo borghese in Europa.

 

Paolo Massucci: Influenza la politica, ha un ruolo nella politica Napoleone.

 

Stefano Garroni: Si.

 

Maurizio Franceschini: Va beh, ma è uno che ha fatto la storia, ma di questi che dici te nessuno ha fatto la storia.

 

Stefano Garroni: Esatto. Per questo sono solo politici.

 

Maurizio Franceschini: E allora?

 

Stefano Garroni: Questi non contano niente. Questi che intuiscono? Intuiscono quello che intuisce chiunque abbia visto la televisione: sono a livello dello spettacolo che piace a te, tipo Un giorno al sole o come si chiama…

 

 

Pina Micucci: Stefano tu tempo fa mia hai fatto recuperare quel testo di Galvano Della Volpe, Marx e Rousseau, poi però non abbiamo più approfondito…

 

Stefano Garroni: No perché abbiamo dovuto interrompere…

 

Pina Micucci: Ma hai qualcosa di scritto su questo testo?

 

Stefano Garroni: Si, io ho scritto una cosa…

 

Pina Micucci: Ma non ce l’hai dato però …

 

Stefano Garroni: Mah, ero laureato da due ore insomma…

 

Pina Micucci: No perché io riesco poco a leggere testi difficili perché è un testo complesso, però …

 

Stefano Garroni: No è un testo scritto in un italiano difficile…

 

Pina Micucci: Però ci sono intuite delle cose interessanti

 

Stefano Garroni: Mah, guarda, noi questo lo dobbiamo riprendere, e tra l’altro questo non te l’avevo detto ma i compagni del Partito Comunista dei Lavoratori, dopo che avremo fatto la riunione lì alla stazione Termini, faranno loro un’assemblea, e ci invitano a presentare un programma di dibattiti.

 

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Stefano Garroni: Allora io ovviamente, quello che non abbiamo fatto nel partito, gli ho detto: “Guarda, potremo fare questo sul problema sindacale e quindi Luxemburg, Trotskij ecc. ”, e loro hanno detto: “Va bene, d’accordo, lo illustri tu” ecc.

Secondo me anche il tema che noi facemmo a suo tempo e lo lasciammo là, cioè una specie di storia del pensiero politico, dove ognuno scrisse qualcosa. Ecco, sembra che sia venuto il momento per usarlo e che sia possibile pubblicarlo in una rivista.

Questo li dico semplicemente per questa linea: quello che non abbiamo fatto, che non abbiamo sfruttato fino in fondo, noi dobbiamo non perderlo e dobbiamo recuperarlo, e un punto fondamentale è democrazia-socialismo, quindi Della Volpe.

 

Pina Micucci: Penso che sarebbe interessante avere anche questo scritto tuo che magari ci fa luce…

 

Stefano Garroni: Ma è il primo scritto […]

 

 

Stefano Garroni PRIMO RICERCATORE CNR ed ex docente di filosofia a “La Sapienza” università di Roma: collettivo di formazione marxista “Stefano Garroni”. Per informazioni di ogni genere o anche segnalazioni per eventuali errori non esitate a contattarci.

 



  

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