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Итальянский язык. Прозаический текст. da Sergio Atzeni, Raccontar fole. dal capitolo II



 

 ЧОУ «Русская христианская гуманитарная академия»

 Открытый гуманитарный конкурс «Умным быть модно! »

Задание к номинации «Идеальный слог» - конкурс художественного перевода с итальянского языка специально подобранных прозаического и поэтического текстов;

 

Итальянский язык

Прозаический текст

da Sergio Atzeni, Raccontar fole

dal capitolo II

Tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Ottocento il clima sardo era lo stesso dei giorni nostri: estati lunghissime e senza pioggia, soffocate dal levante e dallo scirocco, e inverni più spesso tiepidi che freddi, battuti da un maestrale che a volte diventava cattivo.

In quegli anni non si parlava ancora di vacanza, tanto meno di vacanze di massa. Non esisteva l'industria del turismo e le spiagge bollenti di agosto non erano un valore. Oggi le sabbie bianche e rosa, il mare caldo delle due, come pure l'abbronzatura (parziale o integrale secondo i gusti) o la tenda, la roulotte, o quindici giorni in una pensioncina tutto-compreso, o un viaggio in Papuasia (per chi se lo può permettere), sono valori economici e morali, diritti individuali, aspetti della politica degli stati. In quegli anni, invece, il viaggio era riservato a pochi uomini molto ricchi, di antica e provata nobiltà e cultura.

Non si parlava di vacanza. E del clima sardo si diceva soltanto male. Mai nessuno ha espresso un giudizio positivo, tra tanti che ne hanno scritto. Almeno fino a questo secondo dopoguerra, che ci ha tolto dal rango di «zona malsana» per trasferirci a quello di " paradiso". Il clima sardo aveva una fama terribile già in epoca romana. E stata più volte citata una frase di Cicerone a un suo fratello spedito in Sardegna: «Stai attento, fratello, a restar sano, e pensa che per quanto sia inverno, tu sei pero in Sardegna». Un altro grande scrittore latino, Tacito, parla della «severità del cielo» e Silio Italico di un cielo «triste» o «tristo». In duemila e più anni niente era cambiato e la fama era la stessa alla fine del Settecento.

Joseph Fuos, nella traduzione citata, a proposito del clima usa l'aggettivo «disaggradevole»; come dire: non gradito, noioso, schifoso; niente di buono. Secondo il suo parere una delle più grandi fortune dei sardi era che i maestrali invernali, freddi e insopportabili, durassero soltanto pochi giorni all'anno. E scrive che il sole estivo, in certe giornate di fine agosto (levantate di Sant'Agostino), era cosi caldo da far sparire l'appetito. Dal che si comprende come nessuno gli avesse parlato di arselle bianche vive, pesche intrise di vino fresco, angurie gocciolanti, fritture di gamberi… Il cappellano tedesco si sente di consigliare il viaggiatore incautamente capitato in Sardegna: in agosto, secondo lui, «la miglior cosa a fare si è affaticare il corpo meno che è possibile». Vale anche oggi, e non solo per i turisti.

Qualche decennio più tardi arriva in Sardegna un altro ecclesiastico, un padre gesuita, Antonio Bresciani, nato e cresciuto ai piedi delle verdi vallate sudtirolesi. Il sole sardo evoca alla sua scrittura accenti biblici: «saetta si cocente», dal principio di giugno alla fine di ottobre, e «governa si malignamente» la terra, e la «secca d'ogni umore, la indura, la fende, la spacca e l'arroventa», e le campagne e i monti, cosi freschi in aprile e maggio «si scolorano ed inaridiscono come bruciati dal fuoco».

Anche il maestrale evoca le dannazioni bibliche, in una descrizione di un nobile tedesco, un barone di Dresda, Heinrich Von Maltzan. Avventuriero, viaggiatore, conoscitore di molte lingue esotiche, Von Maltzan ha visitato l'Algeria, il Marocco, la Siria, la Palestina, l'Egitto, la Sardegna, la Tunisia, la Tripolitania, l'Arabia. Ha sistemato il viaggio in Sardegna dopo quello in Egitto e prima di quello in Tunisia, indicando già nella scelta quali popoli riteneva ci fossero parenti.

Il barone descrive il maestrale con queste parole. «A chiunque abbia viaggiato da Cagliari a Sassari (…), deve essere dato all'occhio come la maggior parte degli alberi sieno storpi e bassi e come tutti i loro rami sieno rivolti assolutamente da un lato, il sud-est, giacché non potendo sul lato nord-ovest allignare né rami né foglie, il ceppo (…) resta nudo e privo di fronde. Il vento devastatore di nord-ovest, il 'Mistral' dei Provenzali, il maestro degl'Italiani, è la causa di questa direzione obliqua di tutti gli alberi e del loro misero prosperare. A questo terribile vento, che spira per quasi tutto l'inverno e la primavera, si potrebbe quasi dire a questo perpetuo turbine va soggetta (…) la costa occidentale della Sardegna».
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